Guerra

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3 ottobre 1935, inizia la Guerra d’Etiopia

L’Italia fascista alla conquista dell’Etiopia

La Guerra di Etiopia fu un conflitto armato fra l’Italia fascista e l’Impero di Etiopia. Si svolse tra il 3 ottobre 1935 e il 5 maggio 1936 e vide le truppe italiane vincere e conquistare la regione Abissina. Ma cosa spinse l’Italia a conquistare il territorio Africano?

Antefatti

L’Italia dell’immediato primo Dopoguerra voleva espandere la propria influenza coloniale in Africa, oltre l’Eritrea, la Somalia e la Libia. Riteneva, infatti, suo diritto avere un numero maggiore di colonie, al pari almeno delle altre potenze vincitrici del conflitto.

Nel 1926, Jacopo Gasparini, governatore italiano dell’Eritrea, stipulò contratti di amicizia nello Yemen del Nord, al confine col Protettorato di Aden (colonia britannica). Lo scopo era quello di allargare la propria influenza dal punto di vista economico, commerciale e politico. Tuttavia, Mussolini trascurò tale campagna coloniale, non volendosi, nei suoi primi anni di regime, nemicare gli ambienti liberali vicini alla Gran Bretagna. In Somalia, infatti, Cesare Maria De Vecchi aveva già occupato la regione meridionale dell’Oltregiuba nel 1925, proprio su concessione della Gran Bretagna.

Benito Mussolini

L’interesse dell’espansione coloniale italiana, però, crebbe progressivamente agli inizi degli anni Trenta. La causa va ricercata principalmente negli ideali del Duce, che voleva la ricostruzione di un’Impero Italiano sullo stile di quello Romano. A questo, inoltre, si aggiungeva il problema emigratorio italiano, che sarebbe stato facilmente arginabile con la conquista di colonie.

La guerra

Negli anni Trenta, l’Etiopia, governata dall’imperatore Hailé Selassié, era uno dei pochi paesi africani ancora indipendente. Proprio per questo motivo divenne la meta prediletta di Mussolini per iniziare la propria campagna coloniale.

Il 3 ottobre 1935, quindi, l’Italia dichiarò guerra all’Etiopia, sfruttando come pretesto una serie di incidenti reiterati tra soldati italiani ed etiopi (fra tutti, l’incidente di Ual Ual nel 1934). A condurre il conflitto fu inizialmente Emilio De Bono, poi continuato e concluso dal Maresciallo Pietro Badoglio. Nonostante le pesanti sanzioni economiche da parte della Società delle Nazioni, l’Italia perseverò nel conflitto e, il 5 maggio 1936, le truppe italiane entrarono nella capitale Addis Abeba, conquistando nelle successive 48 ore l’Abissinia.

Il 9 maggio 1936 terminò la Guerra, con Mussolini che proclamò la nascita dell’Impero Italiano e della A.O.I (Africa Orientale Italiana), composta da Eritrea, Somalia e Abissinia.

Cartina dell’Africa Orientale Italiana

Le conseguenze della guerra

Le conseguenze della guerra furono terribili. Persero la vita 275.000 soldati etiopi, con 500.000 feriti; 4.350 tra soldati e civili italiani e 4000 ascari, militi indigeni che combattevano con le forze coloniali.

In termini economici, invece, il 4 luglio 1936 la Società delle Nazioni revocò le sanzioni inflitte all’Italia, grazie soprattutto alle pressioni provenienti dai partner commerciali del Bel Paese. Proprio per questo motivo, la Guerra di Etiopia è ritenuta da molti storici il punto più alto del ventennio fascista.

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UCRAINA | Braccio di ferro per la contesa del Lugansk

132esimo giorno di guerra. Mosca fa sapere di aver occupato tutta la regione del Lugansk, mentre Kiev smentisce. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si mostra pessimista sulla situazione. 

