Il 20 maggio del 325 d.C. il mondo dovette fermarsi. Era iniziato il Concilio di Nicea, un evento che, in un modo o nell’altro, avrebbe plasmato il futuro dell’umanità intera. Non è, infatti, sbagliato affermare come le scelte fatte in quell’occasione abbiano poi influenzato la storia sino ai nostri giorni. Decreti e dogmi che ancora condizionano la nostra vita, tanto nel sentito religioso quanto nella politica.
Preservare la pace
Grazie all’imperatore Costantino il Cristianesimo passò dall’essere un sussurro diffuso ad un vero e proprio culto religioso manifesto (clicca qui per La diffusione del Cristianesimo in Sicilia). Comparvero così le prime chiese cristiane, fuori e addirittura dentro le mura cittadine. Eppure, in soli 20 anni, si arrivò ad una tale confusione, e anche a tali divergenze in seno alla chiesa stessa, che l’imperatore dovette nuovamente intervenire per plasmare la storia. Venne, quindi, organizzato un concilio nella città di Nicea, in Bitinia, nel 325 d.C. In particolare, fu la natura di Cristo a motivare l’incontro dei 220 vescovi intervenuti in quell’occasione, un argomento di tale portata da poter sbriciolare l’impero stesso.
Un nuovo mondo, fatto di dogmi ed eretici
Quanto deciso dal Concilio di Nicea servì per dar nuova struttura ad uno stato sempre più influenzato dai valori cristiani. Troppi, in effetti. Il Concilio rifiutò con forza l’interpretazione ariana della Trinità che, in particolare, considerava Gesù in maniera subalterna rispetto a Dio: solo una creazione priva della stessa sostanza del Padre. Inoltre, venne decretato come miracoloso il concepimento di Gesù da parte di Maria, quindi non carnale, per opera dello Spirito Santo. Si stabilì, pertanto, un dogma, cioè una verità imposta che avrebbe determinato la fede di lì in avanti. Venne poi riorganizzata la struttura della Chiesa stessa, ad esempio affermando l’autorità dei vescovi di Roma ed Alessandria sugli altri. Eppure, stando alle fonti, il Concilio di Nicea finì per essere un fuoco di paglia. In breve, i movimenti eretici ripresero forza, accompagnando l’impero nella sua progressiva trasformazione.
Combattuta quasi mezzo millennio fa, la Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 fu uno degli scontri navali più intensi della storia moderna, nel contesto della Guerra di Cipro. Protagoniste furono le flotte cristiane, organizzate dalla Lega Santa (una coalizione militare voluta da papa Pio V a seguito dell’attacco turco a Cipro), contro le flotte musulmane dell’Impero ottomano. La Lega Santa era formata dalle forze navali della Repubblica di Venezia, dell’Impero spagnolo (con il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia), dello Stato Pontificio, della Repubblica di Genova e di vari Ducati e Granducati della penisola
Ruolo cruciale in questo avvenimento venne giocato dalla città di Messina, da cui partì la spedizione della Lega Santa. Il 16 settembre 1571, infatti, Messina si svegliava con lo sguardo alle circa 230 galle della flotta cristiana pronte a partire alla volta di Cipro.
Propagandato come simbolo della vittoria cristiana contro i turchi, lo scontro di Lepanto viene inconsapevolmente ricordato ancora oggi dalla comunità cristiana tutta, poiché ha dato origine alla celebrazione della festa della Madonna del Rosario, in data 7 ottobre, appunto.
L’imponente battaglia di Lepanto
Il comando fu preso dalla Lega Santa, decisa a contrastare la flotta nemica del sultanoSelim II. La battaglia navale ebbe luogo nelle acque del golfo di Patrasso, presso Lepanto il 7 ottobre 1571, con un massiccio dispiegamento di forze. La Lega contava infatti più di 200 galere e 6 galeazzefornite dai diversi componenti della Lega.
La flotta della Lega era comandata da Giovanni d’Austria, fratello illegittimo del re di SpagnaFilippo II. Insieme a lui, anche il figlio del duca della Rovere, Francesco Maria II, a capo della flotta del ducato d’Urbino. Anche la flotta ottomana contava circa 200 navi, quasi tutte galee, aventi però meno armamenti rispetto alle potenze occidentali; queste erano guidate, sul fronte destro, dall’ammiraglio Mehmet Shoraq, detto Scirocco, e dal comandante supremo Alì Pascià; sul fronte sinistro, invece, era impegnato Uluč Alì, apostata di origine calabrese convertito all’islam.
