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ACCADDE OGGI | Anna Iberti, il volto simbolo della nascita della Repubblica Italiana

Correva il 15 giugno del 1946 quando questa foto, ritraente il volto di una ragazza sorridente che sbuca da un giornale, apparve nella copertina del settimanale Tempo. Da allora sono trascorsi circa 70 anni e il sorriso di questa ragazza ci accompagna ogni qualvolta ricorre la Festa della Repubblica.
Il suo sorriso, ormai diventato un’icona, rappresenta l’immagine della Repubblica e un simbolo di speranza per gli italiani. Un Paese appena nato che voleva andare avanti e cancellare gli anni di Mussolini, del fascismo, della guerra e della resistenza.

Fu una vera e propria svolta epocale per tutti, arrivando a concedere, tramite il suffragio universale, il diritto di voto alle donne. Per la prima volta, infatti, poterono votare alle urne per il referendum che decideva tra Repubblica e Monarchia e, anche per questo motivo, questa foto viene ricordata con molta emozione. Infatti, quel giorno del 1946 la presenza femminile nei seggi elettorali superava di gran lunga quella maschile, con circa 13 milioni di elettrici. La ragazza in foto rappresenta, difatti, tutte quelle donne che per anni erano state bistrattate e che erano viste come se fossero un gradino in basso rispetto agli uomini.

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Il murale con Anna Iberti svelato oggi a Milano

Per omaggiare Anna Iberti (così si chiamava la famosa ragazza della foto) oggi, 2 giugno 2021, a Milano le è stato dedicato un murale in cui, oltre all’iconico volto sorridente, sono ritratte anche le staffette partigiane e i bambini.

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STUDENTI | “TEEN SPIRIT – Quando la rivoluzione ha tutto un altro odore”

Load up on guns, bring your friends. It’s fun to lose and to pretend.

Erano gli inizi degli anni ’90 quando queste parole vennero trasmesse per la prima volta nelle radio di tutto il mondo. Parole destinate a diventare l’inno di un’intera generazione. Apatici, cinici e privi di valori: così vennero definiti i giovani di quella “Generazione X” di cui Kurt Cobain divenne il portavoce. Era attraverso le sue canzoni che questo “poeta punk”, “l’angelo maledetto del grunge” raccontava le inquietudini di un’epoca sedotta dall’eroina che aveva dato vita all’antieroe nichilista, sfiduciato, senza più alcun valore in cui credere.

Siamo nel 1989 e quella barriera invalicabile che nel tempo era divenuta il simbolo della divisione tra due mondi viene finalmente abbattuta da gioie e picconate, abbracci e idranti, urla e sorrisi; creando l’illusione che il mondo sia pronto a cambiare, ma lasciando in bocca ai giovani quel senso di “amaro” e di incompletezza, facendoli sentire i veri reietti della società e addossando loro la colpa del declino. Il 5 aprile 1994, il poeta maledetto del grunge muore sparandosi un colpo di fucile alla tempia. Muore il “portavoce” di una generazione, ma, purtroppo, non se ne va con lui il senso di inadeguatezza che continua ancora oggi ad accompagnare gli animi ribelli dei giovani di tutto il mondo.

E adesso vi chiederete, cosa collega il capostipite del grunge al movimento femminista?
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Simone de Beauvoir

Fu proprio durante i moti del ’68 che una donna francese, considerata poi la madre del femminismo moderno, si inserì in un contesto di rivoluzioni sociali con il suo “Manifesto delle 343 puttane” (Manifeste des 343 salopes). Questo, firmato da 343 intellettuali, scrittrici e personaggi francesi denunciava la legge antiabortista francese che prevedeva dal 1920 l’esecuzione di chi avesse fatto ricorso o procurato l’aborto. La donna in questione era Simone de Beauvoir e chi adesso ha la possibilità di esprimersi liberamente lo deve anche un po’ a lei, ad una vera e propria “donna di mondo”, alla “filosofa elegante” con il suo immancabile foulard annodato in testa o i suoi capelli impeccabilmente raccolti. L’autrice, all’interno della sua opera pricipale, “Il secondo sesso”, attua una cesura con il primo movimento femminista, ponendosi in un atteggiamento critico. Il suffragio femminile è stato l’obiettivo principale della prima ondata femminista, che vedeva in esso il passo decisivo per la liberazione della donna e per la conquista di tutti gli altri diritti civili, politici e sociali.