L’avanzata russa nel Lugansk

La Russia afferma di aver conquistato la città di Lysychansk e l’intera regione del Lugansk nell’Ucraina orientale. Lo fa sapere il ministro russo della Difesa, Sergei Shoigu, citato da Interfax. Sabato Kiev aveva smentito la presa dell’ultima città del Lugansk ma successivamente il consigliere di Zelensky, Oleksiy Arestovych, ha ammesso la possibile caduta della città gemella di Severodonetsk

Sergey Shoigu, Ministro della Difesa russa.
La smentita da Kiev

Tuttavia, il portavoce del ministero della Difesa ucraino, Yuriy Sak, ha dichiarato alla BBC che la città di Lysychansk non è sotto il “pieno controllo” delle forze russe, nonostante Mosca abbia affermato che la città è caduta. Ha aggiunto, però, che i combattimenti in città sono molto “intensi da un bel po’ di tempo“, con le forze di terra russe che attaccano senza sosta.

Sak ha poi continuato ribadendo che l’Ucraina non è fuori dai giochi neanche nel Donbass. “La battaglia per il Donbass non è ancora finita. Anche se la Russia conquista tutto il Lugansk non siamo al game over”, ha detto il portavoce, affermando infine che l’Ucraina è fiduciosa e sta ricevendo sostegno dai suoi alleati occidentali.

Yuri Sak, Ministro degli affari Esteri Ucraino.
I rischi posti da Zelensky

Incline al pessimismo, invece, Volodymyr Zelensky che, nel corso di un briefing con il premier australiano Anthony Albanese, espone la situazione difficile nel Lugansk. “Ci sono rischi che l’intera regione del Lugansk venga occupata dai russi. Ma la situazione può cambiare ogni giorno”, ha detto il presidente ucraino. Poi continua: “Ci sono combattimenti alla periferia di Lysychansk, nella regione di Lugansk, ma la città non è completamente sotto il controllo russo”. Infine, sottolinea che le forze armate ucraine stanno facendo il possibile per accelerare la fornitura di armi, cosa che li avvantaggerebbe sulla Russia. 

Volodymyr Zelensky, Presidente dell’Ucraina.
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UCRAINA | Nessuna tregua per Kiev: continuano i bombardamenti

Kiev continua a non avere tregua dai bombardamenti. Nella mattinata di domenica 26 giugno, infatti, dei missili da crociera russi hanno attaccato tre centri di addestramento militare. Si contano un morto e quattro feriti. Dure le reazioni dal G7 del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, mentre Klitschko definisce l’attacco simbolico.

I dettagli dell’attacco

L’attacco è avvenuto alle 6:30 ore locali e, secondo il deputato ucraino Oleksiy Gancharenko, sono stati almeno 14 i missili lanciati sulla capitale. Diverse sono invece le testimonianze delle esplosioni: il Kiev Independent parla di tre deflagrazioni, mentre i social di quattro esplosioni causate da missili da crociera russi. Il  ministero della Difesa russo, in un comunicato, ha confermato che le forze russe hanno colpito tre centri di addestramento militare nell’Ucraina settentrionale e occidentale, di cui uno vicino al confine polacco. I bombardamenti sono stati effettuati con “armi ad alta precisione delle forze aerospaziali russe e missili Kalibr” da crociera, ha affermato il ministero nella nota. Mosca ha poi aggiunto che, tra gli obiettivi, c’è un centro di addestramento militare per le forze ucraine nel distretto di Starytchi, nella regione di Leopoli, a una trentina di chilometri dal confine polacco.

Oleksiy Goncharenko, deputato Ucraino
 
Il bilancio dei feriti e le reazioni

Sempre i media, inoltre, riportano il dato delle vittime e dei feriti dopo l’attacco. Ukrinform riporta che un civile è rimasto ucciso, con altri quattro civili estratti dalle macerie e portati in ospedale (tra cui una bambina di 7 anni).

A seguito degli attacchi, il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, parla di fronte ai giornalisti. “La nostra città è distrutta. Sono state distrutte più di 220 case dove vivono civili. I russi attaccano prima del summit della Nato, forse è un’aggressione simbolica“, ha detto il sindaco. Il presidente Usa Joe Biden, in Germania per il G7, ha invece definito un “atto di ‘barbarie” i bombardamenti russi. 

