A qualche mese di distanza è stata reso noto lo stato d’avanzamento dell’indagine archeologica presso il complesso del Santo Sepolcro a Gerusalemme, comunicato da Custodia Terrae Sanctae. L’equipe del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Roma Sapienza, diretto dalla professoressa F. M. Stasolla, è impregnata nel restauro del pavimento di questo importantissimo polo religioso e nella comprensione degli aspetti architettonici del sito.
Le aree indagate
Il giorno 14 marzo 2021 si è celebrata la rimozione della prima pietra del pavimento della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Il complesso non era mai stato interessato da scavi sistematici. In questi giorni, invece, sono stati comunicati i primi dettagli dell’indagine in corso. Due sono le aree indagate: la navata nord, e parte della rotonda nord-occidentale. In primo caso sono emerse tracce del cantiere di età costantiniana relative alla costruzione del complesso stesso. Nel secondo caso, l’indagine si concentra sulle fasi di lavorazione del banco roccioso. In particolare, è stato individuato un cunicolo connesso al sistema di deflusso delle acque. Il suo studio sarà utile alla comprensione degli aspetti architettonici del complesso indagato.
Archeologi, sacerdoti e pellegrini: convivere al Santo Sepolcro
La costruzione della Basilica del Santo Sepolcro si deve a Costantino, colui che garantì la diffusione del cristianesimo nell’impero romano. Fu eretta nel luogo in cui la tradizione individua la sepoltura di Gesù. Va da sé che, ancora oggi, tale complesso sia uno dei massimi centri religiosi cristiani, e meta di pellegrinaggio. Condizione che, ovviamente, si riflette sul lavoro degli archeologi impegnati nelle attività di scavo. I turni sono a ciclo continuo, diurni e notturni. Le aree di scavo sono state indagate in successione. Questo per non interrompere il normale svolgimento delle liturgie e non ostacolare il flusso di pellegrini che ogni girono qui si riversano.
Gerusalemme è storicamente conosciuta come la meta privilegiata dai cattolici per i pellegrinaggi. La Terrasanta è stata la custode del Santo Sepolcro, e i tentativi dei cristiani di cacciare i nemici musulmani sono tanto famosi da attirare l’attenzione degli storici contemporanei. Armate di cavalieri cavalcarono il 7 giugno del 1099, dopo aver ucciso intere popolazioni non solo musulmane ma anche ebree. In questa maniera, secondo la loro visione, il Santo Sepolcro “veniva liberato”. Ma è stato davvero così?
Cosa succedeva esattamente
La prima crociata cominciò con la partenza di contingenti militari, guidati da personaggi illustri come il duca Goffredo di Buglione, da varie parti d’Europa. Dopo aver fatto fuori i “nemici”, con l’attacco a Costantinopoli nel 1095, i capi crociati si riunirono per gestire le terre appena occupate scegliendo come difensore supremo del Sacro Sepolcro Goffredo di Buglione. Egli diede vita al regno latino di Gerusalemme, anche se non fu letteralmente un re. Inoltre il titolo regale spettava solo al papa, che in quel periodo era Urbano II. Il titolo Terrasanta, oltre ad essere devozionale, era anche giuridico secondo le leggi di Giustiniano: le res sanctae non dovevano appartenere al potere terreno ma solo a quello spirituale.
Le conseguenze
Una delle tante conseguenze di questa crociata colpii proprio l’Italia. Le città commerciali di Pisa e Genova ebbero grande importanza nel commercio con il Levante, come ringraziamento per aver trasportato i crociati con le proprie navi. Estesero così la merce italiana verso le regioni appena conquistate. Venezia però non partecipò perché grande alleata dei musulmani, anche se ci guadagnò comunque qualcosa. Altra conseguenza fu la creazione di tre signorie feudali, concesse dallo stesso Goffredo, in Oriente: il principato di Antiochia, il principato di Edessa e la contea di Tripoli. L’ultima conseguenza fu la nascita di nuovi ordini. I monaci guerrieri avevano il compito di proteggere il viaggio dei pellegrini, sempre più numerosi nel periodo di Pasqua. Da difendere erano anche i cristiani residenti ma serviva una forza militare preparata per evitare i saccheggi. Nacquero così altri ordini religiosi chiamati monastico-militari che seguivano le stesse regole dei monaci ordinari. Come il voto di castità, la vita in comunità, la fedeltà verso il papa. Un esempio da citare è Bernando di Chiaravalle, il padre del monachesimo cistercense.
