Antropologia

News

NEWS | Svelata una sepoltura femminile a Kozani, in Macedonia

Gli scavi condotti a Kozani, nella Macedonia greca occidentale, nell’area di Mavropigi hanno riportato alla luce, a circa un metro e mezzo sotto il livello di calpestio, una sepoltura femminile datata al I secolo a.C. A rendere nota la notizia è stato il direttore dall’Ephorate of Antiquities di Kozani, Areti Chondrogianni-Metoki, durante una conferenza.

Decorazione bronzea di una testa di sirena (immagine ©GreekReporter)
La sepoltura

Gli scavi sono stati condotti nell’area di Mavropigi dall’Ephorate of Antiquities di Kozani tra il 2019 e il 2021, in una miniera di lignite. Tra i vari rinvenimenti, gli archeologi hanno scoperto una sepoltura femminile. Sebbene sia provato che nell’antichità alcune culture seppellivano i loro morti con i loro giacigli (generalmente sotto le pavimentazioni delle abitazionio o nelle immediate vicinanze), questa è stata la prima volta che gli archeologi hanno rinvenuto una persona sepolta secondo questa usanza in Grecia

La defunta doveva appartenere alla nobiltà locale, ipotesi sostenuta dalla ricchezza del corredo. Tuttavia, c’è anche la possibilità che fosse una personalità di rilievo in ambito cultuale, il che giustificherebbe la tipologia degli oggetti sepolti con l’inumata.

Finalmente, a seguito di studi e restauro, i resti della donna sono stati resi pubblici ed esposti nel Museo Archeologico di Aiani, assieme alla riproduzione a grandezza naturale del letto rinvenuto come parte della sepoltura.

Ricostruzione e riproduzione del letto in legno e bronzo (immagine ©GreekReporter)

 

Devota di Apollo

La donna è stata trovata distesa su un letto di legno e bronzo, impreziosito da montanti decorati da teste di sirene. Tra le decorazioni spicca un uccello che tiene in bocca un serpente, simbologia che rimanda al culto di Apollo. Nel sito di Xirolimni, nei pressi di Kozani, era presente un santuario extraurbano dedicato al dio, come attestato dal gran numero di iscrizioni e sculture rinvenuti.

Oltre al letto di bronzo, le cui parti lignee non si sono conservate, sono stati rinvenuti quattro vasi in ceramica e uno in vetro. Sulla testa della donna erano presenti delle foglie d’oro che rievocano le foglie di alloro (foglie dell’albero sacro ad Apollo), forse parte di una ghirlanda. Ad impreziosire le mani sono state rinvenute tracce di fili d’oro, probabile testimonianza di un ricamo. La tipologia di corredo permette di datare la tomba alla fine del I secolo a.C., ma si attendono ulteriori analisi sul corpo della donna per poter fornire dati più certi, tra cui l’età e la causa del decesso. 

Foglie d’alloro in lamina d’oro (immagine ©GreekReporter)
Il sito

“Non sappiamo molto della storia di questa zona durante il I secolo a.C.“, ha affermato Chondrogianni-Metoki. Sappiamo che in origine la città di Kozani era vicina ad un altro importante centro urbano chiamato Mavropigi, ad oggi un piccolo villaggio abitato, dove si trovava locato un santuario dedicato al dio Apollo. Il record archeologico mostra chiaramente che nel I secolo l’area era sotto l’influenza romana. Lo studio della stratigrafia dell’area ci riporta allo strato corrispondente all’espansione di Roma verso la Grecia dopo la presa di Corinto nel 146 a.C. 

News

NEWS | La mummia sbendata… digitalmente! Quando la tecnologia aiuta a scrivere la storia

La fragile mummia datata alla XVIII Dinastia (Nuovo Regno) è stata sbendata digitalmente tramite un esame di tomografia assiale computerizzata.

La mummia

Il faraone Amenhotep I governò l’Egitto per una ventina d’anni (1525 – 1504 a. C.) durante la XVIII Dinastia; la sua tomba venne scoperta nel 1881 a Deir el-Bahari, dove venne trasportata, per salvarla, durante la XXI Dinastia dai sacerdoti di Amon insieme ad altre mummie reali. La sua elevata fragilità l’hanno resa l’unica mummia reale egiziana, scoperta nel XIX secolo, non sbendata.