Joe Biden, Presidente degli Stati Uniti

 

 

 

 

 

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UCRAINA | Medvedev minaccia la scomparsa dell’UE

118esimo giorno del conflitto. Con la NATO che non ha escluso la permanenza del conflitto per i prossimi anni, l’ex presidente russo Dmitrij Medvedev terrorizza verbalmente l’UE minacciando una sua possibile scomparsa. Un’uscita che si va ad aggiungerne ad altre dell’attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, a cui ci ha abituato nell’ultimo periodo. 

L’UE potrebbe scomparire prima che vi entri l’Ucraina?

Dmitrij Medvedev attacca su Telegram l’Europa, minacciandola in un post dove prende in giro il lento processo di adesione dell’Ucraina all’Ue, ma non solo.

“E se anche l’UE sparisse per allora? Mi viene da pensare a quale scandalo, a quali sacrifici sono stati fatti sull’altare dell’adesione all’UE e a quale inganno delle aspettative degli ucraini infelici? Per non portare sfortuna…”, ha scritto l’ex presidente.

La vena ironica di Medvedev, però, è continuata quando ha confrontato l’ambizione dell’UE ad allagarsi con quella dell’URSS ad espandere il comunismo. “Gli anni sono passati e noi, studenti degli anni Settanta, aspettavamo l’inizio del comunismo, che non è mai arrivato. L’Urss è crollata”, ha detto. 

Medvedev nel 2022

 

Tutte le uscite infelici di Medvedev

Già in passato, Dmitrij Medvedev ci aveva abituato a provocazioni pungenti. Qualche giorno fa, infatti, aveva dubitato dell’esistenza dell’Ucraina nei prossimi anni, alla luce dell’attuale conflitto. “Solo una domanda: chi ha detto che l’Ucraina tra due anni esisterà ancora sulla mappa del mondo?'”, aveva scritto su Telegram. Non sono mancati, inoltre, altri attacchi ai paesi dell’UE, definiti da Medvedev dei “bravi zii e zie” che stanno preparando l’Ucraina a morire per la “prospettiva europea”.

Molto più grave, infine, un post su Telegram in cui ha ingiuriato, stavolta senza ironia, l’occidente. “Mi viene spesso chiesto perché i miei post su Telegram contro gli avversari della Russia sono così duri. La risposta è che li odio. Sono bastardi e imbranati. Vogliono la nostra morte, quella della Russia. E finché sarò vivo farò di tutto per farli sparire.”

 

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UCRAINA | “La Russia non farà la fine dell’URSS!”: il discorso di Putin

“La Russia non farà la stessa fine dell’URSS”. Queste le parole recitate da Putin parlando ai giovani imprenditori, invogliando la Russia a difendersi come ai tempi dello Zar. Ma perché prendere in considerazione quel periodo?

Le parole di Putin e la commemorazione a Pietro Il Grande

Il discorso che Putin ha tenuto ai giovani imprenditori si è svolto giovedì 9 giugno, giorno del 350esimo anniversario della nascita di Pietro il Grande. Le prime parole del presidente russo sono state: “La Russia non farà la fine dell’Urss, la nostra economia resterà aperta”. Poi Putin ha dato giustizia alla sua attuale battaglia mettendola a confronto con altre che la Russia ha fatto in passato. “Abbiamo appena visitato la mostra dedicata al 350esimo anniversario: quasi niente è cambiato. Pietro il Grande ha combattuto la Guerra del Nord per 21 anni. Non è vero che voleva separare un territorio dalla Svezia, ma solo riprenderlo.” 

Pietro Il Grande
Pietro Il Grande, ultimo zar e primo imperatore della Russia nel 1721

 

L’importanza della sovranità

Putin, infine, ha parlato della sovranità e di quanto questa sia importante per la Russia. “Se lavoriamo partendo dal presupposto che la sovranità costituisce il fondamento della nostra esistenza, riusciremo senza dubbio a realizzare i compiti che abbiamo di fronte”, ha detto. Il presidente russo ha poi concluso  definendo i requisiti principali della sovranità di un Paese: “Per sovranità pubblica intendo la capacità della società di consolidarsi per raggiungere i compiti nazionali. E’ il rispetto della propria storia, della propria cultura, della propria lingua, dei popoli che vivono su un territorio. Questo consolidamento della società è una delle condizioni fondamentali per lo sviluppo. Se non c’è consolidamento, tutto crollerà”.