Simone però si rese conto che, nonostante le donne avessero ottenuto il diritto di voto, la loro condizione non era di fatto migliorata all’interno della società. La de Beauvoir pensò dunque ad una rifondazione teorica del femminismo per dare dignità alla figura della donna, partendo dalla sua condizione di subordinazione rispetto al sesso maschile, individuandone possibili cause, fino a raggiungere l’emancipazione e la sua piena consapevolezza di sé. Simone de Beauvoir utilizzò una prospettiva filosofica esistenzialista sostenendo che ogni individuo, uomo e donna in quanto cosciente, era sostanzialmente libero. In modo particolare le donne, secondo l’autrice, dovevano cambiare necessariamente il loro modo di vivere diventando esseri per sé.

Fu proprio lei a riprendere le tematiche femministe di orientamento marxista considerate più adatte rispetto alle posizioni più liberali. Si schierò sempre contro il sistema dello stato capitalista, ritenendo che una politica di tipo socialista avrebbe potuto eliminare ogni tipo di sfruttamento. Le donne, lavorando in un contesto paritario, avrebbero potuto finalmente conquistare la loro dignità di essere umano, eliminando così la mediazione dell’uomo con la realtà sociale. L’unica via possibile per l’emancipazione femminile, secondo l’autrice, era quella della “donna indipendente” che era costituita da due momenti fondamentali: la presa di consapevolezza della propria condizione e la partecipazione ad un movimento collettivo. Le donne devono unirsi tra loro e anche con gli uomini per combattere tutti assieme contro le disuguaglianze affinché tutti gli individui possano avere pari diritti, dignità e opportunità sociali, politiche ed economiche.

Kurt Cobain ebbe un occhio di riguardo per il mondo femminile, e dopo aver letto “Provocations: Collected Essays on Art, Feminism, Politics, Sex, and Education” di Camille Paglia, sociologa femminista statunitense, espresse un suo pensiero a riguardo:

“…era una femminista militante con delle idee incredibili. Tutti l’hanno definita pazza perché le sue
 idee sono piuttosto violente. Il suo libro dice praticamente che le donne dovrebbero governare la terra, e sono
 d’accordo.”
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Camille Paglia, la “femminista dissidente”

Ma questa non fu l’unica volta che Cobain prese le difese del movimento femminista. Durante un concerto a Buenos Aires rispose in maniera esemplare ad un pubblico sessista, che insultò pesantemente la band di supporto, tutta al femminile, dei Nirvana. Ma lo stesso poeta del grunge fu per Camille, definita la “femminista dissidente”, una delle fonti d’ispirazione principali, insieme alla filosofa Simone de Beauvoir, di cui abbiamo già parlato in precedenza, e al fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud. La sociologa statunitense in più interviste espresse la sua opinione nei confronti della sua generazione, cresciuta proprio in quei rivoluzionari anni ’60. La sua generazione ereditò il fascino per il buddismo dai poeti della beat generation e dagli artisti degli anni Cinquanta, ma fu l’induismo, con la sua teatralità, la sensualità, il senso della commedia e la legge del karma a conquistarla definitivamente. I giovani di quella generazione erano affascinati da tutti i rituali, anche se, sfortunatamente, troppi di loro usavano droghe psichedeliche e funghetti allucinogeni per sostenere la loro ricerca spirituale; diversamente da loro, Camille seppe prendere, in qualche modo, le distanze da questo “suicidio” della società. Lei stessa ama tutt’ora definire la sua corrente “critica psichedelica” perché, pur non avendo mai provato LSD, fu comunque profondamente influenzata dal rock psichedelico di quegli anni e dalle sue distorsioni mistiche.

