Il 20 maggio del 325 d.C. il mondo dovette fermarsi. Era iniziato il Concilio di Nicea, un evento che, in un modo o nell’altro, avrebbe plasmato il futuro dell’umanità intera. Non è, infatti, sbagliato affermare come le scelte fatte in quell’occasione abbiano poi influenzato la storia sino ai nostri giorni. Decreti e dogmi che ancora condizionano la nostra vita, tanto nel sentito religioso quanto nella politica.
Icona di Cristo del tipo Pantocrator (Χριστός Παντοκράτωρ)
Preservare la pace
Grazie all’imperatore Costantino il Cristianesimo passò dall’essere un sussurro diffuso ad un vero e proprio culto religioso manifesto (clicca qui per La diffusione del Cristianesimo in Sicilia). Comparvero così le prime chiese cristiane, fuori e addirittura dentro le mura cittadine. Eppure, in soli 20 anni, si arrivò ad una tale confusione, e anche a tali divergenze in seno alla chiesa stessa, che l’imperatore dovette nuovamente intervenire per plasmare la storia. Venne, quindi, organizzato un concilio nella città di Nicea, in Bitinia, nel 325 d.C. In particolare, fu la natura di Cristo a motivare l’incontro dei 220 vescovi intervenuti in quell’occasione, un argomento di tale portata da poter sbriciolare l’impero stesso.
Diffusione del cristianesimo nel III sec. d.C.
Un nuovo mondo, fatto di dogmi ed eretici
Quanto deciso dal Concilio di Nicea servì per dar nuova struttura ad uno stato sempre più influenzato dai valori cristiani. Troppi, in effetti. Il Concilio rifiutò con forza l’interpretazione ariana della Trinità che, in particolare, considerava Gesù in maniera subalterna rispetto a Dio: solo una creazione priva della stessa sostanza del Padre. Inoltre, venne decretato come miracoloso il concepimento di Gesù da parte di Maria, quindi non carnale, per opera dello Spirito Santo. Si stabilì, pertanto, un dogma, cioè una verità imposta che avrebbe determinato la fede di lì in avanti. Venne poi riorganizzata la struttura della Chiesa stessa, ad esempio affermando l’autorità dei vescovi di Roma ed Alessandria sugli altri. Eppure, stando alle fonti, il Concilio di Nicea finì per essere un fuoco di paglia. In breve, i movimenti eretici ripresero forza, accompagnando l’impero nella sua progressiva trasformazione.
Ario condannato dal Concilio di Nicea, icona proveniente dal monastero di Mégalo Metéoron, Grecia.
Il 24 gennaio 76 d.C. nacque ad Italica, in Spagna, Publio Elio Traiano Adriano che, in seguito, divenne l’imperatore Adriano. Costui fu noto per essere un grande amante delle arti e delle lettere, specialmente della cultura greca, per questo venne soprannominato Graeculus.
Immagine ritraente il busto di Adriano, raffigurato con la barba che era solito portare secondo l’usanza greca – Musei Capitolini, Roma (immagine dal web)
Il cursus honorum di Adriano
Adriano perse entrambi i genitori tra l’85 d.C. e l’86 d.C. Il padre, Publio Elio Adriano Afro era imparentato con l’imperatore Traiano. Quest’ultimo, non avendo figli, adottò insieme alla moglie Plotina, l’orfano. La madre adottiva lo aiutò nell’ascesa al potere attraverso il cursus honorum e si pensa che dietro la nomina a imperatore ci sia proprio lei. Il ragazzo, del resto, crebbe sotto la guida del padre che lo istruì nell’arte della guerra. La sua carriera fu ulteriormente agevolata quando l’imperatore Nerva nominò, per adozione, come suo successore, Traiano. Nel 98 d.C. si trovava nella Germania Superior. Ricoprì, inoltre, per tre volte la carica di tribuno militare in Pannonia, in Mesia e in Germania.
La nomina ad imperatore
Nel 117, dopo la morte di Traiano, i soldati, dai quali era molto stimato, lo nominarono imperatore. Adriano fu previdente e prima di accettare il potere, chiese conferma al Senato, che la approvò. Nel 118 giunse a Roma per ratificare la nomina ad imperatore e, in questa occasione, condonò i debiti verso il fisco ai cittadini. Fin da subito il suo regno si distinse per una rinascita culturale in tutti i campi: nelle arti, nelle lettere, nella musica, nella pittura e nella filosofia, soprattutto guardando alla Grecia e alla cultura classica. Il rinnovamento culturale andò di pari passo con quello politico. Non tutti erano soddisfatti delle sue tendenze elleniche e di una politica difensiva, piuttosto che espansiva, e ciò sfociò in una congiura.
