Niccolò Daviddi, archeologo intervistato da Agorà, ha pagato la sua scelta di dire la verità. Il giovane ha raccontato alle telecamere la paga ridotta (6 euro l’ora) che lui e i suoi colleghi sono costretti ad accettare pur di lavorare.
Niccolò ha denunciato lo sfruttamento di questa classe di lavoratori e la paga oraria ben al di sotto di quanto approvato recentemente dall’Europa. E per averlo fatto, pur senza mai citare la cooperativa presso la quale prestava servizio come, ha perso il suo lavoro. Essendo un libero professionista, non si può parlare propriamente di “licenziamento”, ma l’effetto è ovviamente quello.
Le parole di Niccolò Daviddi
Volevo dirvi che sono stato licenziato – ha scritto a una pagina Twitter che da sempre si occupa di problemi relativi a questo settore -. Cioè, naturalmente non licenziato in senso tecnico: dato che lavoro a partita Iva, neppure quell’onore posso permettermi. Ma ieri sera, poche ore dopo che il video del servizio era stato condiviso in un grosso gruppo Facebook di archeologi, sono stato rimosso (senza alcuna comunicazione) dalla chat Whatsapp in cui la cooperativa assegnava le commissioni per i vari cantieri. Quindi, ho perso il lavoro. Mi sembra giusto raccontarlo, perché è segno di dove siamo adesso: siamo ricattabili e ricattati. Non avevo raccontato nulla su quella cooperativa, avevo parlato di un sistema che non va: compensi orari medi intorno ai 6€/h, obbligo di aprire la partita IVA per lavorare. Lavoro “da libero professionista” che in realtà si configura come lavoro para-dipendente senza diritti. Una cosa che qualsiasi archeologo romano, ma vorrei dire italiano, sa. A quanto pare però si può sapere, si può fare, ma non si può dire.
L’ingiustizia secondo Niccolò Daviddi
Come sostiene lo stesso Niccolò Daviddi, la sua polemica è contro un sistema generale che vede l’archeologo specializzato sfruttato e sottopagato. Eppure, per lavorare vengono richiesti titoli superiori per il cui ottenimento bisogna investire i propri risparmi, cercare lavori part-time. Il 32enne ha solo esposto la sua delusione nel non venirsi corrisposto il giusto compenso per gli anni di studio e i soldi investiti. Non ha chiesto la luna!
A quanto pare, per il sistema italiano il termine meritocrazia è solo un’utopia e certe affermazioni si pagano con il licenziamento.
La Soprintendenza Speciale di Roma, durante i lavori di ampliamento della strada, ha scoperto un ponte romano sulla Tiburtina.
La scoperta
La documentazione della cartografia storica per l’età rinascimentale mostrava la presenza di un ponte sul Fosso di Pratolungo, ma le tracce della struttura di età romana non erano state ancora portate alla luce; le indagini di archeologia preventiva legate ai lavori di allargamento della strada da parte del Comune avevano mostrato la presenza della struttura. La struttura è stata ritrovata al 12° chilometro della via Tiburtina.
Gli scavi, ancora in corso, sono condotti con la direzione scientifica di Fabrizio Santi, archeologo della Soprintendenza Speciale di Roma, dalle archeologhe Mara Carcieri e Stefania Bavastro della Land S.r.l.
La cronologia e i lavori finali
La cronologia della struttura rende la scoperta estremamente eccezionale: il ponte, che permetteva di attraversare il Fosso di Pratolungo, risalirebbe al II secolo a. C. in età medio-repubblicana; la datazione sarebbe confermata sia da alcuni ritrovamenti ceramici, ancora da analizzare in maniera sistemica, sia dalla tipologia di muratura, in grandi blocchi di tufo.
Al termine delle indagini il ponte romano verrà ricoperto dopo un accurato rilevamento e mappatura, che permetteranno, assieme alla analisi dei reperti, uno studio e una dettagliata comprensione di questa importante scoperta.