Il corpo come mezzo di emancipazione 

Anche il mondo dell’arte è stato sempre ostile con l’universo femminile. Lo slogan Do women have to be naked to get into the Met. Museum? diventa il cavallo di battaglia per una generazione di artiste che rivendicano il ruolo femminile nella storia dell’arte. A partire dagli anni Settanta, un gruppo di artiste decide di usare il corpo come campo di battaglia per contrastare le differenze dei generi. Impossibile non citare la madre della body art, una delle artiste più celebri dell’arte contemporanea, stiamo parlando di Marina Abramovic. Le dinamiche da lei messa in evidenza, basti pensare alle indagini sulla dinamica dei rapporti realizzata con Ulay e l’emblematica “Rhytm 0”, svolta a Napoli nel 1974.

La donna si propone vittima sacrificale immobile (chiara allusione ai ruoli tradizionali della donna) che, diventa ben presto vittima innocente di barbarie: dal taglio dei vestiti fino alla messa in mano di una pistola carica. Dopo sei lunghe estenuanti ore di performance, l’artista torna ad essere persona e non più oggetto, di fronte allo scontro così diretto della realtà, la folla incapace del confronto, si dilegua velocemente. Quindi, in quel presente che è tutt’oggi, dove l’incontro tra sé e l’altro sembra intriso di un profondo romanticismo e al tempo stesso di grande violenza. Abramovic mostra nella sua performance l’offerta e il sacrificio del corpo femminile, aiutandoci a ripensare ad un’ideologia del visibile e ad una politica degli sguardi che riguarda la differenza sessuale nel momento in cui qualsiasi meccanismo del guardare e dell’essere guardata contiene il tentativo di stabilizzare le differenze e reprimere il sessuale. Sarebbero tante le donne da citare, artiste che sono arrivate a dare la propria vita per difendere la dignità della donna, di ogni donna, ma, prima di concludere, vogliamo brevemente presentarvi un’altra figura, Hanna Wilke.

Quando Marina Abramovic lasciò che la gente usasse il suo corpo

La Wilke, ha usato il suo stesso corpo come mezzo di emancipazione, cercando un senso di erotismo svincolato dallo stesso sguardo maschile. Accusata dalle stesse femministe di narcisismo ed esibizionismo, Hanna Wilke, non fece altro che universalizzare la questione femminile utilizzando la propria persona. In questo senso, una delle sue performance più emblematiche fu la “S.O.S. Starification Object Series: An Adult Game of Mastication”, dove la donna si fa fotografare in pose da pin up con appiccicate sul corpo le gomme masticate dagli spettatori alla performance. Neanche nella malattia smise di lottare, citando la sua opera “Intra-venus”, che risulta essere la tragica cronaca del suo stravolgimento fisico dovuto al linfoma che la condurrà alla morte.

Per concludere, condividiamo con voi una frase di un uomo che ha fatto della rivoluzione la sua vita, Che Guevara:

Siate sempre capaci di sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo: è la qualità più bella di un rivoluzionario.

Scritto da Domenico Leonello e Gaetano Aspa

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NEWS | UNICT celebra la Giornata delle donne nella Scienza

Undici ragazze che amano la scienza raccontano le loro storie. Ed in particolar modo, l’importanza del conseguimento del dottorato per la loro vita lavorativa e come conciliano la passione per la ricerca con l’essere donne. 

L’iniziativa dal titolo “PhD Girls…and then…? Storie di ragazze che amano la scienza” è in programma giovedì 11 febbraio, dalle 16, sulla piattaforma Teams. La conferenza è quindi organizzata dai dottorati di ricerca in Scienze geologiche, biologiche e ambientali e in Scienze della terra e dell’Ambiente e dal Comitato Unico di Garanzia dell’Università di Catania; il tutto per celebrare The International Day of Women and Girls in Science, promosso con una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 22 dicembre del 2015.

Protagoniste dell’evento saranno Giusi D’Amante, Laura Borzì, Maria Carmela Di Rosa, Marisa Giuffrida, Carmen Impelluso; ma anche Sabrina Grassi, Helena Pappalardo, Rachele Lombardo, Roberta Pecoraro, Alessandra Pellegrino e Francesca Toscano.

La Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella Scienza riconosce quindi il ruolo fondamentale che le donne e le ragazze svolgono nella scienza e nella tecnologia; ha, dunque, l’obiettivo di promuovere un accesso completo ed equo alla partecipazione scientifica alle donne e alle ragazze.

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PERSONAGGI | Palma Bucarelli, la Regina di Quadri

Palma Bucarelli è stata una delle figure più influenti nell’ambiente artistico italiano del XX secolo, nonché la prima donna a dirigere un museo pubblico, la Galleria d’Arte Moderna di Roma, alla quale legherà il suo nome per oltre 30 anni.

Ghitta Carell. Ritratto di Palma Bucarelli, 1938

Una giovane donna intelligente
Nata nel 1910 a Roma da una famiglia della media borghesia, Palma ebbe modo di laurearsi in Storia dell’Arte alla Sapienza, dove fu allieva di Adolfo Venturi e Pietro Toesca. Tra i suoi compagni di corso vi fu anche Giulio Carlo Argan, cui Palma restò sempre legata da una profonda amicizia.
Nel 1933, a soli 23 anni, vinse il concorso al Ministero per l’Educazione Nazionale come funzionaria per le Belle Arti e venne assegnata alla Galleria Borghese di Roma. Nel 1936 fu trasferita per un breve periodo a Napoli, dove, a casa di Benedetto Croce, conobbe Paolo Monelli, giornalista e grande amore della vita di Palma, che sposerà nel 1963.

La Galleria d’Arte Moderna e la guerra
Tornata a Roma già nel 1937 e assegnata alla Soprintendenza del Lazio, dall’anno successivo iniziò a lavorare alla Galleria d’Arte Moderna, diventandone direttrice nel 1941, in piena guerra mondiale.
Primo compito fu pertanto quello di preservare l’integrità delle opere d’arte della Galleria dai rischi generati dal conflitto mondiale: nel suo “Cronaca di sei mesi” la Soprintendente Bucarelli racconta come, già nell’autunno del 1941, la maggior parte delle opere (672 pezzi della collezione) venne trasferita nei magazzini di Palazzo Farnese a Caprarola.
Con la salita del fronte verso nord e l’approssimarsi delle rappresaglie tedesche sul Lazio, Palma Bucarelli, coadiuvata da alcuni validi collaboratori e da Rodolfo Siviero, predispose un nuovo trasferimento delle opere nei sotterranei di Castel Sant’Angelo, considerati inviolabili in quanto territorio vaticano.
Dopo i tragici mesi dell’inverno del 1944, la liberazione di Roma, avvenuta a giugno, venne celebrata da una serie di iniziative artistiche tra cui una nuova mostra alla GNAM, inaugurata il 10 Dicembre.

Palma Bucarelli nel suo studio

Gli anni ’50 e ’60: una direttrice rivoluzionaria
Sotto la direzione Bucarelli le esposizioni della GNAM iniziarono a privilegiare le correnti dell’avanguardia e dell’astrattismo, aprendosi al panorama artistico internazionale: negli anni ’50 e ’60 vennero allestite grandi mostre, dedicate ad artisti internazionali quali Picasso (1953), Mondrian (1956) e Pollock (1959).
Con l’apertura all’arte contemporanea internazionale iniziò, non senza polemiche, un processo di revisione nell’organizzazione del museo, avviato a diventare un’istituzione di ampio respiro, non più mero contenitore ma punto d’incontro tra le varie arti, nonché centro didattico aperto a tutti. In particolar modo la Bucarelli cambiò radicalmente il contenuto del museo e il modo di presentare le opere al grande pubblico: dotata di un grande intuito per le avanguardie, la direttrice della GNAM non esiterà a fare scelte controverse, acquistando quadri di Fontana, Burri, Vedova e Manzoni.
Proprio l’acquisizione dell’opera “Sacco Grande” di Burri fece esplodere la polemica astrattismo-realismo. Furono anni difficili, in cui Palma, difesa da una generazione di artisti e di critici a lei affini (soprattutto Argan e Venturi), era costantemente attaccata sia sul piano culturale che su quello gestionale, con accuse piuttosto pesanti riguardo alla gestione finanziaria del museo.

