archeologia funeraria

News

NEWS | Cina, da Sanxingdui tornano alla luce nuovi manufatti

Nel sud della Cina sono stati ritrovati circa 500 manufatti risalenti a 3000 anni fa. Tra questi ultimi, oltre a statue di animali e maschere in oro, è emerso un altare sacrificale. La scoperta, presso le rovine di Sanxingdui, mette in luce una cultura vissuta circa 5000 anni fa.

Maschera di giada
I manufatti di Sanxingdui

Sanxingdui è uno dei principali siti archeologici cinesi, scoperto alla fine degli anni ’20 e situato nella provincia sud-occidentale del Sichuan.

Nel sito sono state scoperte due fosse sacrificali, contenenti migliaia di manufatti in oro, bronzo, giada, e avorio, così come è presente ceramica che differisce da qualsiasi altra facies culturale studiata e rinvenuta in Cina. Gli archeologi ipotizzano si sia aperta una porta su di una cultura vissuta tra i cinquemila ed i tremila anni fa.

È probabile che i reperti in questione siano il frutto di scambi culturali tra le varie culture e zone del paese. Si presume, infatti, che alcuni di questi manufatti si trovassero in origine su una nave. Alcune delle statue raffigurano teste di drago con il naso di maiale, è presente una scatola a forma di tartaruga coperta da pezzi di tessuto e maschere di giada. Tra queste è stata rinvenuta una pregevole scultura a forma del leggendario drago con la testa di uomo e le corna sporgenti.

Una testa di drago di giada
Una nuova facies o il Regno di Shu?

I vari reperti verranno esposti al Museo Sanxingdui, vicino alla città di Guanghan, nel corso del 2023. I manufatti sono oggetto di studio e datazione con il radiocarbonio e risalgono al XII-XI secolo a.C.

Sono stati creati utilizzando una tecnologia insolitamente avanzata di fusione del bronzo, ottenuta con l’aggiunta di piombo, rame e stagno.

Il mistero che si cela dietro l’origine di questi manufatti ha sempre attratto la popolazione cinese, e non solo, fin dal secolo scorso. Le prime missioni di scavo sono iniziate negli anni ’80 e hanno permesso di riportare alla luce circa 13mila manufatti, attualmente oggetto di studio. La cultura che ha prodotto questi manufatti è attualmente conosciuta come la Cultura di Sanxingdui e alcuni archeologi la stanno identificando con l’antico regno di Shu. Alcune prove, infatti, dimostrerebbero che la civiltà del regno di Shu sia emigrata verso Jinsha, probabilmente a causa di un terremoto avvenuto 3 mila anni fa. Gli scavi dell’area continueranno sotto la guida del sito archeologico, con la speranza che si possa far chiarezza su questa comunità e facies culturale.

Museo Sanxingdui, Cina meridionale
News

NEWS | Scoperta una sepoltura nell’Arena di Verona

La scoperta è avvenuta durante i lavori di restauro nell’arcovolo 31 dell’Arena. Si tratta di una sepoltura in fossa semplice contenente uno scheletro in ottime condizioni di conservazione.

Dalle analisi preliminari effettuate sullo scavo, gli archeologi hanno stabilito che si tratta dello scheletro di una donna, deposta con le braccia conserte sul petto. Le ossa verranno portate in laboratorio, dove analisi più dettagliate potranno stabilire l’età della donna al momento della morte, le sue condizioni di salute e stile di vita. La datazione stratigrafica colloca la sepoltura tra il III e VI secolo d. C.

Sul posto anche il Sindaco di Verona

Il primo cittadino, Federico Sboarina, ha mostrato grande entusiasmo e interesse per il ritrovamento, che ha subito voluto visitarlo di persona. Ad accompagnarlo, l’archeologa Brunella Bruno, l’assessore ai lavori pubblici Luca Zanotto, il soprintendente Vincenzo Tinè e l’antropologa Irene Dori.  

Ora è il tempo delle analisi approfondite – dice il sindaco –  dopodiché sarà valutata la modalità migliore per valorizzare questo reperto e la sua collocazione, che potrebbe arricchire il percorso museale all’interno dell’anfiteatro che prenderà forma alla fine del cantiere.