Monete auree che ritraggono l’imperatore Adriano
Riformeinterne
Non appena eletto imperatore, Adriano giurò di non mettere mai a morte dei senatori. All’indomani della congiura, però, i senatori complici di ciò vennero condannati a morte senza la sua approvazione e, per dimostrare la coerenza con quanto affermato, rimosse i colpevoli della condanna dalle cariche che esercitavano. Adriano principalmente riformò l’amministrazione e l’esercito, da tempo corrotto e dedito al lusso; stabilì un editto pretorio secondo cui un magistrato all’inizio del mandato, comunicava i principi giuridici generali. Inoltre, istituì un Consilium principis: questo era costituito da funzionari scelti in base sui meriti. Sotto Adriano vennero dati anche stipendi e una possibilità di carriera ai vari funzionari, mentre a livello giuridico tolse il diritto di vita e di morte dei padroni sugli schiavi. Soprattutto, cercò di riportare l’esercito al suo antico rigore: i soldati avrebbero dovute vivere frugalmente, abituandosi alle fatiche dei viaggi ed esercitandosi regolarmente con le armi.
Roma come doveva apparire ai tempi dell’imperatore Adriano in un dipinto di Gaspar van Wittel, XVII sec. (immagine da storicang.it)
La politica estera
Molti storici lo inseriscono tra gli “imperatori buoni” per la sua politica estera, volta al mantenimento della pace; eppure, non mancarono dei momenti di crisi nelle province. Adriano dovette affrontare la crisi in Armenia, Mauritania e Scozia, dove i caledoni sconfissero i romani di istanza al confine tra la Britannia romana e la Caledonia (l’attuale Scozia). In tale occasione fece costruire il Vallo di Adriano, che doveva fungere da confine (si conserva ancora oggi ed è diventato patrimonio dell’umanità UNESCO nel 1987). Sviluppò inoltre, tra il Reno e il Danubio, ulteriori mura difensive. Adriano risolse anche le controversie in Mesopotamia, Assiria e nel regno di Palmira. A partire dal 131 d.C. fino al 136 d.C., negli ultimi anni di regno, dovette sedare una rivolta a Gerusalemme, che venne distrutta; al suo posto sorse Elia Capitolina e al posto del tempio di Jehovah fece erigere il tempio di Giove Capitolino, che suscitò lo sdegno degli ebrei.
Il Vallum Hadriani che divideva la Britannia romana dall’attuale Scozia (immagine da storicang.it)
I viaggi
Adriano passò due terzi del suo mandato in viaggio, con lo scopo di verificare la situazione nelle province. Queste ultime erano considerate dall’imperatore non come territori da sfruttare, bensì come parti integranti dell’impero da arricchire con templi, biblioteche, bagni, scuole e strade funzionanti. Dopo il 119 d.C. visitò la Gallia, la Spagna, l’Africa, l’Oriente, l’Egitto, l’Asia Minore e la Grecia. Qui rivitalizzò Atene, facendo costruire una biblioteca, un arco trionfale e un tempio della Fortuna. Famosa è la villa che fece costruire a Tivoli, che si estende per 17 km e comprende al suo interno un isolotto. Varie città presero il suo nome, tra cui Adrianopoli. In Egitto, dopo la morte del suo amatoAntinoo, annegato nel Nilo, fece erigere statue e, nel 130 d.C., una città prese il nome di Antinoopoli. Adriano morì qualche anno dopo, nel 138, a seguito di una malattia.
Ciò che resta della villa di Adriano a Tivoli (immagine da romanoimpero.com)
Statua di Antinoo, nota come Antinoo Braschi, rinvenuta in degli scavi tra il 1792 e il 1793 a Praeneste, venduta a papa Pio VI per il suo palazzo Braschi, oggi ai Musei Vaticani (immagine da museivaticani.va)
L’impatto culturale di Adriano
La figura di Adriano suscitò un certo interesse, soprattutto a livello culturale. Fu uno degli imperatori che più amò la cultura, soprattutto greca, tant’è che parlava benissimo il greco. Egli nutriva un amore spropositato per la Grecia ed era la provincia che più gli stava a cuore. Nel 1951 la scrittrice Marguerite Yourcenar dedicò un libro all’imperatore, Memorie di Adriano, in cui descrive la sua carriera politica e i suoi numerosi viaggi tutti dall’ottica di Adriano, come se fosse un diario; l’autrice si sofferma soprattutto sulla relazione con Antinoo e sul dolore che provò dopo la sua morte. In questo modo, Adriano diventa uno degli imperatori più “umani” che regnarono sull’Impero Romano.