Alberto Savinio. Ritratto di Palma Bucarelli, 1945

La Regina di Quadri
La dedizione al lavoro era tale che nel 1952 Palma Bucarelli era arrivata a trasferirsi in un appartamento ricavato all’interno della stessa Galleria.
Donna di grande fascino e di grande carisma, immortalata da pittori celebri come Alberto Savinio e Carlo Levi, coltissima, intelligente e dotata di un’innata eleganza nel parlare e nel vestire, difese inflessibilmente le sue idee innovative – tanto che Marino Mazzacurati la chiamava “Palma e sangue freddo” – in un settore in cui le donne erano poche e, raramente, ricoprivano ruoli di primo piano. Rachele Ferrario, autrice della biografia di Palma Bucarelli, l’ha definita, per tutte queste sue doti, la “Regina di Quadri”.
A lei si deve, sicuramente, il merito di aver portato l’Italia del dopoguerra fuori da quel provincialismo artistico che era stato tipico del ventennio fascista.
Nel 1975 lascia la direzione della Galleria, probabilmente ormai stanca delle infinite polemiche sul suo operato e dei pettegolezzi sulla sua vita privata.
Dopo la sua morte, avvenuta il 25 luglio 1998, 58 opere della collezione personale di Palma Bucarelli sono state donate alla GNAM e sono tutt’ora contrassegnate da un cartellino con una palmetta disegnata.

 

 

EMINENT FIGURES | Palma Bucarelli, the Queen of Paintings

Palma Bucarelli was one of the most influential figures in the Italian artistic environment of the twentieth century, as well as the first woman to direct a public museum, the National Gallery of Modern Art, to which she will link her name for over 30 years.

An intelligent young woman
Born in 1910 in Rome into a middle-class family, Palma was able to graduate in History of Art at La Sapienza, where she was a pupil of Adolfo Venturi and Pietro Toesca. Among his classmates there was also Giulio Carlo Argan, to whom Palma always remained tied by a deep friendship.
In 1933, at the age of 23, she won the competition at the Ministry for National Education as an official for the Fine Arts and was assigned to the Galleria Borghese in Rome. In 1936 she was transferred for a short time to Naples, where, at the home of Benedetto Croce, she met Paolo Monelli, a journalist and great love of Palma’s life, whom she married in 1963.

The National Gallery of Modern Art and the war
Returned to Rome in 1937 and assigned to the Superintendency of Lazio, the following year she began working at the National Gallery of Modern Art, becoming its director in 1941, in the middle of the World War.
The first task was therefore to preserve the integrity of the works of art in the Gallery from the risks generated by the world war: in her “Cronaca di sei mesi” the Superintendent Bucarelli tells how, in the autumn of 1941, most of the works (672 pieces from the collection) were transferred to the warehouses of Palazzo Farnese in Caprarola.
With the rise of the front to the north and the approach of German reprisals on Lazio, Palma Bucarelli, assisted by some valid collaborators and Rodolfo Siviero, arranged a new transfer of the works in the basement of Castel Sant’Angelo, considered inviolable as Vatican territory. After the tragic months of the winter of 1944, the liberation of Rome, which took place in June, was celebrated by a series of artistic initiatives including a new exhibition at the GNAM, inaugurated on December 10th.

