Guerra di Corinto

Approfondimento

APPROFONDIMENTO | Pace e sanzioni nella Grecia classica

La pace è un’esperienza difficile da realizzare. La si può ottenere con l’eliminazione dell’avversario o attraverso la ricerca di un compromesso con la parte ostile. Vi è poi l’uso dell’intimidazione, ossia l’ottenimento di un equilibrio dietro minaccia, attraverso l’uso consapevole di sanzioni, di deterrenti: punire il nemico, qualora non rispetti i patti, per logorarlo prima ancora di doverlo affrontare sul campo.

In guerra dagli inizi della storia

In certi momenti ci si chiede se l’uomo sia nato per farsi la guerra o se, invece, questa sia una degenerazione del nostro animo. In effetti, l’idea di una creatura buona a priori, originariamente paradisiaca, offre speranza per un futuro migliore. Tuttavia, non va ignorato che la prima narrazione scritta mai composta dall’uomo parla di uno stato di guerra terribile, che si conclude solo dopo aver accumulato colline e colline di cadaveri. Parole, quasi testuali, dettate da re Ur-Našše di Lagaš nel III millennio a.C. Inoltre, il fatto che gli esempi più antichi di spade risalgano alla prima età del bronzo, IV millennio a.C., aggrava la posizione dell’uomo: eravamo pronti a combatterci già agli inizi della storia, quando si cominciò a scrivere. Eppure, esistono tentativi di pace, magari imperfetti, vani, ma che la guerra cercarono di mitigarla. Non è tempo sprecato, allora, esplorare il passato a caccia di questi esempi.

L’iscrizione reale di Ur-Našše di Lagaš (RIME 1.09.01.06b), il più antico riferimento storico a un fatto bellico
Il caso della Guerra di Corinto

Una parola ridondante ai nostri giorni è “sanzioni”. La sentiamo spesso e ne siamo quasi assuefatti tanto da non chiederci quale sia il suo significato o l’origine del suo concetto. È un peccato visto che l’antecedente storico dell’uso delle sanzioni fu inventato nella culla culturale occidentale, in Grecia. In quel tempo, tra gli anni 395-387 a.C., lo stato di belligeranza tra poleis è pressoché assoluto. Non è più il periodo, edulcorato dalla tradizione, delle Guerre Persiane, in cui seppur divisi i greci riescono a unirsi contro il nemico comune. Al contrario, la successiva Guerra di Corinto vede un inasprirsi delle divisioni interne della Grecia, che favoriranno il ritorno della Persia in qualità di garante degli equilibri. Inutile discutere se la diplomazia, in questo caso, fu vincente o meno per la sorte dei greci. Meglio analizzare i fatti per capir che di che tipo di pace si parli.  

La Grecia ai tempi della Guerra di Corinto
Un diplomatico in guerra

La Guerra di Corinto può essere paragonata ad un fiammifero lanciato in una polveriera: innestato il primo fuoco, l’esplosione venne di seguito. Il fatto è che gli interessi economici delle diverse città finirono invero a cozzar tra di loro, e da una ristretta disputa confinaria la Grecia intera si ritrovò calpestata da eserciti e solcata da flotte nel mare. Tra i vari protagonisti che presero parte agli scontri ve n’è uno che, a differenza degli altri, ottenne un posto nella storia come mediatore, non come guerriero. Antalcida di Sparta andò in Lidia, nel 392 a.C., cercando l’appoggio persiano, e lì discusse i termini di una pace con gli altri emissari venuti da Atene e dai suoi alleati. Non se ne venne a capo e la guerra poté continuare, ma quell’incontro fu forse il primo passo diplomatico che portò alla successiva Pace di Antalcida nel 387 a.C.

Tiribazo, satrapo di Lidia, che prese parte ai negoziati di pace
La pace del Re, o di Antalcida

Dopo il fallimento della diplomazia, Atene riuscì ad estendere il proprio dominio nel Mar Egeo, ma soprattutto ad allacciare un’intesa con le potenze orientali ostili alla Persia, ossia Cipro e l’Egitto. Ciò provocò un mutamento nei rapporti tra i vari stati perché da parte persiana venne ricercato proprio l’accordo che Antalcida era venuto a proporre cinque anni prima, ossia l’intesa con Sparta. Alla fine, la pace arrivò, definitivamente nel 386 a.C., ma in modo subdolo ed inconsueto. Forte dell’appoggio persiano, Sparta poté minacciare le fazioni rivali: chi non avesse accettato e rispettato la pace, così come i suoi termini, avrebbe affrontato il Gran Re orientale. La strategia di deterrenza promossa da Sparta comportò lo smantellamento dell’egemonie e delle alleanze in Grecia, riaffermando, grossomodo, l’indipendenza di ogni città. Fu questo l’antecedente storico della minaccia di sanzioni in campo diplomatico, ossia l’uso di deterrenti per salvaguardare una pace senza scadenza.

L’estensione dell’impero persiano.
Pace, fragile pace

A conti fatti Sparta porgeva il collo al guinzaglio tirato dal Gran Re persiano. La Grecia, che perdeva i suoi territori in Ionia, passava sotto l’influenza dell’impero orientale, e ci sarebbe rimasta fino all’emergere di Alessandro Magno, cinquant’anni più tardi. Se fu una soluzione giusta o sbagliata lo storico non se lo chiede. Sta di fatto che una pace di tutti ci fu. Tuttavia, durò poco. Nel 382 a.C. il promotore stesso del deterrente, Sparta, tentò di estendere la propria influenza. Ad esempio fece in modo d’instaurare una tirannia fedele nella città di Tebe. La pace allora crollò come un castello di carte e la Guerra Beotica ebbe inizio. Il deterrente non funzionò, anzi l’indebolimento di Sparta comportò l’abbandono persiano. Così, stando al ricordo posticcio di Plutarco, Antalcida si lasciò morire di fame resosi conto del proprio fallimento diplomatico. Una fine triste, forse, come triste fu la pace mancata.