La prima crociata nell’arte
La crociata fu rappresentata da grandi opere nei secoli successivi, sia letterarie che artistiche. L’esempio più ovvio è La Gerusalemme liberata, il poema corale di Torquato Tasso, scritto nel 1580 dove il protagonista è lo stesso Goffredo di Buglione descritto come l’eroe senza paura. Iconico è anche il dipinto del 1835 di Francesco Hayez, raffigurante Urbano II nella piazza di Clermont mentre predica ad una folla di fedeli ammassati. Essi hanno gli occhi alzati e le braccia spalancate, come se avessero appena assistito ad un miracolo.
Il Parco archeologico del Colosseo riprende da venerdì 20 maggio le visite notturne dell’Anfiteatro Flavio, in collaborazione con Electa e Coopculture. Per questa edizione 2022 de “La luna sul Colosseo” è stato messo a punto un nuovo percorso.
Nel cuore del Colosseo
La visita guidata affronta sia la storia più nota del monumento, quella dell’Anfiteatro nell’antica Roma raccontata attraversando il piano dell’arena e i sotterranei, sia quella cristiana. Quest’ultima prende l’avvio dal dipinto murario del XVII secolo raffigurante una veduta ideale della città di Gerusalemme: grande novità del percorso di quest’anno.
L’itinerario attraversa le gallerie e passaggi in cui si svolgevano i preparativi degli spettacoli, dove erano stoccati i materiali scenici e dove gli animali, chiusi in gabbie, venivano poi caricati sui montacarichi per raggiungere il piano dell’arena per le venationes, le famose scene di caccia. L’arena era anche teatro dei combattimenti tra gladiatori. Attraversando una passerella di più di 160 metri le viscere del monumento non avranno più segreti e, con il favore della notte, si potrà rivivere appieno l’atmosfera che avvolgeva quegli spazi.
Un viaggio attraverso il tempo
Nel percorso di visita si inserisce per la prima volta la lettura multimediale del dipinto che raffigura una veduta ideale – a volo d’uccello – della città di Gerusalemme, posto sull’arco di fondo del fornice occidentale, la cosiddetta Porta Trionfale: la stessa dalla quale entravano i gladiatori e le belve che si affrontavano sull’arena. Il dipinto ricorda che il Colosseo ha continuato a vivere anche dopo la fine dell’impero romano. In particolare, nel 1750 per volontà di Papa Benedetto XIV è diventato sede dell’ormai tradizionale via Crucis, allo scopo di rafforzare il senso della missione storica del papato. La visita prosegue, infatti, passando davanti a una delle edicole della via Crucis e alla croce, entrambe poste lungo il perimetro dell’arena. Qui termina l’itinerario con lo straordinario affaccio sulla complessa ossatura dei sotterranei e sulla vastità degli spalti della cavea, scavati dalle ombre della notte e che ospitavano oltre 60 mila spettatori.
Il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza ha ricevuto l’incarico di sovrintendere la cerimonia di rimozione della prima pietra della Basilica e le successive attività di scavo. Per la prima volta sarà possibile indagare archeologicamente un monumento unico al mondo che racchiude vicende dall’altissimo valore storico e simbolico ed una stratificazione archeologica intensissima, che raccorda Oriente ed Occidente.