The 1950s and 1960s: a revolutionary director
Under the Bucarelli direction, the GNAM exhibitions began to favor avant-garde and abstract art currents, opening up to the international art scene: in the 1950s and 1960s large exhibitions were set up, dedicated to international artists such as Picasso (1953), Mondrian (1956) and Pollock (1959).
With the opening to international contemporary art, a process of revision in the organization of the museum began, not without controversy,  to become a wide-ranging institution, no longer a mere container but a meeting point between the various arts, as well as educational centre open to all. In particular, Bucarelli radically changed the content of the museum and the way of presenting the works to the large public: endowed with a great intuition for the avant-garde, the director of GNAM will not hesitate to make controversial choices, buying paintings by Fontana, Burri, Vedova and Manzoni.
The acquisition of Burri’s work “Sacco Grande” caused the abstraction-realism controversy to explode. These were difficult years, in which Palma, defended by a generation of artists and critics similar to her (especially Argan and Venturi), was constantly attacked both on a cultural and managerial level, with rather heavy accusations regarding the financial management of the museum.

The Queen of Paintings
The dedication to work was such that in 1952 Palma Bucarelli had moved into an apartment in the same Gallery, a woman of great charm and charisma, immortalized by famous painters such as Alberto Savinio and Carlo Levi , intelligent and gifted with an innate elegance in speaking and dressing, inflexibly defended her innovative ideas – so much so that Marino Mazzacurati called her “Palm with cool head” – in a field in which women were few and, rarely, they held prominent roles. Rachele Ferrario, author of the biography of Palma Bucarelli, defined her, for all these qualities, the “Queen of Paintings”.
Certainly we owe the credit to her for having brought post-war Italy out of that artistic provincialism that had been typical of the Fascist period.
In 1975 she left the direction of the Gallery, probably by now tired of the endless controversies about her work and the gossip about her private life. After her death on 25 July 1998, 58 works from Palma Bucarelli’s personal collection were donated to GNAM and they are still marked by a tag with a drawn palmette.

Translated and curated by Veronica Muscitto

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DIETRO AL FASCISMO | Le donne come custodi del focolare

Il mito di Roma era stato decisamente utilizzato dal fascismo e, in particolar modo, il richiamo al mondo classico si focalizzava sulla sovrapposizione tra Augusto e Mussolini.
Le riforme augustee e i temi della sua politica, dal ruralismo al mos maiorum, ben si adattavano alla politica del regime. Così come l’antico imperatore aveva promulgato una serie di leggi che frenavano il diffondersi del celibato e favorivano la natalità, Mussolini in Italia diede un posto preminente alla politica demografica. Emanò una serie di provvidenze legislative contro la propaganda neo-malthusiana, vietando l’uso di anticoncezionali e il ricorso all’aborto per accrescere e difendere la natalità; impose oneri fiscali ai celibi, favorendo in questo modo il costruirsi di sane e numerose famiglie.

 

“Una madre nuova per figli nuovi”

L’atteggiamento del fascismo, quindi, nei confronti delle donne fu da sempre caratterizzato da un duplice aspetto. Da un lato il regime continuò a relegarle ad un ruolo secondario rispetto all’uomo, dall’altro, però, le coinvolse in tutta una serie di attività, “arruolandole” nelle proprie organizzazioni e, in particolare, nell’ambito della politica riproduttiva.
Mentre nel 1919 la Legge Sacchi, pur con molte eccezioni, aveva riconosciuto le donne idonee alla maggior parte degli impieghi statali, il fascismo, impossibilitato ad escludere completamente il lavoro femminile, mise in atto tutta una serie di atteggiamenti discriminatori. Fu attuata una legislazione restrittiva che aveva, di fatto, l’obiettivo di evitare che il lavoro fosse considerato dalle donne un mezzo per l’emancipazione. Il compito delle donne era la maternità: una “madre nuova per figli nuovi”.

Pagina de “Il popolo di Romagna“, 17 dicembre 1928.

Come “custodi del focolare” la loro vocazione primaria era quella di procreare, allevare i figli e amministrare le funzioni familiari nell’interesse dello Stato. Ma, per poter eseguire questi doveri, occorreva che fossero coscienti delle aspettative della società. Durante il periodo fascista, la via che conduceva fuori dal focolare domestico non portò all’emancipazione ma a nuovi doveri nei confronti della famiglia e dello Stato.

