greco

Approfondimento

Stefano Vittori, quando il latino incontra la Disney

Per il prof. Stefano Vittori le lingue antiche non hanno segreti e, soprattutto, sono più attuali che mai. Il suo amore per il latino, il greco, l’antico egiziano, fa sì che queste lingue rinascano sotto nuove forme, divenendo contemporanee e divertenti! In un’intervista alla nostra redazione, Stefano Vittori ci racconta del suo amore per le lingue antiche e di come siano diventate la sua quotidianità e si siano trasformate in qualcosa di inaspettato.

Una vita da linguista

La lingua latina antica, lingua dell’Impero Romano e degli antenati d’Italia, nell’immaginario collettivo è considerata, a torto, una lingua morta, che si è evoluta nel corso dei secoli per lasciare il posto al volgare e all’italiano. L’italiano contemporaneo, però, deriva proprio dal latino popolare ed è una lingua ricca di contaminazioni linguistiche avvenute grazie ai contatti con i molteplici popoli che si sono succeduti sul territorio peninsulare nel corso dei secoli.

Ma il latino è una lingua morta? Non per il prof. Vittori! Lavorare all’assottigliamento del distacco tra la lingua latina dell’antica Roma e l’italiano contemporaneo è tra le attività di Stefano Vittori, docente, oltre che di italiano, greco e geostoria, proprio di latino. Il prof. Vittori è, a tutti gli effetti, un linguista che, nel corso del suo percorso accademico, si è rapportato con un panorama linguistico abbastanza ampio: dalle lingue indoeuropee, con una laurea in lettere classiche e una tesi sulla metrica latina, al dottorato in Egittologia, con una tesi in linguistica storica.

“Per quello che sento io, – dichiara il prof. Vittori,  – appartengo a entrambi i mondi. Non sento divisi i due territori”.

Stefano Vittori

L’incontro con Marina Garanin

Alla domanda su quale sia la lingua che più gli appartiene, Stefano risponde: “Da quando ho potuto conoscere il latino, essa è diventata la lingua più adatta a vestire il mio pensiero“.

Il latino, tuttavia, per lui è anche la lingua d’uso con la sua compagna, Marina Garanin, dottoranda in lingua latina presso l’università di Heidelberg. “Con Marina non parliamo in latino per una qualche pretesa snob. C’è una rete internazionale di latinofoni, molto presente sui social, in cui ci sono le nostre amicizie comuni: noi ci siamo conosciuti lì, e lì abbiamo iniziato a scriverci nella lingua che ci aveva fatto conoscere: il latino. Semplicemente ci verrebbe meno naturale parlare tra di noi in altre lingue”.

Stefano e Marina

Il latino fa tendenza!

Come molti in questa rete internazionale, anche Stefano e Marina operano nell’ambito della divulgazione della lingua latina, in un modo tutto innovativo, che coniuga antichità e cultura con le nuove tecnologie. Attraverso i loro canali social (rispettivamente con i nomi di Rumak e Musa Pedestris su Youtube e Instagram), il latino è a portata di click! Ma com’è nata la decisione di iniziare un percorso social per la divulgazione della lingua latina?

“Per quanto riguarda il parlare in latino è stato Luke Ranieri, mio amico dal 2006, il quale da molto tempo ha un canale Youtube seguitissimo (ScorpioMartianus). Ci eravamo conosciuti, ai tempi, attraverso un forum in cui si faceva pratica di conversazione in latino. Qualche anno fa, attraverso i social, Luke mi scriveva nuovamente invitandomi a partecipare ai suoi acroamata, podcast in latino sulla fonologia storica. Tutto l’elemento parlato e di recitazione delle opere latine è nato dal riallacciamento dell’amicizia con Luke e dall’incontro con Marina”.

Luke, Stefano e Marina

L’unione con il mondo Disney… e non solo!

Ma, oltre a dialoghi contemporanei e recitazioni di opere antiche, l’attività social si arricchisce anche di una sezione del tutto particolare: traduzioni e riadattamenti di canzoni di film d’animazione!