La copertina del libro “Memorie di Adriano” (immagine da einaudi.it)
Come quasi ogni estate il Tevere è interessato da una notevole diminuzione della portata d’acqua; quest’anno in particolar modo, tra l’altro. Ed è quest’anno che, in maniera più evidente, sono riemersi i resti dei piloni dell’antico Ponte Neroniano, o Ponte Trionfale, che si trova a ridosso del ponte Vittorio Emanuele II.
I resti del ponte Neroniano (immagine via Fanpage)
Il Ponte Trionfale
Vicino al ponte Vittorio Emanuele II, infatti, sono affiorati i resti dei piloni del ponte antico. Realizzato, sembra, durante l’epoca di Nerone, il ponte fungeva da collegamento tra il Campo Marzio e il Circo di Caligola, a sinistra dell’attuale Basilica Vaticana. Era su questo ponte che passava la via Triumphalis, che procedeva fino a Veio. Nel 405 a.C. alcuni imperatori vi costruirono un arco di trionfo in ricordo della vittoria di Pollenza contro i Goti di Alarico (402 a.C.).
I resti del ponte neroniano sullo sfondo di Castel Sant’Angelo
Non è la prima volta che i resti riemergono dal letto del fiume. Anzi, nei secoli passati, riemergevano con ancora più evidenza vista la mole più massiccia di resti presenti. Solo nel corso del XIX secolo, infatti, i piloni sono stati demoliti per facilitare la navigazione. Quest’anno, tuttavia, la loro presenza al di fuori dall’acqua fa discutere maggiormente, considerato il clima di siccità che sta colpendo anche i fiumi più grandi del nostro territorio.
SI ha notizia dei piloni visibili al di fuori delle acque del Tevere agli inizi del XVI secolo, con un conseguente restauro voluto da papa Giulio II. La sua esistenza è testimoniata anche dalle incisioni di Giuseppe Vasi che, nel corso del XVII secolo, ha parlato dei piloni che emergevano dal fiume e di come venissero utilizzati per ormeggiare i mulini attivati dalla potenza del Tevere. Nell’Ottocento, i piloni furono distrutti per poter facilitare la navigazione prima e la costruzione del nuovo ponte Vittorio Emanuele II poi. Da allora le secche del fiume fanno emergere la storia.
I piloni neroniani in un’incisione d’epoca
In copertina: i resti del ponte antico a ridosso del ponte Vittorio Emanuele II (immagine via TGCom24)
L’8 giugno 208 a.C. si svolse la battaglia di Antiochia, non a torto un vero e proprio paradosso nella storia della RomaImperiale. Macrino, infatti, riuscì a mettersi in scacco da solo, offrendo la vittoria ad un nemico più debole e impreparato. Tale sconfitta permise a Giulia Mesa di porre sul trono di Roma suo nipote, Eliogabalo, dapprima amato, poi abbandonato.
Il fatto storico
Il tempo non giocò a favore di Macrino. L’aiuto che aveva chiesto al senato, e che dimostra lo stato di debolezza dell’imperatore, non arrivò mai in tempo. Inoltre, parte della II legione Parthica, dopo aver ucciso il proprio comandante Ulpio Giuliano, passò dalla parte di Eliogabalo. In questo modo, Macrino fu costretto ad affrontare il nemico contando solo su quanto rimaneva delle proprie forze, la guardia pretoriana. Gli mosse contro Gannys, eunuco e tutore di Eliogabalo, promosso al ruolo di prefetto del pretorio. Inizialmente i pretoriani di Macrino riuscirono a sfondare la difesa avversarie, ma Giulia Mesa e Gannys riuscirono a risollevare la morale degli uomini, capovolgendo l’esito di quello scontro. Alla fine, Macrino fu costretto ad asserragliarsi in Antiochia e, intuita la fine, tentò la fuga sotto false spoglie.
