Riparte il progetto “Archeologia partecipata” presentato lo scorso 7 luglio, con protagonista il cantiere di scavo di Palazzo Ingrassia. Un progetto che consente agli studenti e agli abitanti del quartiere di toccare con manol’archeologia in un’esperienza pubblica e partecipata.
Archeologia partecipata
Il Progetto Archeologico di Montervergine vede per protagonisti gli studenti del corso di laurea triennale in Beni culturali e laurea magistrale in Archeologia del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania.
Nato nel 2019 da un’iniziativa dell’Università degli studi di Catania, è divenuto realtà il 7 luglio scorso: promosso dall’Ateneo catanese, in collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni Culturali e Ambientali e il Parco archeologico di Catania, con il supporto logistico dell’amministrazione comunale e con la collaborazione del comitato popolare Antico Corso, il progetto ha ripreso le sue attività di ricerca e di archeologia partecipata proprio l’11 maggio scorso.
Il piano ha una durata di tre anni e prevede interventi di valorizzazione dell’area, con specifiche azioni di archeologia pubblica e partecipata dirette agli abitanti del quartiere così come a visitatori e turisti della città di Catania.
Lo scavo di Palazzo Ingrassia
Il progetto è finalizzato ad approfondire la conoscenza delle fasi di occupazione della collina di Montevergine e favorire la rinascita socioculturale dei quartieri Antico Corso e San Nicolò l’Arena che rappresentano delle vere e proprie periferie del centro storico.
In questa campagna di scavo, gli allievi dei corsi di studio del DISUM entreranno in azione insieme agli abitanti del quartiere, coadiuvati dagli studenti del Liceo Artistico Emilio Greco e del Liceo linguistico Lombardo Radice di Catania. A coordinarli è la docente Simona Todaro, insieme a Michela Ursino della Soprintendenza ai Beni archeologici e Ambientali di Catania, e Gioconda Lamagna, direttore del Parco archeologico e paesaggistico di Catania e della Valle delle Aci.
“Le attività ruotano attorno ad una trincea di scavo aperta all’interno del giardino di via Biblioteca che, strategicamente collocato tra piazza Dante, punto di ritrovo della popolazione del quartiere, e gli edifici che ospitano i locali dell’università, rappresenta una sorta di cerniera ideale tra due mondi che non si sono mai integrati veramente“, spiega l’archeologa Simona Todaro, docente di Archeologia Sperimentale del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania.
Scavare trincee per costruire ponti
Le operazioni di apertura e messa in sicurezza del cantiere di scavo sono state compiute in tempi brevissimi dai tecnici della ditta Di Maria Costruzioni di Santa Venerina. La ditta, operante nel centro storico etneo, oltre a mettere a disposizione un miniscavatore e un operaio per la rimozione del terreno estratto a seguito del primo scavo del dicembre scorso, ha provveduto con mezzi propri alla realizzazione di una recinzione in ferro e alla messa in sicurezza l’area di scavo.
“La recinzione non rinnega lo spirito partecipato delle fasi precedenti, ma rappresenta una misura necessaria e imprescindibile per continuare in sicurezza l’impresa di scavare trincee per costruire ponti, per parafrasare una felice espressione di Salvo Castro, presidente del Comitato popolare Antico Corso“, spiega l’archeologa responsabile del progetto, Simona Todaro.
Nella riorganizzazione degli uffici regionali, pensata dalla giunta Musumeci e approvata dalla giunta, troviamo la cancellazione delle sezioni specialistiche delle soprintendenze. L’esecutivo regionale, con una semplice disposizione amministrativa, ha soppresso le sezioni specialistiche, demolendo la competenza disciplinare cara al Codice dei Beni culturali e del paesaggio.
Uccidere le soprintendenze
Lo scopo della delibera è quello di accentrare nelle soprintendenze i controlli sui settori specialistici, depotenziando all’effettivo la capacità di verifica. La mossa non avrebbe effetto sul numero di incarichi da dirigente: resteranno 121 postazioni dirigenziali.
Il dato è principalmente politico. Già nel 2018 il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, in una conferenza a Palazzo d’Orleans tentò di abolire le soprintendenze. Un refuso, come venne definito da Sergio Gelardi, all’articolo 14 della legge di stabilità regionale. Musumeci affermò: “per alcune è necessaria un’azione farmacologica, per altre invece servono interventi chirurgici profondi”.
E adesso? Un altro refuso?
C’è da dire che alle soprintendenze siciliane manca di tutto, dagli strumenti, al personale, ai fondi. Questa delibera rischia di dare il colpo di grazia su ciò che resta dei presidi a tutela del patrimonio culturale, concepiti in Sicilia alla fine degli anni Settanta.
