Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Giacomo Leopardi
(In foto) Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, olio su tela, 1818.
Chi ha dovuto imparare a memoria questo componimento? Tutti, chi dice di no mente!
Giacomo Leopardi (1798-1837) ha composto la poesia a Recanati (MC) nel 1819. I primi versi lasciano pensare che il tema del componimento sia quello del piacere e dello star soli in luoghi nascosti. L’incipit stesso sembra essere narrativo perché il «Sempre caro mi fu» (v. 1) dà l’idea di un legame che rimanda in qualche modo al passato; di seguito, però, è il presente che domina.
A. Ferrazzi, Ritratto di Giacomo Leopardi, olio su tela, 1820 ca.
Dopo «Ma» (v. 4) il testo parla di un’esperienza vissuta nel momento stesso in cui viene raccontata. E pensare che sia una siepe che suscita l’immaginare spazi infiniti è sorprendente, a farlo dovrebbero essere, piuttosto, spazi aperti. L’Infinito parla di come, in modo graduale, cominciando da esperienze sensoriali concrete, il lettore immagini qualcosa che non ha limiti né di spazio né di tempo.
Il racconto va avanti grazie alla percezione di diversi stimoli sensoriali che colpiscono in modo del tutto casuale il lettore; la siepe, oggetto immobile che chiude, fa pensare in modo contrario all’infinito.
Colle dell’Infinito, Recanati (MC) – foto: FAI
Nella prima parte del componimento, l’idea del silenzio è una parte dell’infinito spaziale. Ma il rumore del vento lascia intuire un infinto diverso: quello temporale. Quest’ultimo è anche il rumore della vita, legato indissolubilmente al presente, ma che, nello stesso momento, ci obbliga a un confronto tra l’evento del momento presente e il passato, arrivando a confondersi con l’eternità.
Il lettore perde così la sua identità e ciò consiste nel perdere le coordinate dello spazio e del tempo: naufraga nell’immensità. Ma non ha paura e si abbandona alla sensazione.
Secondo manoscritto autografo de L’infinito dall’archivio comunale di Visso (MC)
Come già detto, la poesia si concentra sull’immersione dell’io nell’infinito, generata dal rapporto con un luogo reale (il colle di Recanati) e l’immaginazione dell’indefinito. Essa avviene attraverso la vista (la siepe che porta a immaginare infiniti spazi) e l’udito (il rumore del vento tra le foglie che porta il lettore a pensare a tempi senza fine).
La natura, in questo momento della formazione di Leopardi, è ancora locus amenus, idealizzata e piacevole, ben lontana dalla natura matrigna delle opere della maturità. L’autore vuole far conoscere al lettore l’esperienza del sublime, che, per i romantici, non è altro che il senso di impotenza dell’uomo davanti alla natura.
Il panorama dal Colle dell’Infinito (MC) – foto: FAI – Dario Fusaro
Leopardi spiega, attraverso L’infinito, che il sublime è un’esperienza e che, per poterla vivere, non serve trovarsi in un luogo determinato, ma la propria immaginazione può essere più che sufficiente.
In copertina: luogo commemorativo sul Colle dell’Infinito (MC).
Locandina completa e aggiornata del Festival del Cinema sul Mondo Antico
Il prossimo appuntamento con il Festival del Cinema
Tanti altri incontri sono previsti fino al 15 maggio 2021: il prossimo, nel pomeriggio del 7 maggio, riguarderà Il primo re. La lingua del film è un esperimento di carattere artistico, definirla “proto-latino”, come spesso è stato fatto, è inesatto: ne parlerà Luca Alfieri, consulente linguistico de Il primo re. Per il latino classico impiegato nel cinema interverrà Alessandro Balistrieri, traduttore dei dialoghi della serie TV Barbari. Per spezzare i due momenti del pomeriggio, Valentino Nizzo, direttore del Museo Etrusco di Villa Giulia (RM), si addentrerà nei corridoi del Museo con una microcamera per illustrare al pubblico uno dei reperti.
La seconda parte avrà inizio con lettura e commento di tre brani da Il re che parlava alle ninfe. Miti e storie di Numa Pompilio, libro di Mario Lentano, con il quale sarà possibile creare un costruttivo dibattito. Modererà Marcello Nobili, organizzatore del Festival e anche della prima Giornata Mondiale della Lingua Latina per l’AICC di Roma (clicca qui per leggere la nostra intervista al professore).
“Le Termopili al cinema, 2500 anni dopo”, Erodoto detta la linea
Erodoto ha – naturalmente – mosso le fila del commento del professore Vannicelli, intervallato da alcuni videoclip del film 300. Lo storico greco fu il primo a descrivere la battaglia delle Termopili (480 a.C.) nel VII Libro delle Storie. Tanti sono i temi presentati da Erodoto, ma la responsabilità ateniese della guerra (per la partecipazione alla rivolta ionica, definita ἀρχὴ κακῶν, «principio di mali») e la necessità dell’espansionismo persiano (per il principio dell’οὐκ ἀτρεμίζειν, «non possiamo fermarci») sono alla base di tutto.