Busto di Macrino, Musei Capitolini
Malcontento e propaganda: come conquistare un impero
Principalmente due furono le cause che portarono alla battaglia di Antiochia. Il fatto che Macrino avesse ridotto la paga e i privilegi dei legionari, e la propaganda sostenuta da Giulia Mesa a favore di suo nipote Eliogabalo, sacerdote del dio Sole di Emesa e presunto figlio di Caracalla. Dapprima fu la III legione gallica ad appoggiare il giovanissimo Eliogabalo; poi, sempre più legionari prestarono ascolto alle promesse di Giulia Mesa, scontenti delle privazioni subite. Addirittura, il prefetto del pretorio della II legione parthica, Ulpio Giuliano, inviato da Macrino a sedar la rivolta, fu tradito dai suoi che passarono dalla parte dei ribelli. Laute allora furono le promesse di pagamento fatte da Macrino ai soldati. In effetti, la lotta per il potere non fu tanto vinta dagli eserciti quanto dall’offerta migliore in campo, ed i soldati si fidarono più delle ricchezze di Giulia Mesa che non di Macrino.
Il 29 maggio 1453 cade la città di Costantinopoli, ultimo baluardo di quella romanità che per millenni aveva influenzato il mondo. Eppure, seppur in tragedia, la Seconda Roma cadde in modo trionfale, stupendo il mondo con quel suo ultimo grido di guerra che non può essere dimenticato.
Il fatto storico
Quel giorno, dopo sei ore di estenuante resistenza i difensori di Costantinopoli videro vacillare il proprio comandante, il genovese Giovanni Giustiniani Longo. La disperazione varcò le mura della città prima ancora dei turchi, e non bastò il coraggio dell’ultimo imperatore, Costantino XI Paleologo, nel tentativo di ristabilire la sorte. Anche lui si perse, alla fine, nell’ultima carica dei giannizzeri, le truppe d’élite di Maometto II il conquistatore. Così dopo due mesi di assedio, all’alba del 29 maggio 1453 la Seconda Roma capitolò.
Assedio di Costantinopoli, manoscritto Bibliothèque nationale Français 9087 (folio 207 v)
Numeri in campo
La caduta di Costantinopoli fu, in realtà, un lento logoramento, un’indolente attesa dell’inevitabile. Tuttavia, vi furono uomini che anteposero il valore al crudo calcolo matematico. Tra questi, l’ultimo imperatore Costantino XI Paleologo rifiutò la fuga, preferendo vivere e morire difendendo quanto rimaneva dell’impero. Non fu solo. Il genovese Giovanni Giustiniani Longo, che fu castellano di Chios e podestà di Caffa, raccolse i suoi uomini e scelse di prender parte allo scontro. Proprio per la sua esperienza in fatto di assedi venne nominato Prōtostratōr, e a lui venne affidata l’organizzazione della difesa. Così, Costantino e Giustiniani si ritrovarono insieme alla fine di tutto, con settemila soldati schierati in difesa e ottantamila in armi contro di loro.
L’assedio di Costantinopoli, Jean Chartier (ca. 1470)
Per mare e per terra
L’assedio di Costantinopoli si svolse tanto per terra quanto per mare. Per abbattere le mura i turchi impiegarono l’artiglieria da fuoco, tra cui figurava il “mostro di Urban”, ma i difensori furono abili a riparare le brecce. Vennero anche scavate gallerie sotterranee per minare le difese, ma i cristiani riuscirono a sabotare i piani nemici. Nemmeno dal mare arrivò mai l’assalto decisivo. La superiorità militare italiana era evidente. Addirittura, l’ammiraglio della flotta ottomana, Balta Oghlu, verrà accusato di tradimento e quasi decapitato: era stato umiliato da due sole navi genovesi, peraltro cariche di vettovaglie inviate da Papa Niccolò V. Non a caso, Maometto II aveva ordinato di aggirare la flotta cristiana spingendo le navi via terra, inserendosi nel Corno d’Oro alle loro spalle. Una strategia vincente: la città era ormai in una morsa, ma la resistenza non venne meno.
