Una missione archeologica egiziana, lavorando nel territorio dell’antica Buto, nel Governatorato di Kafr El-Sheikh, ha riportato in luce alcuni strumenti utilizzati nei rituali religiosi templari. La missione si colloca nell’ambito del programma di scavi archeologici promosso dal Consiglio Supremo delle Antichità.
Si tratta di un’importante scoperta, come afferma il dott. Mustafa Waziri, segretario generale del Consiglio supremo delle antichità. Gli strumenti rinvenuti, infatti, venivano utilizzati durante lo svolgimento dei rituali giornalieri in onore della dea Hathor. Secondo quanto dichiarato dal dott. Waziri, sembra che gli strumenti siano stati collocati in maniera rapida sotto blocchi di pietra disposti regolarmente in cima a una collina di sabbia a sud del tempio della dea Uadjet, protettrice del sovrano e personificazione del Basso Egitto, a Tel Al-Faraeen (Buto).
I rinvenimenti
Nel frattempo, il capo del settore delle antichità egiziane Ayman Ashmawy aggiunge che di questa scoperta fanno parte un pilastro di calcare nella forma della dea Hathor, un gruppo di brucia incensi in faïence, uno dei quali con la testa del dio Horus, e un gruppo di oggetti in argilla utilizzati nei rituali religiosi e cerimoniali della dea Hathor.
Dei rinvenimenti, inoltre, fanno parte anche: una collezione di statuette raffiguranti le divinità Thot e Tauret, una piccola sedia per la maternità (di cui Tauret è divinità protettrice), un grande porta offerte, un occhio di Horus in oro. Precedentemente la missione aveva riportato alla luce un meraviglioso gruppo in avorio con scene di donne che portano offerte, scene della vita quotidiana, rappresentazioni di piante, uccelli e animali. Inoltre, avevano ritrovato un grande architrave in pietra calcarea con testi geroglifici in rilievo, e parte di un pittura reale di un sovrano che esegue rituali religiosi nel tempio Buto.
Importante, tra i rinvenimenti, la presenza di iscrizioni geroglifiche recanti i nomi di tre sovrani della XXVI dinastia, Psammetico I, Wha Ip-Ra e Amasis.
L’edificio
Hossam Ghoneim, capo della Missione archeologica, da parte sua annuncia la scoperta dei resti di un edificio in pietra calcarea legigata dall’interno. Si tratterebbe di un enorme pozzo per l’acqua sacra utilizzata nei rituali quotidiani.
Nel 1940, l’egittologo francese Pierre Montet riporta alla luce, a Tanis (nel Delta del Nilo), la tomba del faraone Psusennes I (XXI dinastia). Si tratta di una scoperta di grande valore che il professore Giacomo Cavillier, archeologo ed egittologo, docente di Egittologia e Civiltà Copta in diverse sedi universitarie, definisce “un tesoro senza precedenti”.
Ed è proprio per celebrare una scoperta che ha permesso di muovere nuovi passi verso la ricerca scientifica degli scavi in Egitto che viene realizzato un cortometraggio in onore di Montet. L’Egitto di Pierre Montet, cortometraggio girato a Genova nel luglio 2021 e firmato dal regista genovese Enrico Cirone.
Una location d’eccezione
Per la realizzazione del cortometraggio si è scelta una sede storica del panorama genovese: una delle torrette d’avvistamento della delegazione di Cornigliano, a Villa Gentile-Bickley, innalzata nel 1500.
In una scenografia altamente suggestiva il corto riporta indietro nel tempo, agli anni ’40, alla stagione in cui Montet scoprì le tombe completamente intatte di tre faraoni: Psusennes I, Amenemope e Sheshonq II.
E se l’egittologo francese ha dedicato anche capitoli interi con descrizioni particolareggiate dei materiali di cava e delle tecniche di lavorazione, ecco che arriva, preciso e puntuale, il racconto affascinante, di competenza della gemmologa Stefania Ferrari. Lo spettatore si ritroverà, così, abbagliato dalla luce di alabastro, turchese e lapislazzuli, alla luce del tesoro di Tanis (il sarcofago in argento finemente lavorato), arricchendo le conoscenze e completando l’eccezionalità della scoperta archeologica.