La mummia di Amenhotep I

Il corpo di Amenhotep I fece parte delle 22 mummie trasportate durante una sontuosa parata notturna ad aprile scorso, la Pharaohs Golden Parade, dal Museo Egizio di piazza Tahrir, nel cuore della capitale, al nuovo Museo Nazionale della Civiltà egizia (Nmec) a Fustat, inaugurato in quella occasione.

La “Pharaohs Golden Parade”
Le analisi e i risultati

Quest’oggi, grazie alle nuove tecnologie, è stata possibile un’accurata osservazione dell’interno delle bende senza danneggiare la mummia. Sahar Saleem (professore di radiologia presso la Facoltà di Medicina dell’Università del Cairo e radiologo dell’Egyptian Mummy Project) e Zahi Hawass (università del Cairo), hanno eseguito una TAC ad alta risoluzione; la scansione di centinaia di sezioni con raggi X ha permesso di mappare scheletro e tessuti molli.

La dottoressa Sahar Saleem durante lo studio radiologico di una mummia

Saleem e i suoi colleghi hanno scoperto che Amenhotep I aveva circa 35 anni ed era alto 169 centimetri quando morì. Era anche circonciso e aveva denti sani. All’interno degli involucri sono stati trovati circa 30 amuleti e una cintura d’oro. Le analisi dimostrano anche che la mummia aveva sofferto di lesioni multiple post-mortem, probabilmente inflitte da antichi ladri di tombe.

La scansione digitale in tre dimensioni ha permesso anche di scoprire che la mummia di Amenhotep I era stata sbendata, restaurata e tumulata una seconda volta nell’XI secolo a.C. da sacerdoti della XXI dinastia. 

 

News

NEWS | L’Università Ca’ Foscari di Venezia riporta alla luce 140 sepolture dell’antica Equilo

Nell’area del monastero di San Mauro, in prossimità delle “Antiche Mura”, tornano alla luce i resti degli abitanti dell’antica Equilo; il lavoro è stato svolto dagli archeologi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia coordinati dal professor Sauro Gelichi.

La campagna 2021
Veduta dall’alto dell’area di scavo del monastero di San Mauro

L’attività di ricerca e indagine degli studiosi di quest’anno si è concentrata sull’area del monastero di San Mauro. L’obiettivo che si stanno dando ora i ricercatori è quello di fare luce sulle tradizioni e stili di vita degli abitanti; infatti, tra il 2018 e il 2020 è stato portato alla luce un grande corpus di patrimonio biologico. A queste scoperte fanno eco le parole del direttore di scavo, il professor Sauro Gelichi: “Con lo scavo che abbiamo intrapreso quest’anno il progetto archeologico sull’antica Equilo ha indiscutibilmente segnato un ulteriore salto di qualità, non solo per l’autorevolezza e l’internazionalità delle collaborazioni avviate, ma anche per le tematiche affrontate. Lo scavo di Jesolo si sta proponendo come il progetto archeologico più innovativo e promettente per quanto riguarda la storia della laguna nella post-antichità e, in relazione all’aspetto archeo-biologico, tra i principali in Italia”.

Il professor Sauro Gelichi

 

Le analisi sui resti biologici

Per completare lo scavo ed effettuare uno studio accurato sui resti osteologici è stata attivata una collaborazione con il laboratorio di Antropologia Fisica dell’Università del Salento (Professor Pierfrancesco Fabbri) e con l’Università di Harvard (professor David Reich) per l’analisi del Dna.

Il campione di studio è numeroso, 140 individui databili tra l’VIII e il XII secolo, che gli archeologi sperano di poter raddoppiare nelle prossime missioni.

Pulizia dei resti osteologici nell’area del monastero di San Mauro

Da queste analisi gli studiosi si aspettano di ricevere notizie riguardo alla dieta alimentare, malattie e livello di stratificazione sociale. Lo studio tafonomico, unito a quello antropologico e archeologico, consentiranno di comprendere maggiormente i comportamenti dei gruppi familiari in uno spazio di uso collettivo.