La delibera
La delibera della Giunta Musumeci del 10 marzo scorso ha definitivamente eliminato le unità specialistiche delle soprintendenze. Le unità disciplinari sono state soppiantate da due sezioni ibride: una per i beni architettonici e storico-artistici, paesaggistici e demo-etnoantropologici, e l’altra per i beni archeologici, bibliografici e archivistici. Una mescolanza di tutte le competenze rette da un dirigente generico ai beni culturali. La delibera riorganizza de facto tutta la macchina amministrativa di Palazzo d’Orléans.
Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, sottolinea la coincidenza della firma con il 10 marzo: “La data della delibera è, per fatale coincidenza, la stessa della giornata dei beni culturali siciliani, che ricorre ogni anno in memoria della tragica scomparsa dell’assessore Sebastiano Tusa” avvenuta nel 2019.
“Un modo per celebrarne non il ricordo, ma il contributo attuale, attualissimo, che Sebastiano ha dato alla cultura”, ha sottolineato l’assessore dei Beni culturali Alberto Samonà.
Le proteste
Zanna annuncia azioni legali “per bloccare questa ennesima riorganizzazione che dimostra, ancora una volta, la visione miope del governo regionale nei confronti della gestione, tutela e valorizzazione dei nostri beni culturali”.
Ana spera che la delibera sia ritirata: “un’amministrazione regionale che squalifica sé stessa delegittimando e appiattendo le competenze dei propri dipendenti si schiera obliquamente con la speculazione e la distruzione del territorio, piuttosto che adempiere con decisione al proprio dovere costituzionale di custodia e difesa del patrimonio e del paesaggio”.
Adele Maresca Compagna, presidente di Icom Italia, in una lettera aperta indirizzata al governatore Nello Musumeci e a Samonà esprime “forte preoccupazione per la soppressione di un cospicuo numero di unità operative tecniche”.
In un colpo solo si è fatta carta straccia delle normative regionali (nn. 116/1980 e 17/1991) e statali.
La discussa legge 10 del 2000
Nel 2016 la Sicilia di Crocetta aprì la strada all’attuale e drammatico scenario: i beni architettonici fecero coppia con i beni storico-artistici mentre quelli paesaggistici vennero accorpati a quelli demo-etnoantropologici, iniziando a sacrificare competenza e professionalità.
Chi è nell’ambito concorda che la colpa di questa carenza specialistica sia della legge regionale 10 del 2000 (L.R. 10/2000). Lo ha ribadito anche Adele Maresca Compagna: ha sottolineato che “gli accorpamenti all’interno delle soprintendenze rischiano di provocare un ulteriore indebolimento dell’intero assetto dei beni culturali regionali, già minato dall’abolizione dei ruoli tecnici per la dirigenza e per il comparto conseguente alla legge regionale 10 del 2000”.
Ma il ruolo unico non è una specialità siciliana: va ricordato che presso l’amministrazione statale fu istituito il ruolo unico già nel 2001 (D.lgs 165/2001, art. 23, c.1). Il provvedimento dunque non è arrivato ex abrupto ma ha radici storiche. Adesso tornare indietro è difficile: dopo ciò che è successo in Sicilia cosa accadrà al Ministero?
Anche quest’anno il Comando dei Carabinieriper la tutela delpatrimonio culturale(TPC) ha pubblicato il bollettino delle opere più importanti trafugate in Italia. Il documento è riconosciuto a livello internazionale, ai sensi dell’articolo 4 comma 4 della Convenzione UNIDROIT sui beni culturali rubati o illecitamente asportati.
Le opere scomparse
La pubblicazione del bollettino rappresenta un valido strumento di consultazione, sia per le Forze dell’Ordine, sia per i mercanti d’arte, gli antiquari, gli addetti ai lavori e tutti i cittadini. L’obiettivo comune è contrastare il traffico illecito di opere d’arte. Queste opere non possono essere considerate perdute ma tenute in ostaggio da chi svolge attività criminose.
Tra le opere sottratte citiamo La Santa Maria della Luce di Luca Giordano, scomparsa dalla Chiesa di Santa Maria della Luce di Mattinata, a Foggia, nel 1971, il mosaico raffigurante il ritratto di un giudice di gara portato via negli anni Ottanta dalle terme romane di Via Severina, e un dipinto a olio con la visitazione attribuito a Claudio Ridolfi e trafugato da un’abitazione privata nel 2018.
Most wanted
Le indagini rimangono aperte anche per i cosiddetti most wanted, ossia 14 preziosi capolavori ricercati. Tra questi citiamo la celebre Natività del Caravaggio, portata via una notte di ottobre del 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, forse per conto della mafia. Un altro tesoro è il Compianto sul Cristo morto, rubato nel luglio del 1974 dal Museo Broletto, a Novara. Non possiamo dimenticare la Sanguigna su carta di Leonardo da Vinci, trafugata nel maggio 1973 dal Museo Baroffio di Varese, così come il Bambinello dorato dell’Ara Coeli a Roma, scomparso nel 1994. Indimenticabile è la Madonna dell’orto di Giovanni Bellini (Venezia) così come il doppio acquerello di Paul Cezanne (Roma), most wanted dagli anni Novanta.
