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NEWS | Museo del Paleolitico, la nuova sezione fa “rinascere” un bambino di 600.000 anni fa

Al Museo Nazionale del Paleolitico di Isernia arriva una nuova sezione espositiva dedicata al “dentino” di Homo heidelbergensis, reperto principale del sito archeologico preistorico di Isernia La Pineta.

La prima fase del progetto è terminata durante la chiusura dei luoghi della cultura a causa dell’emergenza sanitaria. I lavori di riallestimento del Museo Nazionale del Paleolitico di Isernia si sono concentrati sull’esposizione del prezioso reperto archeologico del “dente da latte”, un incisivo superiore di un bambino di Homo heidelbergensis. La mostra permanente vede, inoltre, l’introduzione della scultura iperrealistica che ne ricostruisce le fattezze, insieme con quelle di alcuni esemplari della fauna rinvenuta nel giacimento preistorico.

Ricostruzione del bambino heidelbergensis e di un rinoceronte da Isernia “La Pineta”

Un lavoro sinergico e multidisciplinare

Si tratta della conclusione di un complesso cammino: cominciato nel 2017, ha visto “unire le forze”, sotto una veste multidisciplinare, Università, professionalità scientifiche, paleoartisti, scenografi ed esperti del settore. La nuova sezione espositiva si è avvalsa della partecipazione dell’Università degli Studi di Ferrara, nelle persone del prof. Carlo Peretto e prof. Benedetto Sala; l’idea originale è stata partorita e coordinata dall’arch. Pierangelo Izzo e dalla dott.ssa Annarosa Di Nucci della Direzione Regionale Musei Molise. Da ultimo, degno di nota è l’apporto della paleoartista di fama internazionale Elisabeth Daynes, per la scultura del bambino, e della società Prehistoric Minds, per le ricostruzioni a grandezza naturale degli animali.

Il Museo apre le porte a modernizzazione e rinnovamento

L’inaugurazione del moderno allestimento ha lo scopo di iniziare il Museo al rinnovamento e, con le successive implementazioni, a rendere la cultura di Isernia La Pineta maggiormente fruibile da parte del pubblico. Il lavoro compiuto fino a ora è stato reso possibile grazie ai contributi finanziari del MiBACT e della Regione Molise.

La nuova sezione espositiva, per ora non direttamente usufruibile a causa della chiusura dei luoghi della cultura, sarà visitabile a partire da oggi 16 gennaio 2021, salvo eventuali proroghe delle misure governative di contenimento della pandemia.

Le “archeo-meraviglie” del sito preistorico

Il sito di Isernia La Pineta si sviluppa nel territorio della città di Isernia, in Molise, ed è una delle più importanti località archeologiche del Pleistocene medio nell’Europa occidentale. Si tratta di un vasto sito all’aperto, da diversi anni oggetto di scavi e ricerche archeologiche da parte dell’Ateneo ferrarese (Unife), che ha restituito abbondante industria litica e resti faunistici. Questi costituiscono la testimonianza di una lunga frequentazione da parte di gruppi di ominidi, della piana d’Isernia, durante il Paleolitico inferiore, tra i 700.000 e i 500.000 anni fa. Il sito è considerato un “archivio” di documenti archeologici preistorici fondamentali per la comprensione dei modi di vita e delle dinamiche preistoriche di popolamento nell’area del Mediterraneo.

La storia del “dentino” di Homo heidelbergensis

L’ulteriore conferma dell’attività di caccia e sfruttamento di risorse animali a Isernia La Pineta, da parte dell’Homo, è arrivata nel 2014, con il ritrovamento di un dente umano. 

L’”avventura” del dentino ha avuto inizio così. La scoperta e lo studio del reperto umano è stata pubblicata sulla rivista americana internazionale PLOS ONE; il gruppo di ricerca è stato coordinato dal Prof. Carlo Peretto dell’Università degli Studi di Ferrara, in collaborazione con prestigiose Università, tra cui La Sapienza di Roma nella figura del Prof. Giorgio Manzi, e con istituti di ricerca nazionali e internazionali. Questo ha permesso la datazione del piccolo incisivo mascellare intorno a 580.000 anni fa e la sua attribuzione ad un bambino, di età stimata tra i 5 e i 7 anni, appartenente alla specie dell’Homo Heidelbergensis.

