APPROFONDIMENTO | Pèsach, all’origine della Pasqua
Torniamo indietro di due millenni, osserviamo quei riti e quelle tradizioni che hanno influenzato l’attuale festività cristiana della Pasqua. Torniamo alla nascita dei banchetti rituali, dei pasti comunitari, a quelle gestualità, tipiche della cultura occidentale, nate in Oriente e che spensieratamente mettiamo in pratica ogni anno in famiglia.
Pèsach, l’antica festività
L’origine del termine פֶּ֥סַח, Pèsach (o Pascha), è ebraico-aramaica e significa passaggio. È un chiaro riferimento alla liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù egiziana. La festività cristiana della Pasqua sarebbe il frutto della sovrapposizione dell’evento narrato nell’Antico Testamento con l’evento raccontato dai Vangeli riguardante la Resurrezione di Gesù.
Pèsach, chiamata erroneamente pasqua ebraica, è celebrata ancora oggi e dura otto giorni, sette in Israele. Fu istituita, secondo le Sacre Scritture (Esodo 12,2-6; 13, 3-5), direttamente da Dio con il monito di onorare ciclicamente la ricorrenza della liberazione degli Israeliti. Cade il quattordicesimo giorno del mese di di אָבִיב (āḇîḇ, Abib in cananeo, Nisan in babilonese), e corrisponde ai nostri mesi di marzo e aprile.
Va fatta però una distinzione tra la cosiddetta festività egizia e la Pèsach delle successive generazioni: la pasqua egiziana iniziava dal decimo giorno di Nisan (Es.12,3), richiedeva lo spruzzare del sangue e l’uso di un mazzo di Issopo (Es.12,22) per spargerlo sull’architrave e sugli stipiti delle porte. Inizialmente veniva consumata in una sola notte.
Le fonti scritte
Una fonte, il Libro dei Giubilei che datiamo al II secolo a.C., ci fornisce una prima descrizione del pasto rituale. Il testo è canonico solo per la chiesa copta, la prima redazione è in ebraico. Ebbe parecchia diffusione nelle varie comunità giudaiche della Diaspora. Il testo cita:
“Il primo mese, il quattordici del mese sarà la pasqua del Signore. Il quindici di quel mese sarà giorno di festa. Per sette giorni si mangerà pane azzimo. Il primo giorno si terrà una sacra adunanza; non farete alcun lavoro servile; offrirete in sacrificio con il fuoco un olocausto al Signore: due giovenchi, un ariete e sette agnelli dell’anno senza difetti; come oblazione, fior di farina intrisa in olio; ne offrirete tre decimi per giovenco e due per l’ariete; ne offrirai un decimo per ciascuno dei sette agnelli e offrirai un capro come sacrificio espiatorio per fare il rito espiatorio per voi. Offrirete questi sacrifici oltre l’olocausto della mattina, che è un olocausto perenne. […] Il settimo giorno terrete una sacra adunanza; non farete alcun lavoro servile.” (Num. 28, 16-25).
Il mutare dei gesti
È grazie alla testimonianza di Filone d’Alessandria riguardo le celebrazioni della Pasqua, in greco πάσχα, che abbiamo consapevolezza di quanto fosse sentita come festività dai fedeli Gerusalemme. Filone scrive che la città doveva prolungare le celebrazioni per poter accogliere tutti i pellegrini che venivano appositamente per le celebrazioni.
L’attuale rito Pasquale è basato sull’Haggadah di Pesach, un testo di cui il manoscritto più antico è datato al X secolo ma del quale ipotizziamo una prima stesura databile al III secolo. L’Haggadah, il racconto, detiene la narrazione degli eventi storici legati alla fuoriuscita degli ebrei dall’Egitto, conserva la descrizione del Seder, la sequenza rituale di Pesach. Nel testo è indicata la sequenza delle azioni rituali da mettere in atto la sera del quattordicesimo giorno, a partire dalla rimozione in casa di qualsiasi genere di cibo lievitato.
Il piatto del Seder
Seder è un termine che può essere tradotto con ordine, sequenza. Si riferisce ai diversi momenti di uno specifico rituale della cultura ebraica. Il Seder di Pesach è una cena che viene consumata seguendo un ordine rituale ben preciso, di fondamentale importanza per la sua carica simbolica e allegorica. Al centro del piatto, si pongono tre matzot shemurot, il pane aazzimo, attorno ai quali si posizionano altre pietanze: davanti il Karpas (sedano), dietro il Maror (lattuga amara) e vicino il Haroset, una pasta frutto della mescita mele, mandorle, datteri, noci e prugne. Abbiamo uno zampetto d’agnello e un uovo sodo cotto, come bevanda viene servito dell’aceto o acqua salata. Durante il pasto si alternavano le benedizioni e racconti sulla liberazione della terra d’Egitto a cui partecipava tutto il gruppo familiare riunito.
Prendendo come fonte l’Haggadah, soffermiamoci sul significato del pane non lievitato: rappresentava la velocità con cui gli ebrei furono liberati dall’Egitto e in fuga non ebbero il tempo di preparare le vivande. La verdura amara, l’aceto e l’acqua salata simboleggiano il ricordo della vita infelice in schiavitù. Troviamo anche la zampa di agnello, simbolo dell’animale sacrificato per risparmiare i primogeniti d’Israele durante le piaghe inviate da Dio contro il Faraone così come abbiamo l’uovo sodo: un monito, anche in un giorno di festa, ricordo della distruzione del Tempio.
Sincretismo, l’attuale Pasqua
L’analisi della gestualità della tradizione pasquale cristiana è frutto di una rielaborazione dell’antica festività ebraica, in cui l’agnello immolato da Mosè fu sostituito dal sacrificio di Gesù. È da qui che nasce la tradizione del pasto in famiglia, il tradizionale agnello in tavola, le uova sode consumate all’interno di torte salate. La festa vissuta come un’occasione per stare insieme intorno al tavolo.
Ma è possibile indicare quando si consumò la separazione tra cristiani ed ebrei, a livello di comunità umane, e quando si verificò il sincretismo tra le due festività?
Sappiamo che già nel II secolo d.C. i primi Padri sentirono la necessità di ricorrere ad una stesura di rituali differenziati. Il rapporto con le festività giudaiche, infatti, rappresentò un elemento divisivo nelle relazioni giudaico-cristiane. Uno dei testi cristiani più antichi, la Didaché degli Apostoli, redatto tra I e II secolo d.C., si soffermata proprio sulla necessità di diversificare i digiuni rituali da quelli messi in atto dalla comunità ebraica.
Ma come siamo arrivati ai conigli e alle uova di cioccolato? Questa è un’altra storia.