«Terra e acqua»
Scena di 300 in cui l’ambasciatore persiano chiede «terra e acqua» a Sparta
La prima scena proiettata riguarda la richiesta di terra e acqua da un ambasciatore persiano alla città di Sparta in vista dell’invasione. In realtà, Serse non fece questa richiesta perché, quando a suo tempo l’aveva fatta il padre Dario, gli ambasciatori persiani erano stati uccisi. Nel film, quindi, l’episodio è stato trasferito dalla prima alla seconda guerra persiana. Leonida, re degli spartani, si rifiutò di dare terra e acqua: ciò va letto come volontà di difendere la libertà e l’autonomia politica di Sparta, in contrapposizione al mondo persiano, rappresentato come un mondo di sudditi, δούλοι, in cui l’unico “libero” è il Gran re.
L’ambasciatore persiano al cospetto del re Leonida e della moglie Gorgo, figlia di Cleomene I
Demarato, il collaborazionista
Appare poi Demarato. Il Libro VII delle Storie si apre e si chiude con la sua figura, che ha un ruolo centrale: i dialoghi tra Serse e Demarato scandiscono le tappe della spedizione che culmina con la battaglia delle Termopili. Demarato era uno dei due re spartani (a Sparta vigeva la diarchia) ed entrò in conflitto con Cleomene I, suo collega al trono, il quale, con un complotto che ebbe come protagonista anche l’oracolo di Delfi, lo sostituì con Leotichida. Demarato, non sopportando ciò, lasciò Sparta e finì in Persia al cospetto del Gran re.
Egli, quindi, accompagnò Serse nella spedizione in Grecia come saggio consigliere, ma non venne mai ascoltato: nei dialoghi tra Serse e Demarato è presente la contrapposizione ideologica e la difficoltà di comunicazione tra mondo persiano e mondo greco. I suoi discendenti restarono in Asia Minore ed è probabile che Erodoto li abbia incontrati facendo ritorno in Grecia.
La figura di Demarato è fortemente idealizzata in Erodoto: dà voce agli ideali di libertà incarnati dalla Grecia contro Sparta nella battaglia delle Termopili; però, nei fatti, se Demarato accompagnò Serse, ciò potrebbe significare che voleva riprendere il suo ruolo nella Grecia una volta conquistata dai persiani.
L’esercito persiano dalle innumerevoli forze
Efialte, il traditore
Lo spezzone successivo presenta la figura di Efialte, un abitante della Malide (Grecia centrale) che tradì l’esercito greco: mostrò ai persiani in che modo il contingente d’élite degli «Immortali» avrebbe potuto aggirare la strettoia delle Termopili passando per il Callidromo, il monte roccioso e ripido che segnava il passaggio per la Grecia centrale. A Serse serviva infatti cogliere alle spalle Leonida per tenerlo in scacco tra il Callidromo e il mare. Secondo Erodoto, l’elemento decisivo per lo svolgimento della battaglia fu proprio l’aggiramento poiché i rinforzi ordinati da Leonida non arrivarono in tempo (il ritardo fu dovuto a motivi religiosi, la festa di Apollo Carneo).
Gli «Immortali», l’élite guerriera di diecimila uomini scelti dal re persiano
Serse, re di un impero multietnico
Il commento del professore ha colto un dettaglio nel videoclip, utile per introdurre la figura del Gran re: il sovrano è rappresentato seduto in trono in tipica veste persiana (lunga tunica con copricapo), l’arco (arma simbolo della regalità persiana). Il trono poggia su una piattaforma sorretta da più individui, vestiti in modo diverso, che rappresentano i singoli popoli dell’impero persiano. Questa è un’iconografia ricorrente poiché ha una forte valenza ideologica: i diversi gruppi etnici appaiono portati per mano da un persiano, ciò dimostra che la linea di comando è mantenuta da persiani che si rifanno a un unico vertice, il Gran re.
Esempio di bassorilievo achemenide con serie di individui che sorreggono la piattaforma su cui poggia il trono del Gran re
«Con lo scudo o sullo scudo»
Dopo l’aggiramento compiuto dagli «Immortali», si presentò il problema di cosa fare: nella versione raccolta da Erodoto, Leonida decise di restare per onorare il principio per cui gli spartani o vincevano o morivano sul campo, è l’idea del μὲνειν (il principio che garantiva anche l’efficacia della falange oplitica). Un’altra ragione evocata riguarda un oracolo di Apollo dato agli spartani dalla Pizia di Delfi:
«O abitatori di Sparta dalle larghe contrade,
o la grande rocca gloriosa verrà devastata dai discendenti di Perseo,
oppure questo non avverrà, ma la terra dei Lacedemoni piangerà
morto un re della stirpe di Eracle».
Erodoto, Storie, VII, 220
Leonida, quindi, avendo deciso di congedare quasi tutti, rimase.
La morte di Leonida sul campo
Con questo fermo immagine si è concluso il primo incontro del Festival, chiaro risulta che la trasformazione immediata della battaglia delle Termopili in un mito ha spesso obliterato la realtà storica.
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