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LO SAPEVI CHE | A Deir el-Medina manca il salario operaio: più di 3000 anni fa il “primo sciopero” della storia

Vi siete mai chiesti quale sia stato il primo “sciopero” della storia? Anche i lavoratori dell’antichità protestavano per i propri diritti? Sembra proprio di sì! Siamo nell’anno 29 del regno di Ramesse III, nell’Egitto del Nuovo Regno, quando gli operai di Deir el-Medina decidono che è il momento di interrompere il loro lavoro per reclamare i propri diritti. È, ad oggi, la più antica testimonianza di “sciopero” giunta fino a noi. Ma cosa stava succedendo e perché gli operai di Deir el-Medina ne hanno avuto necessità?

Crisi politica ed economica nell’Egitto di Ramesse III

Dopo un periodo particolarmente prospero per l’Egitto, culminante con i regni di Sethi I, Ramesse II e Merenptah, il potere centrale subisce una perdita di potenza. Diminuisce la stretta sulle regioni del Vicino Oriente (utili per il reperimento di molte risorse) e si dà spazio a nuove invasioni esterne. Infatti, Ramesse III, secondo sovrano della XX dinastia, deve fare i conti con diverse invasioni esterne, prima dai Libici e poi dai Popoli del Mare nell’anno 8 di regno.

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Mura del tempio di Medinet Habu. Ramesse III contro i Popoli del Mare (foto: Mediterraneaonline)

Ramesse III si ritrovò, dunque, a sostenere ingenti spese militari e l’impiego di una sostanziosa forza lavoro per la realizzazione del suo tempio funerario a Medinet Habu. Sulle mura esterne del Tempio, infatti, venivano rappresentate le molte battaglie (e vittorie) del sovrano con la funzione di propaganda reale. Nel contempo, egli doveva assicurarsi che i templi ricevessero le razioni di cui necessitavano, sottolineando un indebolimento dello stato di fronte al clero e alle proprietà templari.

Proprio l’irregolarità nel pagamento delle razioni giornaliere, il salario operaio, scatena il malcontento degli operai di Deir el-Medina negli anni finali del regno.

Il “Papiro dello sciopero”

Un incredibile documento storico, il “Papiro dello sciopero” è oggi parte della collezione papirologica del Museo Egizio di Torino, resa disponibile online sul sito del museo. Si tratta di una testimonianza documentale unica, la più antica giunta a noi. Il cosiddetto “Papiro dello sciopero” è un documento amministrativo scritto in ieratico (grafia corsiva dell’egiziano antico) che riporta la notizia di uno “sciopero” durante l’anno 29 del regno di Ramesse III. Autore del papiro è lo scriba Amunnakht, a cui si devono anche il “Papiro delle miniere” e il “Progetto della tomba di Ramesse IV”, conservati al Museo.

Il “Papiro dello sciopero”, Museo Egizio di Torino (foto: Artsupp)

Secondo il testo, gli operai del villaggio di Deir el-Medina, preposti al lavoro delle sepolture reali nella Valle dei Re, un giorno di novembre smettono di lavorare. Vanno a sedersi fuori dai templi funerari di Tutmosi III e Ramesse II e dicono che non torneranno al lavoro. Dopo un pagamento in grano da parte delle autorità e un momentaneo rientro a lavoro, gli operai occupano il tempio di Sethi I. Il loro obiettivo è quello di parlare delle proprie condizioni di lavoro direttamente con il loro “signore perfetto”, il faraone stesso, perché da due mesi non ricevono il salario, consistente in razioni giornaliere di viveri. Mancano loro unguenti, panni e soprattutto cibo. E, secondo il testo, finché non verranno pagati non proseguiranno con le loro attività. Una presa di posizione, in nome dei diritti dei lavoratori, antica di più di 3000 anni.

La storia che cambia

In un incontro con Archeologia voci dal passato, Christian Greco, direttore del Museo Egizio, dice che «anche se il testo non lo riporta, gli operai torneranno poi a lavorare. La situazione si risolverà, ma capiamo anche in quale crisi economica profonda l’Egitto stia entrando. Di lì a poco, nell’età di Ramses XI, sarebbe finito il Nuovo Regno, e il Paese sarebbe entrato nel Terzo Periodo Intermedio. Un momento in cui il centro di potere non sarà più unico: il potere politico sarà diviso all’interno dell’Egitto e il Paese conoscerà anche un momento di compressione economica. Non saranno più in grado – ad esempio – di andare in Libano per reperire il legno di cui avevano bisogno per costruire sarcofagi. Ecco quindi che questo è un documento storico importantissimo perché ci fa capire anche le trasformazioni che l’Egitto sta subendo».