Le parole del sindaco

Le indagini che gli archeologi dell’Università di Venezia stanno conducendo nel sito archeologico di Jesolo portano alla luce ogni anno incredibili novità che raccontano un pezzo dell’antica storia della nostra città. Il lavoro svolto nel 2021 è stato, una volta ancora, eccezionale, e ci consentirà di scoprire le storie dei nostri antenati, di chi viveva su questo territorio ai suoi albori e del modo in cui si relazionavano tra loro le persone.

Il sindaco di Jesolo, Valerio Zoggia
News

NEWS | Una missione archeologica della Sapienza riporta alla luce un abitato precolombiano in Repubblica Dominicana

Una nuova area di età arcaica appartenente a una comunità di tradizione pre-agricola è stata scoperta nella penisola di Samanà, a nord-est della Repubblica Dominicana.

Il rinvenimento è avvenuto nell’ambito della Missione Archeologica e Antropologica Sapienza nell’Arcipelago Caraibico coordinata dal Dipartimento di Storia, antropologia, religioni, arte e spettacolo della Sapienza. Il tutto grazie al contributo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MEACI) ed il supporto dell’Ambasciata della Repubblica Dominicana di Roma.

Un po’ di storia

Le informazioni archeologiche relative al primo popolamento delle isole del Centro America sono piuttosto scarse. Gli unici dati che abbiamo risalgono all’incirca a cinquant’anni fa e sono stati ottenuti a seguito di ricerche sporadiche condotte in maniera non totalmente scientifica e pubblicate non sistematicamente. Inoltre l’insediamento successivo di gruppi agriculturalisti che hanno popolato l’Isola Hispaniola ha contributo a cancellare le tracce del popolamento più antico, soprattutto nelle isole maggiori.

Repubblica Dominicana, cartina turistica

Mentre studi precedenti (in particolare una pubblicazione del gruppo di ricerca della Sapienza sulla rivista Nature sulla genomica dei popoli caraibici) hanno evidenziato in modo chiaro il modello del popolamento dei gruppi agriculturalisti Taino, l’origine delle popolazioni arcaiche preceramiche resta ancora irrisolta. Le sole informazioni che si hanno al riguardo è che i gruppi che popolavano le isole caraibiche nel periodo pre-agricolo erano caratterizzati da una mobilità stagionale. Essi basavano la loro sussistenza sulla caccia di piccoli animali, la pesca e soprattutto la raccolta di grandi e piccoli molluschi, marini e terrestri, e si stabilivano principalmente a ridosso della costa.

Collaborazioni d’eccezione

Oggi un nuovo tassello viene aggiunto con il ritrovamento di un raro abitato precolombiano di età arcaica nel sito di El Pozito, località della penisola di Samanà nel nord-est della Repubblica Dominicana. La scoperta è avvenuta nell’ambito della Missione Archeologica e Antropologica Sapienza nell’Arcipelago Caraibico del Dipartimento di Storia, antropologia, religioni, arte e spettacolo della Sapienza. È il dott. Francesco Genchi a dirigere la missione, con la collaborazione di ricercatori dei dipartimenti di Scienze odontostomatologiche e maxillo facciali e di biologia Ambientale dello stesso Ateneo, del Museo del Hombre Dominicano di Santo Domingo. Fondamentale il contributo della Direzione generale per la promozione del sistema Paese del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MEACI) e il supporto dell’Ambasciata della Repubblica Dominicana di Roma.

Il team di ricercatori (fonte ANSA)

 

L’abitato e i ritrovamenti più importanti

L’area identificata si riferisce a un abitato caratterizzato principalmente da un’ampia porzione di una officina  di lavorazione di materie prime come grandi molluschi marini quali lumache (Strombus Gigas anche detta conchiglia regina e Cittarium pica, la gazza di gabbiano) e i bivalvi (come la Codakia orbicularis, conosciuta anche come tigre lucina). Oltre a questi, anche una incredibile quantità di molluschi terrestri (es. Caracol excelens), sfruttati sia per uso alimentare che per la produzione di strumenti. Ma non solo, è stata rinvenuta anche la presenza di bacche selvatiche e resti di pesci di notevole dimensione.