La flotta cristiana contava, secondo le fonti, più di 35.000 combattenti addestrati (comprendenti soldati, marinai e archibugieri) a cui si aggiungevano circa altri 30.000 uomini tra gli addetti alle navi e rematori, tutti, verosimilmente, muniti di armi all’occorrenza. Quella ottomana, invece, aveva un numero sensibilmente inferiore di uomini a disposizione: tra i 20.000 e i 25.000 uomini, compresi i giannizzeri, la fanteria dell’esercito privato del sultano ottomano.
La vittoria della cristianità
Le prime ore della battaglia vedevano un vantaggio della flotta ottomana. Secondo le fonti, intorno a mezzogiorno, cambiato il vento, cambiarono anche le sorti dello scontro a favore delle forze cristiane, vincitrici della battaglia. Sotto il comando di Don Giovanni d’Austria, la Lega Santa ebbe la sua prima storica e clamorosa vittoria contro il potentissimo Impero: 117 galee vennero affondate, 130 catturate.
La vittoria della Lega Santa ebbe, prevalentemente, un’importanza psicologica. I turchi, infatti, fino a quel momento avevano goduto di un periodo florido, di continua espansione e di numerose vittorie nei conflitti contro i cristiani d’oriente. La vittoria della battaglia di Lepanto segnava, quantomeno nelle menti cristiane del tempo, la vittoria del cristianesimo sull’islam. Tuttavia, l’importanza di tale vittoria rappresentava più un simbolo di ciò a cui aspirava la cristianità, anziché una supremazia religiosa vera e propria.
I turchi, infatti, continuarono le proprie espansioni senza trovare più la Lega Santa a contrastarli. Già nel periodo successivo alla battaglia di Lepanto, i turchi avevano ottenuto, tra le altre isole, anche Creta, strappandola ai veneziani. La Lega, infatti, non aveva né il potere né la coesione di contrastare l’espansionismo musulmano. Vi erano infatti profonde divisioni politiche tra le stesse potenze cristiane d’Europa, a seguito della morte di Pio V (1572). La stessa Venezia preferì stringere accordi di pace con gli stessi ottomani (rinunciando così a Cipro), in cambio di sicurezza commerciale (1573).
Nostra Signora della Vittoria
Nonostante la notizia della vittoria non fosse giunta a Roma prima di una ventina di giorni, secondo una leggenda Pio V, allo scoccare del mezzogiorno del 7 ottobre 1571, avrebbe dato ordine di suonare le campane per la vittoria a Lepanto grazie all’intercessione della Vergine Maria. Fondamentale, quest’ultima, per le sorti della battaglia, al punto che Pio V decise di dedicare la giornata del 7 ottobre alla Nostra Signora della Vittoria, auxilium christianorum.
In seguito, fu Gregorio XIII, succeduto a Pio V, a trasformare la celebrazione in Nostra Signora del Rosario, per celebrare l’anniversario della vittoria di Lepanto ottenuta grazie all’Aiuto dei Cristiani.
L’intento era, dunque, quello di rendere la vittoria, simbolicamente, il trionfo dell’Europa cristiana contro l’invasione musulmana. Una vittoria utile più a risollevare gli animi in prospettiva di future battaglie cristiane contro il nemico turco o qualsiasi altro rivale.
In copertina: Battaglia di Lepanto, National Maritime Museum, Greenwich, Londra.
Il 1 Giugno 1307 le fiamme misero fine alla vita di Fra Dolcino. Fu predicatore eretico che con tale vigore influenzò il suo mondo da meritarsi una citazione nella Divina Commedia. Infatti, Maometto, attraverso la penna di Dante, ne profetizza l’arrivo. Lo fa da un luogo singolare: la bolgia dei seminatori di discordie e degli scismatici.
