Il 2 giugno ricorre la Giornata Nazionale dedita ai festeggiamenti per la nascita della Repubblica Italiana.
Le prime celebrazioni
Le prime celebrazioni avvennero nei due anni seguenti alla proclamazione della Repubblica nel 1946; il 2 giugno, però, diventa data ufficiale per la Festa solo nel 1949.
La prima manifestazione ufficiale avvenne in piazza Venezia di fronte al Vittoriano; dopo la deposizione della corona di d’alloro al Milite Ignoto da parte del presidente della Repubblica Luigi Einaudi, gli stendardi delle forze armate salirono la scalinata del monumento e resero omaggio al presidente con un inchino.
Dalla mobilità alla data definitiva
Nel 1961 la sede dei festeggiamenti venne spostata a Torino per celebrare la prima capitale del d’Italia. Nel 1965 alla parata parteciparono anche gli stendardi delle unità militari soppresse che presero parte alla Prima Guerra Mondiale, come commemorazione per il 50° anniversario dall’entrata in guerra dell’Italia; la stessa unione d’intenti avvenne nel 2018 per il 100° anniversario dalla fine della Prima Guerra Mondiale.
Dal 1977 al 2001 la Festa subì cambiamenti di date e ridimensionamenti a causa di crisi economiche e sociali, ma, alla fine, grazie al presidente Carlo Azeglio Ciampi la festa ritornò ad essere celebrata il 2 giugno, abbandonando lo status di festa mobile.
La Festa al tempo del COVID-19
Nel 2020, a causa della pandemia per il Coronavirus, la Festa la celebrazione venne tenuta a Codogno (LO) dove si registrò il primo focolaio italiano.
Nella settimana appena trascorsa è stato pubblicato da Einaudi “Lo stretto sentiero del profondo Nord “, il capolavoro letterario del padre degli haiku Bashō, nome d’arte di Matsuo Munefusa (1644-94). Si tratta del racconto di un viaggio durato 156 giorni, che attraversa le località più suggestive del Giappone e scandito da haibun, un mix letterario di prosa e haiku, che impreziosisce il testo al punto da renderlo un pilastro della storia della letteratura giapponese. Quello che Einaudi presenta è un testo finora inedito in Italia, comparso solo a tratti sporadicamente su qualche pubblicazione del settore del Sol Levante, l’editore ci da così accesso alla principale opera dell’autore originario di Iga. Perchè nonostante sia un testo scritto nel XVII secolo, quindi abbastanza datato Einaudi sceglie di pubblicare oggi un testo del genere? La risposta è più ovvia di quel che sembra, la scrittura di Bashō, con le sue ambientazioni quotidiane e semplici, ed i suoi versi liberi da forma metrica in apparenza, ci restituiscono l’immagine di un Giappone pieno di fascino, che immerge il lettore in un’esperienza sensoriale.
Prima di immergervi nella lettura di questo “nuovo” libro, vi proponiamo un tuffo nella genesi della poesia di Bashō e nell’ispirazione da cui nascono i tradizionali versi giapponesi, che col trascorrere dei secoli assumono forme e valenze diverse. L’haikai e l’haiku di Bashō, devono la propria origine all’usanza di comporre brevi poesie, formate da trentuno sillabe distribuite in versi 5-7-5-7-7, chiamate waka o uta. Esse sono parte di una tradizione risalente al periodo Nara (710-784). Successivamente prese piede la pratica del renga, non più semplice composizione di waka o uta ma un vero e proprio gioco, in cui le trentuno sillabe venivano divise in due parti e composte da due persone diverse, la prima parte composta da 5-7-5 sillabe era chiamato chōku (ku lungo), la seconda da 7-7 sillabe tanku (ku breve).
Nascevano così gli incontri di renga in cui un partecipante elaborava un chōku e un altro lo seguiva con tanku, poi un altro chōku e così via, ogni verso doveva essere ispirato al precedente affinché il componimento avesse forma e coerenza. Insomma, un continuo incatenarsi di versi che nel periodo Kamakura (1192-1333) si stabilì nella forma del hyaku, cioè fino a cento ku. Sulla base di questa usanza nel XIV secolo nacque l’haikai no renga abbreviato in haikai, andò così sdoppiandosi il genere renga in due forme, una più aulica e classica, chiamata ancora oggi renga ed una più comico-popolare, l’haikai che significava “buffo”. Nel XVII secolo l’haikai no renga era a tutti gli effetti un gioco letterario di “poesie buffe a catena” che al tempo riscosse un enorme successo, mentre nel XIX secolo iniziò a essere chiamato renku (ku a catena) per evitare di confonderlo con la parola haiku entrata quindi recentemente nell’uso comune.
L’haikai di Bashō
«nel renku, il primo ku è l’hokku: normalmente di 5-7-5 sillabe, deve esprimere la parola che alluda alla stagione, ed essere caratterizzato da un tema e da uno stile che possano essere sviluppati dai ku che seguono. Fu questa l’arte dell’haikai che Bashō cominciò a coltivare: con la sua scuola il ku iniziale divenne una breve ma intensa espressione poetica». «Attualmente ci si riferisce a questa forma essenziale di poesia, a questo ku iniziale, con il termine haiku. L’uso della parola haiku per questo breve genere poetico è dunque recente e viene fatto risalire agli anni del movimento di rinnovamento della poesia giapponese iniziato da Masaoka Shiki (1867-1902).»*
Bashō che è ancora oggi considerato il padre dell’haiku, chiamava le proprie poesie hokku e non haiku, a testimonianza del fatto che l’espressione haiku sia di recente utilizzo. Il noto poeta nacque in condizioni di povertà e dopo che a tredici anni perse il padre entrò al servizio di Kazue Yoshitada, della famiglia Tōdō (al tempo governante della città). Esercitando il mestiere di semplice cuoco, riuscì al contempo a trarre un beneficio letterario dallo stare accanto al suo padrone, che apparteneva alla scuola dell’haikai di Kyōto. Quando Kazue morì, Matsuo si dedicò allo studio dello Zen, della poesia e della filosofia cinese, alla ricerca di un nuovo stile caratterizzato da un’estetica della povertà e dalla riscoperta della bellezza del quotidiano. I suoi versi che non seguono schemi rigidi e prefissati, si librano in una lirica ricca di richiami sensoriali e suggestivi, di seguito un estratto della sua poesia:
Autunno
Un corvo
si è poggiato sul ramo spoglio:
tramonto d’autunno.
La tempesta autunnale batte la pianta di musa:
sento il rumore della pioggia
che cade nel mastello durante la notte.
Nella mente l’immagine di un teschio abbandonato,
mentre il vento penetra
la mia carne.
O poeti che ascoltate commossi le voci delle scimmie,
cos’è per voi il pianto di un bambino
abbandonato al vento autunnale?
Un’altea sul bordo della strada:
l’ha inghiottita
il mio cavallo.
Fitta nebbia:
invisibile, e pur suggestivo
il Fuji oggi.
Addormentato sul cavallo
scorgo, tra sogno e alba, la luna lontana
e il fumo del tè.
Il profumo dell’orchidea
penetra come incenso
le ali di una farfalla.
Senza morire…
dopo molte notti di viaggio
in un tramonto d’autunno.
Luna veloce:
le cime degli alberi
sono impregnate di pioggia.*
Nota bibliografica * M. Muramatsu, dall’haikai all’haiku: la poesia di Bashō in Poesie. Haiku e scritti poetici di M. Bashō, La Vita Felice, Milano 2012, p.7.
M. Bashō, Poesie. Haiku e scritti poetici, cit., pp. 29-31.
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