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Festa del papà: un consiglio dai Babilonesi

Nella ricorrenza di oggi, nota ai più come La Festa del Papà, può essere interessante lanciare uno sguardo al passato per intendere quale fosse il valore della paternità. Solo una breve occhiata  verso un mondo scomparso che, per certi versi, non era poi così differente dal nostro.  

Una storia vecchia quasi quanto la storia

Talvolta, la vita può mettere in crisi il suo protagonista. Traumi, delusioni, abbandoni possono allontanare l’uomo dal centro del suo mondo. Si tratta di fughe, magari fisiche, come l’uscir di casa per non far ritorno, o introspettive, attraverso il rifiuto del dialogo o l’apatia. Per certi versi tale condizione mosse le azioni di un uomo, eroe di uno dei più antichi componimenti mai scritti dall’uomo: Gilgameš. Costui fu realmente un grande re del passato, e attorno la sua fama si costruì un filone di storie leggendarie che, infine, furono riordinate in un’unica opera, l’Epopea di Gilgameš. Seppur le sue gesta siano perlopiù rivolte alla ricerca dell’immortalità, vi è un passo nel componimento che vale la pena citare a proposito dell’odierna festa del papà. Un consiglio dal passato, e forse il senso stesso della vita. 

Siduri, Thom Capheim (1999)

Il saggio consiglio 

Gilgameš vaga disperato, incapace di accettare la morte dell’amico Enkidu e, di conseguenza, l’inevitabilità della propria. Nella sua folle ricerca dell’immortalità arriva in un luogo sperduto, in riva al mare, dove incontra la saggia Siduri. Nella versione paleo-babilonese dell’opera i due hanno un breve dialogo, la cui profondità trascende il tempo. È Siduri a parlare, cercando di far ragionare il confuso eroe: Gilgameš ma dove vai vagando? Non troverai mai la vita che cerchi! Da quando gli déi crearono l’umanità riservarono la morte per l’uomo. E quindi il consiglio: Per ciò che ti concerne, Gilgameš […] Guarda con tenerezza il bambino che ti tiene la mano, e che la tua sposa non cessi di gioir nei tuoi abbracci! Tale, infatti, è il destino degli uomini!. Un pensiero di quattro millenni fa, eppure così eterno. Pertanto, in questa giornata dedicata ai papà, tanti auguri anche da parte del nostro passato.

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EATME | 19 Marzo, San Giuseppe: le tavole imbandite in suo onore

Il 19 marzo la Chiesa cattolica ricorda San Giuseppe con solennità. Non solo la Chiesa ma anche i credenti. Immaginate delle enormi assi di legno che ogni anno, esattamente dal 18 al 19 marzo, vengono magistralmente preparate e imbandite di ogni leccornia tipica regionale: stiamo parlando delle tavole e tavolate di San Giuseppe. Tradizionalmente chiamate “taule” nel Salento e “tavuli’ri’ in Sicilia, le zone d’Italia dove tale usanza è nata e, ancora oggi, celebrata e attesa.

Le tavole imbandite per San Giuseppe in Salento

Nel Salento le tavole, la cui preparazione inizia una settimana prima, sono allestite con tovaglie bianche ricamate a mano e con al centro l’immagine del Santo, dei pani a forma di ciambella, un finocchio, un’arancia. Ciò avviene in particolare nei comuni di San Cassiano, Lizzano, Faggiano, Torchiarolo, San Pietro Vernotico, San Donaci e Giurdignano. Si susseguono poi una serie di nove portate, ciascuna con un proprio significato. Si parte dalle pasta e ceci (“ciceri e tria”) che rappresenta i colori del Narciso; lampagioni sott’olio (“pampasciuli”), ovvero il simbolo del passaggio dall’inverno alla primavera; il cavolfiore che rappresenta il bastone fiorito di San Giuseppe; sino alle cartellate (“ncarteddhate”), simbolo delle fasce con cui venne avvolto il Bambin Gesù. E, infine, le tanto blasonate “zeppole”, dolci di origine napoletana fritti e ripieni di crema pasticcera.

A onor del vero, in questa zona tale rito non nacque come segno di devozione al padre putativo del Messia ma piuttosto, come occasione per dar da mangiare alla classe più povera che spesso, non aveva i mezzi sufficienti per garantirsi ogni giorno un pasto caldo. Ai giorni nostri, invece, i devoti preparano queste portate luculliane per ringraziare San Giuseppe di una qualche grazia ricevuta, rinnovando la speranza che egli esaudisca i desideri più reconditi.