Il fatto storico
Il 1306 la predicazione di Fra Dolcino chiamò contro di sé una crociata. Furono Papa Clemente V e il vescovo Raniero di Vercelli a volerla, e così i dolciniani si ritrovarono costretti a combattere per difendere la propria vita, non solo le proprie idee. Il Monte Rubello divenne fortezza per eretici che riuscirono, per quasi un anno, ad opporsi alle forze di Raniero. Tuttavia, dopo un lungo logoramento, i dolciniani furono alfine sopraffatti. L’assedio li aveva costretti a mangiar i morti tanto erano affamati, e per questo i crociati giustiziarono i sopravvissuti. Non tutti. Fra Dolcino, la sua compagna Margherita ed il luogotenente Longino, furono processati e condannati a morte nel 1307. Margherita e Longino finirono arsi vivi sulle sponde del torrente Cervo. Dolcino subì invece l’umiliazione pubblica prima estinguersi tra le fiamme di fronte la Basilica di Sant’Andrea a Vercelli.
Le idee
Il pensiero di Fra Dolcino rientra nel più vasto panorama di idee millenariste che circolavano diffusamente in epoca medievale. Nello specifico, la predicazione dolciniana consisteva in una stretta adempienza al messaggio evangelico, sostenendo un forte principio di povertà e credendo in un imminente castigo divino. La Chiesa, in particolare, era accusata di immoralità, di aver tradito i veri valori cristiani. Dolcino seppe essere così convincente da conquistarsi la fiducia di Matteo Visconti, con il quale ottenne militarmente il controllo della Valsesia nel 1304. Eppure, il successo durò poco: solo un anno più tardi il Visconti ritirò il proprio appoggio, e le truppe crociate guidate dal vescovo di Vercelli si misero in marcia.
Curiosità oltre la storia
La vicenda dolciniana è l’ombra che aleggia sui personaggi de “Il nome della Rosa” di Umberto Eco. Nel romanzo numerosi sono gli accenni al contesto storico e sociale in cui si mosse Dolcino. Tra gli altri il personaggio di Bernando Gui fu effettivamente l’inquisitore che sentenziò la morte per i dolciniani nel 1307.
Scoperta una chiesa con cripta nel quartiere Ballarò a Palermo. Tra piazza Brunaccini, via Casa Professa e vicolo Madonna della Volta è infatti in corso da diversi mesi un cantiere per la costruzione di un edificio. Si pensa si tratti della chiesa di Santa Maria la Grotta, luogo di culto e rifugio dei primi fedeli palermitani che sfuggivano alle persecuzioni.
Un’area dello stesso cantiere era già sottoposta a controlli al momento del ritrovamento: era infatti necessario abbattere un muro di grandi dimensioni; il muro doveva essere pertinente alla chiesa della Madonna della Volta, costruita nei pressi dell’omonimo Vicolo a Ballarò (PA), ma demolita negli anni ’30 del secolo scorso.
Tempestivo l’intervento dei funzionari archeologi della Soprintendenza per i Beni Culturali di Palermo. Così si esprime Selima Giuliano, soprintendente di Palermo: «Sì, abbiamo trovato la cripta. Tra l’altro la Soprintendenza è presente nei luoghi interessati dal cantiere sin dall’inizio, in quanto tutto il centro storico è sottoposto a vincolo paesaggistico. Adesso la ditta deve presentare un progetto che potrebbe contenere la proposta di rendere fruibile la cripta; noi decideremo se approvare o meno il progetto: dipende da tanti fattori».
Il progetto di cui parla la soprintendente è già nella mente di Giuseppe Caronia, titolare della ditta, che vorrebbe costruire un caffè letterario in piazza Brunaccini da cui poter osservare la cripta, ben protetta e illuminata. Quindi, non ci resta altro che attendere aggiornamenti!
Riceviamo e pubblichiamo la riflessione della studentessa Camilla Vallone sulla figura di San Giorgio, nel giorno a lui dedicato, patrono di Reggio Calabria. Ogni 23 aprile viene celebrato Giorgio (280-303 circa).
Tracce nei secoli
La vita del giovane è avvolta da un alone di mistero. Poche sono le notizie in nostro possesso e molte di queste non sono ritenute attendibili. La figura di Giorgio è stata inizialmente ricostruita grazie all’opera Passio Georgii, datata attorno al V secolo, ma ben presto considerata apocrifa con il decretum Gelasianum del 496. Il giovane romano venne venerato già a pochi decenni dalla sua morte: lo testimonia una basilica costruita in suo onore a Lydda (attuale Lod, città in Israele). Un’epigrafe greca del 368 ca., rinvenuta ad Eraclea di Betania, cita questo edificio religioso sorto sulla tomba del martire: “casa o chiesa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni”, così come fa Teodoro Perigeta nel suo De situa Terrae Sanctae (530 circa).
