A qualche mese di distanza è stata reso noto lo stato d’avanzamento dell’indagine archeologica presso il complesso del Santo Sepolcro a Gerusalemme, comunicato da Custodia Terrae Sanctae. L’equipe del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Roma Sapienza, diretto dalla professoressa F. M. Stasolla, è impregnata nel restauro del pavimento di questo importantissimo polo religioso e nella comprensione degli aspetti architettonici del sito.
Le aree indagate
Il giorno 14 marzo 2021 si è celebrata la rimozione della prima pietra del pavimento della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Il complesso non era mai stato interessato da scavi sistematici. In questi giorni, invece, sono stati comunicati i primi dettagli dell’indagine in corso. Due sono le aree indagate: la navata nord, e parte della rotonda nord-occidentale. In primo caso sono emerse tracce del cantiere di età costantiniana relative alla costruzione del complesso stesso. Nel secondo caso, l’indagine si concentra sulle fasi di lavorazione del banco roccioso. In particolare, è stato individuato un cunicolo connesso al sistema di deflusso delle acque. Il suo studio sarà utile alla comprensione degli aspetti architettonici del complesso indagato.
Archeologi, sacerdoti e pellegrini: convivere al Santo Sepolcro
La costruzione della Basilica del Santo Sepolcro si deve a Costantino, colui che garantì la diffusione del cristianesimo nell’impero romano. Fu eretta nel luogo in cui la tradizione individua la sepoltura di Gesù. Va da sé che, ancora oggi, tale complesso sia uno dei massimi centri religiosi cristiani, e meta di pellegrinaggio. Condizione che, ovviamente, si riflette sul lavoro degli archeologi impegnati nelle attività di scavo. I turni sono a ciclo continuo, diurni e notturni. Le aree di scavo sono state indagate in successione. Questo per non interrompere il normale svolgimento delle liturgie e non ostacolare il flusso di pellegrini che ogni girono qui si riversano.
Nelle ultime settimane abbiamo raccontato l’assedio all’acciaieriaAzovstal di Mariupol, con annessa tregua concessa dai russi per l’evacuazione. Tuttavia, questa tregua non è stata rispettata, e l’acciaieria è stata ancora una volta bombardata.
Intanto Mosca annuncia l’annullamento della parata per la Giornata della Libertà, in programma il 9 maggio nelle Repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk.
Arrivano infine le scuse di Putin in merito ad un’uscita di Lavrov, che ha messo in relazione Volodymyr Zelensky con Hitler e l’ebraismo.
Nuovo attacco all’acciaieria Azovstal
Un consigliere del sindaco di Mariupol, Petro Andriushchenko, ha annunciato una pioggia di bombe sull’acciaieria Azovstal nella notte tra il 4 e il 5 maggio: “Intensi attacchi sull’acciaieria non si sono fermati per tutta la notte e stanno continuando”.
Citato dalla Cnn, poi, Andriushchenko ha continuato: “A partire da ora se c’è un inferno nel mondo è ad Azovstal. Gli ultimi 11 chilometri quadrati di libertà a Mariupol sono stati trasformati in un inferno”.
Uno scenario che lascia facilmente intuire che la Russia non ha rispettato la tregua, cosa annunciata nelle ore successive dai militari ucraini.
L’annullamento della parata del 9 maggio a Donetsk e Lugansk
Nelle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, le autorità russe hanno annullato la parata e la marcia per la Giornata della Vittoria del 9 maggio. Lo ha affermato il primo vice capo dell’amministrazione presidenziale russa Sergei Kiriyenko, citato da Unian, nel corso di una manifestazione a Mariupol.
“La parata della vittoria e la marcia del reggimento immortale in questo giorno della vittoria a Donetsk e Lugansk è ancora impossibile da tenere. Ma quel tempo arriverà presto e le parate della vittoria passeranno per le strade del Donbass”, ha detto Kiriyenko.
Secondo Kiev, però, i russi avrebbero a mente un’altra parata da fare. La commissaria per i diritti umani del parlamento ucraino, Lyudmila Denisova, ha infatti scritto su Telegram che la Russia ha intenzione di far sfilare a Mariupol i cittadini ucraini come prigionieri, sempre in vista della parata del 9 maggio. Notizia che, ancora, non ha trovato conferme, ma neanche smentite.
Le scuse di Putin per le dichiarazioni recenti di Lavrov
Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, aveva detto in un’intervista a Rete 4 che Zelensky ha origini ebraiche “come Hitler”, scatenando l’ira di Israele.