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NEWS | La città perduta di Aten: Zahi Hawass annuncia la scoperta a Luxor (Egitto)

L’ex ministro delle Antichità Dr. Zahi Hawass, annuncia la scoperta di una città sepolta nella sabbia. Lo fa con un post su Facebook, in attesa della conferenza stampa di sabato 10 aprile. “L‘ascesa di Aton“, questo il nome della città perduta che risale al regno del re Amenhotep III, regnante tra il primo quarto e la metà del XIV sec. a.C., quasi 3500 anni fa. “Abbiamo iniziato il nostro lavoro per la ricerca del tempio funerario di Tutankhamon, considerata la presenza, in quest’area, dei i templi di Horemheb e Ay”, dichiara Hawass.

Invece, la missione egiziana si è ritrovata di fronte a una scoperta eccezionale. La città, fondata proprio da Amnhotep III, nono re della XVIII Dinastia, era attiva durante gli anni di co-reggenza con il figlio Amenhotep IV, meglio noto come Akhenaton, il “faraone eretico”. Si tratta di un grande insediamento amministrativo e industriale sulla riva occidentale del Nilo a Luxor/Tebe. L’insediamento si estende fino a Deir el-Medina, il villaggio degli operai che lavorarono alle sepolture della Valle dei Re e delle Regine.

La città perduta

L’area di scavo si trova tra il Tempio di Ramesse III, a Medinet Habu, e il Tempio di Amenhotep III. “Le strade della città sono fiancheggiate da case, le cui mura sono alte fino a 3 metri“, continua Hawass. Gli scavi erano iniziati a settembre 2020, evidenziando sin da subito numerose strutture in mattoni affioranti in ogni direzione. Una scoperta inaspettata e stupefacente, resa tale anche dal buono stato di conservazione degli edifici, con muri quasi completi e stanze contenenti oggetti di vita quotidiana intatti, sepolti da migliaia di anni. La scoperta di questa città, inoltre, è doppiamente importante. Se da un lato ci offre un raro sguardo sulla vita quotidiana nell’Antico Egitto, dall’altro potrebbe fornire nuovi indizi sul perché Akhenaton e Nefertiti decisero di abbandonare Tebe per il trasferimento ad Amarna.

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Strutture murarie della città di Aten (fonte: Ministero delle Antichità)

Adesso, l’obiettivo primario è quello di ricostruire la storia dell’insediamento. Grazie ad alcune fonti storiche, si sa che la città era costituita da tre palazzi reali del re Amenhotp III e dal centro amministrativo e industriale del Regno.

In quasi sette mesi di scavi sono state riportate alla luce diverse aree dell’insediamento. A confermare la datazione della città è un gran numero di reperti archeologici tra cui anelli, scarabei, ceramiche dipinte, vasi in terracotta per il vino con iscrizioni geroglifiche e mattoni di fango recanti i sigilli con cartiglio di Amenhotep III (Neb Maat-Ra, nome del trono).

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Anfore con iscrizioni (Fonte: Zahi Hawass)
Una città ben organizzata

Nella parte meridionale, la missione ha individuato una prima area destinata alla preparazione di cibi, completa di forni e deposito del vasellame.

Una seconda area, ancora solo parzialmente indagata, è invece il distretto amministrativo e residenziale. Si tratta di un’area delimitata da un muro perimetrale ad andamento ondulato, con un solo punto di accesso verso i corridoi interni che comprende una serie di unità abitative più ampie e ben organizzate. Le pareti ondulate non sono un elemento architettonico frequente nell’Antico Egitto. Queste furono in uso principalmente intorno alla fine della XVIII Dinastia.

La terza area, invece, è la zona industriale, comprendente laboratori per la produzione dei mattoni in fango necessari per la realizzazione di templi e annessi. Tra i rinvenimenti, vi sono anche utensili per le attività tessili e anche un gran numero di stampi da fusione per la produzione di amuleti o elementi decorativi.