Resti di conchiglie e utensili (fonte ANSA)

Le installazioni prevedevano ripari leggeri del tipo shelter, con allineamenti semicircolari di buche di palo, al cui esterno sono riconoscibili ampie aree di cenere e carboni, risultato delle attività di cottura delle risorse marine.

Lo strumentario è composto da un centinaio di arnesi in pietra locale levigata, quali pestelli, martelli, incudini e grandi macine adatte alla triturazione dei semi, delle radici e delle conchiglie, sui quali le analisi mostrano, oltre a marcati segni di usura, tracce di residui vegetali.

Tra questi, lo strumento più caratteristico è l’ascia mariposoide (a forma di farfalla) che si ritiene venisse utilizzata nell’abbattimento e nel taglio degli alberi con cui costruire canoe e remi. Questo strumento è distintivo dei gruppi pre-agricoli tardivi e fondamentale per circoscrivere le fasi arcaiche.

 

Il ritrovamento più importante, tuttavia, fa riferimento a 12 pestelli (majadores) di pregevole fattura. I pestelli si trovavano all’interno di un pozzetto rituale e differiscono tra loro sia per la materia prima utilizzata che per la manifattura. Anche su questi strumenti sono visibili tracce di usura e numerosi residui perfettamente conservati. La scelta di deporre questi strumenti in un’area adibita alla lavorazione delle risorse primarie, necessarie alla sussistenza del gruppo, induce a credere che si tratti di una sorta di offerta rituale riferibile alla sfera cultuale di questi gruppi, ma connessa anche alle pratiche di sussistenza.

Tracce delle prime comunità delle isole del Centro America

<<La misura del valore di questa scoperta>> – commenta Francesco Genchi del Dipartimento di biologia ambientale della Sapienza – <<è direttamente proporzionale alle nostre conoscenze, pressoché inesistenti, tanto sulle pratiche di vita quotidiana quanto su quelle connesse all’economia di sussistenza e alla sfera rituale delle popolazioni che abitavano i Caraibi prima del periodo agriculturalista>>.

Dott. Alfredo Coppa

<<I risultati ottenuti all’interno di questo nuovo sito dai caratteri arcaici>> – conclude Alfredo Coppa – <<ci proietta finalmente sulle tracce delle prime comunità che hanno colonizzato le isole del Centro America. Un ulteriore passo sarà realizzato dalla ricerca della necropoli, la quale consentirà di avviare analisi genetiche per far luce sulla provenienza dei gruppi che lo abitavano>>.

News

NEWS | Ritrovati fossili di Neanderthal in Israele, l’Oriente era così “vicino” anche per i nostri antenati?

Il recente ritrovamento di resti fossili nel sito israeliano di Nesher Ramla, riconducibili a un possibile antenato dei Neanderthal, porta alla luce il ruolo di popolazioni del Vicino Oriente nell’evoluzione di questa forma umana estinta. Lo studio, che ha visto la partecipazione di ricercatori del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza Università di Roma e del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, è stato pubblicato sulla rivista Science, che gli ha anche dedicato la copertina.

Perché l’Oriente è importante nel processo evolutivo

I Neanderthal sono la specie umana estinta che conosciamo meglio. Si è sempre pensato che la loro evoluzione fosse del tutto endogena, avvenuta interamente in Europa a partire da popolazioni del Pleistocene Medio, e che solo in seguito abbia previsto ondate di diffusione verso l’Asia.

oriente
Fonte: IppocrateOrg

Il recente ritrovamento di fossili umani nel sito del Paleolitico medio di Nesher Ramla, in Israele, suggerisce infatti che il processo evolutivo potrebbe essere avvenuto con il contributo di popolazioni umane vissute al di là del Mediterraneo e, nello specifico, che siano quelle del Vicino Oriente ad aver avuto un ruolo importante. Seppur frammentari, i fossili di Nesher Ramla – rappresentati da porzioni del cranio, da una mandibola e alcuni denti, tutti databili tra 140 e 120 mila anni fa – mostrano una combinazione unica di caratteristiche neandertaliane e tratti più arcaici

oriente
I fossili di Nesher Ramla (Israele) – foto: Sapienza, Università di Roma

«È questa la conferma – spiega Giorgio Manzi, paleoantropologo della Sapienza – Università di Roma, che ha partecipato allo studio – che le popolazioni umane del Pleistocene Medio sono andate incontro a fenomeni evolutivi “a mosaico”, che hanno fatto emergere le caratteristiche tipiche dei Neanderthal, come anche quelle di noi Homo sapiens. È ciò che osserviamo anche in Italia con lo scheletro della grotta di Lamalunga, vicino Altamura, nel quale tutte le analisi che abbiamo potuto condurre finora mostrano un sorta di blend evolutivo».

