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NEWS | Egitto, a Saqqara ritornano alla luce sarcofagi dipinti e statuette bronzee

La missione archeologica egiziana, operante nel cimitero degli Animali Sacri nell’area della necropoli di Saqqara, ha riportato alla luce il primo e più grande deposito del sito risalente al periodo tardo. Il deposito comprende 150 statuette bronzee di divinità e circa 250 sarcofagi lignei dipinti.

Le 150 statue bronzee

Il dott. Mustafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità e capo della missione, ha affermato che il deposito scoperto include appunto 150 statue bronzee di varie dimensioni. Le statuette rappresenterebbero diverse divinità antico-egiziane, tra cui Anubi, Amon-Min, Osiri, Iside, Nefertum, Bastet e Hathor.

Statuetta bronzea di Bastet (Fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano)

Insieme alle statuette, sono stati rinvenuti un gruppo di vasi in bronzo legati ai rituali della dea Iside e una statua in bronzo, acefala, dell’ingegnere Imhotep, che si distingue per l’ottima qualità dell’esecuzione.

Le statue bronzee rinvenute nella necropoli degli Animali Sacri a Saqqara (Fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano)
I sarcofagi dipinti

I ricercatori egiziani, alla quarta missione nell’area, hanno individuato un nuovo gruppo di pozzi funerari. Da questi, sono stati riportati alla luce circa 250 sarcofagi in legno colorato del periodo tardo (VII-IV sec. a.C.), risalenti al 500 a.C. circa. I sarcofagi presentano al loro interno delle mummie in buono stato di conservazione. Sono stati rinvenuti, inoltre, anche amuleti, scatole di legno dipinte e statue lignee, alcune delle quali con il volto dorato. Dallo scavo di uno dei pozzi funerari è stato rinvenuto, inoltre, un sarcofago in buono stato di conservazione che sembrerebbe contenere capitoli del Libro dei Morti, prontamente trasferito nei laboratori di restauro del Museo Egizio di Piazza Tahrir, al Cairo.

 

Statuette lignee di Iside e Nephtys (Fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano)
L’indagine dell’area

La missione archeologica egiziana ha iniziato suoi lavori nell’area nel 2018. Era state rinvenute la sepoltura di un sacerdote della V Dinastia e, anche, sette tombe rupestri, quattro dell’Antico Regno e tre del Nuovo Regno. Questa stessa indagine, inoltre, aveva recuperato oltre un migliaio di amuleti di maiolica, decine di statue lignee di gatti e gatti mummificati.

Nel 2020, poi, la missione aveva già ritrovato oltre 100 sarcofagi ancora sigillati e in perfetto stato di conservazione, risalenti al Periodo Tardo e Periodo Tolemaico. Questa scoperta era stata corredata anche dal ritrovamento di circa 40 statue della divinità della necropoli di Saqqara Ptah-Sokar, che presentavano parti dorate, e 20 scatole lignee del dio Horus.

 

Fonte: Ministry of Tourism and Antiquities.

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GEMMOLOGIA | “100 anni di una scoperta”, anche in Italia iniziano le celebrazioni per la scoperta della tomba di Tutankhamon

A Genova si celebrano i 100 anni di una esperienza umana e scientifica senza precedenti, la scoperta della tomba del faraone Tutankhamon da parte dell’archeologo inglese Howard Carter.

Genova celebra la scoperta con un’opera teatrale

È stata eseguita, il 28 maggio 2022, al Teatro Rina e Gilberto Govi di Genova, l’opera teatrale Le tre regine d’Egitto, dialoghi sull’enigma del tempo a cura dell’Egittologo Giacomo Cavillier. Lo spettacolo si è svolto grazie al lavoro della compagnia teatrale di Anna Giarrocco e Andrea Benfante, con coreografie e danze egizie di Ailema mille e una notte di Genova.

Foto scattata durante la rappresentazione teatrale

Si parte dunque con l’opera teatrale e si proseguirà con le iniziative estive presso i suggestivi scenari delle ville di Cornigliano: conferenze e presentazione di volumi sulla tematica, per poi concludere con la giornata del 4 novembre dedicata a Carter presso la Sala Solimena di villa Durazzo Bombrini. Qui la gemmologa Stefania Ferrari e il Regista Enrico Cirone cureranno il collegamento con la diretta dalla Carter House di Luxor, nei pressi della Valle dei Re, con il prof. Giacomo Cavillier che illustrerà gli affascinanti luoghi dove Howard Carter ha pianificato e realizzato il suo metodo di ricerca della tomba del faraone. Scenografie, misticismo e incanti dei luoghi e dei momenti costituiscono il vero e il più tangibile segno della più straordinaria scoperta dell’archeologia.