Ma il presagio della Seconda guerra mondiale arriva anche qui, a Cornigliano, e passa per primo dalla torre d’avvistamento di Villa Gentile-Bickley, quando le due attrici alle spalle dei protagonisti osservano il cielo e colgono foschi e cupi presagi. La guerra che devasterà l’Europa è alle porte ed è la stessa che farà interrompere tutti i lavori di scavo di Pierre Montet, a Tanis.
Le tombe faraoniche di Tanis
Il professor Cavillier e la gemmologa Ferrari cureranno, inoltre un incontro incentrato sulle scoperte delle sepolture faraoniche di Tanis. L’incontro di lunedì 30 Agosto 2021, alle ore 21.00, porrà l’accento sulla scoperta delle sepolture tanitiche e sui ricchi corredi in esse rinvenuti. Sarà possibile assistere all’evento grazie alla diretta sulla pagina Facebook di Ascovil.
Un incontro online dal tema molto affascinante è in programma il 24 maggio 2021 alle ore 18 sulla pagina Facebook Storie Parallele. Per la rubrica “Aperitivo con l’Egittologo“, il prof. Giacomo Cavillier parlerà infatti di aldilà e immortalità nell’Egitto faraonico.
La civiltà egizia è fra le prime ad aver elaborato e ritualizzato il concetto di morte e di magica resurrezione all’interno di un complesso sistema simbolico in cui l’aldilà ne costituisce l’elemento più rilevante. La vita degli antichi egizi era profondamente scandita dal costante pensiero della morte e dell’aldilà. Tutto ciò che facevano in vita era teso a garantire una vita oltre la vita.
Il percorso dell’anima del defunto nell’aldilà (Duat) è infatti meta essenziale per la sua immortalità così come il corredo funerario, necessario per il regolare svolgimento della vita dopo la morte, e la tomba ne rappresentano gli ideali strumenti di protezione e di conservazione perpetua del corpo. In questo mondo altro, Osiride è il dominus e giudice, mentre la dea Maat (verità e giustizia) decreta con la pesatura del cuore (psicostasia) i destinati alla resurrezione. Tutti aspetti e peculiarità su cui l’egittologo Cavillier si soffermerà durante la diretta.
Il dottor Sayed Al-Talhawi, direttore dello scavo nell’area archeologica di Dakahlia, governatorato a nord-est del Cairo, annuncia la scoperta di 110 sepolture. L’importanza della scoperta, avvenuta nel sito di Kom al-Khaljan, nel Delta del Nilo, risiede nell’epoca delle sepolture. Sembra siano databili a tre diversi periodi, che scandiscono, di fatto, tre diverse fasi della civiltà egizia, dalla preistoria al Secondo Periodo Intermedio.
Le più antiche, 68 sepolture, risalgono infatti a più di 5000 anni fa, alla Civiltà del Basso Egitto, conosciuta come Bhutto/Buto 1 (3900-3700 a.C.) e Bhutto/Buto 2 (3700-3350 a.C.). Cinque sepolture, invece, risalgono alla civiltà Naqada III (3500-3150 a.C.) e 37 all’epoca Hyksos (1720-1530 a.C.) durante il Secondo Periodo Intermedio. 73 sepolture, dunque, sono state realizzate prima delle piramidi, prima dei faraoni.
Le tombe più antiche
Il dottor Ayman Ashmawy, capo del settore delle antichità egizie presso il Consiglio Supremo delle Antichità, dichiara che le 68 sepolture sono fosse di forma ovale scavate nello strato sabbioso dell’isola del Delta. Al loro interno, i defunti sono stati collocati in posizione rannicchiata. La maggior parte giaceva sul lato sinistro e con la testa rivolta a ovest. All’interno di un grande vaso di argilla, inoltre, sono stati scoperti i resti di un bambino, databili al periodo Bhutto/Buto 2, sepolto insieme a un piccolo vaso di argilla sferico.
