Archeologia subacquea

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NEWS | Antico bacile in ceramica riemerge dalle acque di San Vito Lo Capo

Nelle acque della tonnara del Secco a San Vito Lo Capo (TP) è stato recuperato un antico bacile di ceramica. Il reperto, quasi intatto, è stato localizzato dall’istruttore subacqueo Marcello Basile, il quale ha poi dato notizia a Pietro Selvaggio, funzionario della Soprintendenza del Mare.

Il recupero

Il bacile, recuperato dalla Soprintendenza del Mare, sarebbe stato identificato in un un louterion, oggetto di tipo rituale, utilizzato tanto a terra che sulle navi nell’antichità. Ulteriori studi ne chiariranno la datazione, che sarebbe da collocarsi fra epoca greca e romana. Il recupero è avvenuto per opera dei sub Marcello Basile e Andrea Mineo, con la presenza in immersione di Ferdinando Maurici, Soprintendente del Mare.

Il bacile localizzato a San Vito Lo Capo

“Il nostro mare – sottolinea Alberto Samonà, assessore Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – continua a restituire interessanti reperti archeologici, che testimoniano la ricchezza storico culturale della Sicilia. Un patrimonio immenso, che vede la Soprintendenza del Mare costantemente impegnata con azioni di individuazione, interventi di recupero e una capillare e incessante attività di valorizzazione”.

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NEWS | Ferdinando Maurici, chi è il nuovo soprintendente del mare della Regione Siciliana

Ricade su Ferdinando Maurici la nomina di soprintendente del mare della Regione siciliana, scelto del dirigente generale del dipartimento di beni culturali Franco Fazio. Si apre così un’era di grandi sfide per la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico subacqueo dei mari di Sicilia e delle sue isole minori. 

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Ferdinando Maurici, nuovo soprintendente del mare della regione siciliana
Chi è Ferdinando Maurici?

Ferdinando Maurici, 62 anni, nativo di Palermo, è un appassionato ricercatore, specializzato in archeologia cristiana e medievale, con all’attivo diverse docenze universitarie e oltre 300 pubblicazioni. Da sempre impegnato nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale siciliano, è stato insignito di incarichi prestigiosi, tra cui: la dirigenza del parco archeologico di Monte Lato, del Museo interdisciplinare di Terrasini e della Fototeca del centro Regionale Inventario e catalogazione delle sezioni archivistica e bibliografica. Recentemente ha seguito la documentazione videografica, con rilievi in 3D, di un relitto d’epoca romana, insieme a un cumulo di anfore, nel fondale dell’isola di Ustica, situati a circa 200 metri di profondità e 80 metri dalla costa.

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Carico di anfore romane provenienti da un relitto

Nell’estate 2021 ha preso parte alla localizzazione del ventiquattresimo rostro nel fondale dell’isola di Levanzo, nell’arcipelago delle Egadi, a bordo della nave oceanografica “Hercules”. Ha inoltre collaborato alla rilevazione di un nuovo possibile itinerario sommerso a Marettimo, che andrà ad arricchire il patrimonio archeologico sommerso delle isole Egadi, teatro della  sanguinosa battaglia navale del 241 a. C, tra romani e cartaginesi. È stato infine co-progettista dei lavori di scavo e indagine preliminare del relitto della nave romana denominata “Marausa 2“, risalente al III secolo d. C., recuperato a 150 metri dalla costa di Trapani.

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Le indagini archeologiche subacque nel nuovo itinerario di Marettimo
La soprintendenza del mare

L’istituto rappresenta l’approdo di un percorso avviato nel 1999, con l’istituzione di un gruppo per la ricerca archeologica subacquea: G. I. A. S. S. (Gruppo Indagine Archeologica Subacquea Sicilia) evolutosi  poi in S. C. R. A. S. (Servizio Coordinamento Ricerche Archeologiche Sottomarine).  La struttura nasce ufficialmente nel 2004, per volontà di Salvatore Tusa, con l’obiettivo di gestire, tutelare e valorizzare il patrimonio storico, naturale e demo-antropologico dei mari di Sicilia e delle sue isole minori, evidenziando l’evoluzione dell’inscindibile legame tra l’uomo e il mare nel corso dei secoli. Tra i maggiori successi dell’istituto, annoveriamo: il satiro di Mazara del Vallo, la nave romana Marausa, il relitto di Cala Minnola a Levanzo e, soprattutto, la localizzazione ,a nord/nord ovest dell’isola di Levanzo, del luogo che probabilmente fu il  teatro della battaglia delle Egadi del 241 a. C. che pose fine alla prima guerra punica.