Le parole della Soprintendente Speciale di Roma
“Si tratta di un ritrovamento di grande interesse archeologico”, spiega Daniela Porro, Soprintendente Speciale di Roma, “ma anche del pari, storico e topografico. Le indagini continueranno nei prossimi giorni per ottenere una conoscenza quanto più completa della struttura e delle sue fasi d’uso. Ancora una volta Roma ci regala preziose testimonianze del suo passato, che permetteranno di comprendere meglio la sua storia millenaria”.
Lo scorso febbraio un comunicato dell’Assessore Regionale ai Beni Culturali Alberto Samonà annunciava una scoperta archeologica già anticipata qualche mese prima. Durante i lavori per la nuova (e necessaria) rete fognante in via Alcide De Gasperi a Marsala, infatti, erano stati rinvenuti due grandi ipogei, a cui si sono aggiunti, a minore profondità, il ritrovamento di circa <<72 tombe a pozzo e a fossa rettangolare di dimensioni medie di 0,45x0,70x1,75 m, disposte con orientamento variabile N-S e E-O, ricavate nel banco roccioso in calcarenite a una quota minima di – 0,50 m e massima di – 3,40 m dal piano stradale, pertinenti alla necropoli punica di IV-III secolo a.C. Nonostante in alcuni tratti parte delle sepolture presentassero segni di danneggiamenti e rasature dovuti alle attività edilizie svolte nell’ultimo quarantennio nella zona, moltedelle tombe hanno conservatoal loro interno resti di corredo e inumati>> (comunicato stampa diramato alla nostra redazione dalla Soprintendente di Trapani Arch. Girolama Fontana).
Gli ipogei
Il primo, databile intorno alla metà del IV secolo a.C., presenta due camere funerarie di forma quadrangolare; all’interno sono cinque i resti di corpi inumati, tre adulti e due bambini, con il corredo funerario: alcuni vasi e piccoli oggetti in metallo.
Il secondo ipogeo si presenta come una struttura articolata su più livelli, in cui si possono riconoscere diverse fasi architettoniche e di utilizzo che sembrano coprire almeno sette secoli. Un primo grande ambiente sembra essere il risultato dell’ampliamento e dell’unione di preesistenti sepolture puniche del IV-III secolo a.C. Questo secondo ipogeo presenta una serie di sepolture ricavate lungo le pareti: in particolare sei tombe a cassettone, otto loculi e otto nicchie. Due delle tombe a cassettone hanno conservato resti di inumati, mentre le tombe a fossa sono state scavate direttamente sul pavimento della camera funeraria. Il rinvenimento di materiale ceramico e di lucerne figurate e con bolli lascia pensare ad un utilizzo dal II al IV/V secolo d.C. con una prima fase di culto giudaico e una seconda cristiana.
L’antica Lilibeo, oggi Marsala
Le tombe e gli ipogei riemersi a Marsala potrebbero essere un essenziale strumento per chiarire definitivamente l’importante storia dell’antica Lilibeo. Di maggiore rilievo, in questo contesto, il rinvenimento degli ipogei che conferma la continuità di utilizzo dell’area. La necropoli, infatti, di epoca punica, è stata successivamente ampliata e modificata in epoca romana.
Il fermo lavori e l’archeologia che passa in secondo piano
Ma cosa è successo negli ultimi mesi? Già fino a maggio i lavori sono andati a rilento, con pochissima trasparenza sull’esecuzione degli stessi e, soprattutto, sull’aspetto economico riguardante la vicenda. Intono alla metà di maggio, poi, i lavori sono stati del tutto bloccati. La società incaricata per i lavori alla rete fognaria ha dichiarato, lo scorso giugno, che i lavori erano stati interrotti proprio a causa dei ritrovamenti. Nel frattempo, dunque, la società aveva all’attivo un’interlocuzione con la Soprintendenza per considerare il da farsi.