I festeggiamenti in Sicilia

Anche nella soleggiata Trinacria si usa imbandire delle tavolate per onorare il patrono dei falegnami. Lo si fa con il meglio della tradizione culinaria siciliana: pasta con le sarde e finocchi, salsicce, formaggi, broccoli, cardi, altre verdure fritte e in ultimo dolci come i cannoli e le cassate. In particolare, in alcuni paesi della Sicilia occidentale, nelle case degli abitanti vengono preparati alcuni spazi con le pareti addobbate di quadri antichi che ritraggono San Giuseppe e la Sacra famiglia; gli altari sono impreziositi con tovaglie di lino ricamate dalle donne di casa. I piatti sono un centinaio e al centro della mensa c’è un tavolo decorato con porcellane, cristalli e argenti che ospiterà i tre bambini che rappresentano Gesù, Giuseppe e Maria. Inoltre, viene messo a disposizione uno spazio raccolta spesa per chi desidera donare del cibo alle famiglie più povere.
I padroni di casa fanno preparare del pane di forma rotonda, di varie misure, con sesamo. Questo viene tagliato nella parte sovrastante con una croce, viene benedetto e donato a tutti coloro che visitano la mensa. La giornata è generalmente vissuta pregando e cantando antiche novene al Santo.
È doveroso ricordare che il 19 marzo ricorre anche la “festa del papà”. Celebrata in vari paesi del mondo, è accompagnata da un regalo da porgere al proprio padre, da sempre simbolo, per ogni famiglia, di vigilanza, provvidenza e armonia familiare.

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EatMe | Le sfinci messinesi di San Giuseppe per la Festa del Papà

Spesso il calendario liturgico funge da ispirazione per ricette dolci o salate che appartengono alla nostra cucina tradizionale.

Il 19 Marzo è proprio una di quelle date. Il giorno di San Giuseppe, nonché la festa del Papà, a Messina si è soliti preparare le sfinci di San Giuseppe.

Questo piatto, abbastanza povero di ingredienti, veniva preparato e utilizzato come offerta votiva del santo per ottenere la grazia.

Le sfinci non sono altro che dei piccoli dolcetti fritti ripieni di uva passa (o gocce di cioccolato), ricoperti di zucchero semolato.

 

DIFFICOLTA: BASSA

TEMPO DI PREPARAZIONE: 60 MINUTI

TEMPO DI COTTURA: 30 MINUTI

 

INGREDIENTI

500 g di farina

500 ml dacqua

200 g di uva passa (o gocce di cioccolato)

20 g di lievito di birra

100 g di zucchero

Scorza grattugiata di unarancia

Mezza tazza di liquore aromatizzato (rum o marsala)

3 cucchiai di olio extravergine

10 g di sale

Zucchero semolato q.b

Olio di arachidi (per friggere)

 

 

PREPARAZIONE 

Sciogliere il lievito di birra in 50 ml dacqua, rigorosamente tiepida.

Setacciate la farina allinterno di una ciotola e create il classico foro centrale, nel quale andrete a mettere il lievito ammorbidito e lolio.

Prendete luvetta e lasciatela in ammollo per 15 minuti in acqua tiepida. Trascorsi i minuti richiesti, asciugatela su carta assorbente e infarinatela

La preparazione dellimpasto è davvero la parte più importante della nostra ricetta. Enecessario che venga lavorato per bene. Mettete tanta energia e, man mano che impastate, aggiungete lacqua.

Una volta che limpasto riuscirà a staccarsi dalla ciotola aggiungete luvetta, la scorza di arancia, il sale ed il liquore aromatizzato.

Coprire limpasto per almeno unora e lasciate riposare.

La cottura

Appena questultimo sarà pronto, ricavate  delle piccole porzioni da friggere nellolio caldo.

Raggiunta la doratura, scolateli dallolio con una schiumarola e appoggiateli su carta asssorbente.

Quando saranno fritti arrotolateli nello zucchero semolato e serviteli su un bel piatto da portata.

Per gli amanti della cannella, potete dare un tocco in più alla vostra ricetta andando ad unire lo zucchero semolato e la cannella, così, una volta fritti e scolati, potete avvolgerli in questa unione di sapori.

Come vedete bastano pochi passaggi per creare una ricetta davvero sfiziosa.