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Uno dei rostri ritrovati al largo delle Egadi, testimone della battaglia del 241 a.C
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NEWS | Nuovi fondi per l’Archeologia subacquea in Sicilia

Nell’ambito della valorizzazione del patrimonio culturale siciliano troviamo un nuovo progetto di indagine e documentazione dei fondali marini, alla scoperta di nuovi potenziali siti sommersi, ampliando così il terreno d’indagine per l’archeologia subacquea in Sicilia.

 

I finanziamenti

È con oltre mezzo milione di euro che è stato finanziato, dalla presidenza della Regione Sicilia e dalla Soprintendenza del mare, il progetto di salvaguardia dei siti e valorizzazione del patrimonio culturale sommerso intorno all’isola, con lo scopo di gettare le basi per l’istituzione di un Centro di eccellenza dell’archeologia subacquea.

Le attività saranno gestite dalla Soprintendenza del mare. Sul campo una squadra formata da archeologi subacquei, documentaristi e ricercatori si muoverà con l’ausilio di reti di sensori che forniranno in tempo reale dati utili per la sorveglianza dei siti e lo stato di conservazione dei reperti. La prima fase sarà dedicata alla ricerca a campione e la mappatura dei fondali ad una profondità batimetrica tra i 50 ed i 200 metri di profondità, interessando i fondali di Palermo, Ustica, Isole Eolie e delle province di Catania, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Agrigento e Trapani.

La durata del progetto

Il progetto, come sottolineato dall’assessore dei Beni culturali e dell’identità siciliana, Alberto Samonà, avrà la durata di circa tre mesi e si avvarrà dell’utilizzo di un drone subacqueo, l’ AUV (Autonomous underwater vehicles), un vero e proprio robot autonomo, in grado di analizzare il fondale effettuando scansioni con strumenti sonar incorporati e riportare le immagini a bordo.

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Esempio di AUV, autonomous underwater vehicle

“I fondali siciliani – afferma il presidente della Regione, Nello Musumeci – ci hanno restituito negli anni e continuano a custodire tesori preziosi, testimonianza di millenni di storia e di cultura. L’importante lavoro di ricerca che il governo regionale ha finanziato permetterà di creare una mappatura dettagliata della situazione sottomarina da mettere a disposizione non solo degli specialisti del settore, ma anche degli studenti, turisti, appassionati di storia, gli interessanti ritrovamenti archeologici”.

Musei sommersi

Sono 25 i percorsi archeologici attualmente attivi nei fondali siciliani. Questi itinerari culturali consentono di ammirare i reperti in situ, ossia direttamente nel contesto di rinvenimento. L’arco temporale spazia dal periodo greco fino a giungere all’epoca contemporanea: basti pensare, ad esempio, all’area archeologica di San Vito Lo Capo dove a pochi metri di profondità, oltre ad alcune ancore risalenti al  VII secolo a. C, è possibile osservare i resti del relitto di una nave commerciale moderna, il Kent, naufragata nel 1978. In prossimità dei singoli reperti archeologici sono presenti cartellini impermeabili che descrivono tipologia, datazione, provenienza e l’utilizzo del reperto stesso, dando così l’opportunità all’osservatore di comprendere ciò che sta ammirando, come un vero e proprio museo sott’acqua. I percorsi sono rivolti a tutte le tipologie di subacquei, dai più semplici percorsi in snorkeling, ai siti profondi che richiedono brevetti tecnici.