Inusuali sepolture e un area cimiteriale

Una delle stanze indagate presenta sepolture di un grande animale bovino, una mucca o un toro, per cui sono in corso ricerche per determinarne la natura e lo scopo. Ma più inusuale e quasi inquietante è, inoltre, il ritrovamento di una sepoltura antropica il cui scheletro presenta braccia tese lungo i fianchi e resti di una corda attorno alle ginocchia.

Accanto a questi rinvenimenti, anche quello di un’ampia area cimiteriale, la cui estensione non è stata ancora determinata. La missione ha evidenziato un gruppo di tombe, di varie dimensioni, scavate nella roccia. Ad esse si accede tramite scale, caratteristica che accomuna diverse tombe nella Valle dei Re e nella Valle dei Nobili.

La conferma della datazione

Già i sigilli reali su mattoni e stampi non lasciano dubbi sulla datazione al tempo di Amenhotep III. A questi elementi, vanno aggiunti dei curiosi rinvenimenti. Uno di questi è un contenitore con resti di carne essiccata o bollita (circa 10 kg) con un’importante iscrizione. Si può infatti leggere: “Anno 37, carne condita per la festa Heb Sed proveniente dal macello del recinto per bestiame di Kha, fatta dal macellaio luwy. Una preziosa informazione che non solo fornisce i nomi di due persone che vivevano e lavoravano nella città, ma conferma il periodo di attività della stessa anche al tempo della co-reggenza.

Un’impronta di sigillo, inoltre, reca l’iscrizione gm pa Aton, che può essere tradotto come “dominio del luminoso Aton”, nome di un tempio fatto realizzare da Akhenaton a Karnak.

Sigillo con iscrizione e frammenti lapidei con occhi (fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano)

La missione annuncia che i lavori continueranno poiché, fino ad ora, è stato indagato solo un terzo dell’area. Una scoperta importante, dunque, che, al di là del dato materiale, fornisce importanti informazioni circa la vita quotidiana non solo popolare ma, in questo caso, anche reale.

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ANCIENT EGYPT | Deir el-Medina and the artists of the afterlife

Everyone knows the Valley of the Kings, which houses the burials of the pharaohs of the 18th, 19th and 20th dynasty; not everyone, however, knows Deir el-Medina, the village where workers and artisans responsible for the construction of the royal tombs lived. This village is a very important source of documentary information regarding urban planning, social, funerary customs, and literature in ancient Egypt.

A village hidden in a small valley, between the spurs of the Thebes mountain and the hill of Gurnet Murai, Deir el-Medina owes its present name to a small monastery, built not far from the Ptolemaic temple consecrated to Hathor-Maat. The Arabic toponym that indicates this place, in fact, means “monastery of the city”.

The layout of the village

The complex includes about 120 houses and is surrounded by a wall, while inside there are walls that separate the different districts; from the point of view of the dimensions it is rather modest, but what is striking is precisely the careful planning of the spaces, used for housing and for public use, a division that guaranteed the isolation of the community from the outside, fundamental for the protection of the royal necropolis.

Deir el-Medina was inhabited by about 500 people, divided into two sections through a main road running from north to south; on the spot there was the team of “workers”, but actually they were not considered as such, since they were made up of scribes, painters, engravers, sculptors, draftsmen, that we would refer to them today as “artists”, flanked by the workforce of unskilled workers, quarrymen, cement workers and miners, who took turns periodically.

The houses were made of raw bricks (bricks whose mixture of clay and chopped straw was left to dry in the sun), on a base of rough stone that rested directly on the ground, without foundations, and they are all very similar.

Those of the workers, despite being small and simple, are composed of an entrance hall, where an altar was located for domestic offerings, as a place of welcome and prayer. Continuing the exploration, we find a main room with a high ceiling, supported by a central column and equipped with a window with a grate for lighting, then a living room, a kitchen with a cellar below and, finally, the terrace, a place of meeting and refreshments.