Il professor Giorgio Manzi

«Con i nuovi fossili israeliani, sappiamo che la storia potrebbe essere stata anche più complessa e non solo confinata all’Europa – aggiunge Fabio Di Vincenzo, oggi curatore della sezione di Antropologia del Museo di Storia naturale di Firenze, anche lui tra gli autori del nuovo studio – «La geografia dell’area Mediterranea, con la sua eterogeneità ambientale durante il Pleistocene, ha necessariamente svolto un ruolo chiave nel plasmare le caratteristiche dei Neanderthal da un capo all’altro del continente, includendo anche le regioni balcaniche e le limitrofe aree asiatiche».

Il dott. Fabio Di Vincenzo

I nuovi reperti sono stati studiati con sofisticate tecniche digitali che hanno permesso di svelare le caratteristiche più nascoste e informative dell’anatomia cerebrale dei resti fossili e dei denti di Nesher Ramla.

La mandibola con alcuni denti da Nesher Ramla (Israele) – foto: Sapienza, Università di Roma
News

NEWS | A Grotta Guattari (San Felice Circeo, LT) scoperti i resti di nove uomini di Neanderthal

Un’eccezionale scoperta proviene da Grotta Guattari (LT), ad ottanta anni dalla sua fortuita scoperta, confermando il promontorio del Circeo quale luogo nevralgico per gli studi preistorici italiani e internazionali.

grotta
All’interno di Grotta Guattari – San Felice Circeo (LT) – fonte: Ministero della Cultura

L’Associazione Nazionale Archeologi si congratula per la scoperta e lo studio dei resti di 9 altri individui attribuibili ad Homo Neanderthalensis, a seguito di scavi condotti dal prof. Mario Rolfo, docente di Archeologia Preistorica dell’Università di Tor Vergata, dal direttore dei lavori di scavo, funzionario archeologo dott. Francesco Di Mario, e con il direttore del servizio di antropologia della SABAP Lazio dott. Mauro Rubini. 

Il ritrovamento
grotta
L’inizio degli scavi a Grotta Guattari – San Felice Circeo (LT) – fonte: Ministero della Cultura

Durante i lavori per la messa in sicurezza della grotta medesima, iniziati nel 2020, sono avvenuti gli eccezionali ritrovamenti dei nove individui che gettano nuova luce sulla presenza umana in età preistorica e specificamente sull’occupazione neanderthaliana della grotta.

Alcuni resti all’interno della Grotta – fonte: Ministero della Cultura

«Una scoperta incredibile che segna una nuova importante tappa negli studi di archeologia preistorica», dichiara Alessandro Garrisi, presidente nazionale dell’ANA, che prosegue: «Questo ritrovamento sarà importante per ampliare ulteriormente le nostre conoscenze tanto del contesto specifico di ritrovamento, il sistema di cavità noto come Grotta Guattari, quanto degli usi e abitudini dell’uomo di Neanderthal. Il paleontologo Alberto Carlo Blanc era stato il fortunato scopritore di questo sito nel 1939 e già allora il ritrovamento suscitò grande ammirazione nella comunità scientifica. Anche oggi questa importante scoperta desterà interesse nella comunità scientifica internazionale e sarà opportunità per capire ancora meglio questa specie umana che per migliaia di anni ha convissuto con l’Homo Sapiens: una convivenza che, come gli studi più recenti suggeriscono, sfociò spesso in condivisione dei territori e, probabilmente, anche in forme di integrazione sociale. Una scoperta che offre quindi una dimostrazione dell’incredibile ricchezza del nostro patrimonio archeologico e dell’elevata qualità dell’archeologia italiana tutta. Ritrovamenti come questi devono essere accompagnati da un’adeguata comunicazione rivolta tanto agli addetti ai lavori, quanto al pubblico più ampio: è questo l’unico modo di realizzare un percorso virtuoso che veda le comunità territoriali sempre più coinvolte nella difesa della memoria e del patrimonio culturale del paese».