Attualmente il corpo del santo non è presente poiché trafugato, ma anche la basilica non è più quella originaria: più volte è stata distrutta (una di queste, durante il dominio di Saladino) per poi essere ricostruita.
Tra storia e leggenda
La leggenda attorno al giovane prese forma durante il XIII secolo. Ne parla l’opera “Legenda Aurea” di Jacopo da Varazze (1293), il quale associò San Giorgio militare alla figura di Perseo che sconfisse il mostro marino salvando Andromeda.
Attenendosi alla versione romanzata, a Silene (città della Libia) vi era un drago (raffigurazione del male) che veniva tenuto a bada quotidianamente prima tramite il sacrificio di due pecore e poi tramite quello di un abitante scelto attraverso sorteggio. Il giorno in cui il caso scelse la figlia del re di Silene, Giorgio la salvò dal drago e ordinò al popolo di convertirsi per rendere docile il mostruoso animale. Nelle icone, quindi, il martire viene rappresentato a cavallo durante l’atto di uccisione del male.
Il protettore di Reggio Calabria
La figura di santo cavaliere si diffuse nell’XI secolo, a seguito della battaglia navale di Siracusa del 1086, tra il saraceno Bonavert (che aveva condotto razzie in territorio reggino) e il Duca Ruggero Borsa (nipote di Ruggero I di Sicilia). Il normanno vinse il saraceno e la leggenda narra che in cielo apparvero un cavaliere bianco ed un cavaliere nero, rispettivamente San Giorgio e San Michele Arcangelo.
Da questo momento in poi il giovane martire, non solo fu rappresentato come cavaliere, ma divenne protettore di Reggio Calabria. Ben sette chiese vennero costruite in suo onore e attualmente sono presenti sul territorio sia la chiesa di San Giorgio extra moenia sia quella di San Giorgio intra moenia (definita anche “S.Giorgio al corso”).
Il cavaliere oltre ad essere patrono di molte altre località (per citarne alcune: Barcellona, Genova, Venezia, Ferrara, Inghilterra, Lituania e Georgia) è anche il protettore degli scout e dei combattenti. La figura di Giorgio viene invocata contro le malattie della pelle e, addirittura, le donne musulmane visitano la sua tomba a Lydda per ricevere la grazia della fertilità. Nonostante nel 1969, la Chiesa di Roma indicò la festa del martire come facoltativa (date le scarse notizie possedute e il racconto surreale e leggendario), moltissimi sono ancora i fedeli profondamente devoti a San Giorgio.
La partenza è prevista entro le ore 9:00, presso la chiesa di S. Maria di Mili. La più antica chiesa normanna della Sicilia. Il percorso andrà poi in direzione di S. Pietro di Mili, di cui sarà possibile visitare la chiesa parrocchiale. Il percorso avrà seguito su un’antica mulattiera, risalendo le colline e godendo dei paesaggi mozzafiato che separano la valle di Mili da quella di Larderia. Tramite la mulattiera sarà poi possibile raggiungere i resti della chiesa medievale di S. Giorgio, passando attraverso uliveti millenari e suggestivi scorci sulla vallata e sullo Stretto.
È prevista una sosta per il pranzo che sarà preparato dal rifugio S. Eustochia e consumato nelle ampie aree esterne del rifugio, sempre nel rispetto del distanziamento sociale e delle normative anti Covid. L’escursione prosegue poi con una tappa presso il Forte Cavalli, in località Monte Gallo. Forte Cavalli è una fortificazione di fine ‘800 posta a guardia dello Stretto di Messina, un luogo estremamente suggestivo dal quale è possibile ammirare paesaggi straordinari.
Informazioni utili
Lunghezza: 6,5 km; quota: 199-315 m s.l.m.; difficoltà: E (media); quota di partecipazione: 10 euro.
Il rientro presso il punto di raduno di partenza è previsto entro le ore 18:00.
È obbligatorio l’uso della mascherina ed è consigliato un abbigliamento da trekking adeguato.
La partecipazione è limitata a 20 persone per garantire il rispetto delle normative anti Covid.
Ad un anno di distanza dal lockdown che ha fermato ogni attività in Italia, il Fondo Edifici per il Culto, la Comunità Benedettina Olivetana e il Parco archeologico del Colosseo hanno concluso il delicato intervento di restauro al soffitto ligneo della Basilica di Santa Francesca Romana di Roma.
