REDAZIONALE | Cancel Culture, il “politicamente corretto” che annulla la cultura
Qualcuno conoscerà l’espressione Cancel Culture perché usata da vari opinionisti per commentare la storia del bacio non consensuale di Biancaneve, altri la ricorderanno associata al deturpamento e all’abbattimento in America delle statue di Cristoforo Colombo. La tematica, discussa da anni negli Stati Uniti, è arrivata anche in Europa e in Italia, e generalmente si sovrappone al politicamente corretto.
Cultura della Cancellazione
Nei paesi anglofoni Cancel Culture è un’espressione che indica un fenomeno complesso e sfaccettato, traducibile con cultura della cancellazione. Indica quel fenomeno dove gruppi più o meno organizzati di persone vanno esercitando pressioni su una seconda parte in modo che punisca, o meglio ancora interrompa, i rapporti con una terza per via di ciò che ha fatto, detto o scritto, in passato. È un discorso che spazia dai libri ritirati dal commercio per le controversie sui loro autori alle proteste sui social network a seguito di espressioni razziste o sessiste da parte di personalità famose (pensiamo, ad esempio, alla vicenda di Indro Montanelli). Il movimento nasce dalla necessità sociale di sensibilizzare sui linguaggi da adottare, sia sulle parole da evitare che su quelle da introdurre nel lessico comune per essere più rispettosi delle attuali minoranze (e della comunità in ambito generale), ma tende purtroppo a sfociare nell’estremismo se unito all’ignoranza.
La cancellazione del mondo classico
Da qualche anno a questa parte, la Cancel Culture ha attaccato anche il mondo della tradizione classica, etichettata come razzista e omofoba. I Classici nel mondo accademico statunitense rappresentano l’onnipresente civiltà occidentale bianca che vuole imporre il white power: una rappresentazione, sia in positivo che in negativo, del modello iconico per democrazie e totalitarismi. La grandezza del pensiero e dell’arte dei greci e dei romani viene così accantonata perché facente parte di quel passato di cui alcuni non vanno più fieri. Per quanto riguarda le motivazioni sulla cancellazione dello studio dei classici, si fa leva sul fatto che queste popolazioni antiche praticavano socialmente la schiavitù, che la democrazia ateniese non fosse poi così democratica e che le donne, per i criteri attuali, fossero oppresse. Insomma, va avanti da tempo un vero e proprio attacco ai classici. Ma cosa intendiamo per cancellazione del mondo classico? Andiamo su esempi pratici.
I suprematisti gessi bianchi di Cambridge
La Faculty of Classics di Cambridge dispone di una gipsoteca, il Museum of Classical Archaeology, che raccoglie un’ampia collezione di copie in gesso di opere greche e romane. Trattandosi di calchi, tutte le statue esposte sono bianche e questo dettaglio per alcuni oggi è un problema. Poniamo attenzione, ad esempio, alla lettera aperta sull’anti-razzismo del luglio 2020 che la facoltà ha ricevuto proprio a causa dei gessi: «dà un’impressione fuorviante sull’assenza di diversità del mondo greco e romano». Il fatto che una gipsoteca universitaria debba difendersi da accuse di razzismo, spiegando perché i gessi sono bianchi o perché le statue in oggetto non abbiano tutta questa varietà multiculturale, ha dell’ironico.
Winckelmann, il suprematista
Nel 1970 alcuni credevano che le statue greche e romane fossero bianche per colpa dell’ossessione di Winckelmann, che nel 1764 scriveva: «poiché il colore bianco è quello che respinge la maggior parte dei raggi luminosi e che quindi si rende più percepibile, un bel corpo sarà allora tanto più bello quanto più è bianco». Winckelmann suprematista, colpevole di decontestualizzazione. Con l’evolvere del fenomeno Black Lives Matter, più di 250 studenti firmarono una lettera aperta denunciando: «il ruolo che i Classics hanno giocato nella continua oppressione ed emarginazione degli studiosi neri e delle vite nere». Rincara la dose la Christian Cole Society for Classicists of Colour con l’affermazione «riconoscere la complicità delle discipline classiche nel campo nella costruzione e nella partecipazione a strutture e atteggiamenti educativi razzisti e anti-neri». Insomma: Omero, Ovidio, Virgilio, così come Fidia, Lisippo, maledetti suprematisti!