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Mappa degli itinerari archeologici subacquei presenti in Sicilia
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NEWS | Dal mare israeliano riemerge una spada crociata

Le acque della Carmel Coast sono ricche di tesori archeologici, grazie alle numerose calette dove le navi si rifugiavano dalla tempesta sin dall’antichità; infatti, il mare israeliano ci regala una spada crociata insieme ad alcuni manufatti in metallo, in pietra e frammenti di ceramiche.

La scoperta

I reperti sono stati scoperti in una delle numerose calette, nella Carmel Coast, che, fin dall’età del bronzo, ben 4.000 anni fa, le imbarcazioni utilizzavano come riparo naturale.

La zona era sotto monitoraggio dalle autorità archeologiche sin da giugno ma, a causa delle correnti marine i ritrovamenti sono molto elusivi, perché appaiono e scompaiono a seconda del movimento della sabbia.

Lo scopritore della spada, il sub Shlomi Katzin

A individuare la spada e gli altri reperti è stato il sub Shlomi Katzin, il quale li ha subito consegnati alla Israel Antiquities Authority, la quale ha effettuato l’annuncio della scoperta sensazionale.

Il direttore dell’Unità di Archeologia Marina della Israel Antiquities, Jacob Sharvit, ha così parlato della scoperta, ipotizzando anche la cronologia della spada:

“La recente scoperta della spada suggerisce che la caletta naturale sia stata utilizzata anche nel periodo crociato, circa 900 anni fa”.

Il direttore dell’Unità di Archeologia Marina della Israel Antiquities, Jacob Sharvit
La spada
La spada ricoperta di conchiglie e incrostazioni

Il reperto più sensazionale è sicuramente la spada, sia per dimensioni che per stato di conservazione; l’arma risulta essere formata da un’elsa di 30 centimetri e una lama lunga un metro. Nir Distelfeld, ispettore dell’Unità di prevenzione dei furti dell’Autorità israeliana per le antichità ha così espresso il suo stupore:

“La spada, che è conservata in perfette condizioni. È un reperto bello e raro ed evidentemente apparteneva a un cavaliere crociato”.

Dirstelfeld ha poi aggiunto:

“È stato trovato incrostato di organismi marini, ma a quanto pare è di ferro. È emozionante incontrare un oggetto così personale, che ti riporta indietro di 900 anni nel tempo in un’era diversa, con cavalieri, armature e spade”.

L’ispettore dell’Unità di prevenzione dei furti dell’Autorità israeliana per le antichità, Nir Distelfeld

 

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NEWS | L’Olanda restituisce alla Sicilia i reperti della secca di Capistello

Tornano a casa, in Sicilia, trentotto reperti archeologici che raccontano la storia dei commerci marittimi nelle isole Eolie.

I reperti dalla nave ellenica naufragata

Si tratta di vasellame, coppe e skyphoi, a vernice nera classificato come greco-italico e di una grossa anfora che hanno rappresentato parte del carico di una nave da trasporto naufragata sulla secca di Capistello, al largo dell’isola di Lipari. Il relitto è stato identificato come una nave ellenica naufragata nel IV secolo a.C. sul versante orientale dell’isola con un carico, appunto, di anfore e ceramica a vernice nera.

A causa della particolare natura del fondale, la nave, dopo aver urtato sulla sommità della Secca, affondò riversando buona parte del materiale trasportato su una superfice di oltre 1200 m2. Attualmente il relitto si trova ad una profondità attestata tra i 60 e i 90 metri, cosa che rende molto difficile il completamento del suo recupero.

Trafficanti di reperti

La notevole profondità non sembra invece aver intimorito alcuni trafficanti di reperti che, a partire dagli anni ‘60, hanno in parte depredato il relitto riuscendo ad asportarne, per l’appunto, vasellame e anfore. Il relitto fu scoperto nel 1957 ad opera di alcuni ricercatori di corallo e successivamente venne studiato dall’Istituto Archeologico Germanico di Roma. Abbandonato il sito a causa di diversi incidenti mortali che occorsero agli addetti al recupero, il luogo venne saccheggiato più volte nel corso degli anni. Alcuni di questi materiali sono stati però, fortuitamente, riconosciuti nel lontano 2015 da Sebastiano Tusa durante una visita al museo Allard Pierson di Amsterdam in occasione di una mostra dal titolo Mirabilia Maris dedicata al mare e organizzata con la partecipazione congiunta di diversi Paesi mediterranei.

