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NEWS | Sepolture etrusche scoperte a Tarquinia

Nel cuore della necropoli etrusca dei Monterozzi, emerge un nucleo di dieci sepolture databili tra l’epoca Villanoviana e l’epoca arcaica, il periodo che vide la piena affermazione della città di Tarquinia, alla quale si legano i miti di fondazione della civiltà etrusca. La scoperta di questo nuovo nucleo sepolcrale risale allo scorso autunno, ma i ricercatori hanno mostrato al pubblico i reperti il 14 gennaio scorso. 

Necropoli di Monterozzi, Tarquinia
Necropoli di Monterozzi, Tarquinia

Gli scavi di Tarquinia

La Necropoli di Monterozzi, la più importante di Tarquinia e la più antica d’Etruria, sorge sull’omonimo colle a circa un chilometro dalla città. La decisione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Provincia di Viterbo  e perl’Etruria meridionale di far partire una campagna di scavo risale allo scorso autunno, in seguito ad alcuni lavori di aratura di un terreno privato che avevano portato all’apertura di una serie di cavità d’interesse archeologico. Gli scavi hanno portato alla luce un nucleo di dieci sepolture etrusche, databili tra l’epoca Villanoviana e quella arcaica, situate a poche decine di metri dalla Tomba dei Tori e da quella degli Auguri. Purtroppo, già in epoca antica, le sepolture furono saccheggiate da ladri che depredarono i metalli preziosi, lasciando in situ le ceramiche ed altri oggetti di corredo, considerati di scarso valor

La tomba Gemina

I primi interventi di restauro effettuati sui reperti consentono di comprendere pienamente la ricchezza del corredo funerario della tomba Gemina, la quale ha destato il maggiore interesse dal punto di vista architettonico. Il monumento è costituito da due camere affiancate e aperte verso sud-ovest su altrettanti vestiboli a cielo aperto, a cui si accede tramite una scala. La copertura di entrambe le camere è del tipo a fenditura. Le porte erano sigillate da lastre di nenfro e lungo la parete sinistra di entrambe troviamo il letto scolpito su cui era deposto il defunto. I lastroni di chiusura, precedentemente perforati dai primi visitatori, furono richiusi con accuratezza dopo il saccheggio, dimostrando rispetto nei confronti dei defunti.

Purtroppo la manovra ha portato al crollo, nel tempo, della camera nord.

Letto Tomba Gemina, un letto scolpito

Il corredo

Facenti parte del corredo funerario abbiamo forme vascolari d’impasto lucidato a stecca con decorazioni incise e configurate; diversi vasi di bucchero; vasi dipinti di stile etrusco-geometrico, tra cui alcuni riferibili al Pittore delle Palme; coppe euboiche a chevrons; vari frammenti in legno, in ferro e oro, a suggerire la presenza di oggetti in metallo prezioso, ed una statuina fittile femminile.

Statuina fittile femminile 

La datazione

Daniele Federico Maras, funzionario per la Soprintendenza di Tarquinia, ha proposto come inquadramento cronologico la prima metà del VII secolo a.C., inserendo il contesto tombale nei decenni precedenti alla figura di Tarquinio Prisco, tradizionalmente indicato come il quinto re di Roma (tra il 616 e il 579 a.C.).

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NEWS | In Egitto torna alla luce un laboratorio di ceramica greco-romano

In Egitto, la missione archeologica egiziana che opera nel governatorato di Beheira, una zona nordoccidentale del Delta del Nilo, ha scoperto i resti di un grande laboratorio di ceramica, risalente all’epoca greco-romana.