Vladimir Putin
Vladimir Putin durante il discorso ai giovani imprenditori
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NEWS | La dignità del popolo ucraino nella fontana di Makov alla Biennale di Venezia

La fontana, opera dell’artista Makov, approda alla Biennale di Venezia, con una rosa di significati sottesi tutti da scoprire in riferimento ai venti di guerra che soffiano sull’Europa e al desiderio di pace tra i popoli.

La Fontana dell’esaurimento

L’opera di Makov, attualmente visibile nel Padiglione Ucraina, nasce dalla rielaborazione di un progetto concepito negli anni Novanta e ispirato alle infrastrutture fatiscenti tipiche delle città post-sovietiche. La fontana è alta circa cinque metri ed è formata da una serie di 78 imbuti di bronzo. I tubicini sono disposti a piramide e l’acqua li riempie per poi fuoriuscire.

Nella stessa Kharkiv, l’autore ricorda come l’approvvigionamento idrico fosse precario, nessuna fontana pubblica funzionava. L’opera fu dunque inizialmente pensata per denunciare l’esaurimento delle fonti, con rimando al tema dell’acqua alta a Venezia. Nonostante ciò, oggi la fontana assume un nuovo significato: invitare a riflettere sul tema della democrazia di fronte alla guerra, con riferimento all’esaurimento di risorse emotive.

L’opera è stata ricomposta in Italia, dopo essere stata sottratta alle bombe russe e trasportata in pezzi da Kiev, andando a sottolineare che l’obiettivo principale resta la rappresentazione della dignità di un popolo e della sua storia. 

Ricordiamo che l’opera sarà visibile alla Biennale di Venezia fino al 27 novembre 2022.

Fontana dell’esaurimento (©Martin Cid Magazine)
L’artista, Pavlo Makov

Pavlo Makov ha 63 anni, è nativo di San Pietroburgo, ma ha da sempre vissuto in Ucraina. Si trasferisce a Kharkiv all’età di tre anni per poi studiare arte in Crimea. Egli riflette sul suo ruolo di artista, sul suo modo di mostrare la realtà, aumentando la consapevolezza, nutrendo la cultura e unendo i popoli. È consapevole però che il potere ideologico dell’arte ha i suoi limiti fisici.

Di recente ha lasciato la sua Kharkiv ridotta in macerie, in direzione di Venezia, per la Biennale. “Non è stata una fuga, la mia”, ha chiarito l’artista: fu selezionato mesi fa per rappresentare il suo Paese adottivo all’Esposizione internazionale d’arte in laguna.

“Hanno distrutto il mio Paese, ma non la sua anima, per questo ci tenevo a esserci”, prosegue. Le vendite dei suoi pezzi d’arte sono ad oggi utilizzate per il supporto delle forze di difesa ucraine e l’acquisto d’armi per il fronte.

Pavlo Makov a Kharkiv nel ’90 (©Martin Cid Magazine)
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UCRAINA | Putin allo scontro verbale con gli USA

“Putin ha fallito in tutti i suoi obiettivi strategici”. Così dichiara Antony Blinken, Segretario di stato statunitense, convinto ormai che la battaglia di Putin sia al capolinea. Il presidente russo, però, non ci sta, ribadendo che le sanzioni inflitte alla Russia produrranno solo l’effetto contrario. Voci di Putin che trovano conferme dal Viceministro ucraino Ganna Malyar, che ha parlato di una possibile esclation russa

Le dichiarazioni di Blinken

Antony Blinken ha dichiarato che gli obiettivi strategici della Russia sono falliti.

“Putin ha fallito nel centrare i suoi obiettivi strategici, non ne ha raggiunto neanche uno. Invece di cancellare l’indipendenza dell’Ucraina, l’ha rafforzata. Anziché dividere la NATO l’ha unita. Non ha affermato la forza della Russia, ma l’ha messa in pericolo. Invece di indebolire l’ordine internazionale, ha spinto i Paesi a unirsi per difenderlo”.