Maometto II all’assedio di Costantinopoli, il passaggio delle barche, Fausto Zonaro
Una fine gloriosa
Il 29 maggio Maometto II mobilitò tutte le proprie forze ed ordinò un attacco frontale contro le mura di Costantinopoli. Il punto scelto per incunearsi nelle difese fu la Porta d’Oro, già duramente colpita nel corso degli eventi. Il primo assalto avvenne nel cuore della notte ma dopo ore di combattimento furono i cristiani ad avere la meglio. Allo schiarirsi del cielo un secondo impeto investì la città, ma anche in questo caso la resistenza non venne piegata. Il terzo assalto fu quello decisivo. Giustiniani, gravemente ferito, venne portato via, trascinandosi appresso anche il morale degli uomini. Il suo epitaffio recita: […] valoroso governatore sotto Costantino, l’ultimo degli imperatori cristiani d’oriente, ferito mortalmente. E così l’epilogo: Costantino XI, si lanciò in una sortita per respingere gli invasori e, tra i fumi di quella battaglia, divenne storia. Cadde così la Seconda Roma, finì così un’epoca.
Maometto II entra a Costantinopoli, Jean-Joseph Benjamin-Constant (1876)
Costantino I, il Vincitore, il Grande. Questi sono alcuni dei nomi con cui era conosciuto uno dei personaggi più importanti della storia romana, l’uomo che riformò l’Impero e favorì la diffusione del Cristianesimo.
La politica amministrativa e religiosa
Nato il 24 febbraio 274 d.C., dopo un periodo turbolento segnato da lotte interne, divenne Imperatore nel 306. Durante la sua carica mise in pratica una serie di riforme di grande importanza. Non appena si assicurò il potere, Costantino procedette con la riorganizzazione amministrativa e territoriale dell’Impero, riformando la burocrazia e l’Impero stesso che venne suddiviso in quattro prefetture.
Ogni prefetto aveva poteri amministrativi e giuridici ma non quelli militari: il potere militare spettava unicamente all’Imperatore. In modo progressivo le truppe vicine al palazzo imperiale presero sempre più potere, mentre quelle al confine conobbero un progressivo imbarbarimento.
Ebbe importanti conseguenze il trasferimento della capitale a Costantinopoli. La posizione della città, odierna Istanbul, consentiva di controllare in maniera più efficace sia le frontiere che le vie commerciali.
Ricostruzione ideale della città di Costantinopoli, fondata da Costantino I sull’antica Bisanzio
La morte di Costantino
La morte di Costantino fu tanto inaspettata quanto improvvisa.
Morì il 22 maggio del 337 d.C., in una residenza imperiale nei pressi di Nicomedia. Si spense nel trentunesimo anno di regno, durante le festività di Pentecoste e poco dopo essersi ammalato. Pochi giorni prima della morte, resosi conto della propria fine, l’Imperatore decise di farsi battezzare da Eusebio, vescovo cristiano della città, che negli ultimi tempi era diventato il suo consigliere in materia ecclesiastica. La pratica di ricevere il battesimo sul punto di morte, al tempo, non era insolita: in questo modo il battezzato aveva la possibilità di cancellare tutti i propri peccati senza aver tempo di commetterne dei nuovi.
Costantino, infatti, non solo legalizzò il Cristianesimo ma favorì la diffusione della dottrina cristiana. Oltre a restituire i beni confiscati da Diocleziano, fissò una serie di privilegi per la Chiesa: la riformò uniformando la dottrina cristiana e dando così inizio all’Impero cristiano.
Ad oggi, sia la Chiesa ortodossa che le Chiese di rito orientale lo venerano come santo. A livello locale il culto di San Costantino è comunque autorizzato anche nelle chiese di rito romano-latino.
Capri Leone (ME) venera San Costantino Imperatore come santo patrono e protettore
Eliogabalo divenne imperatore 16 maggio 218 d.C. Quando parliamo di lui sono semmai i ricordi di scuola a tornar subito alla mente. Poche parole, in effetti, che liquidano questo personaggio storico quasi come fosse un errore, un paradosso nella linea di successione imperiale, come un uomo che volle avvelenare Roma con culti orientali. In realtà. Eliogabalo, nato come Sesto Vario Avito Bassiano, fu poco più di un bambino, mai del tutto padrone della propria vita. Furono, invece gli interessi di sua nonna, Giulia Mesa, a consacrarlo al potere, così come a spingerlo poi verso una fine orribile.