Il Dr. Mustafa Waziri, Segretario Generale del Supremo Consiglio delle Antichità, ha dichiarato che si tratta di un laboratorio con alcuni edifici risalenti al periodo compreso tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C.. Ha spiegato che ci sono diverse aree divise in base alla funzionalità: dall’area per modellare l’argilla a quella per farla asciugare, momento in cui il vasellame veniva esposto al sole. La missione di ricerca, guidata da Ibrahim Sobhy, ha infatti portato alla luce l’area in cui l’argilla veniva lavorata, con l’aggiunta di additivi per predisporre le fasi di lavoro successive. All’interno dei resti murari del laboratorio, inoltre, sono stati rinvenuti alcuni strumenti utilizzati per la produzione ceramica, come utensili in metallo, frammenti del tornio e alcuni frammenti di vasi di terracotta.

I forni per la produzione ceramica

Il dott. Ayman Ashmawy, capo del settore delle antichità egiziane presso il Consiglio supremo delle antichità, ha sottolineato che le fornaci hanno fori di aerazione superiori, a corrente ascensionale. Queste sono state realizzate con mattoni rossi e circondate da spesse pareti di mattoni di fango per resistere alla pressione risultante dal processo di combustione. Tra i resti, anche frammenti di stoviglie incombuste e altre materie prime.

Un insediamento a lungo frequentato

Da parte sua, il professor Sobhy ha affermato che la stessa ha portato in luce anche la porzione di un abitato con costruzioni in mattoni di fango. In alcune di queste erano presenti vasellame ceramico per l’uso quotidiano, forni di cottura, silos di stoccaggio e alcune proto-monete in bronzo. L’area presenta inoltre un gruppo di sepolture in mattoni crudi in cui sono presenti vasi funerari in ceramica, alabastro e rame.

Secondo il professor Sobhy queste sepolture risalirebbero al periodo protodinastico. Gli antichi egizi, sempre secondo Sobhy, si erano stabiliti in quella zona dai tempi storici fino all’epoca romana. Materiali del periodo protodinastico, uniti a elementi di epoca greco-romana, secondo il professor Sobhy testimonierebbero una continuità abitativa dell’insediamento.

Egitto scoperto laboratorio di ceramica periodo greco-romanoImmagini in testo e copertina: fonte Ministero delle Antichità Egiziano.

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NEWS | La scoperta di un unguentario “egizio” in una sepoltura etrusca intatta a Vulci (VT)

Già qualche anno fa, prima nel 2013 e poi nel 2016, alcuni reperti provenienti dall’area di Vulci (VT) sottolineavano un collegamento con l’Egitto. Si trattava, come scrive in un suo articolo il dott. Mattia Mancini, di tre scarabei che si inserivano perfettamente in quella che era una fase Orientalizzante” (VIII-VI sec. a.C. circa). Durante questo periodo si assistette a una larga diffusione, in tutto il Mediterraneo, di diverso materiale proveniente da Egitto, Mesopotamia, Siria, Anatolia e Cipro, prevalentemente.

È di pochi giorni fa, invece, l’annuncio dell’apertura della sepoltura di una donna, databile al VI sec. a.C., inviolata da 2600 anni, nella necropoli dell’Osteria. Al suo interno erano presenti i resti ossei, ancora in connessione anatomica, di una donna di circa 20 anni. Aveva un corredo funerario comprendente vaghi di collana in ambra, un’olla chiusa da una coppa greca in stile ionico e tre in bucchero (ceramica tipicamente etrusca); ma anche un kyathos (attingitoio) e un’oinochoe (brocca da vino).

vulci
Un’immagine del ritrovamento (fonte: Il Mattino)

Nell’edizione del 18 giugno 2021 del TGR Regione Lazio è possibile vedere, al minuto 9 circa, il servizio sull’apertura della tomba inviolata.

Un rinvenimento particolare

Ad attirare maggiormente l’attenzione degli studiosi su questa sepoltura è un piccolo oggetto in faience azzurra, un unguentario che rappresenta una donna accovacciata con la schiena coperta da una pelle maculata, probabilmente di leopardo (gialla con macchie nere), con una acconciatura corta e riccioluta e, tra le gambe, un grande contenitore ceramico chiuso con un tappo a forma di rana (di cui manca la testa).