La mitica fecondità romana

All’indomani del varo delle leggi razziali, il fascismo costruì una delle iconografie più importanti della politica fascista: la presunta e mitica fecondità romana. Immagini estraniate dal mondo antico, sono sfruttate dalla propaganda fascista come il rilievo dedicato “alle nutrici Auguste” del II-III sec. d.C., nutrici che spesso si sostituivano al ruolo delle madri ed erano considerate delle prestatrici d’opera, oppure le Mater Matuta, cioè delle madri con uno o più bambini in grembo, auspicio di fecondità come la Mater Matuta di Villa Giulia (IV-III a.C.).

Mater Matuta, Villa Giulia (IV-III sec. a.C).

 

Rilievo delle Nutrici Auguste (II-III sec. d.C.).

La Mater Matuta diveniva la Saturnia Tellus, di cui l’esempio più importante era il rilievo dell’Ara Pacis. Saturnia con i due infanti tra le braccia si trasformava nella figura della Madonna con Gesù in grembo, che a sua volta rappresentava la donna fascista rurale e prolifica, affiancata da un giovane Giovanni Battista.
Le donne furono quindi relegate al ruolo di madri, allontanandosi sempre più dalla sfera pubblica. La donna veniva premiata quando aveva tanti figli e discriminata qualora volesse impegnarsi in attività professionali.

Fregio della Madonna con il bambino.

BACK TO FASCISM | Women as hearth keepers

The myth of Rome and, in particular, the reference to the classical world focused on identifying Augustus with Mussolini had been significantly used by Fascism. The Augustan reforms and their political themes, from ruralism to mos maiorum, were perfectly suitable for the policy of the regime. Just as the ancient emperor had promulgated a series of laws that curbed the spread of celibacy and favored the birth rate, in Italy Mussolini gave great importance to policies on demographics. He issued a series of legislative provisions against the neo-Malthusian propaganda, banning the use of contraceptives and of abortion to increase and defend the birth rate; he imposed tax burdens on celibates, thus favoring the starting of healthy and numerous families.

 

“A new mother for new children”

Therefore, the attitude of Fascism towards women has always been characterized by a dual approach. On the one hand, the regime continued to relegate them to a secondary role compared to men; on the other, however, it involved them in a whole series of activities, ‘enlisting’ them in its own organizations and, in particular, in policies on reproduction. While in 1919 the Sacchi Law, albeit with many exceptions, had recognized women suitable for most of the state jobs, fascism, unable to exclude completely female labour, adopted a whole series of discriminatory attitudes. A restrictive legislation was implemented which had, in fact, the aim of preventing women from considering work as a means for emancipation. Women’s task was motherhood: a “new mother for new children”.

Newspaper page from “Il popolo di Romagna”, December 17, 1928.

As ‘hearth keepers’ their primary vocation had to be procreating, raising children and administering family functions in the interest of the State. But, in order to perform these duties, they needed to be aware of social expectations. During the Fascist period, the path that led outside the hearth did not lead to emancipation, but to new duties towards the family and the State.

The mythical Roman fecundity

Following the adoption of the racial laws, Fascism created one of the most important iconographies of its politics: the so-called mythical Roman fecundity. Images from the ancient world were decontextualized and exploited by the Fascist propaganda, such as the relief dedicated to ‘the Augustan nurses’ of the second-third century AD, nurses who often replaced the mother’s role and were considered workers, or the Mater Matuta, that is, mothers with one or more children in their wombs as a good omen for fertility, such as the Mater Matuta of Villa Giulia (fourth-third century BC).

Mater Matuta, Villa Giulia (fourth-third century BC).
Bas-relief portraying the ‘Augustan nurses’ (second-third century AD).

The Mater Matuta became the Saturnia Tellus, whose relief in the Ara Pacis represents its most important example. Saturnia with two infants in her arms was transformed into the image of the Madonna with Jesus in her womb, which in turn represented the rural and prolific Fascist woman, flanked by a young John the Baptist. Women were therefore relegated to the role of mothers, moved further and further away from the public sphere. A woman was rewarded when she had many children and discriminated against if she wanted to engage in professional activities.

Frieze depicting the Madonna with child.

Traduzione a cura di Cristina Carloni.