ARCHEOLOGIA | Il Parco Archeologico di Contrada Diana
Il Parco Archeologico di Contrada Diana si trova a Lipari, nell’area pianeggiante a sud del Vallone Ponte e a nord del Vallone S. Lucia. All’area del Parco appartengono l’ampia zona recintata nei pressi del Palazzo Vescovile, delimitata a sud dall’ex via Diana (ora via G. Marconi), e altre piccole aree archeologiche adiacenti. L’intera area archeologica è stata istituita nel 1971 dalla allora Soprintendenza delle Antichità della Sicilia Orientale. Nel 1987, invece, a seguito della nascita della Soprintendenza dei Beni Culturali a Messina, è diventata patrimonio archeologico della provincia di Messina.
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Scavi archeologici sistematici sono stati condotti fin dal 1948. Per circa un ventennio, a partire dal 1954, le indagini furono condotte da Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier, i quali contribuirono a fondare il Parco e, soprattutto, il Museo Archeologico. L’intera area del Parco conserva memoria di tutta la storia dell’isola e ha restituito testimonianze di età preistorica, greca e romana. Tra queste, di particolare interesse sono la necropoli greco-romana e i resti delle cinte murarie, cui si aggiungono due complessi termali.
La necropoli di Contrada Diana
Il cuore del Parco Archeologico di Contrada Diana è costituito dalla grande necropoli. Primo sito a essere scavato, in oltre sessant’anni di scavo ha restituito quasi 3000 sepolture. Le tombe erano disposte ordinatamente, in filari, e sovrappose su più ordini: le più recenti, infatti, si trovano al di sopra di quelle più antiche. Tutte le sepolture hanno orientamento N-S e ognuna di esse era accompagnata da un corredo interno e da uno esterno. Sono state identificate ben otto tipologie di sepoltura: si tratta, prevalentemente, di sepolture in sarcofagi, più raramente all’interno di anfore defunzionalizzate. Il corredo esterno, prima posto entro un grande vaso, a partire dalla metà del IV secolo a.C. viene inserito all’interno di un involucro di argilla cruda. In età imperiale, dal I al V secolo d.C., oltre al riutilizzo di vecchie sepolture greche le tombe assumono anche forma monumentale con recinti e ipogei familiari.
Il rito funebre era misto e prevedeva sia l’inumazione che l’incinerazione, con una netta prevalenza della prima sulla seconda. I ricchi corredi funebri, conservati all’interno del Museo Archeologico Regionale Eoliano, erano composti di ceramica figurata e non, gioielli e oggetti in metallo, statuette e maschere in terracotta, che riproducono personaggi della commedia e della tragedia greche e romane.
La cinta muraria
Gli scavi archeologici hanno portato alla luce i resti di due cinte murarie, una risalente al periodo della prima fondazione e l’altra al rifacimento della metà del IV secolo a.C. Le mura più antiche sono state rinvenute nel 1954, sotto quella che oggi è piazza Luigi Salvatore d’Austria. Si tratta di mura in opera poligonale, con grandi blocchi di pietra lavica perfettamente sbozzati, costruite con l’intento di proteggere il nucleo abitativo greco, che si estendeva tra la collina della Civita e il Castello.
Ciò che è visibile a Contrada Diana è il rifacimento della prima metà del IV secolo a.C.: si tratta di un tratto lungo 50 m, che evidenzia la presenza di torri quadrate di protezione. La nuova e più ampia cortina si adattava all’espansione dell’abitato greco. Questa seconda tecnica di costruzione prevedeva un riempimento di pietrame compatto, foderato, su entrambe le facce, da blocchi isodomi in pietra proveniente dal Monte Rosa di Lipari.
Con l’arrivo dei Romani, la città greca viene distrutta e obliterata dai resti della rioccupazione di epoca romana. Nella seconda metà del I secolo a.C., i cittadini edificano una nuova parallela linea di fortificazione, che dista 6,50 m dalla precedente: si tratta dell’aggere di Sesto Pompeo, opera dalla forma irregolare, composta di solo pietrame a secco e blocchi di spoglio. Le nuove mura facevano parte delle fortificazioni volute da Sesto Pompeo in occasione della guerra civile del 36 a.C. contro Ottaviano. Le mura, così come la necropoli, sono impiantate in un’area che era stata sede del villaggio preistorico, afferente alla cultura di Capo Graziano: esse, infatti, tagliano i resti di antiche capanne a pianta ovale, costruite con la tecnica del muro a secco.
I complessi termali
A tutto questo si aggiungono i complessi termali di via Mons. Bernardino Re e di via Franza. Il primo si trova quasi di fronte al Palazzo Vescovile e mostra resti di ambienti a carattere pubblico, con mosaici pavimentali e canalette di scarico, databili all’età imperiale. Sono ben visibili, inoltre, i resti di una vasca a ferro di cavallo, il frigidarium, e alcuni spazi adiacenti interpretati come tepidarium e calidarium. In via Franza, incastonato in quello che gli studiosi interpretano come un quartiere lavorativo, vi è un più modesto edificio termale. Questo, risulta essere composto da tre vani, dotati di pavimento in cocciopesto, uno dei quali, per la presenza delle caratteristiche colonnine in mattonelle sotto il piano pavimentale, è stato riconosciuto come calidarium. Questo secondo edificio termale risale alla tarda età imperiale.