Le opere ritrovate
Nell’ultimo lustro la validità del bollettino è stata dimostrata dal ritrovamento di 147 opere di pregio tra cui statue, dipinti, gioielli e altri oggetti artistici. Tra questi, un bassorilievo in terracotta che raffigura la Madonna con Bambino, opera di Luca della Robbia, sottratto a Scansano (GR) e ritrovato in Canada nel 2019, così come un dipinto a tempera su tavola, la Madonna con Bambino attribuito a Pinturicchio, rubato nel 1990 a Perugia e recuperato nel 2019 a Londra. Impossibile dimenticare il ritrovamento della scultura in marmo di Giulia Domna, sottratta da Villa Adriana a Tivoli e ritrovata solo nel 2016 in Olanda.
Una formazione specialistica per valorizzare e promuovere al meglio l’immenso patrimonio culturale siracusano. Ma anche importanti investimenti nel campo della formazione e delle strutture per rendere Siracusa sempre più una “città universitaria”. Sono i punti chiave della strada tracciata dall’amministrazione comunale di Siracusa e dall’Università di Catania che nei giorni scorsi, al Palazzo Vermexio, sono stati esposti nel corso della cerimonia di consegna dei diplomi ai dieci nuovi archeologi specializzati in beni culturali, che hanno completato il percorso di formazione specialistica per l’anno accademico 2020/2021.
Un momento importante per i nuovi archeologi, ma anche per Siracusa e per l’ateneo Catanese
“La giornata di oggi rappresenta un momento importante per i nuovi dieci archeologici, ma anche per Siracusa e per l’ateneo catanese che in questi ultimi anni ha consolidato la sua presenza in questo territorio con investimenti importanti” ha spiegato il rettore Francesco Priolo dell’Università di Catania
“Mi riferisco agli interventi di ristrutturazione per 1,2 milioni di euro del palazzo Impellizzeri, prossima sede delle attività formative, concesso dal Comune e che entro un anno sarà restituito alla città. Altri 9 milioni di euro saranno investiti sull’ex caserma Abela, attuale sede della Struttura didattica speciale di Architettura, con un progetto già esecutivo inserito nel Piano triennale delle opere pubbliche dell’ateneo. Stiamo, inoltre, lavorando per acquisire nuovi finanziamenti tramite bandi ministeriali sull’edilizia universitaria e sulla coesione territoriale per far sì che l’investimento dell’Università di Catania su Siracusa sia a lungo termine”.
Gli archeologi specializzati, figure sp di fondamentale importanza
“L’amministrazione comunale, con il prezioso supporto dell’ateneo catanese e grazie ai fondi del Pnrr, è impegnata nella realizzazione di un archeo-parco e di nuovi parchi urbani, finalizzati alla valorizzazione e riqualificazione dell’immenso patrimonio archeologico siracusano. Parliamo di progetti per un ammontare di 50 milioni di euro, alcuni già finanziati, altri ammessi a finanziamento, che vedono protagonista l’archeologia e l’identità di Siracusa”, ha spiegato il primo cittadino Francesco Italia.
“La figura dell’archeologo specializzato è di fondamentale importanza per la valorizzazione del patrimonio archeologico siracusano perché purtroppo ancora oggi ci si limita ad una gestione dei beni culturali finalizzata solo alla custodia” ha aggiunto l’assessore Fabio Granata.
“E, invece, occorrono quelle conoscenze e competenze che i neo archeologi diplomati oggi in questa sede, nella Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici seconda solo a quella di Atene, hanno acquisito per valorizzare quell’immenso patrimonio materiale e immateriale siracusano. Credo che il patrimonio archeologico di Siracusa sia tra i più importanti al mondo e per garantire la migliore gestione possibile dei beni culturali, con investimenti anche nel campo della formazione, è indispensabile che i parchi archeologici abbiano una propria autonomia”.