La scoperta degli ipogei e il conseguente fermo lavori ha generato un clima di malcontento generale tra la popolazione marsalese. Da un lato il disagio di non avere, ancora, un sistema fognario funzionante. Dall’altro, inoltre, il disagio di trovarsi, dopo quasi un anno, le strade bloccate da cantieri fermi e ingombranti.
Archeologia di serie B?
Uno dei maggiori problemi legati alla vicenda è capire se e in cosa siano stati investiti i finanziamenti per la realizzazione dei lavori. Circa 9mln di euro risultano stanziati per la realizzazione di un sistema fognario funzionante che, purtroppo, manca a Marsala. E sembra che nuovi fondi per la messa in sicurezza dell’area archeologica siano invece venuti meno durante il fermo lavori. Terminati i fondi, dunque, tutto si è fermato.
Durante i mesi di pausa, inoltre, i cantieri sono stati lasciati aperti e dimenticati. E, dove non arriva la natura a danneggiare la storia, ci arriva l’inciviltà. Alcuni spazi degli ipogei, infatti, sono stati trasformati in vergognose discariche a cielo aperto.
Ci sono siti che trovano finanziamenti in virtù del loro futuro impiego come “acchiappa turisti”, avendo un maggiore riscontro dal pubblico, e siti, invece, che passano in secondo piano perché difficilmente si concilierebbero con il riscontro di cui sopra (o più verosimilmente non si hanno i mezzi per valorizzare e fare economia). I cittadini infatti lamentano abbondantemente sia la mancanza della rete fognaria, sia il caos che si crea con un cantiere aperto in una delle strade principali di Marsala. Inoltre, lamentano anche la mancanza di sicurezza nel passare dalla zona con i cantieri aperti, con il rischio sia per i pedoni sia per le auto di essere inghiottiti tra antiche sepolture. Le auto, infatti, transitano accanto e sopra una voragine di almeno 8 metri. Ma gli ipogei di Marsala, fonte di importantissimi dati storici, nonché culla di memoria storica, possono davvero passare in secondo piano rispetto alla rete fognaria?
Purtroppo, alla luce della ripresa dei lavori, senza una chiara azione sulla messa in sicurezza dei ritrovamenti, sembra proprio che le necropoli di Via De Gasperi entreranno a far parte di quell’archeologia di serie B che l’Italia continua a produrre.
Fruibilità degli ipogei: sogno o possibile realtà?
Il vicesindaco di Marsala, Paolo Ruggieri, tuttavia pone l’accento sulla possibilità di dare un futuro fruibile culturalmente alla zona archeologica. L’intento sarebbe quello di incentivare il lato culturale della città, senza lasciarlo invece cadere in un dimenticatoio di tubature e cemento.
Lo stesso Alberto Samonà dichiarava: <<Quella di Marsala è una scoperta dall’altissimo valore archeologico e ci regala l’occasione per ribadire quanto vasto e meraviglioso sia il patrimonio nascosto nel sottosuolo. Al Governo regionale che rappresento il compito di creare le condizioni perché questi ritrovamenti non siano il momento conclusivo di un’attività ma rappresentino la prima pagina di un nuovo libro che valorizzi la storia e l’identità dei luoghi>>.
Tale dichiarazione risale a fine febbraio 2021. <<Per continuare e valorizzare quanto scoperto>>, dichiara la soprintendente di Trapani Girolama Fontana, <<servono ulteriori finanziamenti>>. Una questione di soldi, dunque, che tiene con il fiato sospeso riguardo la sorte degli ipogei che, ad oggi, non presenta nessuna mossa certa.
La città di Marsala ha tutto il diritto di essere dotata di una rete fognaria funzionante e, soprattutto, i suoi cittadini devono sentirsi al sicuro guidando per le sue strade. Ciò però non deve togliere importanza a un preziosissimo rinvenimento che arricchisce la città non solo dal punto storico-culturale, ma, se ben valorizzato, anche da quello turistico.