L’intervento è arricchito dalla pubblicazione“Santa Francesca Romana. Il restauro della speranza”, curato da Alfonsina Russo, Cristina Collettini e Alessandro Lugari. Il volume raccoglie l’esperienza vissuta negli ultimi mesi a contatto con lo straordinario patrimonio della Basilica dedicata alla Santa, co-patrona di Roma e celebrata il 9 marzo. La chiesa dal 1608 assume il nome di Santa Francesca Romana, a seguito della canonizzazione di Francesca de Ponziani, nobildonna che tanto era stata d’aiuto e conforto al popolo romano durante la peste del 1413; infatti è anche la Santa romana protettrice dalle epidemie.
La Basilica da ieri ad oggi
La Basilica di Santa Francesca Romana, per come la vediamo oggi, è la trasformazione barocca della chiesa Paleocristiana di Santa Maria Nova; luogo fatto erigere da Leone IV nell’847 d.C. per assegnarle il titolo cardinalizio che era della chiesa di Santa Maria Antiqua, distrutta però da un terremoto. La chiesa e l’annesso monastero si innestano sul podio del tempio romano di Venere e Roma.
Il soffitto seicentesco a cassettoni lignei della chiesa è uno dei più complessi e affascinanti del centro storico di Roma. Presenta una ripartizione in lacunari molto decorata, nella fascia centrale spiccano tre gruppi scultorei lignei: quello verso l’altare rappresenta Santa Francesca Romana conl’angelo; quello centrale, invece, la Vergine con le Sante Agnese e Cecilia, mentre quello in prossimità dell’altare rappresenta San Benedetto. All’ordine dei Benedettini infatti appartengono i monaci della congregazione di Monte Oliveto Maggiore, dal XIV secolo risiedono in questo complesso.
L’intervento di restauro del sottotetto e del controsoffitto è stato avviato nell’estate 2020, dopo la segnalazione di alcuni frammenti pittorici caduti a terra. Le infiltrazioni d’acqua degli anni passati avevano imbibito le strutture lignee, compromettendo gli apparati decorativi e il sistema di tenuta. Solo dopo aver assicurato la tenuta della struttura, i professionisti hanno eseguito il restauro delle superfici decorate e dei gruppi scultorei, provvedendo alla riadesione della pellicola pittorica e delle dorature in foglia d’oro; ma anche colmando le mancanze, riallineando cromaticamente le lacune, il tutto nel pieno rispetto dei principi del restauro modernamente inteso: riconoscibilità, reversibilità, minimo intervento, autenticità.
Il 20 Gennaio 2021 intorno alle ore 8.00 del mattino, a Napoli, in Piazza Cavour, un pezzo del nostro patrimonio culturale è crollato. Si tratta della facciata sinistra della storica Chiesa seicentesca di Santa Maria del Rosario alle Pigne. L’edificio, nato dal progetto di Arcangelo Guglielmelli, è parte del Centro storico di Napoli, dichiarato patrimonio Unesco. Il nome “alle Pigne” deriva dalla presenza di due alberi di pigne presenti in zona, prima della costruzione del Convento dei Domenicani nel 1630.
La chiesa in stile barocco è conosciuta dai napoletani come “Chiesa del Rosariello”, per la presenza sulla facciata centrale della statua settecentesca lignea di scuola napoletana della Vergine con il Divino Infante tra le braccia, con la veste rossa e manto blu stellato.
Le cause del crollo non sono ancora ben note: l’edificio, già vittima del terremoto nel 1980, è stato preda di numerosi furti di opere d’arte; le rimanenti sono state spostate per sicurezza in un’altra sede
La riapertura eccezionale è avvenuta nel 2017, dopo poche opere di restauro e rimessa in sesto dell’edificio venti anni prima, senza mai subire lavori decisivi di consolidamento strutturale. La facciata era visibilmente compromessa, come affermano diversi cittadini, e il cedimento improvviso del solaio ha trascinato con sé le fragili pareti. Assenza di restauri e controlli degli edifici storici sono, purtroppo, frequenti in Italia: quest’ultima vede così la perdita di parte del suo enorme patrimonio culturale.