«Non è un oggetto unico, ma molto raro», afferma Carlo Casi, a capo dell’equipe della Fondazione Vulci. «La nostra tomba è molto importante perché intatta e questo ci consente di poter ricostruire l’identikit del defunto. Abbiamo un’ipotesi un po’ ardita. La ragazza potrebbe essere stata in vita un’addetta alla mescita del vino. Anche il balsamario, con la chiusura in pelle del vaso rimanda al processo della fermentazione di liquidi (forse la birra). Nell’Antico Egitto la birra era molto consumata e per essere prodotta doveva subire un lento processo di fermentazione. La chiusura (dell’unguentario, ndr) in pelle serviva a facilitare la fermentazione».

Unguentario da Vulci (immagine via Scienzenotizie)
Gli unguentari del Nilo

Il realtà, almeno nel loro contesto originario, questa tipologia di unguentari, detta “Nilo”, fungeva da contenitori per l’acqua del sacro fiume e, in un secondo momento, come hanno chiarito le analisi chimiche svolte su tali oggetti, erano stati utilizzati come contenitori per latte o sostanze oleose. Da “fiaschette” per l’acqua sacra del Nilo erano divenuti veri e propri unguentari per oli e profumi, molto in voga nei corredi funerari femminili. La giara tenuta dalla figurina, alla luce di ciò, non può fungere da contenitore per vino o birra e, nel contesto di Vulci, difficilmente può dare una conferma circa l’identità (quantomeno lavorativa) della defunta (fonte Djed Medu). Spetterà alle analisi scientifiche chiarire il contenuto del piccolo contenitore, qualora fosse possibile analizzarne eventuali residui.

Unguentario di ispirazione egiziana prodotto a Rodi (VI-V sec. a.C.), molto simile all’esemplare di Vulci

Sia la pelle di leopardo, sia l’acconciatura, sia il materiale in cui è realizzato l’oggetto fanno propendere per l’attribuzione della sua origine a un contesto egiziano. Tuttavia, sottolinea il dott. Mancini, di questi vasetti antopomorfi se ne trovano diversi esemplari soprattutto fuori dal’Egitto, come in Grecia (principalmente a Rodi) e nella Magna Grecia (Sicilia, Campania ed Etruria). Molti studiosi ritengono che si tratti, invece, di una serie di oggetti prodotti nell’isola di Rodi, frutto di un mix di elementi iconografici greci ed egiziani: la parrucca “hathorica” (legata ad Hathor), corta e riccioluta, ad esempio, richiama anche quella della dea cananea Astarte.

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NEWS | Gravina (BA), Silbion sulle rotte dell’antica Grecia

La Soprintendenza di Bari ha promosso nuovi scavi archeologici sulla collina di Botromagno (BA), l’altura che domina il torrente Gravina, sede dell’abitato peuceta dell’antica Silbion.

La campagna di scavo si sta svolgendo in un’area di proprietà comunale che ha già restituito splendidi vasi a figure rosse di produzione attica e italiota. L’interesse per Botromagno (BA) non è mai venuto meno, ora più che mai lo testimoniano le tombe a semicamera del V secolo a.C. rivestite da blocchi e sigillate da lastroni per segnare la presenza di importanti gruppi familiari. Nessuna di queste tombe è stata rinvenuta intatta nell’architettura e nei corredi: troppe sono state le manomissioni nel tempo.

In memoria delle Grandi Panatenee

Le Panatenee (Παναθήναια) erano la massima solennità ateniese, celebrata in onore della dea Atena, che aveva dato il nome ad Atene e la teneva sotto la sua protezione. Avevano un’origine antichissima: si pensava che le avesse istituite il mitico re Erittonio e riguardavano tutti gli Ateniesi. La celebrazione si svolgeva ogni anno nel mese di Hekatombaiòn (luglio-agosto), il primo giorno del calendario attico, e culminavano il 28, giorno della nascita della dea.  Ad un certo punto le celebrazioni assunsero un carattere più solenne: si ebbero così le Grandi Panatenee (Παναθήναια τὰ μεγάλα). Queste ultime duravano almeno quattro giorni e, oltre ad agoni ginnici ed ippici, avevano in programma anche esibizioni musicali e altri sport particolari, come la corsa con le fiaccole (λαμπαδηδρομία).