Le sepolture con corredo di Naqada III
Anche le cinque tombe risalenti al periodo Naqada III sono fosse di forma ovale ricavate nello strato sabbioso. Tra queste, due sepolture presentano il fondo e la parte superiore ricoperti da uno strato di argilla. «All’interno delle fosse, spiega Ayman Ashmawi, la missione ha trovato un gruppo di arredi funerari caratteristici di questo periodo, come vasi cilindrici e triangolari, oltre alla ciotola del kohl, la cui superficie era decorata con disegni e forme geometriche».
Le sepolture del periodo Hyksos
Nadia Khader, capo del Dipartimento centrale del Basso Egitto presso il Consiglio Supremo delle Antichità, afferma che le tombe del Secondo Periodo Intermedio sono 37; 31 di queste sono fosse semi-rettangolari, con profondità tra i 20 cm e gli 85 cm. Presentano tutte sepolture in posizione distesa e supina con la testa verso occidente. Alcune sepolture presentano una struttura rettangolare in mattoni di argilla, a forma di edifici. Anche in questo gruppo, inoltre, è presente l’inumazione di un bambino all’interno di un grande vaso: si tratta di una tipologia di sepoltura diffusa in Oriente.
Le tombe presentano un corredo funerario di piccoli, ma significativi oggetti: vasi di argilla nera, amuleti (in particolare scarabei) in pietre semipreziose e gioielli, come anelli e orecchini in argento.
Storie Parallele inaugura il ciclo di incontri online Aperitivo con l’Egittologo. Lo fa con un primo incontro dal titolo “Il saggio Imhotep. Magia e medicina nell’Egitto faraonico“.
La conferenza è a cura dell’egittologo Giacomo Cavillier, a capo della missione archeologica italiana a Luxor e direttore del Centro Studi di Egittologia e Civiltà Copta “J. F. Champollion”. L’incontro si incentra sulla magia e sulla medicina nell’Egitto faraonico, il cui protettore divinizzato è il saggio Imhotep, grande sacerdote di Ra, architetto, mago e visir di Gioser, sovrano della III dinastia.
Partendo dalla figura di Imhotep, l’egittologo esporrà un quadro conoscitivo sulla magia e medicina nei periodi più salienti della storia egizia, fra cui il Nuovo Regno. Infatti, è un periodo di grande sviluppo del concetto di “cura” e di “medicina” in grado di coniugare efficacemente invocazione magica e applicazione del medicamento. In tale contesto, inoltre, si perfeziona anche l’arte della mummificazione, intesa sia come essenziale tecnica di preservazione dei corpi che vero e proprio strumento di immortalità. La medicina e la magia, con le loro dinamiche evolutive, costituiscono dunque i segni tangibili di una civiltà che ha saputo efficacemente osservare ed interpretare la natura umana e valorizzarla all’interno di un più ampio contesto magico-rituale ascrivibile al divino.
L’incontro è previsto per il 26 aprile alle ore 18:00, sulla pagina Facebook di Storie Parallele.
L’ex ministro delle Antichità Dr. Zahi Hawass, annuncia la scoperta di una città sepolta nella sabbia. Lo fa con un post su Facebook, in attesa della conferenza stampa di sabato 10 aprile. “L‘ascesa diAton“, questo il nome della città perduta che risale al regno del re Amenhotep III, regnante tra il primo quarto e la metà del XIV sec. a.C., quasi 3500 anni fa. “Abbiamo iniziato il nostro lavoro per la ricerca del tempio funerario di Tutankhamon, considerata la presenza, in quest’area, dei i templi di Horemheb e Ay”, dichiara Hawass.
Invece, la missione egiziana si è ritrovata di fronte a una scoperta eccezionale. La città, fondata proprio da Amnhotep III, nono re della XVIII Dinastia, era attiva durante gli anni di co-reggenza con il figlio Amenhotep IV, meglio noto come Akhenaton, il “faraone eretico”. Si tratta di un grande insediamento amministrativo e industriale sulla riva occidentale del Nilo a Luxor/Tebe. L’insediamento si estende fino a Deir el-Medina, il villaggio degli operai che lavorarono alle sepolture della Valle dei Re e delle Regine.