A tal proposito, sempre la soprintendente Fontana, contattata dalla nostra redazione, verso cui si è dimostrata estremamente disponibile ai fini della divulgazione scientifica delle scoperte effettuate da questa Soprintendenza, rassicura: <<I lavori di indagine scientifica proseguiranno nell’ambito dei lavori di rifacimento del sistema fognario, prevedendosi il rilevamento e la messa in sicurezza degli ipogei rinvenuti. Tali scoperte, di altissimo rilievo storico-archeologico, ci consegnano una parte inviolata dell’antica necropoli del sottosuolo marsalese. Si arricchisce la conoscenza dell’antico tessuto storico della città di Marsala e solo con successivi finanziamenti pubblici si potrà procedere al prosieguo degli scavi ed alla valorizzazione di tale patrimonio. Il contesto urbanizzato in cui si sviluppa la necropoli rende di difficile attuazione la completa valorizzazione del Bene, in ogni modo, l’approfondimento scientifico ed il rinvenimento dei numerosi reperti contribuiscono alla divulgazione della conoscenza e del valore dell’importante patrimonio culturale>>.
Ancora col fiato sospeso, dunque, e con la speranza che si trovino davvero finanziamenti e modi per poter preservare la storia di Marsala.
Pontecagnano Faiano (SA) è stato protagonista, nei giorni scorsi, di una scoperta archeologica che conferma l’eccezionale popolosità dell’insediamento etrusco-campano. È stata rinvenuta, infatti, la sepoltura numero 10.000 in una zona occupata, senza soluzione di continuità, dagli inizi del IX secolo a.C. fino all’età romana.
Presenti sul cantiere di scavo: il Soprintendente arch. Francesca Casule, il sindaco di Pontecagnano Faiano Giuseppe Lanzara, il funzionario archeologo direttore del Museo di Pontecagnano Luigina Tomay, la prof.ssa Antonia Serritella dell’Università di Salerno e il dott. Bruno Baglivo, archeologo responsabile dei lavori.
L’arch. Casule ha sottolineato come la capillare attività di tutela messa in campo dalla Soprintendenza abbia consentito di raggiungere risultati importantissimi sul piano della conoscenza e della valorizzazione dell’insediamento antico di Pontecagnano.
La sepoltura n° 10000
L’ultimo rinvenimento fa parte di un’ampia necropoli, con datazione dalla fine del V secolo a.C. fino alle prime fasi dell’insediamento romano. La necropoli presenta la maggior parte delle sepolture con datazione al periodo sannitico (fine V – metà III secolo a.C.). Fornisce un’utile immagine delle usanze funerarie del periodo, con sostanziali differenze riconducibili allo stato sociale, al genere e alla classe d’età dei defunti.
La tomba 10.000 si caratterizza principalmente per la tipologia sepolcrale. Si tratta infatti di una tomba a cassa litica, molto frequente nella necropoli. La particolarità, tuttavia, risiede nel materiale di costruzione impiegato: al posto dell’abituale travertino, pietra locale di facile reperimento, è stato impiegato tufo grigio campano, sicuramente importato. Anche la lavorazione della cassa e della copertura attestano la ricercatezza e la cura nella messa in opera della tomba. Tre blocchi in tufo modanati costituivano la copertura della cassa, realizzata con blocchi perfettamente squadrati.
Il corredo
Il proprietario della sepoltura è, con ogni probabilità, un adolescente (a giudicare dalla lunghezza dello scheletro e dalle dimensioni delle ossa). Sebbene si conservi perfettamente la parte inferiore, dal bacino ai piedi, la parte superiore presenta un grave danneggiamento a causa delle infiltrazioni di radici e di attività animali. Nel corredo funerario spiccano un grande cinturone di bronzo e due coppe a vernice nera collocate ai piedi, di cui una con anse (coppa destinata al consumo del vino, skyphos). Il cinturone bronzeo sembra ricondurre alla sfera guerriera oltre a configurarsi come simbolo dello status sociale. Tuttavia, manca nel corredo l’arma da lancio (giavellotto o lancia), peculiare dei maschi adulti della comunità.
