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NEWS | Sicilia, quando l’archeologia non conta: nomine nonsense per i Parchi archeologici

Il 15 giugno scorso sono state rese note le nomine dei nuovi direttori dei Parchi archeologici siciliani: soltanto due di essi sono archeologi! I decreti assessoriali preferiscono lasciare tale incarico ad architetti, geologi e agronomi, molti dei quali non hanno mai svolto alcun servizio nell’Assessorato dei Beni Culturali.

Il vano titolo di “archeologo”!

Da mesi, infatti, si parla delle preoccupanti novità che potrebbero interessare il mondo dell’Archeologia preventiva. Allo stesso modo, da giorni si parla della disavventura di Niccolò Daviddi. E sulla stessa scia si colloca, appunto, la sconcertante rimodulazione del Dipartimento Regionale dei Beni Culturali.

Siamo davanti all’ennesimo schiaffo dato a una classe di lavoratori specializzati che vede vanificare i molti anni di studio e ricerche. Ancora una volta, notiamo che la selezione della classe dirigente degli Istituti Regionali di tutela non avviene sulla base di una valutazione meritocratica dei titoli scientifici e di servizio. Addirittura, tale scelta pare prescindere dallo stesso possesso dei requisiti professionali richiesti dalle leggi regionali e nazionali.

Le leggi in materia di Beni Culturali

L’art. 9 bis del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, successivamente attuato nel D.M 244/2019, prescrive che la responsabilità dei compiti di tutela e valorizzazione dei beni archeologici debba essere assegnata ad archeologi con un ben determinato curriculum. Inoltre, alcune nomine contravvengono la stessa legge regionale n. 20/2000, che ha istituito il sistema dei Parchi archeologici siciliani: l’articolo 22, comma 1 recita «l’incarico di direttore di Parco è conferito, a tempo determinato, dall’Assessore ad un dirigente tecnico in servizio presso l’Assessorato Regionale dei Beni Culturali».

Area Archeologica di Solunto (immagine via Beni Culturali Online)

Altre nomine nonsense?

Dopo le nomine dirigenziali, si attendono con preoccupazione quelle di centinaia di responsabili delle unità operative degli Istituti di tutela: posizioni che solo in Sicilia sono considerate dirigenziali e, soprattutto, senza nessuna garanzia del rispetto dei requisiti professionali richiesti dalle mansioni tecnico scientifiche rivestite.

Tutto ciò non è una novità nel panorama culturale siciliano. Da molti anni, infatti, le sezioni archeologiche, storico-artistiche e bibliografiche sono affidate alla responsabilità di architetti, ingegneri e geologi. Figure ben lontane dai funzionari a cui il Ministero della Cultura, assegna gli stessi incarichi. Figure professionali che non mancherebbero sul territorio isolano se solo gli si lasciasse il giusto spazio.

Ad aggravare questo caos organizzativo è giunto il D.P.R.S. n. 9 del 5 aprile 2022, pubblicato in GURS il 1° giugno 2022, con il quale l’esecutivo regionale ha soppresso la distinzione disciplinare delle Sezioni tecnico scientifiche (L.R. 80/1977 ancora vigente) e dei rispettivi direttori. Questi, ai sensi della L.R. 116/1980, avevano la competenza di emanare gli atti di tutela relativi a ciascuna area di competenza.

Una delle decorazioni musive della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina (immagine via LiveUniCt)

Tiriamo le somme

In conclusione, il Governo regionale sovverte la gerarchia delle fonti del diritto, poiché fa prevalere un atto amministrativo su una norma legislativa; sopprime le Sezioni tecnico scientifiche delle Soprintendenze; trasforma i “Parchi archeologici siciliani” da organi di tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico e paesaggistico in megaservizi burocratici che dovrebbero gestire tutte le aree archeologiche e i musei provinciali. Dulcis in fundo, il tutto è condito dall’assenza di personale direttivo scientifico qualificato.

CIA, insieme alle associazioni di tutela Italia Nostra, Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli e Associazione Memoria e Futuro, alle quali si unisce l’Associazione culturale ArcheoMe, esprimono il loro sconcerto dinnanzi a una situazione che continua a schiaffeggiare un’intera categoria di studiosi e lavoratori.

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NEWS | Dalla Sicilia alla Grecia, un frammento del Partenone torna a casa

Si tratta del “Reperto Fagan”, un frammento del fregio del Partenone custodito nel museo archeologico  “A. Salinas” di Palermo dal 1820. Il prezioso frammento è costituito dal piede di una Dea (Peitho o Artemide), avvolto dalla parte finale della veste che scende in un morbido e meraviglioso drappeggio. Questo tassello di storia volerà presto dalla Sicilia alla Grecia, per ricongiungersi al suo contesto d’origine.