La città perduta
L’area di scavo si trova tra il Tempio di Ramesse III, a Medinet Habu, e il Tempio di Amenhotep III. “Le strade della città sono fiancheggiate da case, le cui mura sono alte fino a 3 metri“, continua Hawass. Gli scavi erano iniziati a settembre 2020, evidenziando sin da subito numerose strutture in mattoni affioranti in ogni direzione. Una scoperta inaspettata e stupefacente, resa tale anche dal buono stato di conservazione degli edifici, con muri quasi completi e stanze contenenti oggetti di vita quotidiana intatti, sepolti da migliaia di anni. La scoperta di questa città, inoltre, è doppiamente importante. Se da un lato ci offre un raro sguardo sulla vita quotidiana nell’Antico Egitto, dall’altro potrebbe fornire nuovi indizi sul perché Akhenaton e Nefertiti decisero di abbandonare Tebe per il trasferimento ad Amarna.
Strutture murarie della città di Aten (fonte: Ministero delle Antichità)
Adesso, l’obiettivo primario è quello di ricostruire la storia dell’insediamento. Grazie ad alcune fonti storiche, si sa che la città era costituita da tre palazzi reali del re Amenhotp III e dal centro amministrativo e industriale del Regno.
In quasi sette mesi di scavi sono state riportate alla luce diverse aree dell’insediamento. A confermare la datazione della città è un gran numero di reperti archeologici tra cui anelli, scarabei, ceramiche dipinte, vasi in terracotta per il vino con iscrizioni geroglifiche e mattoni di fango recanti i sigilli con cartiglio di Amenhotep III (Neb Maat-Ra, nome del trono).
Anfore con iscrizioni (Fonte: Zahi Hawass)
Una città ben organizzata
Nella parte meridionale, la missione ha individuato una prima area destinata alla preparazione di cibi, completa di forni e deposito del vasellame.
Una seconda area, ancora solo parzialmente indagata, è invece il distretto amministrativo e residenziale. Si tratta di un’area delimitata da un muro perimetrale ad andamento ondulato, con un solo punto di accesso verso i corridoi interni che comprende una serie di unità abitative più ampie e ben organizzate. Le pareti ondulate non sono un elemento architettonico frequente nell’Antico Egitto. Queste furono in uso principalmente intorno alla fine della XVIII Dinastia.
La terza area, invece, è la zona industriale, comprendente laboratori per la produzione dei mattoni in fango necessari per la realizzazione di templi e annessi. Tra i rinvenimenti, vi sono anche utensili per le attività tessili e anche un gran numero di stampi da fusione per la produzione di amuleti o elementi decorativi.
Inusuali sepolture e un area cimiteriale
Una delle stanze indagate presenta sepolture di un grande animale bovino, una mucca o un toro, per cui sono in corso ricerche per determinarne la natura e lo scopo. Ma più inusuale e quasi inquietante è, inoltre, il ritrovamento di una sepoltura antropica il cui scheletro presenta braccia tese lungo i fianchi e resti di una corda attorno alle ginocchia.
Sepoltura di un bovide (Fonte: Ministero delle Antichità)
Sepoltura umana (Fonte: Zahi Hawass)
Accanto a questi rinvenimenti, anche quello di un’ampia area cimiteriale, la cui estensione non è stata ancora determinata. La missione ha evidenziato un gruppo di tombe, di varie dimensioni, scavate nella roccia. Ad esse si accede tramite scale, caratteristica che accomuna diverse tombe nella Valle dei Re e nella Valle dei Nobili.