Le anfore panatenaiche erano premi per i vincitori delle gare. Sul ventre dei vasi appare la figura di Atena armata di elmo, lancia e scudo, che sta tra due colonne sottili e sormontate da un gallo, simbolo di competizione. Dall’anfora panatenaica a figure nere dall’antica Silbion provengono i frammenti della canonica iscrizione τῶν Ἀθήνηθεν ἄθλων (“dalle gare di Atene”; sott. “sono”, col motivo dell’oggetto parlante). Si pensa che la vittoria fosse relativa ad una gara di corsa. Il grande vaso doveva trovarsi all’esterno della tomba e doveva servire come segnacolo del sepolcro dell’atleta vincitore che lo aveva portato in viaggio con sé. 

I frammenti dell’anfora da Silbion che recano l’iscrizione τῶν Ἀθήνηθεν ἄθλων

Il lusso greco di Silbion

Oltre all’anfora panatenaica, sono tornati alla luce altri frammenti di ceramica attica figurata a vernice nera nei corredi; alcuni hanno conservato addirittura le dorature tipiche dei vasi per le libagioni. La presenza del vasellame attico rivela una fitta rete di contatti con la Grecia tra il 450 e il 425 a. C.: tra i prodotti attici importati si ricordano i rytha (ῥυτά), vasi per il consumo del vino a forma di teste d’asino e di leone. Veri e propri prodotti di lusso.

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NEWS | Fornace medievale ritrovata ad Agrigento

Agrigento, famosa per i magnifici esempi di architettura templare della Magna Grecia, torna a raccontarci il suo passato. Questa volta, però, la città svela un particolare della sua vita artigianale medievale: la scoperta di una fornace ci racconta la produzione di ceramica destinata a finire sulla tavola degli Agrigentini, la cosiddetta ceramica da mensa.

Il ritrovamento della fornace

Durante i lavori di consolidamento del muraglione tra via Dante e via dell’Annunziata, in pieno centro,  gli operai hanno scoperto una cavità dietro a una parete in tufo. In seguito allo stop dei lavori, è stato chiarito che quella cavità era quello che restava di una grande fornace medievale, destinata alla produzione di ceramica da mensa.

L’area è stata recintata e i resti della fornace sono stati coperti con delle tavole di legno: un accorgimento provvisorio in attesa di ulteriori studi. 

Ferrovie dello Stato, in collaborazione con la Soprintendenza dei Beni Culturali, ha disposto alcuni accorgimenti riguardo la conservazione del ritrovamento: si è ipotizzata una copertura in vetro per renderne visibili i resti, in prospettiva di uno scavo futuro.

La produzione di ceramica medievale ad Agrigento

Il ritrovamento di una fornace da ceramica medievale non è un caso isolato ad Agrigento. Altri esempi sono già documentati proprio nella Valle dei Templi. Nell’area archeologica, infatti, è stato trovato un impianto produttivo con due fornaci, che ha permesso di datarne l’attività tra i secoli XI-XII  d. C, in un periodo compreso tra la dominazione Islamica e quella Normanna.

Altre fornaci sono state rinvenute fuori dal circuito murario di epoca medievale agrigentino, poiché l’attività artigianale era di solito svolta lontano dalla zona abitata delle città.

I lavori continueranno

Il cantiere tra via Dante e via dell’Annunziata dovrà comunque andare avanti: la situazione di stabilità del versante è poco rassicurante e la priorità resta la preservazione della linea ferrata, delle abitazioni e delle due strade. La ditta che si occupa dei lavori dovrà, però, garantire la massima tutela del bene, in attesa di fondi destinati a un futuro approfondimento del sito.