 

Section (top) and partial plan (bottom) of a house in Deir el-Medina

Religion come into houses

Ancestor worship at home was very important, and so was the religion in general; we have the cults of Osiris, the God of the Underworld and prince of eternity as he reflects the incarnation of the life cycle; Ptah, the God of Creator and patron of cratftmens; Thoth, god-ibis patron of the scribes; Hathor, the celestial cow that swallows the sun at sunset to give it life in the morning, as well as the “lady of the necropolis”, who welcomes the dead into the afterlife, as well as Amon-Ra, king of all the gods of the Egyptian pantheon. The devotion to these deities was manifested through some stelae, in which various hymns and prayers appear: forgiveness for sins, as well as protection and health are asked.

A school in Deir el-Medina

In addition to stelae, Deir el-Medina has left us many other evidence, not only administrative documents, but also private ones, mainly in the form of ostraka (pottery shards). There are scholastic ostrakas, which therefore attest to the presence of a school (for painters and scribes) in this village, and which report passages from the Kemit, a text that contains models of letters, advice and rules of life, useful for future scribes .

Among the literary texts reproduced in these ostraka, there are mainly passages from the “Satire of the Trades” and the “Teaching of Amenemhat”. The Satire of the Trades includes writings that exalt the virtues of one’s trade, the scribe, compared to other trades, often described in sarcastic terms; this trade is therefore exalted, since an official like this is considered a true teacher of life. The “Teachings”, on the other hand, are a very widespread typology of texts, in which life advice, instructions and teachings are given, in fact, from father to son.

 

The democratization of funerary architecture

The maximum artistic expressiveness, however, must be sought in the tombs of the workers: in this period we are witnessing the birth of a real workers ‘ necropolis, in which the burials have nothing to envy to the noble tombs, in terms of decoration. Originally, there was no pre-established overall plan, only with the nineteenth dynasty the family tombs will be concentrated on the north-western side of the necropolis.

These are tombs with so-called “composite” architecture: the superstructure consists of a small pyramid (hence the definition of “pyramid tomb”), built in poor and perishable material, which demonstrates the democratization process started with the transcription, on papyrus, of the “Book of the Dead; then there is a hypogeum with an underground room, covered by a brick vault. The reliefs and pictorial works on the walls are often of the highest quality and, rare in Egypt, we are witnessing the use of “fresco” painting by the pisé technique (clay mixed with mud on which plaster is applied, which serves as a basis for painting).

 


Diagram of a burial in the Workers’ Village of Deirel-Medina:
a. Pylon; b. Courtyard; c. Water well; d. Hypogeum that housed the mummy / s; e. Chapel; f. Heliopolitan pyramid; g. Dormer window

https://archeome.it/wp-admin/post.php?post=7469&action=edit

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ANTICO EGITTO | Deir el-Medina e gli artisti dell’Aldilà

Tutti conoscono la Valle dei Re, che ospita le sepolture dei faraoni della XVIII, XIX e XX dinastia; non tutti, però, conoscono Deir el-Medina, il villaggio dove vivevano gli operai e gli artigiani preposti alla realizzazione delle tombe reali. Questo villaggio è una fonte documentale molto importante per quanto riguarda l’urbanistica, le abitudini sociali, funerarie, e la letteratura nell’antico Egitto.

Villaggio nascosto in una piccola valle, tra i contrafforti della montagna tebana e la collina di Gurnet Murai, Deir el-Medina deve il nome odierno a un piccolo monastero, sorto non lontano dal tempio tolemaico consacrato ad Hathor-Maat. Il toponimo arabo che indica questo luogo, infatti, significa “monastero della città”.

Struttura del villaggio

Il complesso comprende circa 120 abitazioni ed è circondato da una cinta muraria, mentre all’interno vi sono muri che separano i diversi quartieri; dal punto di vista delle dimensioni è piuttosto modesto, ma ciò che colpisce è proprio l’accurata pianificazione degli spazi, adibiti alle abitazioni e ad uso pubblico, divisione che garantiva l’isolamento della comunità dall’esterno, fondamentale per la protezione della necropoli reale.

Deir el-Medina era abitato da circa 500 persone, suddiviso nel quartiere di “destra” e di “sinistra” attraverso una via principale che corre da nord a sud; in loco si trovavano le squadre degli “operai”, ma che tali non erano, poiché erano composte da scribi, pittori, incisori, scultori, disegnatori, che oggi chiameremmo “artisti”, affiancati dalla forza lavoro composta da manovali, cavapietre, cementisti e minatori, che si avvicendavano periodicamente.

