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ACCADDE OGGI | Il sacrificio di Borsellino nella lotta alla Mafia

Paolo Borsellino viene considerato, insieme a Giovanni Falcone, una delle personalità più importanti nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale. Nacque a Palermo nel 1940, nello stesso quartiere dell’amico d’infanzia Giovanni Falcone.

Paolo Borsellino

La vita e l’ingresso nella magistratura

Nel 1958 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Palermo. Si laureò cinque anni più tardi e nel 1963, dopo aver vinto il bando del concorso per entrare nella Magistratura Italiana, diventò il più giovane magistrato d’Italia e cominciò il tirocinio come uditore giudiziario.


La nascita del primo pool antimafia

Il capo dell’Ufficio Istruzione di quegli anni, Rocco Chinnici, istituì il primo “pool antimafia”, ossia un gruppo di magistrati che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso e, lavorando in gruppo, avrebbero avuto una visione più chiara e completa del fenomeno mafioso e, di conseguenza, la possibilità di combatterlo in modo più efficace. Chinnici chiamò Borsellino a fare parte del pool insieme a Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta.

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Rocco Chinnici, l’ideatore del primo “pool antimafia”

 

Nel 1983, dopo che Chinnici rimase ucciso nell’esplosione di un’autobomba, giunse a Palermo da Firenze il giudice Antonio Caponnetto che ne prese il posto.

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Il giudice Antonio Caponnetto

Su cosa lavorava il pool

Secondo il racconto dello stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei magistrati che lavoravano individualmente e separatamente, senza che avvenisse scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue. Le indagini del pool si basarono soprattutto su accertamenti bancari e patrimoniali, vecchi rapporti di polizia e carabinieri, ma anche su nuovi procedimenti penali, che consentirono di raccogliere un abbondante materiale probatorio. Nello stesso periodo Falcone incominciò a raccogliere le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno. La loro attendibilità venne confermata dalle indagini del pool: infatti, le dichiarazioni di Buscetta produssero 366 ordini di cattura, mentre quelle di Contorno altri 127 mandati di cattura; nonché una serie di arresti eseguiti tra Palermo, Roma, Bari e Bologna.

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Tommaso Buscetta (Foto: Livio Anticoli/Gamma-Rapho via Getty Images)
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Salvatore Contorno

La protezione all’Asinara e il maxiprocesso

Nell’estate del 1985, per ragioni di sicurezza, Falcone e Borsellino furono trasferiti insieme con le loro famiglie nella foresteria del carcere dell’Asinara per scrivere l’ordinanza-sentenza di 8000 pagine che rinviava a giudizio 475 indagati in base alle indagini del pool. Il maxiprocesso di Palermo, che scaturì dagli sforzi del pool, cominciò nel 1986 in un’aula bunker appositamente costruita all’interno del carcere dell’Ucciardone per accogliere i numerosi imputati e avvocati, per concludersi nel 1987 con 342 condanne, tra cui 19 ergastoli.

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Il carcere dell’Ucciardone a Palermo, sede del maxiprocesso

Mentre il maxiprocesso di Palermo si stava avviando verso la sua conclusione, Antonio Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti – Borsellino compreso – si aspettavano che al suo posto fosse nominato Falcone, ma, contrariamente alle aspettative, il Consiglio superiore della magistratura nominò Antonino Meli.

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Antonino Meli

Borsellino parlò allora in pubblico raccontando quel che stava accadendo alla Procura della Repubblica di Palermo: «Si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all’Ufficio», «Hanno disfatto il pool antimafia», «Hanno tolto a Falcone le grandi inchieste», «La squadra mobile non esiste più», «Stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa». A causa di queste dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare e fu messo sotto inchiesta. Però, a seguito di un intervento del Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si decise di indagare su ciò che succedeva nel Palazzo di Giustizia.

La strage di Capaci

Nel maggio del 1992, in un attentato dinamitardo sull’autostrada A29 all’altezza di Capaci, persero la vita Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti della scorta. Falcone morì fra le braccia di Borsellino in ospedale, senza riprendere mai conoscenza. Borsellino dichiarò a Lamberto Sposini: «Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano».

Il momento della strage – Capaci (PA), 1992

Gli ultimi 57 giorni e la strage in via D’Amelio

I 57 giorni che separarono la strage di Capaci da quella in via D’Amelio furono i più difficili per Borsellino, il quale, duramente colpito dalla morte del collega e amico e nonostante fosse consapevole di essere il prossimo obiettivo della vendetta di Cosa Nostra, continuò a lavorare con frenetica intensità; fu ostacolato, però, dal capo della Procura palermitana che arrivò a nascondergli il contenuto di un’informativa del ROS dei Carabinieri che segnalava il pericolo di un imminente attentato nei suoi confronti, circostanza che Borsellino apprese solo casualmente durante una conversazione con l’allora Ministro della Difesa. Borsellino non solo era a conoscenza di essere nel mirino di Cosa Nostra, ma preferiva che non si stringesse troppo la protezione attorno a sé, così da evitare che l’organizzazione scegliesse come bersaglio qualcuno della sua famiglia.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992, anno in cui furono uccisi entrambi

A giugno Borsellino tenne il suo ultimo discorso nell’atrio della biblioteca di Casa Professa: «Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto d’amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato».

Il 19 luglio 1992, alle 16:58, una Fiat 126 imbottita di esplosivo, che era parcheggiata sotto l’abitazione della madre, detonò al passaggio di Borsellino che stava andando a trovarla, uccidendo lui e anche i cinque agenti di scorta.