La prima pietra del Santo Sepolcro
Lunedì 14 marzo, con la cerimonia di rimozione della prima pietra del pavimento della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, hanno avuto inizio le attività di scavo archeologico. Le attività saranno coordinate dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza.
Si tratta di uno scavo particolarmente complesso. Si svolgerà in modo continuativo per oltre due anni e mezzo, in orario notturno e diurno. Il lavoro sarà organizzato in modo da consentire il regolare svolgimento delle funzioni religiose e agevolare il flusso dei pellegrini. Nel corso dello scavo le metodologie d’avanguardia verranno impiegate per preservare la multifunzionalità degli spazi.
Questo difficile contesto ha richiesto una preparazione particolarmente accurata. Nel corso degli ultimi mesi, si è posta particolare attenzione sia al campo scientifico e tecnico, sia motivazionale e psicologico. Questa preparazione è il risultato della disponibilità dei docenti dell’Ateneo.
Le attività di scavo
A dare la notizia è la rettrice Antonella Polimeni: “L’attività dei ricercatori del nostro Ateneo in uno dei luoghi più sacri per i cristiani e di grandissima importanza storico-artistica è motivo di orgoglio e conferma il primato Sapienza a livello internazionale anche in ambito umanistico.”
Giorgio Piras, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, dichiara: “Siamo particolarmente onorati e orgogliosi di mettere a disposizione le competenze dei nostri archeologi per un’impresa di notevolissima importanza scientifica e storica che vede una vasta collaborazione di tanti ricercatori Sapienza”.
È stata costituita un’équipe interdisciplinare composta da archeologi del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, storici e storici dell’arte del Dipartimento di Storia religioni antropologia arte spettacolo, ingegneri del Dipartimento di Ingegneria meccanica ed aerospaziale, e psicologi del Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione. Le attività di scavo saranno coordinate da Francesca Romana Stasolla del Dipartimento di Scienze dell’Antichità.
Il periodo pandemico
Nel 2019 la Custodia di Terra Santa ha affidato al Dipartimento le ricerche archeologiche connesse al progetto di restauro del pavimento della Basilica. Le operazioni di restauro, invece, sono state affidate alla Fondazione Centro Conservazione e Restauro La Venaria Realedi Torino.
Nel corso del periodo pandemico i lavori sono proseguiti con la predisposizione di strumenti finalizzati a rendere più efficiente il lavoro sul campo. Sono state studiate soluzioni aventi il fine di rendere più veloce la documentazione dei manufatti. È stato creato un database impiegato per accogliere le informazioni storiche e fisiche provenienti dalle indagini sul terreno, parte dei dati raccolti sono inediti.
Sono gli ultimi giorni del mese di Ramadan nella città sacra alle tre fedi abramitiche. In questo mese la Città Vecchia è piena di gente e di luci colorate che, di notte, indicano il periodo di festa. Durante Ramadan, oltre al digiuno, numerose usanze hanno luogo. Per i fedeli musulmani sono importantissime le cene, dette iftar, assieme alla comunità (spesso nei pressi della moschea di quartiere). Nonostante il Covid, in questi ultimi giorni la cosiddetta “Spianata delle Moschee” (la grande area che racchiude gli edifici della Cupola della Roccia e della Moschea Al-Aqsa) è sempre piena di gente che si reca a pregare o a condividere il pasto serale o ad adempiere alle altre attività e riti di questo mese santo, in un clima di attesa, gioia e sacralità.
Cosa sta succedendo negli ultimi giorni
A seguito delle proteste per gli sfratti di alcune famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah (a nord della Città Vecchia), da venerdì scorso sono iniziate alcune manifestazioni di protesta. Proprio dopo la preghiera di venerdì sera (lo scorso 7 maggio), alcuni manifestanti pare abbiano lanciato oggetti contro le forze di sicurezza israeliane schierate in assetto anti-sommossa. I militari avrebbero quindi aperto il fuoco ferendo, secondo la Mezzaluna Rossa, oltre 200 persone.