News

NEWS | Un resoconto delle “Storie dell’ultimo decennio” della Scuola di Paleoantropologia (UNIPG)

Come annunciato, nel corso della prima giornata (19/02/2021) dell’evento on-line gratuito “Evoluzione umana, storie dell’ultimo decennio. Raccontate dai protagonisti della Scuola di Paleoantropologia”, si sono svolti quattro diversi interventi ad opera della Scuola di Paleoantropologia di Perugia.

Marco Cherin, direttore della Scuola, ha presentato l’evento e ringraziato anche i numerosi spettatori sia di Meet sia di Youtube (il numero degli spettatori era troppo elevato per la sola applicazione Meet). Ha poi introdotto il primo dei due relatori della giornata: Jacopo Moggi Cecchi, dell’Università di Firenze, il cui intervento aveva titolo “Ex Africa semper aliquid novi (Plio- Pleistocene)”; ha avuto inizio con un’immagine del “nostro albero di famiglia”, un grafico dal quale si evince che la nostra storia iniziò ben 8 milioni di anni fa. Sono seguite poi una serie di nuove scoperte e ricerche che si sono svolte nel corso dell’ultimo decennio.

L’intervento successivo di Giovanni Boschian, dell’Università di Pisa aveva titolo “Dalle grotte alle impronte”. Egli ha dimostrato, anche grazie ad una carrellata di siti (tra cui le storie impronte di Laetoli, scavate e studiate dalla stessa Scuola di Paleoantrologia), come sia possibile ricostruire la vita e i comportamenti delle creature, umane o animali, dalle impronte che lasciano.

storie
Un momento della conferenza
News

NEWS | Evoluzione umana e Antropologia molecolare nelle conferenze della Scuola di Paleoantropologia (UNIPG)

Prenderà avvio a partire dal 18 febbraio e fino al 19 febbraio 2021 il ciclo di conferenze online organizzate dalla scuola di Paleoantropologia dell’Università di Perugia e dedicate al grande tema dell’evoluzione umana della specie. La conferenza si terrà su Teams ma si potrà comodamente seguire tramite la pagina Youtube della Scuola, tutto gratuitamente.

Le giornate sono state organizzate grazie alla collaborazione del Dipartimento di Fisica e Geologia e il Centro d’Ateneo perugino. L’evento raccoglie numerosi professionisti del comitato scientifico della Scuola come il professore Jacopo Moggi Cecchi, associato di Antropologia presso il Dipartimento di Biologia di Perugia; il paleontologo, antropologo e docente universitario presso l’Università La Sapienza di Roma, Giorgio Manzi; il professore Giovanni Boschian, insegnante di Antropologia presso il Dipartimento di Biologia di Pisa; e infine l’antropologa e professoressa di Antropologia Molecolare all’Università di Roma Tor Vergata, Olga Rickards. Si tratta dell’undicesimo anno dalla realizzazione della prima conferenza della Scuola. Le due giornate di videoconferenze si concentreranno sulle scoperte più grandi dell’ultimo decennio nell’ambito dell’evoluzione umana.

A Scuola di Paleoantropologia, il programma delle giornate

Si parte con la prima giornata alle ore 15 del 18 febbraio dal Plio-Pleistocene, sottolineando l’importanza del continente Africano, come già ci tramandava Plinio il Vecchio “Ex Africa semper aliquid novi”, è infatti questo il titolo del primo incontro; a simboleggiare proprio le continue novità che arrivano da questa zona del mondo. La Scuola negli anni ha promosso attività di ricerca e formazione in Tanzania e in particolare nella Gola di Olduvai. Sempre il 18 febbraio alle 16 si parlerà anche di argomenti legati anche alla biologia e allo studio delle grotte e delle impronte umane.

 Il 19 febbraio alle 15 si discuterà di Neanderthal e delle nuove ricerche scientifiche sull’Uomo di Altamura, il più completo scheletro di Neanderthal mai scoperto. Infine, sempre lo stesso giorno, alle ore 16, si terrà una conferenza sulle novità che provengono dal campo dell’Antropologia molecolare, disciplina che negli anni ha permesso di intraprendere numerosi studi sul Dna applicati allo scheletro delle popolazioni antiche.