A tal proposito, Putin si è scusa in via telefonica con il primo ministro israeliano Naftali Bennett, che ha anche chiesto al presidente russo di “esaminare le opzioni umanitarie” per l’evacuazione dei civili da Mariupol.
“Il premier ha accettato le scuse del presidente Putin per i commenti di Lavrov e lo ha ringraziato per aver chiarito la sua posizione sul popolo ebraico e la memoria dell’Olocausto“, si legge nel comunicato dell’ufficio del ministro israeliano.
Torniamo indietro di due millenni, osserviamo quei riti e quelle tradizioni che hanno influenzato l’attuale festività cristiana della Pasqua. Torniamo alla nascita dei banchetti rituali, dei pasti comunitari, a quelle gestualità, tipiche della cultura occidentale, nate in Oriente e che spensieratamente mettiamo in pratica ogni anno in famiglia.
Pèsach, l’antica festività
L’origine del termine פֶּ֥סַח, Pèsach (o Pascha), è ebraico-aramaica e significa passaggio. È un chiaro riferimento alla liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù egiziana. La festività cristiana della Pasqua sarebbe il frutto della sovrapposizione dell’evento narrato nell’Antico Testamento con l’evento raccontato dai Vangeli riguardante la Resurrezione di Gesù.
Pèsach, chiamata erroneamente pasqua ebraica, è celebrata ancora oggi e dura otto giorni, sette in Israele. Fu istituita, secondo le Sacre Scritture (Esodo 12,2-6; 13, 3-5), direttamente da Dio con il monito di onorare ciclicamente la ricorrenza della liberazione degli Israeliti. Cade il quattordicesimo giorno del mese di di אָבִיב (āḇîḇ, Abib in cananeo, Nisan in babilonese), e corrisponde ai nostri mesi di marzo e aprile.
Va fatta però una distinzione tra la cosiddetta festività egizia e la Pèsach delle successive generazioni: la pasqua egiziana iniziava dal decimo giorno di Nisan (Es.12,3), richiedeva lo spruzzare del sangue e l’uso di un mazzo di Issopo (Es.12,22) per spargerlo sull’architrave e sugli stipiti delle porte. Inizialmente veniva consumata in una sola notte.
Le fonti scritte
Una fonte, il Libro dei Giubilei che datiamo al II secolo a.C., ci fornisce una prima descrizione del pasto rituale. Il testo è canonico solo per la chiesa copta, la prima redazione è in ebraico. Ebbe parecchia diffusione nelle varie comunità giudaiche della Diaspora. Il testo cita:
“Il primo mese, il quattordici del mese sarà la pasqua del Signore. Il quindici di quel mese sarà giorno di festa. Per sette giorni si mangerà pane azzimo. Il primo giorno si terrà una sacra adunanza; non farete alcun lavoro servile; offrirete in sacrificio con il fuoco un olocausto al Signore: due giovenchi, un ariete e sette agnelli dell’anno senza difetti; come oblazione, fior di farina intrisa in olio; ne offrirete tre decimi per giovenco e due per l’ariete; ne offrirai un decimo per ciascuno dei sette agnelli e offrirai un capro come sacrificio espiatorio per fare il rito espiatorio per voi. Offrirete questi sacrifici oltre l’olocausto della mattina, che è un olocausto perenne. […] Il settimo giorno terrete una sacra adunanza; non farete alcun lavoro servile.” (Num. 28, 16-25).
Il mutare dei gesti
È grazie alla testimonianza di Filone d’Alessandria riguardo le celebrazioni della Pasqua, in greco πάσχα, che abbiamo consapevolezza di quanto fosse sentita come festività dai fedeli Gerusalemme. Filone scrive che la città doveva prolungare le celebrazioni per poter accogliere tutti i pellegrini che venivano appositamente per le celebrazioni.
L’attuale rito Pasquale è basato sull’Haggadah di Pesach, un testo di cui il manoscritto più antico è datato al X secolo ma del quale ipotizziamo una prima stesura databile al III secolo. L’Haggadah, il racconto, detiene la narrazione degli eventi storici legati alla fuoriuscita degli ebrei dall’Egitto, conserva la descrizione del Seder, la sequenza rituale di Pesach. Nel testo è indicata la sequenza delle azioni rituali da mettere in atto la sera del quattordicesimo giorno, a partire dalla rimozione in casa di qualsiasi genere di cibo lievitato.