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Sezione (in alto) e pianta parziale (in basso) di una casa a Deir el-Medina

Le case erano realizzate in mattoni crudi (mattoni il cui impasto di argilla e paglia tritata veniva lasciato essiccare al sole), su un basamento di pietra grezza che poggiava direttamente sul terreno, senza fondamenta, e sono tutte molto simili.

Quelle degli operai, pur essendo piccole e semplici, sono composte da un vano d’ingresso, dove era situato un altare per le offerte domestiche, quale luogo di accoglienza e di preghiera. Proseguendo nell’esplorazione, troviamo una sala principale con un soffitto alto, sorretto da una colonna centrale e dotato di una finestra con grata per l’illuminazione, poi un vano soggiorno, una cucina con cantina sottostante e, infine, il terrazzo, luogo di incontro e di rinfresco.

La religione entra nelle case

Il culto domestico degli antenati era molto importante, e, in generale, lo era la religione; abbiamo i culti di Osiride, dio dei morti e principe dell’eternità in quanto incarnazione del ciclo vitale; Ptah, dio demiurgo e patrono degli artigiani; Thot, dio-ibis patrono degli scribi; Hathor, la vacca celeste che al tramonto inghiotte il sole per ridargli vita al mattino, nonché “signora della necropoli”, che accoglie i morti nell’aldilà, oltre ovviamente ad Amon-Ra, re di tutti gli dèi del pantheon egizio. La devozione a queste divinità era manifestata attraverso alcune stele, in cui compaiono vari inni e preghiere: si chiede perdono per i peccati, oltre che protezione e salute.

Una scuola a Deir el-Medina

Oltre alle stele, Deir el-Medina ci ha lasciato molte altre testimonianze, documenti non solo amministrativi, ma anche privati, sotto forma soprattutto di ostraca (cocci di ceramica). Ci sono ostraca scolastici, che attestano, quindi, la presenza di una scuola (per pittori e scribi) in questo villaggio, e che riportano brani della Kemit, un testo che contiene modelli di lettere, consigli e regole di vita, utili ai futuri scribi.

Fra i testi letterari riprodotti in questi ostraca, sono presenti soprattutto brani della “Satira dei mestieri” e dell’”Insegnamento di Amenemhat”. La Satira dei mestieri comprende scritti che esaltano le virtù della propria professione, lo scriba, rispetto ad altri mestieri, descritti in termini spesso sarcastici; viene, quindi, esaltata questa professione, in quanto un funzionario del genere è considerato un vero e proprio maestro di vita. Gli “Insegnamenti”, invece, sono una tipologia molto diffusa di testi, in cui si danno consigli di vita, istruzioni e insegnamenti, appunto, di padre in figlio.

La democratizzazione dell’architettura funeraria 
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Schema di una sepoltura del Villaggio Operaio di Deir el-Medina:
a. Pilone; b. Cortile; c. Pozzo; d. Ipogeo che ospitava la/e mummia/e
e. Cappella; f. Piramide “eliopolitana”; g. Finestra “abbaino”

La massima espressività artistica però, va ricercata nelle tombe degli operai: si assiste, in questo periodo, alla nascita di una vera e propria necropoli operaia, in cui le sepolture nulla hanno da invidiare alle tombe nobiliari, quanto a decorazione. Originariamente, non esisteva un piano di insieme prestabilito, solo con la XIX dinastia le tombe di famiglia si concentreranno sul lato nord-occidentale della necropoli.

Si tratta di tombe ad architettura cosiddetta “composita”: la sovrastruttura è costituita da una piccola piramide (da cui la definizione di “tomba a piramide”), costruita in materiale povero e deperibile, che dimostra il processo di democratizzazione iniziato con la trascrizione, su papiro, del “Libro dei morti; vi è, poi, un ipogeo con un vano sotterraneo, coperto da una volta in mattoni. I rilievi e le opere pittoriche presenti sulle pareti sono spesso di altissima qualità e, caso raro in Egitto, si assiste all’impiego di pittura “a fresco” su “pisé” (argilla mista a fango su cui viene applicato l’intonaco, che serve da base per la pittura).