La strage di Via D’Amelio a Palermo

Circa 10.000 persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino; i familiari rifiutarono il rito di Stato: la moglie Agnese, infatti, accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici. L’orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi».

Fu una strage di Stato?

Molti hanno parlato della strage di via D’Amelio come “strage di Stato”.

Il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore Borsellino, ne parlò in modo esplicito: «Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l’assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D’Amelio come una strage di mafia. Devo dire che, purtroppo, una buona parte dell’opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa – televisione e giornali – è caduta in questa “trappola”».

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo

Bisogna ricordare

In occasione della ricorrenza dei 25 anni dalla strage di via D’Amelio, Fiammetta Borsellino, ultimogenita del magistrato Paolo, in un’intervista ha detto: «Ai magistrati in servizio dopo la strage di Capaci rimprovero di non aver sentito mio padre nonostante avesse detto di voler parlare con loro. Non hanno nemmeno disposto l’esame del DNA. Non furono adottate le più elementari procedure sulla scena del crimine. Il dovere di chi investigava era di non alterare i luoghi del delitto. Ma su via D’Amelio passò la mandria di bufali».

Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo

Alla memoria del magistrato italiano, inoltre, furono intitolate numerose scuole e associazioni, nonché (insieme all’amico e collega Falcone) l’aeroporto internazionale “Falcone e Borsellino” di Palermo (ex “Punta Raisi”) e l’aula principale (Aula I) della Facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma.

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ILLUSTRI SICILIANI | Il coraggio di Giovanni Falcone

Giovanni Salvatore Augusto Falcone nasce a Palermo il 18 Maggio 1939, nello stesso quartiere di Paolo Borsellino. È tra le più famose vittime di mafia dell’ultimo secolo, nonché illustre magistrato i cui ideali ispirano ancora oggi tantissimi giovani.

Giovanni Falcone e l’amico Paolo Borsellino

A causa dei bombardamenti americani, Giovanni e la famiglia dovette trasferirsi dapprima a Sferracavallo, un borgo della riserva marina dell’Isola delle Femmine, e poi a Corleone, presso i familiari della madre Luisa Bentivegna. Questo breve soggiorno segnerà il giovane Giovanni e influirà sui suoi studi e sulle battaglie anti-mafiose.

Tornato a Palermo intraprende gli studi classici e frequenta assiduamente la chiesa di Padre Giacinto e l’Oratorio, grazie alle cui attività conosce il succitato Paolo Borsellino. A Livorno frequenta l’Accademia Navale con l’intenzione, poi, di laurearsi in Ingegneria. Dopo poco tempo, il giovane Giovanni si rende conto che la vita militare non è a sua strada e torna a Palermo. Qui si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza e comincia la sua strada per diventare magistrato.

Un altro importante avvenimento che segna la vita di questo personaggio è l’ulteriore trasloco della famiglia a Falcone causato dal cosiddetto “Sacco di Palermo” operato da Vito Ciancimino, assessore comunale e figlio del barbiere di Corleone, che proprio Falcone arresterà per associazione mafiosa.  

A seguito dell’attentato al giudice Cesare Terranova, avvenuto il 25 settembre 1979, Falcone comincia a lavorare a Palermo presso l’Ufficio istruzione e l’allora consigliere istruttore, Chinniti Rocco, gli affida le indagini contro Rosario Spatola. È il 1980 e questa è la prima esperienza di Giovanni Falcone. Durante questa indagine comincia a formarsi il cosiddetto metodo Falcone: un innovativo modo di istruire i processi per mafia, che utilizzava gli strumenti forniti dal codice adattandoli a una nuova visione del fenomeno mafioso. In realtà egli non inventò nulla di nuovo, in quanto si trattava di un semplice incrocio di dati provenienti da fonti diverse, che permetteva di mettere insieme le diverse porzioni di indagine che ondeggiavano tra realtà politica e realtà economica. L’intuizione forse più intelligente di Falcone è sintetizzata da una frase che egli amava ripetere: La droga può anche non lasciare tracce, il denaro le lascia sicuramente.

Seguendo questo nuovo metodo di indagine, l’operato di Giovanni Falcone ha contribuito all’arresto di numerosi criminali. Tutto questo e stato possibile grazie all’aiuto di numerosi collaboratori, tra cui Paolo Borsellino con il quale fonda un Pool Antimafia che ha lo specifico obiettivo di smantellare Cosa Nostra.

Nonostante i successi nella lotta alla mafia non mancano le numerose critiche che vorrebbero indurre a credere quest’uomo come servo del potere che ad esso si era venduto. A tal proposito ricordiamo una delle sue più celebri frasi: Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.

E lo Stato non è riuscito a proteggere nemmeno lui: il 23 Maggio 1992 l’auto su cui viaggiava con la moglie Francesca Morvillo e le auto della sua scorta vengono fatte saltare in aria, con 1000 kg di tritolo, a Capaci. La mafia ha deciso di uccidere quest’uomo perché era tropo pericoloso per la sua sopravvivenza, perché stava veramente riuscendo a sgominarla senza svendersi ad essa e perché è stato lasciato solo da chi aveva troppa paura per affrontarla a viso aperto, dimenticandosi che La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni (G. Falcone).

Il ricordo di persone come Giovanni Falcone è vivo nei cuori dei siciliani e di molti italiani, tanto che, ogni anno, si ricorda l’anniversario della sua morte con cortei e manifestazioni che omaggiano la grande dedizione sociale che aveva quest’uomo.