Il piatto del Seder
Seder è un termine che può essere tradotto con ordine, sequenza. Si riferisce ai diversi momenti di uno specifico rituale della cultura ebraica. Il Seder di Pesach è una cena che viene consumata seguendo un ordine rituale ben preciso, di fondamentale importanza per la sua carica simbolica e allegorica. Al centro del piatto, si pongono tre matzot shemurot, il pane aazzimo, attorno ai quali si posizionano altre pietanze: davanti il Karpas (sedano), dietro il Maror (lattuga amara) e vicino il Haroset, una pasta frutto della mescita mele, mandorle, datteri, noci e prugne. Abbiamo uno zampetto d’agnello e un uovo sodo cotto, come bevanda viene servito dell’aceto o acqua salata. Durante il pasto si alternavano le benedizioni e racconti sulla liberazione della terra d’Egitto a cui partecipava tutto il gruppo familiare riunito.
Prendendo come fonte l’Haggadah, soffermiamoci sul significato del pane non lievitato: rappresentava la velocità con cui gli ebrei furono liberati dall’Egitto e in fuga non ebbero il tempo di preparare le vivande. La verdura amara, l’aceto e l’acqua salata simboleggiano il ricordo della vita infelice in schiavitù. Troviamo anche la zampa di agnello, simbolo dell’animale sacrificato per risparmiare i primogeniti d’Israele durante le piaghe inviate da Dio contro il Faraone così come abbiamo l’uovo sodo: un monito, anche in un giorno di festa, ricordo della distruzione del Tempio.
Sincretismo, l’attuale Pasqua
L’analisi della gestualità della tradizione pasquale cristiana è frutto di una rielaborazione dell’antica festività ebraica, in cui l’agnello immolato da Mosè fu sostituito dal sacrificio di Gesù. È da qui che nasce la tradizione del pasto in famiglia, il tradizionale agnello in tavola, le uova sode consumate all’interno di torte salate. La festa vissuta come un’occasione per stare insieme intorno al tavolo.
Ma è possibile indicare quando si consumò la separazione tra cristiani ed ebrei, a livello di comunità umane, e quando si verificò il sincretismo tra le due festività?
Sappiamo che già nel II secolo d.C. i primi Padri sentirono la necessità di ricorrere ad una stesura di rituali differenziati. Il rapporto con le festività giudaiche, infatti, rappresentò un elemento divisivo nelle relazioni giudaico-cristiane. Uno dei testi cristiani più antichi, la Didaché degli Apostoli, redatto tra I e II secolo d.C., si soffermata proprio sulla necessità di diversificare i digiuni rituali da quelli messi in atto dalla comunità ebraica.
Ma come siamo arrivati ai conigli e alle uova di cioccolato? Questa è un’altra storia.
Le acque della Carmel Coast sono ricche di tesori archeologici, grazie alle numerose calette dove le navi si rifugiavano dalla tempesta sin dall’antichità; infatti, il mare israeliano ci regala una spada crociata insieme ad alcuni manufatti in metallo, in pietra e frammenti di ceramiche.
La scoperta
I reperti sono stati scoperti in una delle numerose calette, nella Carmel Coast, che, fin dall’età del bronzo, ben 4.000 anni fa, le imbarcazioni utilizzavano come riparo naturale.
La zona era sotto monitoraggio dalle autorità archeologiche sin da giugno ma, a causa delle correnti marine i ritrovamenti sono molto elusivi, perché appaiono e scompaiono a seconda del movimento della sabbia.
A individuare la spada e gli altri reperti è stato il sub Shlomi Katzin, il quale li ha subito consegnati alla Israel Antiquities Authority, la quale ha effettuato l’annuncio della scoperta sensazionale.
Il direttore dell’Unità di Archeologia Marina della Israel Antiquities, Jacob Sharvit, ha così parlato della scoperta, ipotizzando anche la cronologia della spada:
“La recente scoperta della spada suggerisce che la caletta naturale sia stata utilizzata anche nel periodo crociato, circa 900 anni fa”.
La spada
Il reperto più sensazionale è sicuramente la spada, sia per dimensioni che per stato di conservazione; l’arma risulta essere formata da un’elsa di 30 centimetri e una lama lunga un metro. Nir Distelfeld, ispettore dell’Unità di prevenzione dei furti dell’Autorità israeliana per le antichità ha così espresso il suo stupore:
“La spada, che è conservata in perfette condizioni. È un reperto bello e raro ed evidentemente apparteneva a un cavaliere crociato”.
Dirstelfeld ha poi aggiunto:
“È stato trovato incrostato di organismi marini, ma a quanto pare è di ferro. È emozionante incontrare un oggetto così personale, che ti riporta indietro di 900 anni nel tempo in un’era diversa, con cavalieri, armature e spade”.