La restituzione dei reperti da parte del museo olandese

Allertato il museo olandese sulla presenza di reperti a suo tempo trafugati dalla Sicilia lo stesso si è reso subito disponibile per la restituzione. Una promessa, questa, fatta all’allora assessore regionale e compianto Sebastiano Tusa che riesci, con diplomazia, ad ottenere la restituzione volontaria di quanto in possesso del museo olandese. L’Iter iniziato proprio nel 2015 e perfezionato nel 2020 ha visto con la giornata di oggi il concretizzarsi di quella promessa e la consegna ufficiale, presso l’Arsenale della Marina Regia di Palermo, dei reperti archeologici a suo tempo depredati e rivenduti.

All’evento erano presenti il direttore del Allard Pierson Museum di Amsterdam, Wim Hupperez, Valeria Li Vigni per la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana e l’assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samonà, oltre al comandante regionale del Nucleo Tutela del patrimonio Culturale dei Carabinieri, Maggiore Giangluigi Marmora. Le operazioni di rientro dei reperti in Sicilia sono state infatti coordinate dal Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale di Palermo che ha assicurato il proprio supporto alla riuscita dell’operazione.

Le parole dell’assessore Samonà…

I nostri tesori tornano finalmente a casa: grazie alla competenza di Sebastiano Tusa e all’intervento del Nucleo di Tutela del Patrimonio culturale dei Carabinieri, un prezioso pezzo di storia illecitamente sottratto – ha sottolineato l’assessore Samonà – è rientrato in Sicilia e sarà restituito alla collettività. Sono felice di aver incontrato il direttore del Museo di Amsterdam con il quale, sono certo, si troveranno ulteriori fruttuose occasioni per condividere esperienze culturali, nella prospettiva di un rapporto proficuo nel nome della cultura. L’importante azione di vigilanza, costantemente effettuata insieme alle forze dell’ordine, ci ha permesso in questi anni, di riportare a casa diverse testimonianze del nostro patrimonio culturale. Acquisire i reperti sottratti alla Sicilia, vigilare e attivare scambi proficui con i musei di tutto il mondo, è la strada su cui il governo regionale è costantemente impegnato.


… e della soprintendente del Mare Valeria Li Vigni

Abbiamo raggiunto l’obiettivo di Sebastiano Tusa – dichiara la Soprintendente del Mare Valeria Li Vigni – di riportare nelle nostre sedi i reperti della Secca di Capistello, che ha fornito innumerevoli e importanti dati sulla documentazione del relitto. Siamo particolarmente grati al direttore del museo olandese per aver tenuto fede alla promessa fatta nel 2015. La strada aperta da Sebastiano va assolutamente seguita integrando sempre di più gli stati che volontariamente hanno deciso di tutelare il patrimonio artistico e restituire volontariamente quanto a suo tempo ottenuto per mezzo di acquisti dietro cui c’erano scavi illegali.

Nel futuro – conclude la Li Vigni – recupereremo un’anfora dal relitto e grazie alle rilevazioni tridimensionali potremo capire appieno la natura e la portata della nave senza per questo rimuoverla, vista anche la profondità, salvaguardandola allo stesso tempo così come richiesto anche dall’Unesco.

La nave…

La nave da trasporto naufragata nel mare siciliano appariva costituita da un fasciame semplice e senza alcun rivestimento in piombo mentre i madieri e le ordinate risultavano alternate. Lo scafo, inoltre, alla prima ricognizione si presentava dotato di due ancore con ceppi in piombo. Di cui uno è stato recuperato insieme a pesi per reti da pesca oltre ad alcune barre sempre in piombo e ad un lingotto di stagno di circa 10 chili di peso. Il sito subacqueo oltre a conservare ancora lo scafo ligneo presenta anche innumerevoli reperti che potrebbero indurre, in futuro, la ripresa di una campagna di archeologia subacquea per la loro raccolta e catalogazione.