Le violenze continuano da venerdì, ma stamane, attorno alle 9.00 ora locale, le forze di sicurezza israeliane sono entrate all’interno della Moschea di Al-Aqsa sparando lacrimogeni, granate e proiettili di gomma e ferendo diverse persone, fra cui numerose donne che erano all’interno. Non si conosce ancora l’entità dei danni alla moschea stessa.
Perché è grave
Data l’importanza religiosa e culturale del sito, gli attacchi armati da parte di forze di sicurezza israeliane si configurerebbero, quindi, come un’aperta violazione della Convenzione dell’Aja sulla protezione dei Beni Culturali in caso di conflitto armato (art. IV) e del protocollo alla Convenzione di Ginevra del 1977 (art. 53).
Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha invitato Israele a «esercitare la massima moderazione e a rispettare il diritto alla libertà di riunione pacifica», secondo un portavoce. Il segretario generale ha anche espresso la sua profonda preoccupazione per le continue violenze a Gerusalemme Est, «così come per i possibili sgomberi di famiglie palestinesi dalle loro case».
Perché la Spianata delle Moschee è importante
La Spianata delle Moschee, conosciuta anche come Monte del Tempio, è il luogo dove, secondo la tradizione, Abramo stava per sacrificare suo figlio Isacco. Qui sorgeva il tempio di Salomone (purtroppo l’archeologia non ha restituito nessuna traccia della sua presenza). Il tempio salomonico fu distrutto a seguito della presa della città operata dai Babilonesi nel 586 a.C. Un nuovo tempio fu completato nel 515 a.C. e successivamente restaurato e ampliato da re Erode il Grande attorno al 19 a.C. Quando Tito, non ancora imperatore, distrusse e saccheggiò Gerusalemme nel 70 d.C, il tempio fu nuovamente raso al suolo. Successivamente l’imperatore Adriano edificò, sulle rovine del santuario ebraico, un tempio dedicato a Giove. Con l’avvento del cristianesimo venne deificata una basilica dedicata alla Vergine Maria, che rimase in uso per tutta l’epoca bizantina. I bizantini poi trasformarono il tempio in chiesa cristiana.
Nell’VII secolo Gerusalemme fu conquistata dagli arabi. I califfi Ommayadi edificarono la moschea di Al-Aqsa (nel 715); il tutto sopra i resti della chiesa bizantina e la Moschea di Omar, nota come Cupola della Roccia (nel 681), sul lato opposto della Spianata. Nel 1099 i crociati trasformarono Al-Aqsa in una chiesa e l’intera Spianata divenne la sede amministrativa del Regno di Gerusalemme. Cento anni dopo, nel 1187, Salah ad-Din riconquistò la città e riconsacrò i luoghi al culto islamico che ancora oggi è praticato con grande fervore.
La Spianata è inclusa, dal 1981, nella World Heritage List dell’UNESCO e, dal 1982 nella Danger List (la lista dei Beni Culturali in grave pericolo). L’UNESCO nel 2016 e nel 2017, in due controverse risoluzioni, ha ribadito la condanna di ogni attacco ai Beni Culturali di Gerusalemme e, in special modo, ai siti religiosi delle tre fedi.
Padre Michele Piccirillo è stato frate francescano della Custodia di Terra Santa, archeologo e professore presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. Ha legato indissolubilmente il suo nome all’archeologia cristiana in Medio Oriente e alle attività di archeologia pubblica, dialogo e costruzione della pace in Palestina e Israele.
La giovinezza e la “chiamata”
Nato a Carinola, un paese in provincia di Caserta, il 18 Novembre del 1944, fin da giovanissimo sentì la vocazione religiosa. A soli 16 anni si trasferì in Palestina, presso la Custodia di Terra Santa, dove intraprese il noviziato nell’ordine dei Frati minori: già durante gli anni del ginnasio Michele aveva sentito la vocazione religiosa ma, soprattutto, il profondo interesse per la Palestina, la terra di Gesù, ricca di testimonianze archeologiche cui il giovane novizio si interessò da subito.