Omero, la mascolinità tossica
Vogliamo parlare di Omero, accusato di essere il capostipite della mascolinità tossica, la manliness di Harvey Mansfield? La Cancel Culture anche in questo caso si pone come un movimento anti intellettuale. Spaventa vedere come la tendenza alla censura continui a guadagnare terreno tra educatori ed editoria. Non sono casi isolati quelli che ci giungono da istituti superiori o corsi di laurea universitari americani che con orgoglio affermano la cancellazione di interi corsi di studi riguardo la tradizione classica. Possiamo citare, ad esempio, la fiera dichiarazione Heather Levine, docente alla Lawrence High School, nel Massachusetts: «Sono molto orgogliosa di dire che quest’anno abbiamo rimosso l’Odissea dal curriculum!».
#DisruptTexts
Sotto lo slogan #DisruptTexts, ideologi critici, insegnanti e agitatori del web si riuniscono sui social richiedendo l’eliminazione e infangando i classici, da Omero a Nathaniel Hawthorne. Tra le parole dell’insegnante di inglese di Seattle, Evin Shinn, leggiamo che preferirebbe morire piuttosto che portare in classe La lettera scarlatta, a meno che il romanzo di Hawthorne non sia usato per combattere la misoginia.
Totale è la decontestualizzazione. Con un hashtag si invoca la proibizione di ogni capolavoro letterario non conforme all’attuale idea di genere e razza, si pretende un ammodernamento o una damnatio memoriae per quei testi colpevoli semplicemente di esser figli del loro tempo.
Il politicamente corretto
La crociata della Cancel Culture travolge tutto e tutti: dalle statue di Colombo, abbattute con l’accusa di colonialismo, al principe di Biancaneve incriminato per avere estorto un bacio in assenza di consenso alla sua amata addormenta. Non si salva neanche il grande schermo, basti pensare a Via col vento, prima cancellato e poi reinserito dal catalogo della HBO per aver offerto una visione stereotipata e totally white dell’epoca descritta. Anche la Disney è dovuta correre ai ripari perché film e riadattamenti come Dumbo e Peter Pan contengono rappresentazioni negative e insulti verso persone e culture non caucasiche: la Disney dovrebbe fare ammenda perché in Peter Pan i nativi americani sono stati chiamati “pellerossa”.
Ultima, ma non ultima, la decisione della Bicocca di cancellare il corso su Dostoevskij a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina: l’episodio di Cancel Culture è stato denunciato ad inizio marzo dallo scrittore Paolo Nori.
Intellettuali a confronto
Nonostante la cultura nell’era digitale sia a portata di tutti, la Cancel Culture ci avvicina sempre di più all’ignoranza. Iniziano le risposte da parte del mondo intellettuale: ricordiamo, ad esempio, i centocinquanta intellettuali americani hanno scritto una lettera aperta su Harper’s Magazine per denunciare il clima di intolleranza e di gogna pubblica che avvelena la società statunitense negli ultimi tempi. Vengono citati redattori licenziati per articoli controversi, libri ritirati, professori indagati per aver citato una particolare opera. Anche le Università italiane iniziano a mobilitarsi, sottolineando che il solo modo per sconfiggere le idee sbagliate è lasciando spazio al confronto, alla critica, alla cultura. Ma l’eco dell’intolleranza e del revisionismo non rallenta, anzi, e questo fa paura. Che mondo stiamo tratteggiando?
Qui trovate link della conferenza tenuta in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania sul fenomeno della Cancel Culture il 6 dicembre scorso. A prescindere da quello che può essere il proprio bagaglio culturale, il proprio pensiero, dovremmo sempre ricordare che la censura e la negazione non hanno mai portato nessuna svolta positiva.