L’incisivo dal giacimento “La Pineta”

Il giovane ominide “rinasce” con la scultura iperrealista

Il lavoro del team di scienziati non è finito qui: “Per mesi abbiamo eseguito calcoli di ordine morfologico, metrico e statistico, studiando i crani ritrovati, sia di bambini sia di adulti, risalenti ai Neanderthal e all’uomo moderno”, spiega Peretto. Lo studio pienamente scientifico ha permesso di tracciare le sembianze del proprietario del dente, per realizzarne una ricostruzione e la stampa tridimensionale. Questa, all’inizio del 2020, è stata affidata alla paleoartista francese Elisabeth Daynes, già autrice delle riproduzioni di Tutankhamon, dell’australopiteco Lucy e dell’hobbit Flores. Lo scorso 10 Giugno, dopo i rallentamenti dovuti alla pandemia, la scultura del “Bambino di Isernia” è finamente approdata, nel giubilo collettivo, al Museo del Paleolitico di Isernia.

Un “plus” immancabile

La presenza, al Museo del Paleolitico, della riproduzione del bambino costituisce “un complemento fondamentale del nuovo allestimento, che prevede una scenografica vetrina multimediale di grandi dimensioni, in cui il dentino sarà reso comprensibile grazie a un applicativo multimediale. Questo non solo consentirà di apprezzare visivamente il piccolo reperto, interagendo con la sua riproduzione in grandi dimensioni grazie a un sistema touch, ma fornirà le informazioni necessarie a comprenderne il significato“, dichiara la Direzione Regionale Musei del Molise.

L’arrivo al Museo della scultura iperrealista del Bambino heidelbergensis

L’avvenuta ultimazione dei lavori è stata comunicata dalla Direzione Regionale Musei Molise, nella persona della Dirigente, Maria Giulia Picchione, dal progettista e direttore dei lavori, Pierangelo Izzo e dalla Direttrice del museo, Enza Zullo.

Salvo altri scomodi rinvii, aspettiamo a breve l’apertura delle porte, per essere catapultati nell’Italia di 600.000 anni fa.

L’immancabile riproduzione del giovane ominide al centro della nuova sezione

Articolo a cura di Ilda Faiella

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NEWS | Lo scenario di una possibile sepoltura neandertaliana

Un ampio studio pluridisciplinare sui Neanderthal, condotto da un’equipe di stampo internazionale, ha restituito importanti avanzamenti sul sito archeologico di La Ferrassie (Savignac-de-Miremont, Dordogna), in Francia. Uno dei tanti di questo periodo.

I risultati delle ricerche, volte ad approfondire le conoscenze dello scheletro di un bambino di due anni e del contesto archeologico in cui è stato rinvenuto, hanno permesso agli autori di proporre come the most parsimonious scenario (lo scenario più frugale) quello di una sepoltura volontaria, di un bambino di Neanderthal vissuto circa 41.000 anni fa.

Nel grand abri (ampio riparo sottoroccia), del sito de La Ferrassie, sarebbe stato scavato un pozzo, in un sedimento sterile, cioè privo di altre evidenze archeologiche, in cui il corpo del bambino sarebbe stato volontariamente deposto.

Per lo svolgimento delle analisi sono state applicate tutte le tecniche di ricerca più avanzate: datazioni, sia al Carbonio 14 che con la tecnica della termoluminescenza (OSL) per datare il deposito circostante, l’applicazione della spettrometria di massa ZooMS e l’elaborazione di dati relativi al DNA antico. Il tutto è stato corredato da informazioni geologiche e stratigrafiche del contesto circostante, nonché dalla rielaborazione delle informazioni spaziali provenienti sia dagli scavi del 1968-1973 , sia delle più recenti analisi del 2014.

Il lontano rinvenimento di Neanderthal

Il riparo roccioso del grand abri ha restituito, per tutto l’intero sito di La Ferrassie, il maggior numero di scheletri di Neanderthal, sia completi che parziali. La maggior parte delle collezioni sono state rinvenute all’inizio del XX secolo,  mentre l’ultimo scheletro, rinvenuto tra il 1968 e il 1973, è stato proprio “LF 8” (La Ferrassie 8), uno scheletro parziale di Neanderthal (cranio, collo e ossa del tronco, bacino e quattro falangi delle mani) di un bambino di circa due anni. Il contesto del ritrovamento è stato sempre considerato come scarsamente documentato, ma in realtà i vecchi diari di scavo (conservati presso il Musée d’Archéologie nationale e Domaine national de Saint-Germain-en-Laye, di seguito indicato MAN) contenevano un’enorme quantità d’informazione, che doveva solo essere riscoperta e rielaborata, così come hanno fatto i ricercatori per lo svolgimento della ricerca.