Padre Michele terminò gli studi liceali a Betlemme nel 1965 e frequentò poi la Facoltà di Teologia allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, dove conseguì la licenza nel 1969. Nel giugno del 1967 aveva proferito i voti presso la chiesa del Cenacolo di Gerusalemme. Pochi mesi dopo, la “Guerra dei sei giorni” portò l’esercito israeliano ad occupare Gerusalemme est, fino ad allora sotto sovranità giordana. Durante i combattimenti Padre Piccirillo portò soccorso, assieme ai suoi confratelli, alle vittime del conflitto a Gerusalemme, Hebron, Jenin e altri luoghi della Palestina.
Tornato a Roma, nel 1969 fu ordinato sacerdote, conseguì la laurea in Sacra scrittura al Pontificio Istituto Biblico nel 1973 e quella in Archeologia alla Sapienza, con relatore Paolo Matthiae, nel 1975. Già nel 1974 era tornato a Gerusalemme, dove aveva assunto la docenza presso lo Studium Biblicum Franciscanum, ruolo che ricoprirà per tutta la vita diventando, nel 1984, Professore ordinario.
I primi scavi e la scoperta del Monte Nebo
All’inizio degli anni ’70 il francescano aveva condotto i primi scavi archeologici presso alcuni edifici proto-cristiani in Giordania, alle pendici del monte Nebo, la montagna dalla quale, secondo la Bibbia, Mosè avrebbe visto la Terra Promessa e sulla quale sarebbe stato sepolto.
Il monte Nebo, da allora, rimase sempre un luogo molto importante nella vita di Padre Piccirillo: nel 1976 assunse la direzione degli scavi al memoriale di Mosè sul monte Nebo, portando alla luce l’importante mosaico del battistero. Da quell’anno, non si contano i restauri e i ritrovamenti compiuti da padre Michele e dai suoi collaboratori: l’identificazione di Umm ar-Rasas – la biblica Kastron Mefa’a – nell’‘86; l’avvio della Scuola di Mosaico a Madaba nel ‘92; la pubblicazione del volume “The Mosaics of Jordan”, con la prefazione di re Hussein di Giordania nel ’93; il lavoro sull’area dell’antico santuario del Battesimo di Gesù a Betania, al di là del Giordano, nel ’96; l’organizzazione del Congresso internazionale per il centenario della Carta di Madaba nel ’97.
I mosaici di pace
Sebbene fosse eccellente epigrafista, storico e teologo, Padre Michele ebbe sicuramente una predilezione per lo studio e il restauro dei mosaici bizantini e paleocristiani in Giordania e Palestina. Dal 1976 non abbandonò mai le ricerche sul monte Nebo, dove volle realizzare anche una nuova foresteria per i pellegrini, nonché il suo “quartier generale” per le ricerche in Giordania.
Il “frate archeologo” ebbe la ventura di vivere gran parte della sua vita nella Palestina occupata, una terra di conflitto, eppure fu capace di intrattenere ottime relazioni culturali e diplomatiche con tutte le parti in causa, tanto da essere uno dei pochi ai quali era concesso di muoversi liberamente tra Siria, Giordania, Palestina e Israele.
Per Padre Michele lo studio scientifico dell’archeologia era veicolo di fede: l’archeologia gli permetteva di conoscere il passato, ma anche, e soprattutto, di essere testimone di un presente complesso e travagliato. La ricerca archeologica era un’importante mezzo per restituire il monumento alle comunità locali, creare itinerari turistici che potessero incentivare lo sviluppo sostenibile, creare consapevolezza e orgoglio verso un passato troppo spesso reso distante dall’archeologia coloniale, condotta per quasi un secolo su entrambe le sponde del Giordano. Nei progetti della Custodia di Terra Santa l’archeologo francescano introdusse laboratori per i giovani, corsi professionali per il restauro del mosaico (a Madaba e a Gerico) e visite guidate per le scuole.
