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NEWS | Archeologi Cafici, inizia la catalogazione dell’archivio dei baroni siciliani

Archeologi, paleontologi e malacologi, i baroni di Vizzini (CT) Corrado e Ippolito Cafici lasciarono un archivio documentale molto vasto. Nei loro carteggi, rilegati con lacci in cuoio, si può leggere delle famiglie nobili della città e, documenti ancora da catalogare, attestano i legami della famiglia Cafici e dei due fratelli con la massoneria.

Corrado e Ippolito Cafici, figli di Vincenzo Cafici, deputato parlamentare del Regno d’Italia, furono proprietari terrieri e abili amministratori. Ai due fratelli si devono numerose scoperte e relative pubblicazioni scientifiche, in lingua italiana e tedesca. Si tratta di scoperte di un certo rilievo, che hanno permesso di delineare un quadro più completo della situazione etnica e culturale della Sicilia preistorica.

L’archivio

Sono cominciati così i lavori per la rinascita dell’archivio, concretizzati nel CESCA – Centro Studi Corrado e Ippolito Cafici, che si propone di censire, catalogare e digitalizzare l’archivio. A farne parte archeologi, studiosi, professionisti ed eredi della famiglia.

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L’obiettivo è la catalogazione del materiale dell’archivio, non ancora censito, che raccoglie documenti risalenti ad un arco cronologico compreso tra il XVIII e gli inizi del XX secolo. Ma l’archivio conta anche una corrispondenza di lettere e cartoline postali di Corrado ed Ippolito Cafici con i vari enti ed Accademie sia nazionali che europee su argomenti scientifici. Inoltre, sono presenti missive firmate da Paolo Orsi, che riguardano gli scavi ed i ritrovamenti archeologici effettuati nelle proprietà Cafici. E, ancora, un taccuino di Ippolito contiene una serie di appunti e disegni di reperti archeologici, forse da lui stesso rinvenuti e un’agenda con l’elencazione di molte conchiglie con annotazioni ancora da decifrare.

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Illustri Siciliani | L’operato dei fratelli Cafici

I baroni Corrado (1856-1954) e Ippolito (1857-1947) Cafici, vissuti a cavallo tra Ottocento e Novecento, sono stati due importanti studiosi di caratura internazionale che tanto lustro hanno dato alla città di Vizzini, fino ad ora conosciuta per aver dato i natali al padre del verismo Giovanni Verga.

Appartenevano a una delle più illustri famiglie nobili del tempo. Il padre Vincenzo, fervente patriote mazziniano, era un uomo il cui spessore culturale ha portato i figli a crescere in un ambiente in cui la ricerca scientifica in ambito archeologico, geologico, paletnologico e malacologico era curiosità per pochi eletti.  

I giovani Cafici, oltre a preoccuparsi dell’amministrazione dei loro beni come tutti i rampolli delle famiglie nobili, mostrarono precoci interessi scientifici e seppero muoversi nell’intricato mondo accademico. Inizialmente si interessarono alla malacologia (ramo della zoologia che studia i molluschi) e alla paletnologia, per poi dedicarsi allo studio delle dinamiche etno-culturali del paleolitico e del neolitico. Diedero il loro contributo alla stesura di alcune voci per il Reallexikon der Vorgeschichte, una importante enciclopedia di scienze preistoriche, e instaurarono una proficua collaborazione con il Bollettino di Paletnologia Italiana, che diede ai Cafici la possibilità di confrontarsi con i più grandi archeologi europei vissuti a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo.

Grazie ai loro studi, seppur inizialmente condotti in maniera autodidatta, diventarono un punto di riferimento anche nel campo della tutela del patrimonio archeologico. A dimostrazione di ciò e della grande fiducia che si poteva riporre in questi due personaggi, si narra un curioso episodio in cui l’allora Sovrintendente Paolo Orsi, dopo aver inoltrato formale comunicazione ai Carabinieri di Vizzini riguardo la segnalazione di scavi clandestini, interpellò Ippolito e Corrado affinchè, grazie alla loro posizione sociale, proteggessero il territorio interessato dai suddetti scavi.

I due fratelli Cafici, come era consueto tra gli studiosi del tempo, furono anche dei collezionisti. Durante le loro ricerche per ricostruire la storia della Sicilia dal paleolitico all’era dei metalli, furono in grado di raccogliere numerosi reperti: la loro collezione contava più di 120 pezzi di varia natura e provenienza (crateri, statuette, vetri e bronzi) e un cospicuo numero di conchiglie. I primi furono donati con testamento olografo al Museo Paolo Orsi di Siracusa dallo stesso Ippolito nel 1947, mentre le conchiglie furono donate all’Università di Catania.