Nel corso della cerimonia sono intervenuti anche i docenti Daniele Malfitana e Marina Paino dell’ateneo catanese
“La cerimonia di consegna del diploma rappresenta l’esito finale di un impegno di due anni di formazione specialistica che gli allievi hanno ricevuto, sia con didattica frontale in aula che con esperienze maturate sul campo in scavi archeologici , ricerche in laboratori e depositi di musei e parchi archeologici, tirocini formativi nelle Soprintendenze dell’isola” ha spiegato il direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici
“Con il conseguimento del titolo, l’allievo diventa archeologo professionista e da questo momento in poi può iniziare un percorso di inserimento nel mondo della ricerca, delle professioni, del lavoro, dell’imprenditoria dove il tema “archeologia” dalla forte trasversalità riesce a dialogare molto bene”. Per la direttrice del Dipartimento di Scienze umanistiche “la rinnovata collaborazione tra l’Università di Catania e il Comune di Siracusa consentirà ai dieci neo archeologi specializzati, grazie alle importanti competenze acquisite tramite questo impegnativo percorso, di poter svolgere una brillante carriera in Italia e all’estero“.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale, il 13 agosto 2021, il nuovo concorso indetto dal Ministero della Cultura (MiC, ex MiBACT) selezionerà 100 assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza e 50 operatori alla custodia, vigilanza, accoglienza. Un concorso pubblico per selezionare 150 persone in tutta Italia, suona già ridicolo così, ma non è tutto, aspettate di leggere quali siano i requisiti fondamentali per accedervi.
L’ennesimo flop della cultura italiana
Ti insegnano che l’Italia è uno scrigno incantato pieno di perle architettoniche, di storia, cultura e archeologia. Tra pubblicità che sponsorizzano le diverse regioni italiane con le loro particolari bellezze e i programmi di divulgazione in cui passano in rassegna tutte le “Meraviglie” italiane, Ti insegnano che ne abbiamo talmente tanta di cultura, che potremmo vivere solo di questo. E molti ragazzi, ragazzi come noi, ci credono e decidono di studiare per essere preparati quanto basta per vivere di cultura. Si, ma quanto basta? A quanto pare per il MiC basta poco. Basta avere un diploma qualsiasi o essere iscritti al centro per l’impiego.
Il posto fisso, l’unica cosa che conta davvero
«Le nuove 150 risorse saranno assunte a tempo indeterminato e assegnate a diversi settori e lavoreranno presso gli uffici centrali e periferici del Ministero».
Come in un famoso film del comico Checco Zalone, la prima cosa che sottolinea il bando è che l’assunzione sarà a tempo indeterminato. Un gran bel posto fisso, insomma. Solo che questa volta non viene da ridere. Viene da piangere a tutte quelle persone che hanno studiato notte e giorno materie come “Diritto dei Beni Culturali”, “Museologia”, “Gestione dei Parchi archeologici” per non parlare di tutti gli esami di archeologia e storia, dalla preistoria all’età moderna. Viene da piangere perché il requisito per accedere al concorso è il diploma, qualsiasi esso sia.
Un concorso per 100 persone, e le altre 50?
Abbiamo parlato di 150 risorse, ma il concorso ne riguarda 100, che significa?
Nel bando verrà fatta una distinzione:
100 posti per assistente alla fruizione, accoglienza e vigilanza – seconda area funzionale, posizione economica F2;
50 posti per operatore alla custodia, vigilanza e accoglienza – seconda area funzionale, posizione economica F1.
Il concorso, che prevede una sola prova scritta e una sola orale, riguarda solamente le 100 risorse da inserire come assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza. E qui arriva la parte migliore, qui raschiamo il fondo:
«I 50 operatori alla custodia, vigilanza e accoglienza, saranno reclutati tramite liste di collocamento, quindi, non è prevista una selezione mediante concorso pubblico, a curare le selezioni saranno i Centri Per l’Impiego (CPI) territorialmente competenti».
Solo 150 posti in tutta Italia
150 nuove risorse, da distribuire in tutta Italia, sono sufficienti? La risposta a questa domanda sembra essere proprio il famigerato posto fisso. Un contratto a tempo indeterminato che finisce per diventare un parcheggio, un’entrata sicura in attesa della pensione, quando avrebbe potuto essere un’opportunità per studenti e neolaureati nel settore culturale, un trampolino di lancio per prendere le misure ed inserirsi nel mondo in cui hanno scelto di operare, o meglio, nel mondo in cui vorrebbero operare. Ma non essendoci un’opportunità di crescita, mancando questo trampolino per i veri “addetti ai lavori” che vorrebbero fare carriera, anche partendo da mansioni base di accoglienza e vigilanza, il sistema museale finisce per essere sempre saturo di personale.
La cultura può essere alla portata di tutti?
Abbiamo tutti diritto al lavoro. Ma se ogni settore, per funzionare correttamente, ha bisogno di figure specializzate, perché la cultura deve fare eccezione? Di contro, l’esistenza di numerosi indirizzi di laurea magistrale, di scuole di specializzazione, master e dottorati nel settore che riguarda i beni culturali sembra lasciare intuire che la gestione del patrimonio culturale italiano sia una cosa seria e che abbia bisogno di persone competenti, a cui una laurea triennale non apre nessuna porta perché non è abbastanza per assicurare le competenze di chi dovrebbe operare in questo settore. E se poi, invece, nei musei troviamo personale che di cultura non ne ha mai studiato neanche le basi, dove sta la verità? Quanto costa la cultura e quanto vale davvero?