In questo senso, l’archeologia fu per Padre Piccirillo un modo per costruire la pace. In uno dei suoi ultimi diari scrive: «Tra i modi per contribuire all’intesa e alla pace tra le popolazioni del Medio Oriente, al monte Nebo abbiamo scelto quello che è più congeniale con il nostro lavoro di archeologi (…), e ne siamo stati ampiamente ripagati non soltanto sul piano professionale, ma anche come frati minori seguaci di Francesco, che in Egitto andò a parlare pacificamente con il sultano Malik al-Kamil, nipote di Saladino. Il restauro dei mosaici, in gran parte pavimenti delle chiese costruite nella regione dal V all’VIII secolo, ci ha dato la possibilità di conservare un patrimonio d’arte e di fede e di sviluppare parallelamente un’opera di dialogo e di amicizia che sono i fondamenti della pace».
La morte
Nel 2008 Padre Piccirillo dovette rientrare in Italia a causa di una malattia incurabile. Morì il 26 Ottobre del 2008, a Livorno, dove si stava curando. Alle esequie parteciparono tantissimi colleghi archeologi, architetti, storici, restauratori. La salma fu seppellita presso il santuario del monte Nebo, da dove immaginiamo che la sua anima guardi la valle del Giordano, nell’attesa di vedere una Terra Santa che risplenda di una pace giusta e libera.
Father Michele Piccirillo was a Franciscan friar of the Custody of the Holy Land, archaeologist and professor at the Studium Biblicum Franciscanum in Jerusalem. He has inextricably linked his name to Christian archaeology in the Middle East and to public archaeology, dialogue and peace building activities in Palestine and Israel.
Youth and the “call”
Born in Carinola, a town in the province of Caserta, on November 18th, in 1944, he felt the religious vocation from a very young age. At the age of 16 he moved to Palestine, to the Custody of the Holy Land, where he undertook the novitiate in the order of the Friars Minor: already during the years of high school Michael had felt the religious vocation but, above all, the deep interest in Palestine, the land of Jesus, rich in archaeological evidence which the young novice was immediately interested in.
Father Michele finished his high school studies in Bethlehem in 1965 and then attended the Faculty of Theology at the Studium Biblicum Franciscanum in Jerusalem, where he obtained his license in 1969. In June 1967 he had made his vows at the church of the Upper Room in Jerusalem. A few months later, the “Six Day War” led the Israeli army to occupy East Jerusalem, hitherto under Jordanian sovereignty. During fightings, Father Piccirillo brought relief, together with his brothers, to the victims of the conflict in Jerusalem, Hebron, Jenin and other places in Palestine.
Returned to Rome, in 1969 he was ordained a priest, he obtained a degree in Sacred Scripture at the Pontifical Biblical Institute in 1973 and that in Archaeology at Sapienza, with relator Paolo Matthiae, in 1975. In 1974 he had already returned to Jerusalem, where he had taken up teaching at the Studium Biblicum Franciscanum, a role he will cover for his entire life, becoming, in 1984, Full Professor.
The first digs and the discovery of Mount Nebo
In the early 1970s, the Franciscan had conducted the first archaeological digs at some proto-Christian buildings in Jordan, on the slopes of Mount Nebo, the mountain from which, according to the Bible, Moses would have seen the Promised Land and on which he would have been buried.