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Il frammento del fregio del Partenone, conservato al “Salinas” di Palermo
Uno scambio culturale tra Sicilia e Grecia

“Il Reperto Fagan in cambio di una statua acefala di Atena, della fine del V secolo a.C., e un’anfora geometrica della prima metà dell’VIII secolo a.C.”. Questo è quanto prevede l’accordo siglato dal Museo Archeologico RegionaleA. Salinas” di Palermo e dal Museo dell’Acropoli di Atene. L’accordo prevede che per un periodo di 4 anni, rinnovabile una sola volta, il Salinas trasferisca al Museo dell’Acropoli di Atene il frammento appartenente al Partenone. Il frammento è attualmente conservato a Palermo, poiché parte della collezione archeologica del console inglese Robert Fagan. Fagan aveva acquistato il reperto ad Atene agli inizi del XIX secolo. Alla morte di quest’ultimo, il piccolo piede della Dea era passato in eredità alla moglie. Acquistato dalla Regia Università di Palermo nel 1820, il Reperto Fagan sembrava aver trovato la sua destinazione finale, ma era troppo lontano da casa.

La Sicilia come apripista in una questione aperta da tempo

L’accordo, fortemente voluto dall’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà, condiviso con la Ministra greca della Cultura e dello Sport, Lina Mendoni, ha un forte valore simbolico. Il piccolo piede della Dea che muove verso casa, infatti, rappresenta un grande passo in avanti nella questione del ritorno in Grecia dei reperti del Partenone. Il frammento Fagan non è l’unico reperto ateniese “fuori posto”. Custoditi nei musei di tutto il mondo, si trovano molti reperti, tasselli di ciò che un tempo costituiva la grandiosa Acropoli di Atene, in particolare di ciò che costituiva il Partenone. Da più di quarant’anni, ormai, la Grecia chiede che le vengano restituiti tutti i componenti di marmo trafugati dal Partenone a partire dal 1800. Basti pensare al British Museum di Londra, che tra i numerosi reperti sottratti dall’Acropoli, conserva gelosamente una delle sei cariatidi del tempietto dell’Eretteo. Al museo archeologico di Atene, dove sono conservate le altre cinque figure femminili, c’è uno spazio vuoto là dove dovrebbe esserci la sesta cariatide: un messaggio non troppo velato rivolto al museo britannico, in attesa che anche l’ultima statua torni al suo posto.

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Le cinque cariatidi esposte al Museo dell’Acropoli di Atene. Lo spazio vuoto, in attesa del ritorno in patria della sesta figura femminile, ancora in possesso del British Museum di Londra
Un legame di fratellanza che lega la Sicilia e la Grecia da tempi antichissimi

Il ritorno a casa del Reperto Fagan suscita grande gioia e fiducia dell’istituzione greca nei confronti della Sicilia: “L’approdo del Fregio palermitano presso il Museo dell’Acropoli – sottolinea il direttore del Museo dell’Acropoli di Atene, Nikolaos Stampolidis – risulta estremamente importante soprattutto per il modo in cui il Governo della Regione Siciliana, oggi guidato da Presidente Nello Musumeci, ha voluto rendere possibile il ricongiungimento del Fregio Fagan con quelli conservati presso il Museo dell’Acropoli. Questo gesto già di per sé tanto significativo, viene ulteriormente intensificato dalla volontà da parte del Governo Regionale Siciliano, qui rappresentato dall’Assessore alla Cultura ed ai Beni dell’Identità Siciliana Alberto Samonà, che ha voluto, all’interno di un rapporto di fratellanza e di comuni radici culturali che uniscono la Sicilia con l’Ellade, intraprendere presso il Ministero della Cultura italiano la procedura intergovernativa di sdemanializzazione del Fregio palermitano, affinché esso possa rimanere definitivamente sine die ad Atene, presso il Museo dell’Acropoli suo luogo naturale”.

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FLASH | Mozia (TP) era abitata già nell’Età del Bronzo: anche Palermo conferma

Lo ha reso noto questa mattina l’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, a seguito dei recenti ritrovamenti effettuati durante uno dei sondaggi praticati dal professore Aurelio Burgio dell’Università di Palermo. Lo scavo nell’isola di Mozia (TP), condotto in collaborazione con l’Università di Palermo e la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani, ha portato in luce un contesto archeologico che risalirebbe all’Età del Bronzo, 1600 a.C. circa, confermando la presenza di insediamenti umani nell’isola in questo periodo, rilevata nelle precedenti campagne di scavo.

I ricercatori dell’Università di Palermo impegnati nelle ricerche a Mozia (TP)

Il ruolo di Mozia nel Mediterraneo nell’Età del Bronzo

«La scoperta – afferma il professore Aurelio Burgio – assume particolare valore perché testimonia la vitalità e il ruolo di Mozia lungo le rotte mediterranee in un’epoca di molti secoli antecedente alla fondazione della colonia fenicia, gettando nuova luce sulla diffusione degli orizzonti culturali preistorici siciliani anche in questo estremo lembo occidentale dell’isola, al crocevia dei traffici tra il Tirreno e il Canale di Sicilia».

Il professore Aurelio Burgio

La fiducia nell’archeologia in Sicilia: Mozia è un buon esempio

«La ripresa degli scavi a Mozia e gli eccezionali ritrovamenti effettuati – sottolinea l’assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà – ci rafforzano nella consapevolezza di aver fatto una scelta giusta, promuovendo il rilancio in grande dell’archeologia in Sicilia. Il nostro passato è un libro ancora straordinariamente pieno di pagine da scrivere, che rappresentano il più bel biglietto da visita per chi vuole scoprire l’essenza della nostra terra. La grande sfida che abbiamo intrapreso è di mettere la Cultura e l’Identità al centro di una visione di futuro per la Sicilia».

L’assessore Alberto Samonà