Le domande che questo modus operandi suscita sono tante, le risposte ci auspichiamo di trovarle presto.
L’Università “L’Orientale” di Napoli, che opera in Afghanistan dal 1957, in questo momento di profonda crisi continua a garantire le lezioni agli studenti bloccati nel Paese. Nonostante la situazione non si avvicini nemmeno lontanamente alla normalità, l’Università si adopera per far proseguire l’attività scientifica sui beni archeologici prodotta fino ad oggi. Buone notizie anche per ricercatori e docenti, la drammatica situazione ha bloccato l’attività sul campo, ma i risultati ottenuti non si perderanno, per tale scopo è di fondamentale importanza la collaborazione tra docenti e ricercatori dei due Paesi.
Garantire la sicurezza è uno degli obiettivi principali, collaborazione, anche in questo ambito, è la parola chiave.
«Studiare e diffondere la conoscenza del patrimonio culturale afghano è un modo per difenderlo». Queste sono state le parole del rettore Roberto Tottoli, un vero e proprio monito di speranza. Intenzione dell’Università per l’immediato futuro è l’attivazione di agevolazioni per gli studenti afghani, con la massima attenzione per la salvaguardia della loro situazione particolarmente difficile. Si tratta di agevolazioni atte a garantire l’apprendimento in un contesto che cerca di ritrovare serenità anche grazie alla Cultura.
La Sicilia è da sempre il crocevia del Mediterraneo; le sue coste e il suo entroterra hanno ospitato nei millenni popoli e culture così differenti tra loro da creare quell’intricato mosaico di unicità e bellezza che è il patrimonio culturale siciliano. L’Isola non smette mai di rivelare piccoli nuovi tasselli di questo mosaico: il territorio ragusano ne è un esempio. L’archeologia negli Iblei sta facendo grandi passi avanti grazie alle numerose campagne di scavo che continuano senza sosta e con risultati sorprendenti.
Samonà: «L’area del Ragusano ha ancora tanto da raccontarci»
«L’area del Ragusano – evidenzia l’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà – ha ancora tanto da raccontarci sotto il profilo della ricerca archeologica. Le numerose campagne di scavi attivate grazie ai rapporti intrattenuti dalla Soprintendenza dei BB.CC.AA. di Ragusa, diretta da Antonino De Marco, con prestigiose università italiane ed europee e regolati da apposite convenzioni, stanno fornendo importanti elementi per una riscrittura della storia del territorio. Un impegno che gratifica il governo regionale per aver fortemente puntato sulla ripresa dell’archeologia in tutta l’Isola, nella consapevolezza che il potenziamento della ricerca e la valorizzazione dei Parchi archeologici siano elementi strategici per l’affermazione di una visione di lungo periodo che abbia al centro la cultura e l’identità della Sicilia».
Gulfi, la parte antica di Chiaramonte, torna in luce grazie all’Università di Bologna
A Chiaramonte Gulfi (RG), sono appena terminati gli scavi effettuati dal Dipartimento di Storia e Civiltà dell’Università di Bologna, diretti dalla professoressa Isabella Baldini. Nelle scorse campagne, in contrada San Nicola–Giglia, i ricercatori avevano portato in luce un centinaio di tombe con ricchi corredi e iscrizioni funerarie, appartenenti ad un insediamento grecofono insediato in quest’area. Nell’ultima campagna di scavo, invece, gli studiosi hanno indagato una necropoli ed un lembo di abitato di epoca imperiale. Una continuità insediativa, questa, che dal II secolo d.C al IX secolo d.C avrebbe contribuito alla nascita di Gulfi.
Contrada Cifali (RG), Genova e Pisa ci parlano di età tardo antica e medievale
Se Gulfi racconta la storia della sua fondazione, gli scavi in contrada Cifali (RG) raccontano dell’abbandono di una villa romana, del suo riutilizzo in età tardo antica e di un insediamento islamico. Gli scavi in quest’area proseguono da alcuni anni, sotto la direzione del professor Antonino Facella, con la collaborazione delle Università di Pisa e di Genova. Quest’ultima ha proseguito la campagna di scavo nei mesi di luglio e agosto. Le indagini hanno portato in luce un impianto termale, probabilmente parte di un edificio privato di III secolo d.C. Nella fase successiva all’abbandono della villa, va collocata invece la fornace per fittili, impiantata sul castellum aquarum ormai inutilizzato. La fase insediativa più recente, situata nella parte settentrionale del sito, è costituita da abitazioni e sepolture con rito islamico.
Riprenderanno gli scavi a Modica (RG)
Alla fine dell’estate riprenderanno gli scavi in contrada Scorrione a Modica (RG), con il contributo dell’università Ceca di Hradec Králove. Il team di ricercatori, diretti da Joan Pinar Gil indagherà alcuni ipogei tardoantichi.
