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Israele, scoperti frammenti biblici di 2mila anni fa

Frammenti di rotoli biblici, scritti in greco e risalenti a 2mila anni fa, sono emersi durante nuove ricerche nel Deserto della Giudea. Affiorati negli scavi di una grotta grazie ad un progetto nazionale israeliano della durata di quattro anni, atto a prevenire saccheggi di antichità dalle caverne del deserto a est e sud-est di Gerusalemme e, in particolare, al confine tra Israele e Cisgiordania.

Le operazioni hanno avuto a capo l’Autorità israeliana delle Antichità (IAA), in collaborazione con il personale del Dipartimento di Archeologia di Giudea e Samaria. I frammenti trovati contengono versetti di Zaccaria 8:16-17, inclusa parte del nome di Dio scritto in ebraico antico, e versetti di Naum 1:5-6, entrambi dal Libro dei Dodici Profeti Minori. I frammenti potrebbero appartenere ad una pergamena rinvenuta in un sito noto come “la grotta dell’orrore”, a sud di Ein Gedi; è chiamato così per i 40 scheletri umani trovati durante gli scavi degli anni ’60.

Frammenti di rotoli biblici e non solo

Il progetto ha portato alla luce altri reperti rari, tra cui un cesto intrecciato con coperchio, risalente a circa 10.500 anni fa, forse il più antico cesto intatto al mondo. La squadra di archeologi ha anche scoperto uno scheletro di un bambino di 6.000 anni, in parte mummificato, in posizione fetale e avvolto in un panno. I frammenti emersi sono in discrete condizioni e ricostruibili grazie all’ambiente arido del deserto della Giudea, che ha permesso la buona conservazione dei manufatti e del materiale organico rinvenuto.

Cesto intrecciato con coperchio (via The New York Times)

Il ritrovamento di questi frammenti si aggiunge all’insieme di scritti identificati come “I rotoli del Mar Morto”. Si tratta di una collezione di testi ebraici trovati negli anni ’40 e ’50 del 1900 in grotte nel deserto in Cisgiordania, vicino Qumran, e datati tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C. I rotoli contengono le prime copie conosciute di quasi tutti i libri della Bibbia ebraica, tranne il Libro di Ester, e sono scritti su pergamena e papiro. Si è ipotizzato che questi frammenti siano stati nascosti nella grotta durante la terza guerra giudaica, per la tragica rivolta ebraica di Bar Kokhba (intorno al 132 d.C.) contro i Romani di Adriano.

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Il luogo del ritrovamento nel deserto della Giudea (via Rai News)
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NEWS | L’Uomo di Altamura, ricerche sempre più impegnative

Una ricerca degli Atenei di Firenze, Pisa e Roma – la Sapienza – approfondisce la conoscenza dello scheletro più completo di Neanderthal mai ritrovato: l’Uomo di Altamura. La difficile collocazione del reperto nella grotta di Lamalunga ha richiesto l’uso di sonde videoscopiche e di un apparecchio a raggi X portatile.

Chi è l’Uomo di Altamura

Rinvenuto nel 1993 in Puglia, nelle profondità della grotta carsica di Lamalunga in Alta Murgia, è tuttora imprigionato nella roccia a diversi metri di profondità, coperto di incrostazioni calcaree che ne rendono difficile l’osservazione. Si tratta di un uomo preistorico precipitato in un pozzo naturale dove morì di stenti, di fondamentale importanza per i ricercatori. È stato oggetto di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR) e autorizzato dalla Soprintendenza Archeologica, che ha avviato indagini scientifiche negli ultimi anni (2017-2020).

Gli studi precedenti

Lo studio appena pubblicato su PLOS ONE riguarda i denti del Neanderthal di Altamura e il suo “apparato di masticazione” (mascella e mandibola); una ricerca di simile argomento era già stata pubblicata di recente, realizzata insieme dall’Università di Firenze, la Sapienza – Università di Roma e l’Università di Pisa con il titolo: “In situ observations on the dentition and the oral cavity of the Neanderthal skeleton from Altamura (Italy)”. I responsabili delle unità operative – che hanno operato in condizioni molto difficili – sono stati Jacopo Moggi Cecchi, antropologo dell’Ateneo fiorentino, Damiano Marchi (Università di Pisa) e Giorgio Manzi (Sapienza – Università di Roma), che è anche il coordinatore del progetto complessivo del MIUR.

Il gruppo di ricerca ha condotto una serie di osservazioni e rilevamenti sul posto, calandosi all’interno della grotta.

“Grazie all’ausilio di sonde videoscopiche ad alta risoluzione – spiega Jacopo Moggi Cecchi – siamo riusciti a osservare le caratteristiche della dentatura e delle ossa mascellari, ottenendo nuove informazioni sull’età e lo stato di salute e confermando la presenza di caratteri tipici dei Neanderthal”.

“Abbiamo anche effettuato – spiega Damiano Marchi – una radiografia dei denti anteriori, utilizzando per la prima volta a questo scopo un apparecchio a raggi X portatile KaVo NOMAD Pro 2. In questo modo abbiamo così individuato una lesione nell’osso, alla base di un incisivo, che potrebbe essere dovuta a una forte stress non riconducibile all’alimentazione”. 

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ARCHEOLOGIA | La Grotta Sant’Angelo, la tomba infestata dal demonio

Tomba del Principe
Ingresso della Tomba del Principe

La Grotta Sant’Angelo è la più grande tomba a tholos protostorica di Sicilia. Nel 1931, Paolo Orsi scopre un gruppo di grandi tombe a tholos poste sulle pendici del colle di Sant’Angelo Muxaro, nella valle del Platani, in provincia di Agrigento. I ricchi corredi funebri impongono, fin da subito, il sito come uno dei più importanti e degni di attenzione della Sicilia protostorica. Tra di esse, la più grande è la cosiddetta “Tomba del Principe” o “Grotta Sant’Angelo”. Il secondo nome viene dal santo protettore che avrebbe scelto la grotta per il suo eremitaggio dopo averla liberata dal demonio. Secondo la tradizione, infatti, la grotta fu abbandonata a causa della forte umidità delle pareti e perché infestata da molteplici spiriti maligni. Un giorno, dal mare, giunse un sant’uomo, Angelo, che invocando un terremoto da Dio cacciò gli spiriti e vi si stabilì.

La struttura della Grotta Sant’Angelo

Grotta Sant'Angelo
La camera più interna della Grotta Sant’Angelo

La Grotta Sant’Angelo è costituita da due grandi camere pressoché circolari e comunicanti tra loro. La più ampia presenta un diametro di 8,8 metri e un’altezza di 3,5 metri ed è dotata di una banchina che gira tutt’intorno alle pareti. La camera più interna, invece, sebbene di dimensioni più ridotte, presenta una cupola a forma di calotta. L’ingresso, non in asse con quello precedente, conduce in uno spazio, al centro del quale si trova un lettuccio funebre intagliato nella roccia. All’interno della tomba si trova tutta una serie di petroglifi che Paolo Orsi attribuisce erroneamente al periodo Bizantino. In realtà, essi sono di origine sikana e testimoniano come l’intero gruppo di tombe sia da ascrivere al mondo sikano.

L’interpretazione

Questa tomba fu chiamata da Paolo Orsi “Tomba del Principe”, poiché doveva essere il “mausoleo del principe della anonima cittadina sicula di Muxaro. Secondo lo studioso, al principe, alla consorte e ai congiunti fu riservata la cella interna; mente, in quella esterna, sulla banchina che gira tutt’intorno alle pareti “erano disposti, in origine, a banchetto, gli addetti e i servi della casa del principe.