Foto del crollo della facciata sinistra della “Chiesa del Rosariello”, Napoli
L’espressione di potenza di Akràgas, il Tempio della Concordia, è il tempio greco più famoso della Sicilia. Gli abitanti dell’antica Agrigento edificarono ben 10 templi nel corso del V secolo a.C., in un’accanita sfida all’ultimo capitello contro Siracusa. Il cosiddetto Tempio della Concordia, in particolare, fu costruito nel 430 a.C. e oggi si trova all’interno della famosa Valle dei Templi di Agrigento. Il monumento deve il nome Concordia all’interpretazione che lo storico Tommaso Fazello fece di una epigrafe latina rinvenuta nelle vicinanze, ma che, in realtà, nulla ha a che fare con il tempio.
Pianta del Tempio della Concordia
Si tratta di un periptero esastilo in stile dorico: un quadrilatero con sei colonne sulla fronte e tredici sui lati lunghi (segue, dunque, il canone classico, che vuole che le colonne dei lati lunghi siano il doppio più uno rispetto a quelle sulla fronte). La peristasi perfettamente conservata poggia direttamente su un crepidomacomposto di quattro gradini e si compone di sole colonne doriche: fusto non particolarmente slanciato e terminante in un capitello dalla forma semplice. Ogni colonna è dotata di venti scanalature e, verso i 2/3 dell’altezza, presenta un’armoniosa entasi. La peristasi sostiene una trabeazione composta da architrave, fregio decorato a metope e triglifi e un timpano non scolpito.
Pianta, prospetto e foto del tempio della Concordia
Il naos interno (la cella), accessibile attraverso un gradino, è preceduto da un pronao in antis (inquadrato tra due colonne) ed è seguito da un altro vestibolo. Questo secondo spazio, denominato opistodomo, era solitamente adibito alla custodia del tesoro, dei donativi e dell’archivio del tempio. Di notevole interesse è la presenza, ai lati del pronao, di piloni con scale d’accesso al tetto. Allo stesso modo, sulla sommità delle pareti della cella e nei blocchi della trabeazione della peristasi, sono ben visibili gli incassi per la travatura lignea di copertura. Gli studi hanno dimostrato che l’esterno e l’interno del tempio erano rivestiti di stucco policromo. L’ipotesi cromatica fatta dagli esperti ha ipotizzato un rivestimento in stucco bianco candido per tutta la struttura, a eccezione del fregio e del timpano che, invece, dovevano essere colorati di rosso e blu.
Da Tempio a Chiesa
Alla fine del VI secolo d.C., il Tempio della Concordia fu trasformato in una basilica cristiana dal vescovo Gregorio II e dedicata ai santi Pietro e Paolo. Tale metamorfosi comportò una serie di cambiamenti, che contribuirono alla sopravvivenza della struttura fino ai giorni nostri: il rovesciamento dell’orientamento antico, l’abbattimento del muro dell’opistodomo, la chiusura degli intercolumni e la realizzazione di dodici aperture arcuate nelle pareti della cella; tutto ciò permise di costituire le tre navate canoniche. Le fosse, invece, che si trovano all’interno e all’esterno della chiesa, si riferiscono a sepolture alto-medievali. Nel 1748 il tempio tornò alle sue forme antiche, con la riapertura del colonnato, e smise di essere utilizzato per il culto.
Con uno dei simboli dell’arte classica di Sicilia si chiude la prima fase di vita di questa rubrica dal sapore siculo. Dal 2021, infatti, la rubrica Archeologia Sicilia cambierà “location” e verrà pubblicata sulla rivista di ArcheoMe. Non potevamo certo ridurre la storia della nostra terra a poche righe: l’archeologia siciliana ha ancora tanto da raccontare e io continueró a essere la sua umile portavoce. A presto!
La chiesa di S. Cataldo (Santo irlandese caro ai Normanni, il suo culto si trova infatti in diversi luoghi siciliani) è una chiesetta del XVIII secolo, giuspatronato della famiglia Benincasa e oggi proprietà del Comune di Gliaca di Piraino.
All’interno era custodita una tela raffigurante, appunto, S. Cataldo e un prezioso reliquiario in argento, in cui era inciso il nome del Santo e la data 1781.
Esisteva anche una piccola statua in gesso, utilizzata dai pescatori per la festa e la processione del 10 maggio, ripristinata negli ultimi anni.
Questa festa, infatti, si è realizzata fino alla metà del secolo scorso, come ricordano le persone più anziane, ed era caratterizzata dall’impiego di numerosi rami di alloro, usati per gli addobbi.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Always active
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Always active
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.