La conferma della datazione
Già i sigilli reali su mattoni e stampi non lasciano dubbi sulla datazione al tempo di Amenhotep III. A questi elementi, vanno aggiunti dei curiosi rinvenimenti. Uno di questi è un contenitore con resti di carne essiccata o bollita (circa 10 kg) con un’importante iscrizione. Si può infatti leggere: “Anno 37, carne condita per la festa Heb Sed proveniente dal macello del recinto per bestiame di Kha, fatta dal macellaio luwy“. Una preziosa informazione che non solo fornisce i nomi di due persone che vivevano e lavoravano nella città, ma conferma il periodo di attività della stessa anche al tempo della co-reggenza.
Un’impronta di sigillo, inoltre, reca l’iscrizione gm pa Aton, che può essere tradotto come “dominio del luminoso Aton”, nome di un tempio fatto realizzare da Akhenaton a Karnak.
Sigillo con iscrizione e frammenti lapidei con occhi (fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano)
La missione annuncia che i lavori continueranno poiché, fino ad ora, è stato indagato solo un terzo dell’area. Una scoperta importante, dunque, che, al di là del dato materiale, fornisce importanti informazioni circa la vita quotidiana non solo popolarema, in questo caso, anche reale.
L’orizzonte di Aton. Archeologia e mito di Akhenaton, è il II seminario di Egittologia presentato dal Centro Champollion e tenuto dal Professor Giacomo Cavillier, direttore del Centro. Il ciclo di lezioni online, su piattaforma GoogleMeet, avrà luogo nei giorni 16, 23 febbraio e 2, 9 marzo 2021. Per partecipare è necessaria la registrazione inviando una e-mail con nome e cognome all’indirizzo segreteria.centrochampollion@gmail.com.
Con la partecipazione ad un minimo di tre incontri potrà inoltre essere richiesto un attestato di partecipazione utile per i curricula didattici e professionali.
La figura di Akhenaton, decimo faraone della XVIII Dinastia, ha da sempre affascinato gli studiosi per via della sua personalità e delle riforme che hanno scandito il suo regno.
Vissuto nel XIV secolo a.C., Amenhotep IV (o Amenofi), abbandonò il culto di Amon a favore del culto di Aton, il disco solare. La decisione è talmente netta che Amenhotep IV, intorno al suo VI anno di regno, decise di cambiare nome, passando da “Amon è contento” ad Akhenaton, utile ad Aton. La residenza regale venne spostata dall’allora capitale Tebe in una nuova città, fondata per lo scopo, che prese il nome di Akhetaton, l’orizzonte di Aton, appunto. La città sorse in una vasta aera pianeggiante corrispondente all’odierna Tell el-Amarna e fu il centro irradiatore della nuova fede religiosa.
Tra le riforme operate da Akhenaton non meno importante risulta quella artistica. Con quello che venne in seguito definito stile amarniano, avvenne uno stravolgimento dei canoni artistici tradizionali. Dalla severità e dalla austerità delle figure dell’arte egizia, si giunse, in questa fase, ad uno spiccato naturalismo, caratterizzato da forme morbide e atteggiamenti inediti. Divengono usuali le rappresentazioni della famiglia reale e non mancano le raffigurazioni di attimi di tenerezza che coinvolgono il faraone con la sposa Nefertiti e le figlie bambine.
Akhenaton è dunque un personaggio complesso che, seppur per un breve periodo, è stato in grado di rivoluzionare alcuni fondamenti della civiltà egizia, invariati prima e dopo di lui.
La missione egiziano-dominicana dell’Università di Santo Domingo, sotto la direzione della dott.ssa Kathleen Martinez, ha riportato alla luce 16 sepolture di oltre 2000 anni. Queste si presentano scolpite nelle pareti rocciose e, quindi, tipiche del periodo greco-romano. La scoperta è avvenuta nei pressi del tempio di Taposiris Magna (città fondata da Tolomeo II tra il 280 e il 270 a.C. circa), non lontano da Alessandria.