Ai margini dell’impero
Avito nacque in Siria nel 203 d.C. Nel suo sangue scorrevano due lignaggi importanti: sua madre, Giulia Soemia, era la cugina di Caracalla, con il quale terminava la discendenza maschile della propria famiglia; il suo bisnonno materno, Gaio Giulio Bassiano, era sacerdote dei El-Gabal, dio solare venerato a Emesa. Pertanto, il giovane Avito non si sarebbe mai potuto mettere in salvo dai quei giochi politici che, in un modo o nell’altro, lo attendevano. Ma più di tutti, fu sua nonna, Giulia Mesa, a spingerlo verso un destino amaro. Fu lei, infatti, a far sparger la voce che Avito fosse, in realtà, il figlio illegittimo di Caracalla. Fu lei a manipolare il sostegno delle truppe al fine di spodestare Macrino, il nuovo imperatore. Alla fine, la Legio III Gallica acclamò Eliogabalo, e da quel momento la scalata per il potere si combatté più con la propaganda che con le armi.
Busto di Eliogabalo, Musei Capitolini
Un fanciullo si fa imperatore
Vennero fatte promesse da entrambi i lati pur di conquistare il sostegno dei soldati. Giulia Mesa attirava fedeli grazie alle proprie ricchezze e alla grande influenza del tempio di El-Gabal. Macrino, invece, s’impegnò in generose offerte ai soldati, affinché non lo tradissero, e scrisse addirittura al senato mettendolo in guardia dalla follia del giovane rivale. Tuttavia, le promesse di Giulia Mesa sembrarono ben più dolci di quelle fatte da Macrino e, in più di un’occasione, i soldati in campo passarono dalla parte di Eliogabalo, l’usurpatore. Alla fine, Macrino fu messo in fuga e poi ucciso. Avito, all’età di 14 anni aveva vinto, mostrandosi agli uomini glorioso come fosse stato il dio sole stesso, aspetto che poi volle darsi in concreto durante il suo mandato imperiale. Ma l’Idilio durò poco.
Busto di Macrino, Musei Capitolini
Al centro del mondo
Roma non era Emesa. Se in Siria i costumi e i modi di Avito potevano passare inosservati, al centro del mondo i mormorii avrebbero accompagnato in ogni momento il nuovo imperatore, passo dopo passo. E così accadde. A nulla valsero i consigli di Giulia Mesa, Eliogabalo decise di esser lui stesso fautore della propria fortuna, conscio che il suo impero lo avrebbe seguito ed amato. Si sbagliava: il mal contento dei soldati crebbe sin da subito e la stessa Legio III Gallica, che aveva lo aveva sostenuto sin dal principio, tentò di metter fine al suo mandato. Fu un fallimento. Avito, infatti, riuscì a rimanere al potere fino ai suoi 18 anni, scandalo dopo scandalo. Alla fine, la stessa Giulia Mesa rivolse la propria attenzione ad un altro nipote, Alessandro Severo, favorendolo affinché soppiantasse il sempre più impresentabile Eliogabalo. Da qui, inizia la caduta del giovane imperatore, una sconfitta di cui lui stesso fu artefice.
Le nozze di Eliogabalo, Alma-Tadema (1888)
Morto di gelosia
Eliogabalo venne convinto ad affiancarsi Alessandro Severo come suo successore, in modo da cedere a lui la gestione secolare dell’impero. Tuttavia, in breve, fu chiara a tutti il maggior consenso che Alessandro godeva presso i soldati. Eliogabalo ne fu geloso, ed iniziò ad agire in maniera sconsiderata provocando la reazione dei pretoriani. Già in un’occasione scampò al loro dissenso, rimandando la fine. Fu come una partita a dadi con la sorte, e non vi era lancio che avrebbe potuto mai portar fortuna all’imperatore. Ancora una volta Eliogabalo tentò di sondare l’affetto dei pretoriani, e questi, alla fine, furono chiari nella risposta. Il giovane Avito morì cercando rifugio in una latrina, e sua madre lo seguì nella sorte, abbracciandolo sino alla fine. Ma non è tutto: fu poi applicata la damnatio memorie nei confronti dell’imperatore caduto, così che di lui non rimanesse più niente.
Nei rilievi che animano la colonna traiana vi è un personaggio che troppo spesso resta in ombra agli occhi dei più. È Decebalo, re dei daci, il grande avversario di Traiano e pietra d’inciampo per la politica romana. Lo si vede, in particolare, nella scena 106 della colonna, nell’atto di suicidarsi ormai circondato dai romani. Una fine tragica che segna la fine della seconda campagna dacica, ed il trionfo di Traiano. Eppure, Decebalo fu più di una testa mozzata portata in dono all’imperatore romano. Fu un degno rivale, senza il quale non sarebbe ma stato realizzato uno dei monumenti più importanti della Roma imperiale. Conoscerne la storia, pertanto, è indispensabile: non esistono eroi senza i loro avversari.