«Un impegno – ha aggiunto Samonà – che gratifica il governo regionale per aver fortemente puntato sulla ripresa dell’archeologia in tutta l’Isola, nella consapevolezza che il potenziamento della ricerca e la valorizzazione dei Parchi archeologici siano elementi strategici per l’affermazione di una visione di lungo periodo che abbia al centro la cultura e l’identità della Sicilia».
Nell’ambito delle celebrazioni per il decennale del rimpatrio della Dea di Morgantina (2011-2021) e in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia 2021, il Comune di Aidone (EN) organizza martedì 6 luglio, alle ore 17.30, al Largo Torres Truppia, spazio antistante il Museo Archeologico, la presentazione del volume Ladri di antichità. Il mercato clandestino di reperti archeologici e di opere d’arte in Sicilia: traffici illeciti e leciti recuperi (Lussografica 2020).
Il libro, curato dalla presidente regionale di SiciliAnticaSimona Modeo e da Serena Raffiotta, archeologa e assessore al Patrimonio Culturale e al Turismo del Comune di Aidone (EN), è una miscellanea di saggi di vari autori (archeologi, magistrati, ricercatori, forze dell’ordine) dedicati alle archeomafie in Sicilia, argomento di grande interesse, da decenni al centro di vicende giudiziarie che hanno fatto clamore anche a livello internazionale per i traffici e recuperi di eccezionali reperti scavati illecitamente.
In un clima ormai stabilizzato di risveglio nell’ambito della valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale, tira una nuova aria anche per gli ambienti polverosi e bui di un gioiellino, simbolo d’identità e storia, nel cuore azzurro della Sicilia. Stiamo parlando della Tonnara di Favignana (TP), nota anche come ex Stabilimento Florio; la Tonnara potrebbe riaprire le porte ai turisti, dopo una serie di verifiche e migliorie per garantirne la corretta fruizione, in modo completamente ecosostenibile. Nei giorni scorsi, nell’ex Stabilimento Florio, si è svolta la campagna di rilevamento di eventuali criticità all’interno dello stabilimento. Campagna che opera all’interno di un ampio progetto: il progetto Ideha.
Il progetto Ideha, cos’è e cosa comporterà per la Tonnara di Favignana
Il progetto Ideha – Innovazioni per l’elaborazione dei dati nel settore del Patrimonio Culturale, vede il Consiglio Nazionale delle Ricerche come ente capofila, coordinato dall’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale della sede di Catania (ISPC-CNR). Si pone come obiettivo l’individuazione di metodi innovativi e sostenibili di conoscenza, conservazione, fruizione e governance partecipata dei beni museali. La prima parte del progetto consiste nel rilevare e risolvere le criticità strutturali della Tonnara, luogo fortemente identitario per il territorio. La seconda parte del progetto riguarda la valorizzazione e fruizione della Tonnara, che potrà tornare a ospitare turisti e curiosi da ogni dove.
Un progetto a lungo termine
«L’eccezionale valore culturale dell’ex Stabilimento Florio – sottolinea l’assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà – impegna da due decenni l’Amministrazione Regionale in un programma di interventi di restauro, ancora non concluso. Le operazioni riguarderanno a breve i macchinari e le aree retrostanti e quelle prossime all’imbarcadero. Nello stesso tempo, le campagne di indagini subacquee condotte dalla Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana, continuano ad arricchire la splendida collezione di rostri ed elmi della Battaglia delle Egadi; impreziosiscono i percorsi espositivi, popolati da testimonianze archeologiche del mare, collezioni fotografiche d’autore e installazioni di arte contemporanea. Il progetto condotto dal CNR ci offre preziosi strumenti e interessanti dati informativi su un luogo molto importante per la storia economica e culturale della Sicilia. Bisogna attuare un programma di gestione efficace che ci consenta di effettuare una corretta manutenzione e gestione sia della struttura che del patrimonio immateriale custodito».
La Tonnara deve la sua grandezza alla famiglia Florio, che la acquistò nel 1841 da una famiglia genovese. Successivamente, la Tonnara, che serviva solo per la mattanza dei tonni, venne ampliata e vi fu aggiunto lo stabilimento per la lavorazione del tonno. Fu proprio lo stabilimento Florio il primo a conservare il tonno sott’olio. Se vi siete mai chiesti chi ha inventato il tonno in scatola, saprete adesso che a farlo furono i proprietari di questo piccolo gioiellino, che arricchirà presto l’elenco delle bellezze da visitare sull’isola di Favignana.
In copertina: l’interno dell’ex Stabilimento Florio, Tonnara di Favignana (TP) – foto: Archeologia Industriale.