I lavori di ammodernamento dell’impianto fognario del Palazzo Reale a Palermo, che stanno comportando anche la risistemazione di piazza del Parlamento, hanno restituito interessanti testimonianze di età medievale. Durante il cantiere, avviato dall’Assemblea Regionale Siciliana, infatti, è stata effettuata un’esplorazione archeologica preventiva nella lunga trincea interessata dalla quale sono emerse importanti testimonianze storico-archeologiche. L’annuncio è stato dato direttamente da Alberto Samonà sul suo profilo Facebook.
Nel corso degli scavi – effettuati sotto la direzione tecnico-scientifica della Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo, sono emerse strutture murarie di età medievale, realizzate con varie tecniche di costruzione (blocchetti regolari in calcare biancastro disposti in filari alternati), pietrame grossolanamente sbozzato legato con malta di terra, strutture in mattoni crudi.
Tra i reperti rinvenuti, numerose espressioni di ceramica islamica e normanna, quali catini carenati, coppe emisferiche a breve tesa, anfore con solcature sulla superficie e pennellate in bruno, ceramica a spirali. Rinvenuti anche manufatti di età sveva (ceramica solcata di importazione tirrenica e le produzioni nord-africane decorate con i colori cobalto e manganese).
L’ANA(Associazione Nazionale Archeologi), attraverso un comunicato stampa, parla nuovamente della bozza del Decreto Legge del Ministero della Transizione Ecologica e Tutela del patrimonio archeologico e del paesaggio: il ministro Cingolani e il presidente di Legambiente hanno identificato come unico ostacolo alla “palificazione” ecologica le norme di tutela del patrimonio e del paesaggio.ANA non scende a compromessi e si prepara, insieme ad altre associazioni del settore, sindacati e cittadini, a frenare questa barbarie e intervenire concretamente con iniziative a tutela del patrimonio, del paesaggio e della ripresa culturale di questi settori. Fermiamo il saccheggio dei nostri beni!
Il tratto diella Via Clodia emerso ad Anguillara Sabazia (RM) – foto: Roma Today
Dalle fonti si sa che questa parte dell’antica viabilità romana collega Roma con i centri dell’Etruria interna. La soprintendente Margherita Eichberg si è così espressa: «Il rinvenimento di questi due ulteriori tratti contribuisce a fare luce su quale fosse il suo esatto tracciato, andando ad aggiungere un ulteriore importante tassello alla conoscenza della viabilità antica e ad arricchire il variegato panorama dei beni culturali di Anguillara Sabazia».
Anche l’amministratore delegato di Italgas, Pier Lorenzo dell’Orco, ha voluto esprimere il suo pensiero sul rinvenimento: «I ritrovamenti testimoniano come l’approccio verso i territori in cui operiamo sia costantemente ispirato alla salvaguardia del patrimonio storico e archeologico del nostro Paese. Un impegno volto alla massima collaborazione con le Soprintendenze, anche oltre le norme, per favorire il recupero e la valorizzazione dei singoli ritrovamenti. Un valore per la comunità».
Il percorso dell’antica Via Clodia (da anticaviaclodia.it)
Il tracciato si presenta in buono stato di conservazione, tanto che si possono ancora ammirare i solchi lasciati dai carri. Una prima parte è stata rinvenuta sotto la strada moderna verso Nord. L’altra porzione è venuta fuori verso Occidente ed è visibile parzialmente, ma sarà studiata al meglio nei giorni a venire. Sappiamo inoltre che si conservano poche centinaia di metri della Via Clodia in località Cancelli (FI), restituiti da scavi della fine dell’Ottocento. Doveva essere una strada larga circa 4 metri e mezzo, secondo il parare degli studiosi.