Queste le parole del Segretario di Stato degli USA, in un discorso tenuto alla George Washington University.

Tony Blinken
Antony Blinken, Segretario di Stato degli Stati Uniti

 

La risposta di Putin

Intervenendo a un forum economico dei Paesi dell’ex URSS, Vladimir Putin risponde alle voci occidentali che vogliono la Russia indebolita dalle sanzioni. 

“Nessun ‘poliziotto globale’ sarà in grado di fermare i Paesi che vogliono perseguire una politica indipendente. La Russia sta diventando un po’ più forte grazie alle sanzioni. Rubare i beni di qualcuno non ha mai portato a nulla di buono, soprattutto a chi lo fa”, ha detto il presidente russo.

Putin
Vladimir Putin, Presidente russo
 
La possibile escalation russa

A dimostrare che le dichiarazioni di Putin non sono eresia ci ha pensato Ganna Malyar, Viceministro della Difesa ucraino.

In una conferenza stampa, Malyar ha infatti dichiarato che ci sono i “segnali di un’escalation“. Il ministro, inoltre, ha avvertito che i combattimenti hanno raggiunto la massima intensità a est, e che ci aspetta un periodo “estremamente difficile” e “lungo”. Infine, conclude specificando che Mosca sta spostando i missili Iskander a Brest (Bielorussia), con la possibilità che questi vengano utilizzati per colpire l’ovest dell’Ucraina.

Ganna Malyar, viceministro della Difesa ucraina

 

 

 
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UCRAINA | Tutti contro Putin: Svezia e Finlandia vogliono la NATO

La Finlandia, assieme alla Svezia, ha chiesto ufficialmente l’adesione alla NATO. Una decisione vista con scetticismo da Putin e, in parte, dalla Turchia, che in un secondo momento ha chiarito che non si sarebbe opposta a determinate condizioni.

Sempre il paese delle mezze lune, inoltre, si è detta pronta di offrire navi per favorire l’evacuazione dei militari feriti ad Azovstal

Richiesta di adesione alla Nato della Finlandia

Il presidente della Finlandia, Sauli Niinistö, ha deciso di chiedere l’adesione alla Nato. “Questa è una giornata storica e l’inizio di una nuova era”, ha detto il presidente finlandese in conferenza stampa. 

A motivare la scelta presa, ci ha pensato la premier finlandese Sanna Marin: “Non avremmo preso questa decisione se non avessimo pensato che avrebbe rafforzato la nostra sicurezza nazionale. La minaccia nucleare è molto seria, e non può essere isolata in una specifica regione se parliamo di armi nucleari”. Poi ha aggiunto: “Siamo preparati e ci stiamo preparando a diversi tipi di reazioni russe. Quando guardiamo alla Russia, vediamo oggi un Paese molto diverso da quello che abbiamo visto appena qualche mese fa. Tutto è cambiato da quando la Russia ha attaccato l’Ucraina e penso personalmente che non possiamo più credere che ci sarà un futuro di pace accanto alla Russia restando da soli”. 

Le reazioni hanno visto da una parte Putin reputare “sbagliata” la scelta della Finlandia di abbandonare la politica della neutralità. Dall’altra, invece, ha visto il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, definire l’adesione come un “momento storico” per l’organizzazione. 

Sanna Marin
Sanna Marin, Ministro capo della Finlandia
 
La posizione della Turchia e gli aiuti ad Azovstal

Stoltenberg ha inoltre chiarito che la Turchianon sta tentando di bloccare l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato“. Infatti, anche Ibrahim Kalin, portavoce del presidente turco Erdogan, ha detto che “la Turchia non ha chiuso la porta all’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato”. Tuttavia, Kalin ha precisato di volere negoziati “con i Paesi nordici e un giro di vite su quelle che vede come attività terroristiche, ospitate soprattutto a Stoccolma“.

Infine, sempre il portavoce turco ha reso noto che la Turchia è pronta a inviare una nave a Mariupol per consentire l’evacuazione dei soldati ucraini feriti e altri civili che si trovano ad Azovstal. “Il nostro piano prevede che le persone evacuate dall’acciaieria siano portate via terra al porto di Berdyansk, che come Mariupol si trova sul Mar d’Azov, e che una nave turca li conduca a Istanbul”, ha detto il portavoce turco in un’intervista alla Reuters

Ibrahim Kalin, portavoce del presidente Erdogan

In copertina immagine via News Bulletin 247.