“Il tutto è nato durante un’ora di supplenza, in cui di fatto stai lì a fare la guardia! Stavo lì seduto, mentre i ragazzi chiacchieravano tra loro e non sapevo che fare. E mi viene in mente la canzone di Scar Sarò Re, da Il re leone. Guarda che anapesti che ha questa canzone!, mi sono detto, Quasi quasi la rendo in latino. Ora, perché proprio la Disney? Tutto in realtà parte dalla metrica. Nella canzone di Scar ci sono questi anapesti (ndr. in metrica classica, è il piede composto da due sillabe brevi e una lunga) bellissimi. Forse per le canzoni dei film d’animazione, essendo destinate ad un pubblico meno adulto, c’è necessità di una musicalità più chiara, più distinta… Sta di fatto che la metrica delle canzoni Disney si adatta molto bene alla metrica dei piedi classici”.

“E contemporaneamente, -continua Stefano -, è partita la fantasia su come fosse caratterialmente Scar calato nella civiltà romana. Scar è chiaramente un epicureo e quindi quale poteva essere il latino adoperato da Scar in questo testo? È un latino tutto improntato sul modello del De Rerum Natura di Lucrezio o, quantomeno, con un bel po’ di influenze lucreziane. Si tratta di un personaggio che manifesta un certo snobbismo, quindi ho pensato che doveva essere un latino lucreziano, arcaizzante, molto elevato. E quindi così, durante l’ora di supplenza, ho iniziato a pensare ai primi versi, completati nei giorni successivi. Ho contattato Luke per proporgli di cantarla e ne è stato subito entusiasta. È nata così Duce mē. Visto il discreto successo, siamo andati avanti con altre canzoni come L’amore è nell’aria stasera (Nocte amica amantibus), sempre da Il Re Leone, Fiamme dell’Inferno (In Igni) da Il Gobbo di Notre-Dame, Principe Alì (Triumphus Aladdini) da AladdinTranquilla! (Et nil est) da Oceania o, anche, La Canzone di Sally (Regillae Carmen) e Questo è Halloween (Mundus Pateat) da Nightmare Before Christmas”.

Le difficoltà di traduzione

Il lavoro di traduzione di un testo contemporaneo in una lingua antica, mostra, tuttavia, alcuni ostacoli. Stefano ci parla di quello che, inizialmente, può essere il più rilevante:

“Alcune canzoni vogliono, per come le sento io, una traduzione, come nel caso di Scar e il latino lucreziano. Si va a tradurre il personaggio, non il pezzo. Il pezzo sarà semplicemente una conseguenza, una traduzione delle sue parole come le penserebbe un parlante latino che viva nell’epoca, e che abbia il carattere, che più si adatta a quel personaggio. Frollo, ad esempio, un prelato, parla un latino medievale di registro alto”.

“Quando invece percepisco che il testo possa essere più propenso all’adattamento di un testo antico, – continua Stefano, – cerco nella mia mente il testo antico più adatto ad esprimere le sensazioni del testo contemporaneo a cui sto lavorando, chiedendomi quale testo antico avrebbe potuto dare al fruitore antico la stessa sensazione che dà a me il testo contemporaneo in questione. È proprio la canzone che te lo dice se è meglio tradurla o se è meglio adattare un testo antico a quella canzone”. Ed è questo il caso del riadattamento di Wellerman a cui Stefano ha pensato di abbinare il testo de Il racconto del naufrago, un testo letterario dell’Antico Egitto datato al Medio Regno.

Stefano, inoltre, ha sempre in cantiere nuovi progetti linguistici, dalle traduzioni e riadattamenti delle canzoni, anche contemporanee come appunto Wellerman o anche My Bonnie lies over the ocean, alle dirette in cui conversa sul conflitto in Ucraina in latino. Insieme a Marina, di recente, ha dato vita a una serie di video-lezioni di egiziano antico, AegyptianUS, in latino!

Stefano e Maria in un video di AegyptianUS

Le lingue antiche, nel mondo proposto dal prof. Vittori, sono dunque tutt’altro che morte: sono portatrici di memi (atteggiamenti antropologici, filosofici, esistenziali) cui il mondo attuale è estremamente ricettivo, forse anche più che in passato. E lo vedremo ancora meglio, ci anticipa il professore, nei progetti futuri attualmente in lavorazione, in uscita sui canali social!