Una scoperta eccezionale, ma non l’unica

Già nel 2014, proprio l’Arena di Verona aveva  restituito altre sepolture, sempre collocate negli arcovoli di accesso all’arena. Si tratta di sepolture altomedievali, datate tra il VII e il IX secolo. La presenza di sepolture nei monumenti e nelle strutture pubbliche in disuso, fra l’età tardoantica e altomedioevale, è un fenomeno ormai ben noto in numerosi centri urbani e nella stessa Verona. «Basti pensare alle sepolture impiantatesi alla metà del IV secolo nell’area del Teatro Romano e in molti altri siti. L’occupazione funeraria, in questo arco di tempo, caratterizzò anche altri anfiteatri, tra cui il Colosseo», dice la dottoressa Brunella Bruno, che dopo le sepolture del 2014 è tornata a occuparsi anche di quella scoperta nei giorni scorsi.

News

ARCHEO-ANTROPOLOGIA | Ricostruire la vita attraverso la morte

Nell’Alegoría de la Muerte, un dipinto a olio dell’artista Tomás Mondragón del 1856, la scena rappresentata è suddivisa in due parti simmetriche: a sinistra vi è una donna ricca, ben vestita, accompagnata dagli usi e costumi del suo tempo, a destra, invece, nella sua immagine riflessa allo specchio, quello che ci accomuna tutti, uno scheletro. La vita e la morte sono sempre state concepite come due realtà distinte. Cio è manifesto nella separazione dei cimiteri dalle città, del mondo dei vivi da quello dei morti.

Alegoría de la Muerte, dipinto a olio dell’artista Tomás Mondragón del 1856

Il grande archeotanatologo (archeologo che studia la morte e le modificazioni del corpo che avvengono dopo la sepoltura) Henry Duday utilizza la potente immagine del dipinto – slegandola dal contesto messicano della sua realizzazione –  per sottolineare il concetto di come l’Archeoantropologia possa “ribaltare le prospettive”: si parte dalla morte, ossia dall’analisi degli scheletri, per ricostruire la storia, la vita delle persone del passato, per comprendere meglio il nostro presente.

Che cos’è l’Archeo-antropologia?

Quando si parla di un contesto funerario antico, nel quale la tomba costituisce l’elemento centrale di uno scavo archeologico, ciò a cui si pensa, e che si incontra con maggiore facilità, sono i reperti ossei. Questi materiali sono, a pieno titolo, da considerarsi alla pari degli altri oggetti che caratterizzano una sepoltura. I manufatti, le strutture architettoniche e quelle funerarie sono una manifestazione materiale dell’uomo; i resti umani sono gli unici rappresentati dell’”artefice”, ossia di chi ha realizzato questi manufatti. Essi costituiscono l’ultimo collegamento biologico con i nostri antenati, nonché un’ulteriore e complementare fonte d’informazione sulla vita delle comunità antiche.  

L’Archeoantropologia altro non è che la branca dell’Archeologia che si occupa dell’analisi e del recupero delle ossa umane, seguendo criteri d’applicazione specifici. Questo costituisce il punto d’inizio di un lavoro che continua in laboratorio.

Come possiamo ascoltare ciò che le ossa umane hanno da dirci?

Si cercherà di rispondere a questa e ad altre domande, osservando gli studi, le ricerche, le analisi che nel tempo si sono sviluppate attorno ai resti umani,  durante il ritrovamento e dopo il recupero, e di illustrare il modo in cui hanno portato alla luce aspetti significativi del nostro passato. 

Un Neanderthal regge un cranio

Sepolture stravaganti e insolite credenze

Ci si focalizzerà su casi “singolari”, espressione di curiose credenze funerarie; casi che indicano la presenza di diverse modalità o luoghi di seppellimento in relazione alle diverse classi d’età dei defunti o del loro livello sociale; il ruolo e l’esplicazione nella morte degli intimi rapporti madre-figlio, donna-uomo o tra fratelli; un focus particolare sarà riposto sugli studi più recenti. Ci si concentrerà sulle pratiche funerarie, sulle scelte di sepoltura e il substrato di credenze a esse connesso. Tutto ciò sempre partendo dallo scheletro, vero protagonista delle storie e delle vicende che saranno raccontate, che è in grado di “reincarnare” la vita del passato, anche dopo la morte.

Uno scheletro allo specchio

Il principale obiettivo della rubrica vuole essere quello di spingere il lettore ad approcciare agli scheletri con un nuovo sguardo, per comprendere l’importanza degli stessi in ambito archeologico. Allontanare l’idea che essi siano solo semplici cumuli di ossa, o la macabra espressione del passato, invece che i principali testimoni del tempo che fu. Il lettore sarà invogliato a ricostruire, nella propria mente, partendo dalle carni, poi dalle vesti, dalle credenze, dalle usanze, la vita di questi uomini sepolti da tempo. 