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UCRAINA | Sale il rischio di una guerra nucleare

Dopo che la Finlandia ha detto alla NATO, Mosca ha seriamente aperto lo scenario ad una possibile guerra nucleare. D’altra parte, però, Kiev non si lascia scoraggiare dalle minacce del Cremlino, con Zelensky che non intende porre fine alla guerra alle condizioni di Putin. 

Intanto, l’ONU ha aperto un’inchiesta sulle atrocità attribuite alle forze russe e, assieme all’Unicef, dato i numeri aggiornati della guerra.

Le accuse e minacce di Mosca

L’eventuale ingresso della Finlandia nella NATO potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso. Lo fa sapere il vice presidente del consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev: “Riempire l’Ucraina di armi dei Paesi Nato, addestrare le sue truppe all’uso di equipaggiamenti occidentali, schierare mercenari e tenere esercitazioni ai confini aumenta la probabilità di un conflitto aperto e diretto tra Russia e Nato. Un simile conflitto ha sempre il rischio di trasformarsi in una guerra nucleare totale. Sarebbe uno scenario disastroso per tutti”.

Intanto, Vladimir Putin condanna le sanzioni alla Russia, ritenendole controproducenti persino per i paesi che le adottano. “Le sanzioni antirusse, conseguenza dalle ambizioni politiche miopi dei leader occidentali e dalla loro russofobia, danneggiano maggiormente proprio le economie dei Paesi che le adottano e il benessere dei loro cittadini, provocando una crisi globale“, ha detto il presidente russo citato dal Tass

Putin
Vladimir Putin, presidente della Russia

 

Le parole di Zelensky

Dall’altra parte della barricata, a Kiev, nessuno vuole cedere alle condizioni di Putin. Volodymyr Zelensky, infatti, nelle sue dichiarazioni a “Porta a Porta“, ha lasciato intendere che non riconoscerà l’indipendenza della Crimea: “Non ho mai parlato di riconoscere l’indipendenza della Crimea, non la riconosceremo mai come parte della Federazione russa”.

Il presidente ucraino ha poi aggiunto: “Anche prima della guerra la Crimea aveva autonomia, ma è sempre stato territorio ucraino. Noi abbiamo detto che siamo pronti a parlare con la Russia. Ora non possiamo deliberare una decisione sulla Crimea perché c’è la guerra, la lasciamo da parte se ostacola l’incontro e credo che questa proposta sia stata giusta”. 

Volodymyr Zelensky, leader ucraino

 

L’inchiesta dell’ONU e i numeri della guerra

L’Onu lancia un’inchiesta sulle atrocità che vengono attribuite alle forze russe in Ucraina. Il consiglio per i diritti umani dell’Onu ha infatti votato per la maggioranza a favore dell’apertura di un’inchiesta sulle gravi violazioni commesse dalle forze russe in Ucraina. In particolare, il consiglio ha approvato con 33 voti favorevoli (e due contrari) la bozza di risoluzione, presentata dall’Ucraina per avviare un’indagine su presunte violazioni nelle regioni di Kiev, Chernihiv, Kharkiv e Sumy fra la fine di febbraio e marzo.

L’organizzazione, inoltre, ha portato i numeri aggiornati delle persone fuggite dall’Ucraina dall’inizio dell’invasione: 6.029.705. La maggior parte di queste persone si è rifugiata nell’Unione europea attraverso i confini di Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania. Altri otto milioni, invece, secondo i dati forniti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono sfollati all’interno del Paese.

Infine, il vice direttore esecutivo dell’UNICEF, Omar Abdi, ha parlato delle vittime di tenera età: “Ogni giorno che passa, sempre più bambini ucraini sono esposti agli orrori di questa guerra. Solo nell’ultimo mese l’Onu ha verificato che quasi 100 bimbi sono stati uccisi, e riteniamo che le cifre effettive siano considerevolmente più alte”. 