Decebalo: l’uomo, il re, il nemico
I romani conoscevano l’importanza dell’attribuire dignità al nemico e per Decebalo non fanno eccezioni. Per quanto questo personaggio sia uno sconfitto, è evidente come nei rilievi lo si mostri fiero, possente, come un uomo in grado di trasmettere sensazioni contrastanti: fascino, in quanto ultimo re della Dacia, morto per essa; timore sapendolo a capo di un regno ostile che osò sfidare l’impero. Lo storico Cassio Dione ne fa una descrizione che ben rivela il carattere di questo illustre sconfitto: doppiamente scaltro; abile in attacco, sia nel ritirarsi; esperto nell’imboscate tanto quanto nello scontro campale. Ma soprattutto: non solo sapeva bene come sfruttare la vittoria, ma era abile a limitare i danni in caso di sconfitta. È chiaro, quindi, che l’allargamento di Roma in Dacia non fu semplice come il far passare lo sguardo sui rilievi della colonna traiana. Si trattò di un’impresa ardua, e dall’epilogo non scontato.
Statua di Decebalo nella città di Deva, Romania
Il re che sfidò l’impero
La vicenda storica di Decebalo inizia con una sconfitta. Persa la guerra al tempo di Domiziano il re della Dacia dovette accettare la pace. Non si trattò, tuttavia, di un trattato umiliante. Infatti, in cambio della fine delle ostilità Roma, incalzata dalle tribù germaniche, avrebbe pagato un tributo. Ne consegue che Decebalo ottenne così i fondi per ricostruire le proprie forze, tanto da allarmare il nuovo imperatore, Traiano. La guerra fu inevitabile, e probabilmente voluta da entrambe le parti. Vi furono due campagne, e seppur la resistenza di Decebalo fu estenuante, una dopo l’altra le roccaforti daciche caddero. Decebalo continuò a combattere arroccandosi tra le montagne ma, circondato, preferì darsi la morte insieme ai suoi compagni. E con lui scomparve anche il regno di Dacia, ormai inglobato nell’Impero Romano.
Decebalo si taglia la gola, dettaglio della colonna traiana
Un’insolita rivalsa
Seppur Decebalo sia stato scolpito nella colonna traiana nei panni dello sconfitto, il suo spirito può forse tornare a sorridere sprezzante. A circa 2000 anni dalla sua morte, l’imprenditore Iosif Constantin Drăgan ha finanziato la costruzione di un’imponente scultura rupestre dedicata a Decebalo. Si tratta del rilievo roccioso più alto d’Europa, a ridosso della gola del Danubio detta Porte di Ferro, un passaggio strategico nella guerra tra romani e daci. La realizzazione dell’opera avvenne tra il 1992 e il 2004, con la collaborazione scultore italiano Mario Galeotti che diede forma al progetto nella sua fase iniziale. Così, il volto serio di Decebalo è tornato a scrutare quelli che furono i confini del proprio regno, e a guardare con sdegno la Tabula Traiana che svetta sul lato opposto del fiume. Si tratta di un’iscrizione lasciata da Traiano, prova del suo passaggio attraverso le Porte di Ferro. Pertanto, la guerra non è ancora finita: Tiberio e Decebalo, ognuno nella propria roccia, ancora una volta si oppongono.
L’arena del Colosseo tornerà a essere percorribile in tutta la sua ampiezza dal 2023 grazie al progetto di valorizzazione che punta a ricostruire la piattaforma.
Il Colosseo nell’antica Roma
Il Colosseo, originariamente chiamato Anfiteatro Flavio, venne costruito in dieci anni: i lavori furono iniziati dall’imperatore Vespasiano nel 70 d. C., ma venne inaugurato da suo figlio Tito nell’80 d. C. Si tratta tutt’oggi del più grande anfiteatro del mondo.
Veduta interna del Colosseo (foto: Parco archeologico del Colosseo)
La struttura venne inserita, insieme a tutto il centro storico di Roma, nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dall’UNESCO nel 1980. Nel 2007 venne inserito anche fra le “sette meraviglie del mondo moderno”.