ArcheoMe ha avuto il piacere di presentare un incontro molto partecipato avente per oggetto il “Progetto Iside”. L’incontro è stato presentato e introdotto dal dott. Francesco Tirrito, direttore di ArcheoMe, con gli interventi del prof. Giacomo Cavillier, egittologo, e della dott.ssa Maria Teresa Magro, archeologa presso la Soprintendenza dei Beni Culturali di Catania. Per chi se lo fosse perso, sarà possibile visionare l’incontro sulla pagina Facebook di ArcheoMe a questo link.
Cos’è il “Progetto Iside”?
Il dott. Tirrito introduce immediatamente l’argomento chiedendo al prof. Cavillier di presentare il Progetto. «Ringrazio ArcheoMe per questa diretta su un argomento che è nato lo scorso anno», dice il professore. E continua: «Il Progetto mira allo studio di quelli che sono i culti egizi in Sicilia. Lo stesso Progetto è stato avviato anche in Sardegna per avere un quadro di insieme di quello che poteva essere il concetto di approdo dei culti e di trasformazione locale. Sappiamo che il culto di Iside, soprattutto in epoca romana a partire dall’età Tolemaica, è uno dei pochi che avvia il suo percorso cultuale e culturale sulle principali sponde dell’Impero, spostandosi poi anche verso l’interno».
E conclude: «Il “Progetto Iside” nasce proprio così, per dare una profondità a quelli che sono i contatti tra Egitto e la Sicilia, soprattutto orientale. Abbiamo cominciato proprio da Catania, uno dei capisaldi della Regione, in collaborazione con la Soprintendenza, avviando uno studio dei reperti egizi che legano l’isola al mondo egiziano».
I vari volti di Iside
Il prof. Cavillier continua con un excursus sulla figura di Iside e sul concetto di immortalità e aldilà ad essa legato. Iside, st in egiziano, col il simbolo del trono (poiché legata alla regalità), è la dea madre, la dea moglie, maga e protettrice. È colei che guida e protegge Ra nel suo viaggio notturno, prima della rinascita. Iside è la divina sposa di Osiride, dio sovrano dell’oltretomba, e madre di Horus.
«Iside è una delle divinità più significative del pantheon egizio. È protettrice del focolare familiare, dea della fertilità e della navigazione, regina del cielo, della terra e dell’aldilà», aggiunge il professore.
Spesso rappresentata in qualità di Iside lactans, che allatta il piccolo Horus in un’iconografia che si ritroverà, secoli dopo, in quella cristiana della Madonna con bambino, sottolineando il suo carattere di “colei che porta vita” e il concetto di continuità dinastica. Iside, infatti, allatta Horus che rappresenta il nuovo re, seduta a fianco del marito Osiride, rappresentazione del re defunto.
Iside è la grande maga, colei per mezzo della quale avviene il miracolo della vita per due volte nella stessa vicenda. Osiride, smembrato dal fratello antagonista Seth, viene ricomposto da Iside e dalla sorella Nephtys. Osiride non torna però in vita nel mondo terreno, diviene sovrano del mondo dei defunti, un mondo altro in cui continua a vivere una vita dopo la vita. Il suo, più che una resurrezione, è un passaggio di stato. E Iside, con il corpo ricomposto del marito, concepisce nuova vita: Horus, che vendicherà il padre e riceverà la regalità sulla terra.
Iside è una divinità che avrà una grande rinomanza anche in epoche successive perché rappresenta il concetto di stabilità contro il caos e la rinascita. Difficilmente, parlando di Iside, si può scindere la sua figura dalla vicenda del suo divino paredro, Osiride, dio dell’oltretomba. Tutto nella vicenda di Iside e Osiride è teso alla continuità della vita, alla fertilità, alla fecondità della terra (come ricorda, ad esempio, il colore verde dell’incarnato del dio nelle raffigurazioni, un colore che richiama il germogliare di nuova vita). Tutto è teso all’immortalità: l’idea principale è che l’uomo non muoia, ma che, semplicemente, cambi condizione, continuando a vivere in un mondo altro.
Iside è la protettrice della navigazione, intesa come continuo viaggio dell’esistenza, non solo mero spostamento materiale.
Reperti egizi nel mondo greco-romano
E così come il suo culto, anche altri aspetti della ritualità egizia hanno continuato a vivere nel mondo greco-romano. Il “Progetto Iside” ha, tra gli altri anche questo fine, quello di capire la funzione dei reperti egizi rinvenuti sul suolo italico. Infatti Cavillier dice: «Legato a Iside c’è tutto il mondo funerario. Il Progetto si propone non tanto di studiare le antichità egizie presenti, ma di darne una funzione. Ad esempio, perché trovo uno scarabeo in un contesto funerario che può essere fenicio, che può essere punico o che può essere romano?»