Una sede dell’Onu a Vienna
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APPROFONDIMENTO | Decebalo, il re dimenticato

Nei rilievi che animano la colonna traiana vi è un personaggio che troppo spesso resta in ombra agli occhi dei più. È Decebalo, re dei daci, il grande avversario di Traiano e pietra d’inciampo per la politica romana. Lo si vede, in particolare, nella scena 106 della colonna, nell’atto di suicidarsi ormai circondato dai romani. Una fine tragica che segna la fine della seconda campagna dacica, ed il trionfo di Traiano. Eppure, Decebalo fu più di una testa mozzata portata in dono all’imperatore romano. Fu un degno rivale, senza il quale non sarebbe ma stato realizzato uno dei monumenti più importanti della Roma imperiale. Conoscerne la storia, pertanto, è indispensabile: non esistono eroi senza i loro avversari.

Decebalo: l’uomo, il re, il nemico

I romani conoscevano l’importanza dell’attribuire dignità al nemico e per Decebalo non fanno eccezioni. Per quanto questo personaggio sia uno sconfitto, è evidente come nei rilievi lo si mostri fiero, possente, come un uomo in grado di trasmettere sensazioni contrastanti: fascino, in quanto ultimo re della Dacia, morto per essa; timore sapendolo a capo di un regno ostile che osò sfidare l’impero. Lo storico Cassio Dione ne fa una descrizione che ben rivela il carattere di questo illustre sconfitto: doppiamente scaltro; abile in attacco, sia nel ritirarsi; esperto nell’imboscate tanto quanto nello scontro campale. Ma soprattutto: non solo sapeva bene come sfruttare la vittoria, ma era abile a limitare i danni in caso di sconfitta. È chiaro, quindi, che l’allargamento di Roma in Dacia non fu semplice come il far passare lo sguardo sui rilievi della colonna traiana. Si trattò di un’impresa ardua, e dall’epilogo non scontato.  

Statua di Decebalo nella città di Deva, Romania
Il re che sfidò l’impero

La vicenda storica di Decebalo inizia con una sconfitta. Persa la guerra al tempo di Domiziano il re della Dacia dovette accettare la pace. Non si trattò, tuttavia, di un trattato umiliante. Infatti, in cambio della fine delle ostilità Roma, incalzata dalle tribù germaniche, avrebbe pagato un tributo. Ne consegue che Decebalo ottenne così i fondi per ricostruire le proprie forze, tanto da allarmare il nuovo imperatore, Traiano. La guerra fu inevitabile, e probabilmente voluta da entrambe le parti. Vi furono due campagne, e seppur la resistenza di Decebalo fu estenuante, una dopo l’altra le roccaforti daciche caddero. Decebalo continuò a combattere arroccandosi tra le montagne ma, circondato, preferì darsi la morte insieme ai suoi compagni. E con lui scomparve anche il regno di Dacia, ormai inglobato nell’Impero Romano.

Decebalo si taglia la gola, dettaglio della colonna traiana
Un’insolita rivalsa

Seppur Decebalo sia stato scolpito nella colonna traiana nei panni dello sconfitto, il suo spirito può forse tornare a sorridere sprezzante. A circa 2000 anni dalla sua morte, l’imprenditore Iosif Constantin Drăgan ha finanziato la costruzione di un’imponente scultura rupestre dedicata a Decebalo. Si tratta del rilievo roccioso più alto d’Europa, a ridosso della gola del Danubio detta Porte di Ferro, un passaggio strategico nella guerra tra romani e daci. La realizzazione dell’opera avvenne tra il 1992 e il 2004, con la collaborazione scultore italiano Mario Galeotti che diede forma al progetto nella sua fase iniziale. Così, il volto serio di Decebalo è tornato a scrutare quelli che furono i confini del proprio regno, e a guardare con sdegno la Tabula Traiana che svetta sul lato opposto del fiume. Si tratta di un’iscrizione lasciata da Traiano, prova del suo passaggio attraverso le Porte di Ferro. Pertanto, la guerra non è ancora finita: Tiberio e Decebalo, ognuno nella propria roccia, ancora una volta si oppongono.