Sarà proprio come capovolgere il quadro di Mondragón: partire dall’immagine riflessa dello scheletro, per giungere dall’altro lato dello specchio e vedere ciò che esso era per ricostruire l’uomo, gli uomini e le loro storie, provenienti dal passato, dalla preistoria e dalla protostoria, fino a giungere ai periodi più vicini a noi.

 

La rubrica Archeo-antropologia inizierà nella nuova rivista di ArcheoMe da Febbraio 2021 che, a cadenza bimestrale, ci accompagnerà per tutto l’anno….a presto.

Articolo a cura di Ilda Faiella

News

NEWS | Il MUV presenta “Morire nell’antichità”, in diretta Facebook l’inaugurazione il 12 dicembre

Dal 12 dicembre 2020 al 13 giugno 2021, il MUV (Museo della civiltà Villanoviana) di Castenaso (Bologna), ospiterà la mostra  “Morire nell’antichità. Archeologia della morte e rituali funerari nell’età dei metalli”.

L’inaugurazione dell’evento, il prossimo 12 dicembre, avverrà in maniera virtuale, sulla pagina Facebook del museo, e sarà accessibile a tutti. Sarà una visita guidata dalla curatrice della mostra, Paola Poli, introdotta dalla direttrice del MUV Rita Mondini, attraverso le pratiche funerarie che ruotavano intorno al mondo dei morti. 

Una mostra sui rituali funerari di diverse civiltà

Sperando che possa riprendere presto in forma fisica, il percorso dei visitatori del MUV inizierà davanti a un’evocativa porta d’accesso, che indica il passaggio dal mondo dei vivi all’Aldilà. Una volta attraversata la porta che separa i due mondi, inizierà un viaggio nel tempo che racconterà dell’importanza delle cerimonie funebri nel corso dei millenni, a partire dall’Eneolitico (III millennio a. C.) passando per l’età del Bronzo e del Ferro, alle monumentali tombe Etrusche, fino all’epoca tardo-romana (VI secolo d. C.).

La “Tomba del morto” (510 a.C.)

Accanto ai reperti archeologici provenienti da contesti funerari, saranno presenti anche le riproduzioni delle pitture provenienti dalla “TOMBA DEL MORTO“, una delle principali tombe etrusche di Tarquinia, in cui le pratiche cerimoniali sono state riprodotte graficamente a partire dalle pitture. Tali pitture raffigurano alcune scene della tradizione funeraria etrusca, come la scena di prothèsis con il defunto esposto, sdraiato su un lettino al centro della scena, e altri personaggi con un braccio alzato in gesto di commiato.

Per spiegare, poi, i riti di incinerazione e inumazione saranno presenti esempi provenienti dalle necropoli di diverse epoche storiche. Urne cinerarie rappresenteranno la civiltà Villanoviana, mentre una tomba alla “cappuccina” mostrerà una delle forme più comuni di inumazione praticate dai Romani. Non mancheranno esempi di sepoltura in fossa semplice dell’Eneolitico. Provenienti da diversi contesti, saranno esposti anche i ricchi corredi funerari, oggetti della vita quotidiana, utensili in metallo e gioielli preziosi che hanno accompagnato i proprietari nella loro ultima dimora

Lo stesso MUV sorge in un’area che fu un tempo destinata a uso sepolcrale. A metà dell’Ottocento, il conte archeologo Giovanni Gozzadini scoprì in questo punto, a Villanova di Castenaso, una necropoli della prima età del ferro, nella fase più antica della civiltà Etrusca, sviluppatasi agli inizi del I millennio a. C.  Fu proprio Gozzadini a dare il nome di “Villanoviana” a questa cultura, dal nome del luogo su cui si trovava il suo podere, destinato successivamente ad accogliere il MUV.

L’importanza dei riti funebri e il fascino che suscitano in noi oggi

Non sarà solo una mostra sui morti o sui tesori ritrovati nelle loro tombe. Sarà un viaggio per comprendere la tradizione che riguardava soprattutto i vivi, gli incaricati delle cerimonie, alle cui cure il defunto era totalmente affidato. Si potrà comprendere il concetto di morte, i diversi modi di affrontare la scomparsa di un membro della comunità e la paura del mondo delle ombre, la speranza di vita nell’Aldilà e l’importanza del momento cruciale in cui si passa dall’uno all’altro mondo, attraverso formule precise che non ammettono errori, e infine,  il viaggio dei morti e il viaggio dei vivi. Il viaggio dei visitatori moderni, che attraverso i reperti in mostra potranno attraversare entrambi i mondi, cercherà una connessione con le culture passate, elaborando le proprie riflessioni sul tema della morte e sui diversi modi di accoglierla e affrontarla, per poi tornare infine nel presente.