Perché l’Oriente è importante nel processo evolutivo
I Neanderthal sono la specie umana estinta che conosciamo meglio. Si è sempre pensato che la loro evoluzione fosse del tutto endogena, avvenuta interamente in Europa a partire da popolazioni del Pleistocene Medio, e che solo in seguito abbia previsto ondate di diffusione verso l’Asia.
Il recente ritrovamento di fossili umani nel sito del Paleolitico medio di Nesher Ramla, in Israele, suggerisce infatti che il processo evolutivo potrebbe essere avvenuto con il contributo di popolazioni umane vissute al di là del Mediterraneo e, nello specifico, che siano quelle del Vicino Oriente ad aver avuto un ruolo importante. Seppur frammentari, i fossili di Nesher Ramla – rappresentati da porzioni del cranio, da una mandibola e alcuni denti, tutti databili tra 140 e 120 mila anni fa – mostrano una combinazione unica di caratteristiche neandertaliane e tratti più arcaici.
«È questa la conferma – spiega Giorgio Manzi, paleoantropologo della Sapienza – Università di Roma, che ha partecipato allo studio – che le popolazioni umane del Pleistocene Medio sono andate incontro a fenomeni evolutivi “a mosaico”, che hanno fatto emergere le caratteristiche tipiche dei Neanderthal, come anche quelle di noi Homo sapiens. È ciò che osserviamo anche in Italia con lo scheletro della grotta di Lamalunga, vicino Altamura, nel quale tutte le analisi che abbiamo potuto condurre finora mostrano un sorta di blend evolutivo».
«Con i nuovi fossili israeliani, sappiamo che la storia potrebbe essere stata anche più complessa e non solo confinata all’Europa – aggiunge Fabio Di Vincenzo, oggi curatore della sezione di Antropologia del Museo di Storia naturale di Firenze, anche lui tra gli autori del nuovo studio – «La geografia dell’area Mediterranea, con la sua eterogeneità ambientale durante il Pleistocene, ha necessariamente svolto un ruolo chiave nel plasmare le caratteristiche dei Neanderthal da un capo all’altro del continente, includendo anche le regioni balcaniche e le limitrofe aree asiatiche».
I nuovi reperti sono stati studiati con sofisticate tecniche digitali che hanno permesso di svelare le caratteristiche più nascoste e informative dell’anatomia cerebrale dei resti fossili e dei denti di Nesher Ramla.
Sono gli ultimi giorni del mese di Ramadan nella città sacra alle tre fedi abramitiche. In questo mese la Città Vecchia è piena di gente e di luci colorate che, di notte, indicano il periodo di festa. Durante Ramadan, oltre al digiuno, numerose usanze hanno luogo. Per i fedeli musulmani sono importantissime le cene, dette iftar, assieme alla comunità (spesso nei pressi della moschea di quartiere). Nonostante il Covid, in questi ultimi giorni la cosiddetta “Spianata delle Moschee” (la grande area che racchiude gli edifici della Cupola della Roccia e della Moschea Al-Aqsa) è sempre piena di gente che si reca a pregare o a condividere il pasto serale o ad adempiere alle altre attività e riti di questo mese santo, in un clima di attesa, gioia e sacralità.
Cosa sta succedendo negli ultimi giorni
A seguito delle proteste per gli sfratti di alcune famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah (a nord della Città Vecchia), da venerdì scorso sono iniziate alcune manifestazioni di protesta. Proprio dopo la preghiera di venerdì sera (lo scorso 7 maggio), alcuni manifestanti pare abbiano lanciato oggetti contro le forze di sicurezza israeliane schierate in assetto anti-sommossa. I militari avrebbero quindi aperto il fuoco ferendo, secondo la Mezzaluna Rossa, oltre 200 persone.
Le violenze continuano da venerdì, ma stamane, attorno alle 9.00 ora locale, le forze di sicurezza israeliane sono entrate all’interno della Moschea di Al-Aqsa sparando lacrimogeni, granate e proiettili di gomma e ferendo diverse persone, fra cui numerose donne che erano all’interno. Non si conosce ancora l’entità dei danni alla moschea stessa.
Perché è grave
Data l’importanza religiosa e culturale del sito, gli attacchi armati da parte di forze di sicurezza israeliane si configurerebbero, quindi, come un’aperta violazione della Convenzione dell’Aja sulla protezione dei Beni Culturali in caso di conflitto armato (art. IV) e del protocollo alla Convenzione di Ginevra del 1977 (art. 53).
Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha invitato Israele a «esercitare la massima moderazione e a rispettare il diritto alla libertà di riunione pacifica», secondo un portavoce. Il segretario generale ha anche espresso la sua profonda preoccupazione per le continue violenze a Gerusalemme Est, «così come per i possibili sgomberi di famiglie palestinesi dalle loro case».