Le sepolture presentano un certo numero di mummie, tutte in cattivo stato di conservazione, che evidenziano le caratteristiche di mummificazione d’epoca greca e romana. Sono stati rinvenuti resti di cartonnage dorato (maschere funerarie realizzate alternando strati di lino e papiri, stuccati e dipinti), oltre ad amuleti in lamina d’oro. Tra questi spicca il ritrovamento di una mummia con una lingua in lamina d’oro in bocca. Si suppone potesse far parte di uno specifico rituale funerario che garantisse al defunto la capacità di parlare nell’aldilà, di fronte alla corte di Osiride, signore dell’oltretomba e giudice dei defunti.
La dottoressa Kathleen Martinez ha spiegato che tra le mummie ce ne sono due che presentano frammenti di papiri e resti di cartonnage. Su una sono evidenti resti di decorazioni dorate che rimandano al dio Osiride. L’altra mummia indossa la corona Atef, decorata con corna, e il serpente cobra sulla fronte. Sul petto di quest’ultima sono stati rinvenuti i resti dorati di una, verosimilmente, ampia collana da cui pende un amuleto a forma di testa di falco, simbolo del dio Horus.
Una missione ricca di scoperte
Il dottor Khaled Abu Al-Hamd, direttore generale dell’Alexandria Antiquities, ha affermato che durante questa campagna di scavo la missione ha rinvenuto diversi reperti archeologici. Tra questi vi sono: la maschera funeraria femminile, otto lamine d’oro che rappresentano le foglie di un ghirlanda e otto maschere di marmo risalenti all’epoca greco-romana. Le maschere mostrano un’elevata precisione nella scultura e nella raffigurazione delle caratteristiche dei proprietari.
Alcuni rinvenimenti si trovano già al Museo Nazionale di Alessandria, altri, invece, sono ancora nel magazzino di el-Hawaria, ad Alessandria occidentale.
Vale la pena notare che negli ultimi dieci anni la missione ha scoperto un importante gruppo di reperti archeologici che hanno cambiato la percezione del tempio di Taposiris Magna. Dall’interno delle mura del tempio, infatti, provengono alcune monete recanti il nome e l’immagine della regina Cleopatra VII. Oltre a questi, diversi frammenti scultorei di statue che si pensa ornassero i giardini del tempio. Inoltre, le missioni precedenti, avevano rivelato i pannelli di fondazione del tempio, che ne dimostravano la costruzione al tempo del re Tolomeo IV (regnante dal 222 al 204 a.C. circa).
Il Centro Studi CAMNES di Firenze (Center for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies), lancia un ciclo di tre incontri dedicati all’Egittologia. Vis-à-vis: Egittologi a colloquio si terrà in streaming nelle giornate del 23 e del 29 dicembre 2020 e del 4 gennaio 2021.
Gli egittologi CAMNES Valentina Santini, Massimiliano Franci e Irene Morfini terranno tre chiacchierate informali con Corinna Rossi (PoliMi), Daniela Picchi (Museo Civico Archeologico, Bologna) e Christian Greco (Museo Egizio, Torino). Sarà un viaggio “dietro le quinte” per far emergere i lati meno conosciuti dell’Egittologia, in tutte le sue sfaccettature, come si legge sul sito del Centro organizzatore.
Il programma
23 Dicembre 2020, ore 17:00 Moderatore: Valentina Santini (CAMNES) Ospite: Corinna Rossi (Docente di Egittologia e Civiltà Copta presso il Politecnico di Milano)
29 Dicembre 2020, ore 17:00 Moderatore: Massimiliano Franci (CAMNES) Ospite: Daniela Picchi (Curatrice sez. Egizia presso il Museo Civico Archeologico, Bologna; CIPEG-ICOM)
4 Gennaio 2021, ore 17:00 Moderatore: Irene Morfini (CAMNES) Ospite: Christian Greco (Direttore Museo Egizio, Torino)
Gli incontri si terranno in live streaming sul canale Youtube del Centro Studi in una modalità che prevede anche l’interazione con il pubblico, che può partecipare attivamente ponendo domande nell’apposito box della live chat.