… e il suo carico

Alcune parti del carico hanno conservato, al momento del rinvenimento, la posizione di stivaggio originaria con gruppi di anfore disposte verticalmente e pile di ceramica a vernice nera riposte negli interstizi. Il carico risulta formato essenzialmente da anfore greco italiche contrassegnate da bolli e trattate internamente con resina (circa cento quelle già recuperate).

Molte delle anfore erano ancora chiuse da un tappo di sughero sigillato mentre i bolli impressi sulle stesse, con nomi greci interi o abbreviati (Cháres, Bíon, Eúxenos, Pop, Díon, Pare, Pist) sono stati confrontati con timbri analoghi rinvenuti a Ischia, Selinunte, Taranto e Gela. Oltre alle anfore greco italiche sono state recuperate anche alcune anfore puniche. Inoltre, ad impreziosire il carico, diverse centinaia di vasi a vernice nera di varie forme: piatti e coppe oltre ad alcune kylikes dipinte con motivi vegetali bianchi all’interno e ad alcune lucerne su alto piede sagomato.

Molti dei reperti a suo tempo asportati dal sito sono oggi custoditi presso il museo archeologico di Lipari.

 

 

 

di Massimo Mirabella

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NEWS | Sicilia, un’altra sorpresa archeologica che riemerge dal mare

Grazie alla fine tecnologia di un sottomarino a comando remoto (ROVRemotely Operated Vehicle), una nave romana di II secolo a.C., con un grande carico di anfore, è adesso sotto gli occhi vigili della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana. Giace a ben 92 metri di profondità nelle acque dell’Isola delle Femmine, parte del territorio palermitano.

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Le prime anfore del carico individuate dal ROV – foto: Alberto Samonà

L’assessore ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana, Alberto Samonà, lo ha definito uno dei ritrovamenti più importanti degli ultimi mesi; ha posto l’accento anche sul grande spirito di collaborazione tra la Soprintendenza del Mare e l’Arpa Sicilia (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente). Infatti, i due organismi regionali hanno individuato il relitto durante una campagna di ricognizione subacquea condotta in sinergia.

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Il ROV a lavoro a più di 80 metri di profondità
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L’assessore Alberto Samonà – foto: Gazzetta del Sud
La soprintendente Valeria Li Vigni e gli altri esperti a bordo dell’imbarcazione alla guida del ROV
Un carico straordinario

Il carico è in buono stato di conservazione: le anfore, secondo gli esperti, sono vinarie, della tipologia Dressel 1A. Dressel 1 è infatti la tipologia di anfore più esportata nel Mediterraneo dal II-I secolo a.C.; le anfore Dressel 1A persistono infatti fino alla metà del I secolo a.C.

Le anfore del carico
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NEWS | L’Antico Egitto torna a galla a Heracleion

Il 19 luglio il Ministero delle Antichità egiziano ha annunciato due importanti scoperte a circa 13 km a nord-est di Alessandria, nella città sommersa di Heracleion dando la sensazione che l’Antico Egitto torni a galla.

Sito e scoperta

Il relitto di una nave da guerra risalente al Periodo Tolemaico e i resti di un’area funeraria greca datata all’inizio del IV secolo a.C. sono stati scoperti dalla missione archeologica franco-egiziana dell’Istituto Europeo di Archeologia Subacquea (IEASM) al lavoro nella città sommersa di Heracleion, nella baia di Abukir (o Abu Qir).

Cartina del Delta occidentale del Nilo

Heracleion, nota anche come Thonis, era una città dell’antico Egitto situata nel Delta del Nilo, le cui rovine si trovano oggi sommerse nella baia di Abu Qir, a 2,5 km dalla costa. Prima della fondazione di Alessandria nel 331 a.C., Heracleion era stato il principale porto dell’Egitto sul Mediterraneo; la città prosperò in particolare tra il VI ed il IV secolo a.C. quando venne anche ampliato il tempio dedicato a Khonsu, soprattutto dal faraone Nectanebo I (XXX Dinastia) tra il 380 ed il 362 a.C. Nell’antichità, diversi terremoti seguiti da maremoti hanno reso fragile il terreno e fatto crollare una sezione di circa 110 chilometri quadrati del Delta del Nilo, provocando lo sprofondamento delle città di Heracleion e Canopus.

