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ATTUALITÀ | Abolita la censura cinematografica, svolta storica ad opera del MiC

Abolita la censura cinematografica. Definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti”, dichiara Dario Franceschini. Il ministro della Cultura firma infatti il decreto che istituisce la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche presso la Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura, presieduta dal Presidente emerito del Consiglio di Stato Alessandro Pajno. La Commissione avrà il compito di verificare la corretta classificazione delle opere cinematografiche da parte degli operatori. Il decreto attuativo firmato da Franceschini prevede che d’ora in poi i film destinati ai cinema siano divisi in quattro categorie: quelli adatti a ogni tipo di pubblico, e poi quelli vietati ai minori di 6, 14 e 18 anni. L’Italia si libera così di una censura cinematografica durata decenni. In questo modo i film in uscita non saranno più condizionati da tagli o modifiche.

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Apparato scenografico realizzato, nel 1937, in occasione della fondazione della nuova sede dell’Istituto Luce

Della commissione fanno parte “quarantanove componenti, scelti tra esperti di comprovata professionalità e competenza nel settore cinematografico e negli aspetti pedagogico-educativi connessi alla tutela dei minori o nella comunicazione sociale, nonché designati dalle associazioni dei genitori e dalle associazioni per la protezione degli animali”. L’abolizione della censura cinematografica costituisce un vero e proprio fatto storico, teso ad un futuro artistico di libera espressione. Ora come ora, tuttavia, si spera quantomeno in un futuro che preveda la riapertura dei cinema.

L’Italia della censura cinematografica

La censura, nel corso degli anni, ha colpito non pochi artisti in Italia e – per citarne alcuni – registi come Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci e Luchino Visconti hanno conosciuto bene gli effetti. “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci, infatti, fu bloccato dalla censura totale dal 1972 fino al 1987. Ma anche “Nodo alla gola” di Alfred Hitchcock, bloccato dalla censura italiana nel 1949 e distribuito solo nel 1956; “Arancia meccanica”, film del 1971 di Stanley Kubrick, trasmesso per la prima volta nel 1999 sulla Pay TV e solo nel 2007 sulla televisione in chiaro. E, ancora, Totò, più volte censurato per le sue battute contro politica e governi. Accanto alla censura totale, inoltre, dagli anni Trenta fino agli anni Novanta, in Italia è stata praticata un’altra forma di censura: i tagli mirati, quei tagli di scene o inquadrature che laceravano una pellicola per meglio adattarla ad esigenze a tratti politiche a tratti “etiche”.

Ultimo tango a Parigi
 

“Cinecensura”: la mostra virtuale per non dimenticare

Nasce “Cinecensura“, una grandiosa mostra virtuale permanente per raccontare ciò che è stato a lungo nascosto. La mostra è promossa dalla Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura, realizzata dalla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e dalla Cineteca Nazionale. Il percorso virtuale prevede quattro sezioni, Sesso, Violenza, Religione e Politica, in cui si trovano materiali relativi a 300 lungometraggi e a 80 cinegiornali, ma anche 100 tra pubblicità e cortometraggi, 28 manifesti censurati e filmati di tagli. Ognuna delle sezioni raccoglie una lista di contenuti, censurati dal dopoguerra in poi (la prima legge che stabilisce una censura, tuttavia, risale al 1913).

Le quattro categorie di “Cinecensura”

 

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ATTUALITÀ | La censura cinematografica italiana: una storia sbagliata al capolinea

Il 5 aprile scorso il ministro Dario Franceschini ha firmato un decreto che abolisce la censura cinematografica in Italia. Un atto importante, storico, che, a detta di Franceschini stesso, supera «definitivamente quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti». Chiusa quindi quella fase che ha influenzato non poco la produzione e la distribuzione di tante opere, tra le quali si possono contare decine di film considerati oggi pietre miliari dell’arte cinematografica. Da adesso, come spiegato da Nicola Borrelli, direttore della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, «si mette in essere una sorta di autoregolamentazione» perché «saranno i produttori o i distributori ad autoclassificare l’opera cinematografica». 

Ma com’è possibile che questa legge sia durata fino ad oggi e abbia pesato come un “macigno” sul groppone di tanti registi? Qual è la sua storia?

La prima censura cinematografica in Italia risale a una legge del 1913 che impediva la rappresentazione di spettacoli osceni o contrari alla decenza. lI successivo regolamento del 1914 stabiliva, invece, che il Ministero dell’Interno rilasciasse un nulla osta per girare certe scene, ed eventualmente, in casi estremi, tagliava alcune parti se non addirittura tutta la scena; il regista aveva però un’ultima possibilità: fare ricorso a una seconda commissione competente che revisionava le parti incriminate. Bisogna attendere il 1920 per avere una vera e propria commissione istituita con un regio decreto e formata da componenti esterni alle istituzioni (un educatore, una madre di famiglia, un magistrato), il cui Il compito era quello di analizzare il copione prima dell’inizio delle riprese.

Nel periodo fascista la situazione non cambiò. Furono infatti confermate le disposizioni precedenti, eccezion fatta per la modifica che prevedeva il passaggio della regolamentazione dal Ministero dell’Interno al Ministero della Cultura Popolare e l’introduzione, nel 1926, del decreto per la tutela dei minori, che vietava la visione di alcuni film ai minori di 16 anni.

Nel 1946 nasce la Repubblica, ma – contrariamente a ciò che si potrebbe pensare – non portò ad un cambiamento della situazione, nonostante l’articolo 21 della Costituzione consentisse la libertà di stampa e di tutte le forme di espressione. Del 1949 la legge, voluta dall’allora sottosegretario allo spettacolo Giulio Andreotti, nata con i buoni propositi di sostenere il cinema italiano e di salvare l’Istituto Luce, ma anche di rilanciare le grandi produzioni Italiane. Intenzioni nobili che – almeno così parrebbe – nascevano per preservare il patrimonio cinematografico italiano, ma che subirono non poche pressioni del mondo cattolico che invece puntava al mantenimento della censura. Con l’articolo 21 della legge del 1949 si vietava la “pubblicazioni di scene sensibili”, riferite alle creazioni cinematografiche e teatrali. Non mancarono le reazioni dell’opinione pubblica che arrivò a definire la legge “fascista“: causa anche il vincolo per i produttori e registi di passare al vaglio di una commissione statale prima di ricevere dei finanziamenti pubblici. Inoltre, se si riteneva che un film diffamava l’Italia poteva essere negata la licenza di esportazione con una censura preventiva.

Questa legge fu accolta con numerose polemiche dagli addetti ai lavori, soprattutto a causa delle censure che furono attuate in questo periodo, esempio ne sono le dichiarazioni di Andreotti sul film Umberto D. diretto da Vittorio De Sica: «un pessimo servigio alla patria». Il regista rispose alle accuse del sottosegretario con una lettera molto rispettosa, in cui spiegava di non aver riconosciuto il disagio del suo protagonista.

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In copertina: celebre scena dal film “Umberto D.” di De Sica.