Una porzione della Via Clodia nei pressi di Saturnia (GR), in Toscana (foto: Podere Santa Pia)
Antiche mura romane sotto un impianto di carburanti. Accade ad Atripalda, in provincia di Avellino, immediato l’intervento della Soprintendenza.
Sembra impensabile eppure “imprevedibilità”, a volte, è sinonimo di archeologia. Durante i lavori di ammodernamento di un impianto di carburanti ad Atripalda, in provincia di Avellino e non a caso precisamente in Via Appia, sono emerse strutture murarie di epoca romana. In quello che costituiva l’immediato suburbio di Abellinum, mura in opus reticulatum risalenti al I secolo a.C.e, con ogni probabilità, pertinenti all’anfiteatro romano dell’antica città.I setti murari rinvenuti sorgono non molto lontano dal Parco Archeologico dell’antica Abellinum, non sarebbe così assurdo pensare ad una linea di continuità tra i due siti. Una bella sorpresa per il proprietario dell’impianto costruito nei primi anni Settanta, che non avrebbe mai potuto immaginare, recandosi a lavoro, di calpestare ogni giorno un vero e proprio tesoro archeologico. Immediato l’intervento della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino, che hasubito sospeso le attività di ristrutturazione e ordinato l’intervento di un funzionario archeologo di zona. L’archeologa Silvia Pacifico, dopo un accurato sopralluogo, ha deciso di approfondire ed ampliare l’area dell’indagine archeologica al fine di avere una maggiore conoscenza di quanto emerso; sarà necessario adesso verificare le estensioni dei setti murari affiorati e valutare il futuro delle strutture scoperte.
Insomma, chissà cosa si nasconde sotto i nostri piedi!
Continua lo SPECIALE COVID con l’Archeologia preventiva, immancabile e irrinunciabile argomento; probabilmente il settore che meno ha subito il contraccolpo della pandemia. Preziosissima la testimonianza diretta del dott. Sebastiano Muratore, archeologo professionista e presidente della Società cooperativa “Paropos”.
Prima di cominciare è necessaria un’introduzione: chi è Sebastiano Muratore e di cosa si occupa, nello specifico, la cooperativa “Paropos”?
Molto semplicemente, è una persona che crede ancora in un’archeologia dal sapore romantico senza però perdere il lato scientifico, un’archeologia vissuta con emozione, passione, spesso anche con sofferenza. Questa vibrante passione verso l’archeologia è la base su cui è stata fondata la cooperativa “Paropos”, che ormai da quasi 11 anni si occupa dei vari aspetti dei Beni Culturali, dalla ricerca archeologica in collaborazione con varie università del mondo alla didattica con le scuole, con un occhio di riguardo verso i bambini.
Quest’ultimo anno è stato difficile per qualsiasi attività. Tra restrizioni e chiusure, parziali e totali, quanto ha influito, in base alla sua esperienza, la pandemia nel settore dell’archeologia preventiva?
Certamente per nessuno di noi è stato un annus mirabilis, ma devo dire, d’accordo anche con alcuni colleghi con i quali spesso si collabora, che l’Archeologia preventiva non è stata minimamente intaccata dalla pandemia. Gli unici rallentamenti sono stati causati, più che altro, dalle chiusure degli uffici preposti, ma si è trattato di episodi sporadici.
Necropoli greca di Santa Panagia a Siracusa in notturna
E per la ricerca? Quante e quali difficoltà si incontrano giornalmente?
La ricerca è, senza ombra di dubbio, il settore che ha subito di più il problema. Posso dirti ad esempio che alcuni dei cantieri universitari che seguo personalmente o con la “Paropos” sono tuttora inattivi, ed anche se adesso si prova a riorganizzare delle missioni magari ridotte, si sta sempre con la paura di dover bloccare tutto da un momento all’altro…
Cosa ti aspetti dal prossimo futuro? Quali obiettivi ti sei prefissato?