Accadde oggi

ACCADDE OGGI | Il ritrovamento della Stele di Rosetta

Era il 15 luglio 1799 quando Pierre-François Bouchard, capitano durante la campagna napoleonica in Egitto, ritrovò la stele nera destinata a divenire uno dei reperti più famosi al mondo. La Stele di Rosetta, in granito nero, deve il suo nome alla località in cui fu rinvenuta, Rosetta, nome latinizzato di Rashid, nel governatorato di Buhayra, nel Delta del Nilo. A lungo contesa tra Francia e Inghilterra, la stele raggiunse la sua attuale sede già nel 1802, divenendo una delle attrazioni principali del British Museum.

LA Stele di Rosetta al British Museum (immagine via Cultura – Biografieonline)

 

Il rinvenimento

La lastra granitica, di dimensioni decisamente notevoli (112,3×75,7×28,4 cm), ritornò alla luce durante dei lavori per la riparazione del forte di Rosetta, Fort Julien, da parte dei francesi. Il rinvenimento è, solitamente, attribuito al capitano Bouchard. Tuttavia, fu un soldato ignoto a tirarla fuori durante i lavori. Si deve però proprio a Bouchard l’intuizione che si trattasse di qualcosa di importante. Il capitano, infatti, la mostrò e consegno al generale Jacques François Menou con cui, ad agosto, arrivò ad Alessandria.

Fort Julien in un disegno del 1803 (fonte Wikimedia Commons)

Nel 1801 i francesi furono costretti ad arrendersi agli inglesi. Di conseguenza, la maggior parte dei reperti egizi partì per l’Europa su navi inglesi e, tra questi, anche la stele diretta a Londra.

Un passo verso la decifrazione dei geroglifici

La fama della stele risiede nel suo fondamentale ruolo nella decifrazione dei geroglifici. Nonostante l’ampia porzione di testo mancante, la stele contiene un testo riportato in tre diverse grafie su tre registri: geroglifico, demotico e greco. Sebbene geroglifico e demotico fossero la stessa lingua, si tratta di due grafie differenti destinate ad ambienti differenti.

Possibile ricostruzione della parte mancante della stele (fonte Wikimedia Commons)

Il geroglifico, infatti, è la scrittura sacra, usata dai faraoni e dai sacerdoti per rivolgersi, principalmente, alle divinità. I templi, infatti, ne sono pieni, così come anche molti monumenti. È la scrittura monumentale, quella delle comunicazioni solenni. Il demotico, d’atro canto, è la “scrittura del popolo”, quella corsiva e sbrigativa, utilizzata per le lettere, per il commercio e per gli affari. Nell’Epoca Tarda, inoltre, il demotico veniva anche usato per i testi ufficiali a causa della conoscenza dei geroglifici oramai limitati alla sola classe sacerdotale

La parte in greco, invece, si cala perfettamente nel tempo a cui appartiene la stele. Su essa, infatti, è riportato un decreto tolemaico del 196 a.C. per un’assemblea sacerdotale in onore del faraone Tolomeo V Epifane, allora tredicenne, in occasione del primo anniversario della sua incoronazione, un decreto destinato a raggiungere tutti. Secondo l’iscrizione, inoltre, analoghi testi del decreto dovevano comparire in ognuno dei principali templi egizi.

La stele di Rosetta (fonte Wikimedia Commons)

La stele, unitamente allo studio di testi di epoche precedenti, garantì al mondo degli studiosi un nuovo punto di partenza fondamentale per il lavoro di decifrazione dei geroglifici compiuto, nel 1822, da Jean-François Champollion.

Ed è proprio nella città natale di Champollion, Figeac, che l’artista Joseph Kosuth ha realizzato una riproduzione ingrandita (14mx7,9m) della stele, scolpita in granito nero dello Zimbabwe, in omaggio dello studioso e della sua impresa.

Riproduzione della stele di Rosetta a Figeac, opera di Joseph Kosuth (fonte Wikimedia Commons)