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ARCHEOLOGIA | Il villaggio preistorico di Filo Braccio a Filicudi

Il villaggio di Filo Braccio è un insediamento dell’età del Bronzo Antico. L’abitato, molto esteso, occupa parte della costa sud-orientale di Filicudi, tra le località di Filo Braccio (da cui il nome del sito) e Filo Lorani.

L’insediamento fu scoperto nel 1959 da Luigi Bernabò Brea. Le indagini preliminari collocarono il sito alla più antica fase di stanziamento della cultura di Capo Graziano. Gli scavi ripresero nel 2009, partendo dalle capanne già note ed effettuando saggi che hanno portato alla scoperta di 2 nuove aree. Attualmente, una forte abrasione, dovuta agli agenti atmosferici e marini, sta erodendo i resti delle capanne e riducendo la baia costiera.

Lo studio della cultura materiale ha concluso che la nascita di questo sito sembra dovuta a genti la cui provenienza è ancora discussa. Per Luigi Bernabò Brea si tratterebbe dei mitici Eoli, popoli proto-egei, provenienti dall’Oriente e arrivati su queste isole passando per Malta. In effetti, come ricordano alcune antiche raffigurazioni, questi popoli erano abili ed esperti navigatori, che si muovevano mediante navi dotate di più di venti coppie di remi e provviste di una vela quadrata.

Le capanne del villaggio di Filo Braccio

Le nuove genti scelsero un istmo per costruire il proprio villaggio. Il mare garantiva possibilità di difesa e di commercio, mentre l’entroterra, con i suoi fertili terreni, era adatto all’agricoltura. Le capanne del villaggio avevano pianta ovale, erano lunghe dai 5 ai 10 m ed erano costruite con grossi ciottoli, arrotondati dall’incessante azione delle onde marine e depositati sulla spiaggia tirrenica. L’uso di questo particolare materiale rende la struttura di queste case diversa da quella degli altri villaggi: contribuisce, pertanto, ad affermare che la cultura di Capo Graziano costituisce un punto di rottura con il passato. Oggi, sono visibili solo due esemplari di capanne. Il resto degli scavi, che ha individuato stalle, depositi e spazi esterni destinati alla coltivazione agricola, è stato ricoperto per problemi legati alla conservazione di tali strutture.

Il villaggio di Filo Braccio sembra aver avuto una lunga frequentazione. Le capanne e le altre strutture, infatti, presentano almeno due fasi di utilizzo e diversi rifacimenti.

Di particolare interesse risultano il silos situato nell’area Ovest, nei pressi della capanna G, e il deposito di ciottoli rinvenuto nell’area dello Spazio L. Il silo, profondo circa un metro, era foderato di grandi lastre di pietra poste in verticale, intervallate da pietre di più piccole dimensioni, che doveva servire per la conservazione di derrate alimentari. Nel settore ovest dello spazio L, invece, è stato rinvenuto un deposito di ciottoli, i quali dovevano servire per la trebbiatura e pulitura dei cereali. Questi rinvenimenti danno uno spaccato di vita quotidiana di questa popolazione. Tutto questo dimostra che la popolazione che abitava il villaggio preistorico di Filo Braccio era numerosa e ben organizzata.

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ARCHEOLOGIA | Filicudi, l’isola del diavolo

Anticamente, i Siciliani chiamavo Filicudi “Isola del diavolo”. Forse, questo appellativo deriva dagli otto vulcani che la compongono e che, in tempi passati, dovevano creare un continuo gioco di fumo e detriti vulcanici. Il più alto di questi è il monte Fossa delle Felci, ormai spento.

La storia

Quest’isola fu stabilmente abitata, con insediamenti appartenenti alla cultura di Diana, a partire dalla fine del IV millennio a.C. Ma il momento preistorico più importante è sicuramente quello che vede la nascita dell’insediamento di Filo Braccio. Secondo lo storico archeologo Luigi Bernabò Brea, gli abitanti di questo sito corrispondono al popolo protoegeo degli Eoli. Questa popolazione leggendaria avrebbe anche ispirato il nome dell’intero Arcipelago.

Il nome con il quale questo popolo è riconosciuto dalla comunità scientifica archeologica è cultura di Capo Graziano, dal nome del promontorio su cui sorge il sito. Gli uomini di questa cultura erano sicuramente ottimi navigatori che si dedicavano al commercio marittimo. I manufatti realizzati da questi personaggi sono talmente peculiari da non avere confronti con le culture contemporanee della Sicilia e dell’Italia peninsulare. Si è notata, invece, la somiglianza con alcuni modelli greci che potrebbero avvalorare l’ipotesi che questo popolo provenisse dall’area egea.

Come nel resto delle isole, agli inizi del XIII secolo a.C. anche il sito di Capo Graziano viene abbandonato. Filicudi resta disabitata fino all’età greca. Con l’arrivo dei greci, l’isola viene chiamata Phoinikòdes o Phoinikussa, derivante dalle felci che ancora oggi crescono nel cratere del grande Fossa delle Felci. Le restanti notizie storiche sono molto scarse: Plinio e Strabone riferiscono che Filicudi, assieme Alicudi, erano adibite a pascolo brado. In realtà, le testimonianze archeologiche proverebbero l’esistenza di un insediamento greco stabile nel piano del porto. La vita di questo insediamento sembra protrarsi nel periodo romano e in quello bizantino.

Il mito

Le antiche leggende dei Greci narrano le vicende del re Eolo che, di indole buona e ospitale, accoglie il ramingo Ulisse. Il re era anche il dio dei venti e, secondo il racconto dell’Odissea, prima di partire, regala a Ulisse un otre colmo di tutti i venti tranne uno. Se solo pensiamo al fatto che questi naviganti avevano i mezzi e le esigenze per condurre viaggi e reperire materie prime da commerciare, ecco che la leggenda incontra l’archeologia.