Mount Nebo, since then, has always remained a very important place in the life of Father Piccirillo: in 1976 he took over the direction of the excavations at the memorial of Moses on Mount Nebo, bringing to light the important mosaic of the baptistery. Since that year, the restorations and findings made by Father Michele and his collaborators have not been counted: the identification of Umm ar-Rasas – the biblical Kastron Mefa’a – in ’86; the start of the Mosaic School in Madaba in ’92; the publication of the volume “The Mosaics of Jordan”, with the preface by King Hussein of Jordan in ’93; the work on the area of the ancient sanctuary of the Baptism of Jesus in Bethany, beyond the Jordan, in ’96; the organization of the International Congress for the centenary of the Madaba Charter in ’97.
The mosaics of peace
Although he was an excellent epigraphist, historian and theologian, Father Michele certainly had a predilection for the study and restoration of Byzantine and early Christian mosaics in Jordan and Palestine. Since 1976 he never abandoned his research on Mount Nebo, where he also wanted to build a new guesthouse for pilgrims, as well as his “headquarters” for research in Jordan.
The “archaeologist friar” had the fortune of living most of his life in occupied Palestine, a land of conflict, yet he was able to maintain excellent cultural and diplomatic relations with all the parties involved, so much so that he was one of the few to whom he was allowed to move freely between Syria, Jordan, Palestine and Israel.
According to Father Michele the scientific study of archeology was a vehicle of faith: archaeology allowed him to know the past, but also, and above all, to witness a complex and troubled present. The archaeological research was an important means of returning the monument to local communities, creating tourist itineraries that could incentivize sustainable development, create awareness and pride in a past too often distant from colonial archeology, conducted for almost a century on both sides. shores of the Jordan. In the projects of the Custody of the Holy Land, the Franciscan archaeologist introduced workshops for young people, professional courses for the restoration of the mosaic (in Madaba and Jericho) and guided visits for schools.
In this sense, archeology was for Father Piccirillo a way to build peace. In one of his latest diaries he writes: “Among the ways to contribute to understanding and peace among the peoples of the Middle East, on Mount Nebo we have chosen the one that is most congenial with our work as archaeologists (…), and we are amply rewarded not only professionally, but also as friars minor followers of Francis, who went to Egypt to speak peacefully with Sultan Malik al-Kamil, Saladin’s nephew. The restoration of the mosaics, mostly floors of the churches built in the region from the 5th to the 8th century, has given us the opportunity to preserve a heritage of art and faith and to develop at the same time a work of dialogue and friendship that are the foundations of peace “.
Death
In 2008 Father Piccirillo had to return to Italy due to an incurable disease. He died on October 26th,in 2008, in Livorno, where he was being treated. Many fellow archaeologists, architects, historians and restorers took part in the funeral. The body was buried at the sanctuary of Mount Nebo, from where we imagine that his soul looks over the Jordan Valley, waiting to see a Holy Land that shines with a just and free peace.
Per più di centocinquanta anni gli scavi nella Città di Davide, il sito originale di Gerusalemme, hanno riportato alla luce porzioni della città nella sua facies romana. In un simile lasso di tempo, in particolare, è emersa la strada monumentale a gradoni che, partendo dal cancello meridionale, fiancheggiava la piscina di Siloe e giungeva al Monte del Tempio.
La larghezza della carreggiata, che misura circa 8 m, e la qualità della sua costruzione, che, indubbiamente, avrà richiesto grande impiego di abili lavoratori specializzati, sono chiaro sintomo dell’importanza che questa strada dovette avere in antico.
Ipotesi di datazione
Inizialmente, le prime ipotesi di datazione, basate sui vari ritrovamenti ceramici e numismatici, fissavano vagamente la costruzione della strada tra il regno di Erode il Grande (37-4 a.C.) e la Prima Rivolta Giudaica (66 d.C.). Recentemente, invece, gli archeologici hanno portato alla luce due segmenti della strada monumentale, come quello vicino la Piscina di Siloe, lungo circa 220 m, le cui analisi gettano nuova luce sulla cronologia. Dall’area di scavo vicino la piscina, precisamente dal riempimento costruttivo al di sotto dei lastroni, che costituivano il piano pavimentale della strada, sono state recuperate numerose monete: le più recenti non vanno oltre il 31 d.C. – data che determina un terminus post quem per la realizzazione della strada – e sono state coniate, quindi, dal governatore della Giudea sotto l’imperatore Tiberio. All’interno del riempimento di fondazione del secondo segmento stradale, corrispondente all’area di scavo S, sono state rinvenute altre monete, le più antiche delle quali si collocano tra il 17 e il 25 d.C.