Paleoantropologia

News

NEWS | “AnthroDay”, arrivano i giorni dell’Antropologia pubblica a Milano

Dal 18 al 20 febbraio 2021, torna con oltre 40 appuntamenti virtuali “AnthroDay”, il World Anthropology DayAntropologia pubblica a Milano, l’edizione milanese dell’evento che celebra il sapere antropologico e le sue interazioni con gli ambiti più diversi della nostra società, organizzata dall’Università di Milano-Bicocca.

La rassegna prenderà il via il 18 febbraio, alle 14.30, con la conferenza online “Antropologia per non-antropologi. L’insegnamento dell’antropologia nella formazione delle figure professionali”. Dagli operatori sanitari, agli assistenti sociali, dagli artisti ai militari: nel corso dell’incontro si dialogherà su come il sapere antropologico contribuisca a formare professionisti in diversi campi.       

Dopo le performance dal vivo di New York, San Pietroburgo e Tel Aviv, sabato 20 febbraio alle 19.30, chiude l’AnthroDay 2021 l’anteprima mondiale del Live Grid MilanoUn progetto nato all’interno dell’opera partecipativa globale Human Signs, creata dall’artista Yuval Avital, in collaborazione con la coreografa e danzatrice Stefania Ballone, durante il periodo di confinamento per l’emergenza Covid-19. L’edizione milanese del Live Grid vedrà 16 grandi artisti riuniti negli spazi della “Casa degli artisti” per dare voce e corpo alle emozioni più intime e nascoste nate durante il periodo della pandemia. Una conversazione tra Yuval Avital e Stefania Ballone, moderata da Ivan Bargna (antropologo dell’Università di Milano-Bicocca) precederà lo spettacolo (ore 19).

“AnthroDay” promette un ricco programma

Incontri, workshop e mostre virtuali, gratuiti e aperti a tutti, completano il ricco programma di quest’anno. Eccone alcuni. Due appuntamenti si concentreranno sulla pratica dell’hacking, inteso come intervento di alterazione. Con il laboratorio “Hacking monuments” (19 febbraio) si andrà alla scoperta della relazione tra tre monumenti che sono stati oggetto di hackeraggio da parte di artisti e attivisiti (le statue di Cavour e di Montanelli a Milano e la statua del Nilo a Napoli) e i luoghi della città in cui sono inseriti. Nel corso del workshop “La barbie hackerata” (19 febbraio), attraverso la manipolazione di un corpo di plastica – quello della nota bambola- si analizzeranno le azioni che quotidianamente rivolgiamo ai nostri corpi e che diamo per scontate, osservandole con occhi diversi.

Con il Covid-19, anche i suoni del quotidiano e il nostro modo di ascoltarli sono cambiati. Esiste un input sonoro che ha contraddistinto, colpito o accompagnato la nostra esperienza pandemica? Il progetto Milano Suona propone un workshop auto-biografico (20 febbraio) per narrarsi partendo dai suoni di Milano. Ai partecipanti viene chiesto di presentarsi con una traccia sonora che sia legata al vissuto di questa pandemia. Società multietnica, cittadinanza e razzismo saranno i temi dell’incontro “Noi italiani neri. Conversazione sulla vita di chi indossa la pelle nera in Italia” (20 febbraio): una narrazione a 360 gradi che guardi, come fa l’antropologia, a tutto ciò che ci unisce e contrappone e agli effetti indotti da questi modi di relazione.

L’iscrizione alle singole attività è gratuita e obbligatoria entro il 16 febbraio al seguente link, dove sono disponibili anche i link per partecipare agli eventi di apertura e chiusura.

News

ARCHEO-ANTROPOLOGIA | Ricostruire la vita attraverso la morte

Nell’Alegoría de la Muerte, un dipinto a olio dell’artista Tomás Mondragón del 1856, la scena rappresentata è suddivisa in due parti simmetriche: a sinistra vi è una donna ricca, ben vestita, accompagnata dagli usi e costumi del suo tempo, a destra, invece, nella sua immagine riflessa allo specchio, quello che ci accomuna tutti, uno scheletro. La vita e la morte sono sempre state concepite come due realtà distinte. Cio è manifesto nella separazione dei cimiteri dalle città, del mondo dei vivi da quello dei morti.