Nei musei gli “scrigni” del passato vengono riaperti

Nel 2014 sono stati condotti ulteriori scavi, presso il luogo di ritrovamento, per riconsiderare il deposito archeologico e raccogliere nuovi dati per le analisi geologiche, stratigrafiche e geocronologiche.

L’indagine si è concentrata, inoltre, sullo studio delle collezioni dei reperti del Museo Archeologico Nazionale di Les Eyzies e del Museo Nazionale di Storia Naturale a Parigi, e negli archivi del Musée de l’Homme e dell’Institut de Paléontologie Humaine, sempre a Parigi. In questo modo è stato possibile reinterpretare diversi reperti, sia archeologici che antropologici, facendo emergere circa cinquanta nuovi frammenti di ossa di ominidi, di cui alcuni rinvenuti in una scatola degli scavi del 1973, riconducibili all’infante LF8.

Neandertal
Analisi dei reperti ossei dal sito di La Ferrassie

Uno dei più recenti Neanderthal datati direttamente

Di particolare importanza è l’identificazione nello stesso deposito, con una tecnica di spettrometria di massa chiamata ZooMS, di un osso di ominide che, attraverso lo studio del DNA mitocondriale, è stato associato ai Neanderthal. La successiva datazione al radiocarbonio ha fornito un’età compresa tra i 41.700 e i 40.800 anni fa.

Antoine Balzeau commenta come si tratti “di una datazione non solo più recente rispetto ai resti faunistici trovati nel livello archeologico soprastante, ma anche più recente dell’età ottenuta con il metodo della luminescenza per lo strato sedimentario che circonda il bambino”, confermando dunque che si tratti di una sepoltura scavata intenzionalmente.

Evidenza di pratiche funerarie oppure no?

L’elaborazione di pratiche funerarie complesse è unica nel linguaggio umano e l’emergere di questo comportamento può essere considerato l’evidenza di complesse capacità cognitive e simboliche.

La questione se i Neanderthaliani seppellissero o no i propri morti è da tempo oggetto di un ampio dibattito, e solleva altri interrogativi sulla possibile somiglianza tra le due specie nelle pratiche funerarie e sulla questione della possibile “acculturazione”,  o trasmissione culturale, tra gli Homo Sapiens e gli ultimi Neanderthaliani: il tutto sempre ammettendo la possibilità di considerare le sepolture, di per sé, come l’espressione di un comportamento simbolico, piuttosto che dettata da un’intenzione utilitaristica.

Di là da questioni delicate, che continueranno ad essere alla base delle discussioni tra i più grandi esponenti di paleoantropologia, i risultati “mostrano quanto l’approccio multidisciplinare con cui è stata realizzata questa ricerca sia essenziale per far progredire la nostra comprensione del comportamento dei Neanderthal, comprese le pratiche funerarie”, dice in conclusione Asier Gómez-Olivencia.

Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, con il titolo “Pluridisciplinary evidence for burial for the La Ferrassie 8 Neanderthal child”. Le ricerche sono state guidate da Antoiene Balzau del CNRS e del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi, insieme ad Asier Gómez-Olivencia dell’Università dei Paesi Baschi (Spagna). Tra i membri, anche l’italiana Sahra Talamo, direttrice del nuovo laboratorio di radiocarbonio BRAVHO (Bologna Radiocarbon laboratory devoted to Human Evolution) presso l’Università di Bologna e dell’Istituto Max Planck di Antropologia Evolutiva (Germania), nonché Principal investigator del progetto di ricerca RESOLUTION (ERC Starting Grant N. 803147). Il progetto si basa sullo sviluppo di set di dati di calibrazione al radiocarbonio ad alta risoluzione, utilizzando alberi fossili per risolvere i periodi chiave nella preistoria europea, tra cui anche quello dell’arrivo dei Sapiens in Europa e dell’interazione con i Neanderthal.

Articolo a cura di Ilda Faiella