Perché la Spianata delle Moschee è importante
La Spianata delle Moschee, conosciuta anche come Monte del Tempio, è il luogo dove, secondo la tradizione, Abramo stava per sacrificare suo figlio Isacco. Qui sorgeva il tempio di Salomone (purtroppo l’archeologia non ha restituito nessuna traccia della sua presenza). Il tempio salomonico fu distrutto a seguito della presa della città operata dai Babilonesi nel 586 a.C. Un nuovo tempio fu completato nel 515 a.C. e successivamente restaurato e ampliato da re Erode il Grande attorno al 19 a.C. Quando Tito, non ancora imperatore, distrusse e saccheggiò Gerusalemme nel 70 d.C, il tempio fu nuovamente raso al suolo. Successivamente l’imperatore Adriano edificò, sulle rovine del santuario ebraico, un tempio dedicato a Giove. Con l’avvento del cristianesimo venne deificata una basilica dedicata alla Vergine Maria, che rimase in uso per tutta l’epoca bizantina. I bizantini poi trasformarono il tempio in chiesa cristiana.
Nell’VII secolo Gerusalemme fu conquistata dagli arabi. I califfi Ommayadi edificarono la moschea di Al-Aqsa (nel 715); il tutto sopra i resti della chiesa bizantina e la Moschea di Omar, nota come Cupola della Roccia (nel 681), sul lato opposto della Spianata. Nel 1099 i crociati trasformarono Al-Aqsa in una chiesa e l’intera Spianata divenne la sede amministrativa del Regno di Gerusalemme. Cento anni dopo, nel 1187, Salah ad-Din riconquistò la città e riconsacrò i luoghi al culto islamico che ancora oggi è praticato con grande fervore.
La Spianata è inclusa, dal 1981, nella World Heritage List dell’UNESCO e, dal 1982 nella Danger List (la lista dei Beni Culturali in grave pericolo). L’UNESCO nel 2016 e nel 2017, in due controverse risoluzioni, ha ribadito la condanna di ogni attacco ai Beni Culturali di Gerusalemme e, in special modo, ai siti religiosi delle tre fedi.
Frammenti di rotoli biblici, scritti in greco e risalenti a 2mila anni fa, sono emersi durante nuove ricerche nel Deserto della Giudea. Affiorati negli scavi di una grotta grazie ad un progetto nazionale israeliano della durata di quattro anni, atto a prevenire saccheggi di antichità dalle caverne del deserto a est e sud-est di Gerusalemme e, in particolare, al confine tra Israele e Cisgiordania.
Le operazioni hanno avuto a capo l’Autorità israeliana delle Antichità (IAA), in collaborazione con il personale del Dipartimento di Archeologia di Giudea e Samaria. I frammenti trovati contengono versetti di Zaccaria 8:16-17, inclusa parte del nome di Dio scritto in ebraico antico, e versetti di Naum 1:5-6, entrambi dal Libro dei Dodici Profeti Minori. I frammenti potrebbero appartenere ad una pergamena rinvenuta in un sito noto come “la grotta dell’orrore”, a sud di Ein Gedi; è chiamato così per i 40 scheletri umani trovati durante gli scavi degli anni ’60.
Frammenti di rotoli biblici e non solo
Il progetto ha portato alla luce altri reperti rari, tra cui un cesto intrecciato con coperchio, risalente a circa 10.500 anni fa, forse il più antico cesto intatto al mondo. La squadra di archeologi ha anche scoperto uno scheletro di un bambino di 6.000 anni, in parte mummificato, in posizione fetale e avvolto in un panno. I frammenti emersi sono in discrete condizioni e ricostruibili grazie all’ambiente arido del deserto della Giudea, che ha permesso la buona conservazione dei manufatti e del materiale organico rinvenuto.
Il ritrovamento di questi frammenti si aggiunge all’insieme di scritti identificati come “I rotoli del Mar Morto”. Si tratta di una collezione di testi ebraici trovati negli anni ’40 e ’50 del 1900 in grotte nel deserto in Cisgiordania, vicino Qumran, e datati tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C. I rotoli contengono le prime copie conosciute di quasi tutti i libri della Bibbia ebraica, tranne il Libro di Ester, e sono scritti su pergamena e papiro. Si è ipotizzato che questi frammenti siano stati nascosti nella grotta durante la terza guerra giudaica, per la tragica rivolta ebraica di Bar Kokhba (intorno al 132 d.C.) contro i Romani di Adriano.
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