Alegoría de la Muerte, dipinto a olio dell’artista Tomás Mondragón del 1856

Il grande archeotanatologo (archeologo che studia la morte e le modificazioni del corpo che avvengono dopo la sepoltura) Henry Duday utilizza la potente immagine del dipinto – slegandola dal contesto messicano della sua realizzazione –  per sottolineare il concetto di come l’Archeoantropologia possa “ribaltare le prospettive”: si parte dalla morte, ossia dall’analisi degli scheletri, per ricostruire la storia, la vita delle persone del passato, per comprendere meglio il nostro presente.

Che cos’è l’Archeo-antropologia?

Quando si parla di un contesto funerario antico, nel quale la tomba costituisce l’elemento centrale di uno scavo archeologico, ciò a cui si pensa, e che si incontra con maggiore facilità, sono i reperti ossei. Questi materiali sono, a pieno titolo, da considerarsi alla pari degli altri oggetti che caratterizzano una sepoltura. I manufatti, le strutture architettoniche e quelle funerarie sono una manifestazione materiale dell’uomo; i resti umani sono gli unici rappresentati dell’”artefice”, ossia di chi ha realizzato questi manufatti. Essi costituiscono l’ultimo collegamento biologico con i nostri antenati, nonché un’ulteriore e complementare fonte d’informazione sulla vita delle comunità antiche.  

L’Archeoantropologia altro non è che la branca dell’Archeologia che si occupa dell’analisi e del recupero delle ossa umane, seguendo criteri d’applicazione specifici. Questo costituisce il punto d’inizio di un lavoro che continua in laboratorio.

Come possiamo ascoltare ciò che le ossa umane hanno da dirci?

Si cercherà di rispondere a questa e ad altre domande, osservando gli studi, le ricerche, le analisi che nel tempo si sono sviluppate attorno ai resti umani,  durante il ritrovamento e dopo il recupero, e di illustrare il modo in cui hanno portato alla luce aspetti significativi del nostro passato. 

Un Neanderthal regge un cranio

Sepolture stravaganti e insolite credenze

Ci si focalizzerà su casi “singolari”, espressione di curiose credenze funerarie; casi che indicano la presenza di diverse modalità o luoghi di seppellimento in relazione alle diverse classi d’età dei defunti o del loro livello sociale; il ruolo e l’esplicazione nella morte degli intimi rapporti madre-figlio, donna-uomo o tra fratelli; un focus particolare sarà riposto sugli studi più recenti. Ci si concentrerà sulle pratiche funerarie, sulle scelte di sepoltura e il substrato di credenze a esse connesso. Tutto ciò sempre partendo dallo scheletro, vero protagonista delle storie e delle vicende che saranno raccontate, che è in grado di “reincarnare” la vita del passato, anche dopo la morte.

Uno scheletro allo specchio

Il principale obiettivo della rubrica vuole essere quello di spingere il lettore ad approcciare agli scheletri con un nuovo sguardo, per comprendere l’importanza degli stessi in ambito archeologico. Allontanare l’idea che essi siano solo semplici cumuli di ossa, o la macabra espressione del passato, invece che i principali testimoni del tempo che fu. Il lettore sarà invogliato a ricostruire, nella propria mente, partendo dalle carni, poi dalle vesti, dalle credenze, dalle usanze, la vita di questi uomini sepolti da tempo. 

Sarà proprio come capovolgere il quadro di Mondragón: partire dall’immagine riflessa dello scheletro, per giungere dall’altro lato dello specchio e vedere ciò che esso era per ricostruire l’uomo, gli uomini e le loro storie, provenienti dal passato, dalla preistoria e dalla protostoria, fino a giungere ai periodi più vicini a noi.

 

La rubrica Archeo-antropologia inizierà nella nuova rivista di ArcheoMe da Febbraio 2021 che, a cadenza bimestrale, ci accompagnerà per tutto l’anno….a presto.

Articolo a cura di Ilda Faiella