Io guardo al futuro con gli stessi occhi di Odisseo verso l’ignoto, attirato ma non sedotto. Non ci sono barriere al desiderio di conoscenza, non c’è paura e non c’è un orizzonte. Un obiettivo mi è particolarmente caro: coinvolgere sempre più i bambini per far vivere loro delle esperienze che potrebbero davvero essere speciali! Ed i miei nipoti sono un ottimo banco di prova.
L’Archeologia è sempre stato un settore molto complesso. La carriera universitaria è molto lunga, gli sbocchi lavorativi sono spesso insufficienti. Sei soddisfatto, nonostante tutto, delle scelte che hai fatto?
Sono assolutamente soddisfatto, soprattutto perché sono riuscito nell’impresa di creare, guidare e tenere viva una società senza l’aiuto di nessuno. Il mondo accademico non mi ha mai affascinato, lo trovo abbastanza statico e settoriale, e quasi sempre non porta a dei risultati adeguati. La libera professione ti permette invece di spaziare su più fronti, a patto di non abbassare l’asticella della qualità.
Necropoli greca di Santa Panagia a Siracusa
Cosa pensi debba cambiare nel futuro per garantire ai giovani possibilità di carriera? E quali consigli ti senti di dare?
Il consiglio principale è uno solo: studiare. E seriamente. Molto spesso mi capita di dover spiegare a ragazzi con lauree, specializzazioni, dottorati e master, anche i più semplici rudimenti dell’archeologia. Non è possibile, ad esempio, che la metodologia sia in pratica un optional! O che la Storia greca sia una lezione da imparare per poi cadere nel dimenticatoio. Studiare seriamente è fondamentale. Così come costruirsi un curriculum partecipando a campagne di scavo che ti permettano di acquisire l’esperienza sul campo sia fisicamente che mentalmente. Perché solo sul campo puoi imparare certi ragionamenti, per certi versi matematici, che ti portano all’interpretazione del mondo antico.
Dichiarato d’interesse archeologico il tratto della via romana “Catina-Thermae” emerso lo scorso settembre nelle campagne di scavo di Caltavuturo, sulle Madonie (PA). Ciò è stato indicato in un decreto firmato dal dirigente del servizio tutela e acquisizioni del Dipartimento dei Beni Culturali, Caterina Perino. Il tratto corrisponde a parte dell’attuale Statale 120 ed è una delle più importanti vie consolari dell’Isola che collegava Catania e Termini Imerese. Secondo gli archeologi, la Statale 120 seguirebbe in parte il tracciato dell’antica via romana “Catina-Thermae”. La strada moderna sembra ripercorrere la viabilità e presentare nelle vicinanze una simile predisposizione nella distribuzione insediativa.
L’archeologa che aveva diretto gli scavi, Rosa Maria Cucco, ha dichiarato che potrebbe trattarsi “dell’unico tratto di strada romana costruita in Sicilia, fino ad oggi attestato“. Tramite studi, si è giunti alla conclusione che la massicciata, conservata sotto lo strato basaltico, ha subito danneggiamenti intorno agli anni ’60/70 del 1900, a causa dei lavori legati al metanodotto. Si tratta di un rinvenimento datato al II secolo d.C. ed emerso in seguito ai lavori di Archeologia preventiva della Soprintendenza di Palermo in accordo con la Snam Rete Gas, durante il rifacimento del metanodotto Gagliano-Termini Imerese.
Prevenzione e vigilanza della Via
La Soprintendenza ha imposto un vincolo sui terreni soggiacenti all’area del tratto di Via per i proprietari. Il decreto infatti recita: “è fatto divieto di adibirla ad usi non compatibili con il suo carattere archeologico oppure tali da recare pregiudizio alla sua conservazione”. Quindi si possono eseguire lavori soltanto nei casi di assoluta urgenza e sotto la vigilanza della Soprintendenza.
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