L’imbarcazione
Un archeologo subacqueo mentre esamina l’imbarcazione sommersa

Si ipotizza che l’imbarcazione fosse ormeggiata quando, a causa di un terremoto avvenuto intorno al II secolo a.C., rimase colpita dai resti di un tempio che la fecero affondare; teoria che sarebbe anche confermata dai resti dell’edificio ritrovati nell’area dell’inabissamento. 

L’ancora della nave da guerra

Il capo della missione, Frank Goddio, afferma che il ritrovamento di imbarcazioni di questo tipo sono estremamente rare. Secondo gli studi preliminari, la nave sembra che avesse una misurazione di 25 m, con una tecnica costruttiva mista tra le forme greche ed egiziane: il fondo e la chiglia risulta che fossero piatti, particolarmente adatti per la navigazione sul Nilo.

 

L’area funeraria
Ceramiche che riaffiorano nell’area funeraria

La seconda scoperta, l’area funeraria, è stata annunciata dal capo del Dipartimento Centrale delle Antichità Sommerse, il professor Ehab Fahmy. La necropoli risalente all’inizio del IV secolo a.C. si trova all’imbocco del canale nord-orientale della città; qui sembrano essere sepolti i mercanti greci che si erano stabilizzati nella zona grazie ai permessi faraonici del Periodo Tardo (664 – 332 a.C.). Nonostante le avverse condizioni di ritrovamento, queste rovine sono tuttavia la viva testimonianza della ricchezza che dovevano avere i templi che abbellivano la città.

 

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NEWS | Due anfore pompeiane riemergono dalle acque di Nora (CA)

Durante dei controlli straordinari ai siti archeologici sommersi, sono avvenuti dei grandi ritrovamenti: due anfore in terracotta del I secolo d.C. di fabbricazione pompeiana, proprio nelle acque antistanti l’area archeologica di Nora (CA); ma anche un cannone-mitragliera utilizzato durante la seconda guerra mondiale sia come arma contraerea che come controcarro davanti al golfo di Cagliari. L’arma sembrerebbe essere l’armamento del mercantile armato “Romagna”, nave cisterna adibita al trasporto di carburanti e affondata da una mina il 2 agosto del 1943.

Insomma, il mondo archeologico sommerso non smette mai di stupirci!

nora
Il recupero dei reperti nelle acque di Nora – foto: ANSA

Foto di copertina da Sardinia Post

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FLASH | Relitto dell’800 con un carico di birra, il lievito vivo potrebbe essere riutilizzato

Proviene dal Mare del Nord, al largo della Scozia, la sensazionale scoperta effettuata nei giorni scorsi da un subacqueo amatoriale. Il relitto della Wallachia, affondata nel 1895, una nave mercantile il cui carico era comporto da gin, whisky e migliaia di bottiglie di birra. Il subacqueo ha consegnato alcune delle bottiglie recuperate agli scienziati della Brewlab, una società di ricerca, che insieme ai colleghi dell’Università di Sunderland sono riusciti a estrarre il lievito attivo dal liquido. L’obbiettivo è quello di ricreare la birra originale, andata perduta nella collisione con un’altra imbarcazione che ha provocato il naufragio della Wallachia.

Il lievito vivo potrebbe migliorare la produzione della birra moderna. Si tratta di un ceppo insolito di lievito, andato perduto da tempo. Gli scienziati valuteranno se questo potrà essere impiegato nella lavorazione moderna e persino migliorare le birre di oggi. Steve Hickman, il subacqueo artefice della scoperta, ha anche ammesso di averne assaggiato il contenuto: «Aveva un odore atroce, salato e putrefatto. E non aveva un sapore migliore».

lievito
La bottiglia di birra oggetto delle analisi

In copertina: buona parte del carico della Wallachia.