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NEWS | Donazione unica ai Musei Civici di Bologna

I Musei Civici d’Arte Antica – Istituzione Bologna Musei – sono i destinatari di una donazione di 16 antichi manufatti in ceramica di provenienza colombiana da parte dell’Agenzia Dogane e Monopoli di Bologna.

Già oggetto di un sequestro penale per violazione dei divieti all’importazione di beni culturali e di un lungo e complesso iter giudiziario, i reperti individuati e censiti sono stati consegnati dall’Amministrazione dei servizi doganali del capoluogo emiliano.

Donare per proteggere

L’atto di donazione vuole sensibilizzare le istituzioni ed il pubblico sull’importanza di una sistematica attività di protezione e difesa dei beni di interesse artistico, storico e culturale, per sperare di contrastare, anche in minima parte, il loro sfruttamento economico. Restituiti alla fruizione pubblica, i manufatti troveranno a breve una collocazione all’interno del percorso espositivo del Museo e rimarranno a disposizione per scopi di studio e ricerca.

Studiare per divulgare

Accurati accertamenti iconografici e stilistici hanno consentito di ricostruire il contesto di provenienza da una specifica area geografica, di stabilirne l’autenticità e la datazione, attraverso la ricostruzione del processo storico che li ha prodotti.

Una prima occasione di divulgazione dei risultati riguardo i materiali americani sarà il ciclo di conferenze on line dal titolo Cose dell’altro mondo: oggetti americani nelle collezioni del Museo Civico Medievale, organizzato in collaborazione con il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna.

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NEWS | Testato un metodo innovativo per la classificazione di frammenti di ceramica antica

Pubblicato un metodo che unisce analisi chimiche e mineralogiche per la classificazione dei reperti ceramici

Un team multidisciplinare dell’Università di Valencia (UV) e del Museo Archeologico di Sagunto ha utilizzato una nuova metodologia per conoscere l’origine di frammenti ceramici. I frammenti appartengono ad anfore provenienti dal Museo di Sagunto. Questo nuovo metodo unisce alle tecniche di riconoscimento classiche analisi chimiche e fisiche, facilitando la classificazione dei reperti archeologici. 

Gianni Gallello, ricercatore e coordinatore dell’unità di ricerca multidisciplinare ArchaeChemis, ritiene che questo studio stabilisca un efficace metodo di classificazione per i reperti che, attraverso il metodo classico, non sarebbero classificabili. 

 

La problematica classificazione dei frammenti
Un’immagine pubblicata all’interno dello studio (in: Applied Clay Science Volume 198, 105857). .

Come chiarisce lo studio pubblicato sulla rivista Applied Clay Science, oggetto dello studio sono stati venti frammenti di anfore romane provenienti da una collezione del Museo Archeologico di Sagunto (Spagna). Se queste appartengono a diverse tipologie conosciute, altri ventisette frammenti di anfora non sono classificati. La classificazione dei reperti ceramici, in particolare quelli anforacei, è essenziale per la ricerca archeologica: il riconoscimento morfologico dei vari tipi di anfore è lo strumento principale per conoscere la provenienza dei reperti anforacei e, di conseguenza, per ricostruire le varie rotte commerciali dell’antichità.

Il metodo innovativo

Lo studio è stato fatto tramite studi multidisciplinari basati su analisi mineralologiche e chimiche, quali spettroscopia a fluorescenza a raggi X, spettrometria di massa e l’analisi chemiometrica. Le analisi hanno permesso di conoscere aspetti importantissimi dei reperti ceramici, come il processo di elaborazione, il materiale e la sua origine. Ecco che è stato possibile identificare la maggior parte dei campioni non originariamente classificati. Si dimostra così l’importanza e l’affidabilità dell’approccio metodologico sviluppato per le attività di classificazione della ceramica.