Continua: «L’oggetto stesso, per quanto possa essere divenuto in determinate epoche un oggetto che può sembrare quasi a livello industriale (soprattutto a partire dal periodo fenicio in poi), sostanzialmente a cosa serve? Questa è la domanda che ci facciamo. Perché mai una società che è diversa da quella egizia deve adottare questi strumenti e questi oggetti di protezione? Del mondo egiziano, quello che si diffonde poi all’esterno, viene, di fatto, tesaurizzato. E il tesaurizzare tutto questo implica proprio la volontà di una società, come può essere quella romana, di incamerare dei culti che sono ritenuti effettivamente efficaci».
Il culto di Iside in epoca ellenistica e romana
Il culto di Iside, prima di approdare lungo le coste dell’Italia, si fermò in Grecia dove fu accolto e, com’è ovvio, anche riadattato. La figura di Iside nel mondo greco-romano viene concepita nei più disparati modi. Nel corso dei secoli si vede ampliata la sua sfera di competenza. Passa dall’essere, in Egitto, la dea protettrice del sovrano divinizzato (immagine terrestre del figlio Horus) e del sovrano defunto (identificato con Osiride) all’essere una dea universale che, oltrepassati i confini della terra del Nilo, acquisisce una nuova indipendenza.
«Ma cos’è che porta il culto?» – si chiede Cavillier – «È la navigazione, è l’approdo», è lo scambio di merci e culture.
Iside, come detto, assume caratteristiche dei luoghi in cui il suo culto viene accolto. Insieme a una particolare acconciatura greca, elementi peculiari della divinità in epoca ellenistica e romana sono il sistro, la situla aurea, l’ureo e il loto.
«Il culto della dea in Egitto» – ci dice Cavillier – «prevedeva una serie di rituali giornalieri alcuni dei quali, probabilmente rielaborati, erano presenti nella penisola Italica e nelle Isole (Sardegna e Sicilia). Uno di questi è il Navigium Isidis(5 marzo), di cui Apuleio ne descrive i canti accompagnati con sistro e flauti e le preghiere recitate dal grammateus. Anubi e Osiride figurano quali figure mitiche e divine nel cerimoniale di rigenerazione». Il culto veniva celebrato in luoghi appositi quali serapeum e iseum.
Il prof. Cavillier conclude il suo intervento con un focus sull’obelisco della Fontana dell’Elefante di Catania. Secondo Cavillier sarebbe, piuttosto, la colonna di un tempio isiaco in cui, sebbene appaiano stilizzati, sembrerebbero essere presenti divinità e simboli specifici connessi alla ritualità egizia.
A Catania Iside così come Demetra
A questo punto prende la parola la dott.ssa Maria Teresa Magro con un excursus sulla figura della dea madre, passando, nel corso dei millenni per un certo numero di divinità femminili. Vedendo una stretta connessione tra le divinità femminili e le dee madri di tutte le epoche, la dott.ssa parte dalle epoche più antiche, dalle prime epoche. «Una stretta connessione è stata ritrovata nelle figure di divinità: le prime “Veneri”, raffigurazioni delle donne come rappresentazione di fecondità, già dal Paleolitico. Si tratta di figure presenti in tutto il mondo Mediterraneo, di cui si può procedere ad un’identificazione a tappe. La cosa principale è che la figura della donna è associata alla fecondità ed alla fertilità».
Nel mondo ellenistico e romano si assiste ad un’unione stretta tra Iside e le divinità locali. Iside è assimilata a molte divinità femminili che abbiano caratteristiche simili, legate al mondo della fecondità e della rinascita, principalmente. Sarà il caso di Demetra-Proserpina in Sicilia e Sardegna, con particolare attenzione alla vicenda di Demetra e Kore di cui ci sono tracce anche nella stessa Catania, in cui esisteva un tempio dedicato proprio a Demetra, oggi non ancora individuato, ma descritto da Cicerone.
Alla fine dell’800, proprio a Catania fu scavato nuovamente (già noto da almeno due secoli) un edificio templare. Una rilettura successiva, ci fa sapere la dott.ssa Magro, ha individuato nel tempio un luogo sacro a Iside. E proprio su questo edificio, tra le altre cose, si pensa di concentrare lo studio futuro in relazione alla presenza isiaca a Catania. «Noi pensiamo che questo lavoro» – dice la Magro – «non sia solo un confronto, che può essere sicuramente interessante, ma utile per un riscontro anche in relazione ad alcune festività che potrebbero avere radici più antiche di quanto si pensi, come per la festa di Sant’Agata».
L’incontro si conclude con una serie di domande da parte dei partecipanti e con l’augurio che gli studiosi si fanno di poter portare avanti questo Progetto straordinario, che oltrepassa i confini spaziali e temporali, incentrato sulla connessione tra l’Egitto e la Sicilia.
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