Illustri Messinesi | La vita di Giovanni Pascoli, poeta decadente e docente di latino all’Unime
Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. È Considerato uno dei più importanti poeti decadenti italiani. La sua crescita e la sua formazione furono fortemente segnati dalle difficili vicende vissute durante gli anni dell’infanzia e della prima giovinezza, che influenzarono inevitabilmente anche la sua sensibilità e la sua poetica.
Nel 1867 perse infatti il padre in circostanze misteriose; l’uomo venne assassinato mentre tornava a casa in calesse e il delitto rimase sempre impunito. A breve distanza di tempo avvenne anche la scomparsa della madre, due drammi che portarono profonda disperazione e dolore nella vita di Pascoli. Condivise dolori e sofferenze economiche con due fratelli e due sorelle, Giacomo e Luigi, Ida e Maria. Fu lui a provvedere al sostentamento dei fratelli dopo la morte dei genitori.
Pascoli riuscì a proseguire gli studi fino alla laurea grazie a una borsa di studio. Fino al 1895 visse con le sorelle. Poi, quando Ida si sposò, visse in affettuosa intimità con Maria, detta “Mariù”, a Castelvecchio di Barga, in Lucchesia. Questo rimarrà uno dei luoghi più importanti e significativi della sua vita. Da professore insegnò a Matera e quindi a Massa ed a Livorno, ma, avendo assunto atteggiamenti anarchici, fu trasferito a Messina, nella cui Università ha assunto il ruolo di docente di letteratura latina.
Ma non fu un ribelle, anzi, alla maniera decadente si chiuse nel suo dolore, si isolò in se stesso, solo con le sue memorie e con i suoi morti. La sua ribellione fu un senso di avversione per una società in cui era possibile uccidere impunemente e nella quale si permetteva che una famiglia di ragazzi vivesse nella sofferenza e nella miseria.
Non c’è ribellione nella sua poesia, ma rassegnazione al male, una certa passività di fronte ad esso: vi domina una malinconia diffusa nella quale il poeta immerge tutto, uomini e cose. Egli accetta la sua triste realtà come è, e si sottomette al mistero che non riesce a spiegare. La sua poesia non ha una trama narrativa e non è neppure descrittiva: esprime soltanto degli stati d’animo, delle meditazioni. E’ l’ascolto della sua anima e delle voci misteriose che gli giungono da lontano: dalla natura o dai morti.
Le vicende personali e familiari di Giovanni Pascoli, e il loro impatto sulla sua produzione artistica del poeta, sono efficacemente rievocate e ricostruite nel racconto di Guido Davico Bonino. Uno straordinario documento in cui il critico e professore universitario ripercorre le tappe della vita di Pascoli, attraverso la sua esperienza umana e i riflessi sulla sua poetica.
La raccolta Canti di Castelvecchio , pubblicata nel 1903, fa di Pascoli, come sostiene Davico Bonino, il primo grande poeta italiano contemporaneo, capace di rinnovare la tradizione linguistica mediante un lessico “agreste o contadino”, che prevede l`innesto di suoni animali e naturali, voci dalla forte eco simbolica, perché rievocano innocenza, malinconica, malesseri e paure indecifrabili, sullo sfondo dell`attesa della morte. All’interno dello stesso contributo, l’attore Umberto Ceriani legge e interpreta alcuni brani tratti dagli stessi Canti di Castelvecchio: Nebbia, Il brivido, Il gelsomino notturno, L`ora di Barga, La mia sera, La servetta di monte, La tessitrice e Commiato.
Morì a Bologna il 6 aprile 1912 (stesso anno della tragedia del transatlantico Titanic) e con lui scomparì parte del bello di questo mondo, che perse oltre alla poesia, quel poco di umanità, di amore e arte presente nell’animo e nel cuore di ogni essere umano, per far spazio ad odio dolore, cattiveria, un mantello nero che ci circonderà per molto tempo, culminando con due devastanti guerre, che calpesteranno l’essenza stessa dell’essere uomini.
Continua la prossima settimana con altri aneddoti sull’illustre messinese Pascoli