Edda Bresciani è scomparsa ieri, 29 novembre 2020, in seguito a un ricovero nella clinica Barbantini di Lucca. La grande egittologa ed archeologa è stata ricordata con affetto dalle parole dei colleghi dell’Università di Pisa, dove insegnava, e dal sindaco di Lucca, Alessandro Tambellini.
Edda Bresciani è stata archeologa ed egittologa, professoressa dell’Università di Pisa, nonché vero e proprio “mito” dell’Egittologia italiana. Nata a Lucca il 23 settembre del 1930, dopo gli studi classici si iscrisse alla Facoltà di Lettere a Pisa. La Facoltà di Lettere, ricordava la Bresciani, era, all’epoca, l’unica considerata davvero adatta ad una donna, perché si riteneva fosse poco impegnativa intellettualmente. Tuttavia, la giovanissima Edda riuscì fin da subito a sovvertire l’ordine costituito, preparando la propria tesi di laurea su una materia che in Italia, negli anni ’50, era quasi sconosciuta: l’Egittologia, di cui all’epoca c’erano in Italia solo due cattedre, una a Milano, l’altra a Pisa, entrambe affidate a Sergio Donadoni.
Edda Bresciani in un ritratto degli anni ’60
Medinet Madi e il Fayyum
La vita di Edda Bresciani non si legava soltanto alla cattedra pisana di Egittologia, ma anche, e forse soprattutto, alla regione del Fayyum, dove ha lavorato fino al 2011. Qui, dalla metà degli anni ’60 erano riprese le attività di scavo, dapprima con l’università di Milano, fino al 1969, poi con quella di Pisa. Già dal 1966 Bresciani era Direttrice responsabile della missione a Medinet Madi, il grande sito della regione del Fayyum, già investigato da Achille Vogliano negli anni ’30. Medinet Madi è stato protagonista anche di una serie di progetti di cooperazione internazionale con l’Egitto per il restauro e la musealizzazione. Negli anni 2000, oltre alle ricerche sul terreno, sono stati avviati due progetti: la realizzazione di un grande Centro visitatori e un progetto di restauro finalizzato alla creazione del Parco archeologico (progetto ISSEMM, in collaborazione con il Consiglio supremo delle Antichità egiziano e con il Ministero degli Esteri italiano). Dal 2011 Medinet Madi è un Parco archeologico amministrato dal governo egiziano.
Edda Bresciani a Medinet Madi
Cercando un altro Egitto
Nel 1974 Edda ottenne per l’Università di Pisa la concessione di scavo alla necropoli di Saqqara, scavando la tomba di Bakenrenef, visir di Psammetico I – fondatore della XXVI dinastia saitica (664-624 a.C.) – che, nonostante fosse stata depredata già nel 1800, ha restituito splendidi reperti e pitture murali. Notevole il ritrovamento di una grande tela dipinta a tempera, risalente ad epoca romana, attualmente esposta al Museo del Cairo. Dal 1978 diresse poi anche gli scavi a Gurna, presso Tebe, dove gli operai le regalarono una statuina, che la raffigura come un Faraone, con il suo nome scritto in geroglifici. Nello stesso anno fondò la rivista Egitto e Vicino Oriente, di cui era direttrice. La sua personalità e la spontaneità con la quale si rapportava a colleghi e operai le valsero, nel Fayyum, l’appellativo di Mudira (dall’arabo mudir, “capo”), parola che, al femminile, fino ad allora non esisteva.
Archeologia e primavere arabe
Sebbene Edda Bresciani non avesse mai preso ufficialmente posizione nei riguardi dei vari rivolgimenti politici seguiti alla cosiddetta “stagione delle primavere arabe” dal 2011 in poi, l’archeologa toscana aveva continuato a gestire i rapporti bilaterali in ambito culturale lavorando per la conservazione e la tutela dei beni archeologici che aveva contribuito a riscoprire per quasi mezzo secolo. Numerose sono le onorificenze di cui l’egittologa è stata insignita: dalla Medaglia del Presidente della Repubblica ai benemeriti per la Scienza e la Cultura nel 1996, al “Campano d’Oro” dell’Università di Pisa nel 2012.
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