La strada
Gli scavi dell’area S ci rivelano come la strada fosse delimitata, da entrambi i lati, da un cordolo, in pietra calcarea, largo 0,6 m e rialzato dal livello stradale di circa 0,15 m. La strada è stata sigillata da uno spesso strato di distruzione, risalente al devastante attacco a Gerusalemme operato dall’imperatore Tito nel 70 d.C; tale strato, a sua volta, è stato coperto da grosse pietre, derivanti dal collasso delle strutture durante la distruzione della città. Al livello di distruzione appartengono i resti di un podio a gradoni, frammenti ceramici e gruppi di monete risalenti alla Prima Rivolta Giudaica: questi dati fissano il terminus ante quem al 70 d.C.
Secondo il parere di Nahshon Szanton, Moran Hagbi, Joe Uziel e Donald T. Ariel, dal momento che gran parte delle monete di I secolo d.C., rinvenute durante gli scavi a Gerusalemme, si data dopo il 41/42 d.C., quando Agrippa I cominciò a battere moneta come governatore della Giudea per conto dell’imperatore Claudio, la progettazione e l’inizio della costruzione della strada di Gerusalemme sarebbero da attribuire a Ponzio Pilato, che fu governatore della Giudea per un decennio – dal 26 al 35/36 d.C. – per conto dell’imperatore Tiberio; la strada doveva, quindi, essere stata completata sotto il governatorato di Agrippa I.
Ponzio Pilato
Ponzio Pilato è un personaggio storico malvisto tanto dagli Ebrei quanto dai Cristiani. La motivazione di questi ultimi è da ricercarsi nel ruolo centrale che il governatore ebbe nell’esecuzione di Gesù intorno al 30 d.C. Per i primi, invece, egli fu un cattivo amministratore che, volendo imporre il paganesimo romano, suscitò la rabbia del popolo, ignorando il tabù delle immagini scolpite e rubando i donativi del Tempio per costruire un nuovo acquedotto. Così agendo, dunque, costui pose le basi per la ribellione, che avrebbe portato alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., per mano dell’imperatore Tito.
Tuttavia, l’attribuzione della costruzione della strada monumentale a Ponzio Pilato proverebbe che il governatore abbia avuto cura di abbellire Gerusalemme, che attirava pellegrini e visitatori da tutto l’Impero Romano. Infatti, Nahshon Szanton, archeologo dell’Università di Tel Aviv, ipotizza che la costruzione della strada sia stata pensata da Ponzio Pilato proprio “per placare gli animi dei cittadini di Gerusalemme”, ma anche “per accrescere il suo nome attraverso importanti progetti edili”.
L’antitesi
Non mancano i pareri contrari alla ricostruzione storica proposta dai già menzionati studiosi. Jodi Magness, ad esempio, archeologo dell’Università della Carolina del Nord, afferma che “il materiale che stanno trovando proviene da riempimenti che potrebbero essere stati portati con carriole da qualsiasi luogo”, dimostrandosi scettico riguardo la datazione. Inoltre, definisce “inaccettabile” il metodo di scavo utilizzato dagli archeologi che, invece di procedere in senso verticale, dalla superficie verso il basso, hanno realizzato un grande tunnel, preferendo un andamento orizzontale e, a detta di Magness, non considerando il contesto. Tuttavia, gli archeologi si giustificano affermando che un simile metodo è stato pensato per evitare di evacuare e smantellare il densamente popolato quartiere palestinese che si trova al di sopra degli scavi in questione.
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