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NEWS | Itinerari archeologici subacquei, Samonà: «Progetto S.UND.A.I. indispensabile per conoscenza e tutela del mare»

Domenica 20 giugno 2021, tra le acque ricche di storia che circondano l’Isola delle Femmine (PA), si è svolta la giornata conclusiva del progetto S.UND.A.I. (Sustainable Underwater Archaeological Itineraries project). Il progetto, la cui finalità è rendere fruibile il patrimonio culturale sottomarino tramite una serie di itinerari archeologici subacquei con impatto zero sull’ambiente, ha ottenuto riconoscimenti come EU Green Week e European Maritime Day in My Country, entrambe iniziative annuali della Commissione Europea per gli Affari Marittimi e la Pesca. La realizzazione di un itinerario subacqueo, che rispetti i canoni di sostenibilità ambientale, è opera della collaborazione tra LAS – Laboratorio di archeologia subacquea del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova e la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana.

Itinerari archeologici subacquei

Come si crea un itinerario archeologico subacqueo?

Il mar Mediterraneo è uno scrigno prezioso di reperti archeologici di ogni epoca, testimonianze del passaggio di civiltà diverse che lo hanno solcato, arrivando nelle nostre coste. Anche le acque basse sono dei potenziali punti d’interesse. Ed è proprio dai fondali bassi che parte il progetto. Dopo aver individuato i punti d’interesse archeologico e culturale, si procederà con l’installazione di pannelli descrittivi che ne raccontano la storia. Questi pannelli, insieme alle corde e alle boe di segnalazione, saranno costruiti in materiali ecosostenibili. La lotta per la cultura si unisce alla lotta contro l’inquinamento del mare, una realtà troppo tristemente diffusa che sta martoriando acque e fondali di tutto il mondo.

Itinerari archeologici subacquei
Installazione dei pannelli descrittivi vicino a resti di colonne nei fondali di Marzamemi (SR) – foto: MeteoWeb

L’itinerario archeologico subacqueo dell’Isola delle Femmine (PA)

L’isola delle femmine sarà il prototipo dal quale il Progetto prenderà il via. Le sue acque, infatti, custodiscono testimonianze del passaggio della civiltà romana e di quella bizantina. Alla giornata conclusiva del S.UND.A.I. era presente l’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Alberto Samonà che ha espresso parole ricche di fiducia nel progetto:

«La possibilità di far conoscere i nostri tesori sommersi, proteggendoli da attività predatorie dei cosiddetti tombaroli del mare e dall’inquinamento ambientale nel rispetto del paesaggio marino, è l’obiettivo che il Governo regionale realizza attraverso la Soprintendenza del Mare. Il progetto S.UND.A.I. ha il merito di riconoscere e valorizzare a livello internazionale un impegno portato avanti nel compimento di un’attività sostenibile di conoscenza e tutela del mare, trasmettendo all’Europa e a tutti una buona pratica».

L’assessore Alberto Samonà

La fruizione degli itinerari archeologici subacquei

Nell’ambito del Progetto, seguendo il tema dell’inquinamento Zero, saranno migliorate anche l’archeo-snorkeling e l’archeo-apnea in acque basse (fino a 10 metri di profondità); si tratta di buone pratiche per un migliore approccio al mare e al suo mondo. Il Progetto mira a portare, inoltre, benefici riguardo all’implementazione di pratiche di sostenibilità nelle strutture subacquee presentando nuovi strumenti applicabili ovunque.

Un grande passo in avanti per l’archeologia e per la fruizione del patrimonio culturale che potrà essere esplorato nella cornice meravigliosa che è il nostro mare. Alla bellezza si aggiunge altra bellezza. Alla cultura si aggiunge il senso di responsabilità nei confronti di un mondo che abbiamo condiviso con civiltà oramai scomparse, da cui abbiamo ereditato tanto e la cui memoria abbiamo l’obbligo di preservare. Così come abbiamo l’obbligo di preservare lo stesso mare che ne ha custodito i segreti per secoli.

Itinerario archeologico subacqueo a San Vito Lo Capo (TP) – foto: MeteoWeb