 

News

NEWS | Gela (CL), ritrovati i resti di pire funebri della colonia greca

Il sottosuolo di Gela torna a sorprendere gli archeologi. L’antica colonia greca, fondata nel 689-688 a.C., è una vera miniera di informazioni che riguardano il suo passato più remoto. Informazioni che negli ultimi giorni si susseguono quasi senza sosta, come se la Città avesse deciso di raccontarsi senza più riserve.

Tra i più recenti, ricordiamo i rinvenimenti dal fondale marino di Gela, che riguardano reperti databili al VI sec. a.C.

Il ritrovamento delle pire funebri 

La scoperta, che sembra databile all’VIII secolo a.C., è avvenuta in un cantiere privato, durante i lavori di demolizione di un edificio del Novecento, per la costruzione di un nuovo immobile, sul lungomare Federico II, a poche centinaia di metri dall’area archeologica di Bosco Littorio, che ospita i resti dell’emporio di età arcaica della colonia di Gela. Sul posto erano già presenti la Soprintendenza di Caltanissetta con l’arch. Daniela Vullo e la dirigente archeologica Carla Guzzone, che dispongono sempre di controlli nei cantieri privati di una città che un tempo fu un’importante colonia greca.

Sotto uno strato di terra databile al VII secolo a.C. sono state rivenute tre strutture in terra, al cui interno si è conservato uno strato di cenere, legna carbonizzata e frammenti di ossa umane. Una di queste fu utilizzata per la cerimonia funebre di un neonato di pochi mesi, a giudicare dalle dimensioni dei resti del cranio e da un piccolo ciondolo a forma di corno ritrovato tra le ceneri. Sono visibili anche i fori nel terreno per l’installazione della pira in legno, sulla quale veniva adagiato il corpo del defunto per la cerimonia funebre.

La pira funebre nella storia e l’importanza della cerimonia funeraria per i greci

L’eccezionalità del ritrovamento risiede nell’importanza del cerimoniale che aveva il compito di purificare l’anima del defunto e accompagnarla nel regno di Ade, dio dei morti.

Tale importanza è riportata in moltissime forme, dalla rappresentazione dei roghi sulla ceramica dipinta, alle rappresentazioni teatrali, fino alla forma scritta. E proprio parlando di fonti scritte, già Omero nell’Iliade dedica moltissima importanza alla cerimonia funebre degli eroi nel suo poema. Grazie alla ricchezza di dettagli che riguardano la cerimonia funebre di Patroclo, sappiamo che il funerale per gli antichi greci era un momento molto importante per i parenti e cruciale per il defunto. In gioco c’era la salvezza della sua anima e il transito da questo mondo a quello dei morti, cosa che sarebbe avvenuta solo se tutti i passaggi della cerimonia fossero stati effettuati correttamente.

Dal lavaggio del corpo, ai lamenti delle donne, al banchetto in sua memoria procedendo con la processione che accompagnava il corpo al luogo dove le sue spoglie mortali sarebbero diventate ceneri alla sepoltura: tutto doveva svolgersi seguendo i rigidi canoni della tradizione, o il defunto non avrebbe raggiunto l’Ade e sarebbe rimasto a vagare sotto forma di spirito maligno.

Il ritrovamento di Gela rappresenta solo uno di questi passaggi, il più significativo forse, ma non l’ultimo. Dopo il rogo, infatti, le ceneri e le ossa, che resistevano al fuoco, venivano raccolte in un contenitore funerario e trasportate nella tomba che le avrebbe custodite in eterno.

L’area funebre più antica di Gela

Per avere una datazione certa bisognerà aspettare la fine dello scavo archeologico e le analisi effettuate in laboratorio. Se dovesse essere confermata la datazione all’VIII secolo a.C., questa diverrebbe l’area funebre più antica della storia greca di Gela. Ma su questo gli archeologi non si pronunciano ancora.

L’attenzione è tutta sullo scavo in corso, seguito da Antonio Catalano, ispettore onorario nominato dalla Regione, dal direttore dei lavori arch. Enzo Insalaco e dal proprietario del terreno Alessandro D’Arma, che si è dichiarato molto felice per la sensazionale scoperta. Le operazioni si stanno svolgendo in stretta relazione con la Soprintendenza di Caltanissetta. Dopo la necropoli dei primi coloni in via di Bartolo, portata alla luce su area pubblica dallo stesso archeologo Gianluca Calà e che sta per diventare museo all’aperto con i fondi di Open fiber, il sottosuolo gelese continua a restituire preziosi tasselli di storia.

Resti delle pire funebri da “La Sicilia”