Bando per una nuova piattaforma
Già nel 2012 sopralluoghi e studi mirati mostrarono criticità sulla integrità della struttura, facendo iniziare una serie di restauri atti al consolidamento dell’Anfiteatro.
In un processo di valorizzazione del sito archeologico, Invitalia pubblicò un bando nel 2015 per la realizzazione di una struttura pedonale per l’arena del Colosseo. Ad aggiudicarsi i lavori è stata una società veneziana, Milan Ingegneria, grazie al suo progetto che unisce green high-tech, valorizzazione e conservazione delle strutture sottostanti (sotterranei).
Il progetto vincitore
Il progetto per l’arena del Colosseo (foto: Ministero della Cultura)
La struttura sarà formata da pannelli in carbonio e rivestiti in legno e posta all’altezza del piano di calpestio originale ai tempi dei Flavi, come spiega l’architetto Fumagalli (uno degli ideatori del progetto). L’architetto conferma anche che i pannelli saranno appoggiati direttamente strutture murarie senza ancoraggi meccanici.
La nuova struttura “lignea” sarà completata da un sofisticato meccanismo di “rotazione e traslazione” delle assi che permetterà non solo di camminare sull’arena, ma anche di aprire il pavimento per permettere l’areazione e la visione dei sotterranei; quando la piattaforma sarà chiusa, il controllo dell’umidità e dell’areazione delle strutture ipogee verrà affidata a ventiquattro unità di ventilazione meccanica.
Le operazioni archeologiche dirette da Andrea Bruciati hanno portato alla luce un unicum, un triclinio acquatico a Villa Adriana a Tivoli (RM), residenza dell’imperatore Adriano nota per le magnifiche sperimentazioni architettoniche e ingegneristiche.
Il triclinio si trova nella zona Palazzo, la più antica della Villa e area privata dove si svolgeva la colazione della coppia imperiale. Infatti, quest’area è probabilmente il punto da cui è iniziata la costruzione del quartiere, a partire da una villa repubblicana.
Le indagini vedono la viva partecipazione dell’Università di Siviglia, il professor Raphael Hidalgo Prieto ha presentato la scoperta nel Webinar “Villa Adriana. Il potere dell’architettura: un’archeologia olistica per il terzo millennio”. Il progetto, organizzato dall’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia, ha lo scopo di presentare le indagini in costante aggiornamento e la storia di Villa Adriana.
Il Teatro Marittimo una delle immense opere architettoniche di Villa Adriana, Tivoli (RM).
Il Triclinio Acquatico, nuova gemma di Villa Adriana
Al centro della sala semicircolare, anticamente coperta da un sistema di volte, occupa la scena il triclinio marmoreo. Raggiunto grazie a un sistema di passerelle meccaniche, poi rimosse per inondare il pavimento d’acqua, un’isola privata dell’imperatore.
Difatti, l’imperatore Adriano come per i lussuosi banchetti pubblici, amava lo sfarzo anche nella vita privata. L’uso privato è testimoniato dalla presenza di altre 4 camere decorate dalle quali si accede alla sala, ognuna con una propria latrina.
Il triclinio risulta essere una scoperta straordinaria anche per i giochi di luce e acqua, che contraddistinguono le opere architettoniche della Villa, come il Serapeo. Infatti, i raggi di luce mattutini illuminavano dalla finestra centrale due fontane sulla parete concava alle spalle dell’imperatore, dalle quali zampillava l’acqua.
“Dobbiamo immaginare l’imperatore posto sulla pedana marmorea, che misurava circa 4 metri di lato, circondata a filo dall’acqua che riempiva il resto dell’ambiente. Alle spalle aveva le due fontane e la finestra da cui entrava la luce, accentuando l’effetto delle figure imperiali in controluce. In questo modo, Adriano poteva osservare tutto il resto della sua corte, amplificando la suggestione della sua presenza che poteva essere vista e non vista.” Queste le parole del direttor Andrea Bruciati, grazie alle quali possiamo immaginare ed essere partecipi di questa scena idilliaca.
Villa Adriana, continua, uno dei luoghi più ameni di età imperiale e Patrimonio Unesco, continua a sorprendere, arricchendo la sua corona di meraviglie architettoniche con questa nuova scoperta.
Ricostruzione del Triclinio acquatico di Villa Adriana a Tivoli.
Gestisci Consenso Cookie
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.