La dott.ssa Ferrari e il prof. Cavillier (da sinistra) alla presentazione dell’inizio delle celebrazioni

 

Un Diadema d’altri tempi

Lo stargate, la porta del tempo nell’opera teatrale, è rappresentato da un diadema, un lapislazzuli da 66 ct che legherà nell’enigma del tempo le tre regine, diadema coevo nella sua realizzazione, curata dalla gemmologa genovese Stefania Ferrari, sia per la scelta della gemma, a taglio cabochon (con la superficie a cupola e la parte inferiore piatta, spesso grezza), sia per la lavorazione dell’oro.

 

 

La ricchezza delle risorse naturali

L’Egitto e la Nubia sono da sempre regioni ricche di risorse naturali, risorse minerarie come metalli e pietre preziose. Si possono, tuttavia, rintracciare alcune località primarie di rinvenimento ed estrazione: Turchese e Malachite in Sinai, Diaspro rosso dalla Catena Arabica, Lapislazzuli lato Afghanistan, Smeraldo sulle coste meridionali del Mar Rosso e Ametista nelle regioni di Assuan. Ma sono presenti anche Calcare, Arenaria, Basalto, Porfido e Granito.

E, nell’Antico Egitto, ogni gemma e colore ha un significato ben preciso. Ne sono un esempio il Lapislazzuli, il cielo, la Turchese, il Nilo, e il Diaspro Rosso, il sole al tramonto, ma anche il sangue, nel suo legame con la procreazione.

 

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NEWS | Oxford celebra Howard Carter e Lord Carnarvon a cento anni dalla scoperta della tomba di Tutankhamon

Alla Bodleain Library è stata allestita, fino a febbraio 2023, una piccola mostra con i diari di scavo e le relative foto della scoperta di Tutankhamon; Oxford celebra Carter per la scoperta di Tutankhamon.

La scoperta
Howard Carter mentre esamina il sarcofago di Tutankhamon

Nell’autunno del 1922, Carter sta scavando all’ingresso della tomba di Ramses VI, quando, fortuitamente, si imbattono in alcuni gradini di una tomba ancora sconosciuta. La tenacia fu premiata con l’inattesa scoperta della tomba di Tutankhamon, il faraone bambino destinato a gloria imperitura.

Una mattina di novembre il giovane archeologo decise di effettuare un buco nella porta della tomba, la quale risultava intatta e presentava ancora il sigillo di corda degli antichi sacerdoti egizi; all’interno della stanza vi erano ammassati centinaia di oggetti. Tutto è rimasto intatto per oltre 3000 anni e quello è il primo occhio che ci posa.

Prima pagina del 17 febbraio 1923 del New York Times sulla scoperta di Tutankhamon

 

La complessa tomba sotterranea che venne alla luce era così ricca di reperti, che per lo sgombero degli oggetti, tutti scrupolosamente catalogati e rimossi, ci vollero dieci anni.

La mostra

L’esposizione, Tutankhamon: excavating the archive, è formata da una piccola stanza all’ingresso del complesso librario. La curatrice Daniela Rosenow si è concentrata a non allestire l’ennesima mostra sul faraone egiziano, ma sulla storia della scoperta della tomba.

È una mostra d’archivio, basata sui diari e sui documenti donati dallo stesso Carter alla sua morte nel 1945; a supporto del materiale dell’archeologo vi sono gli scatti originali del fotografo Harry Burton che fu chiamato appositamente per testimoniare lo storico evento.

È una sorta di “Dietro le quinte” di Tutankhamon che racconta i vari passaggi del lavoro che archeologo e operai hanno dovuto svolgere, come ad esempio: una mini-ferrovia portatile e smontabile con la quale hanno potuto trasferire i reperti trovati fino al Nilo da cui, poi, hanno raggiunto il museo del Cairo.

Howard Carter vicino ad uno dei carrelli con cui hanno trasportato i reperti

La mostra è stata inaugurata il 13 aprile 2022 e terminerà a febbraio 2023.

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NEWS | La mummia sbendata… digitalmente! Quando la tecnologia aiuta a scrivere la storia

La fragile mummia datata alla XVIII Dinastia (Nuovo Regno) è stata sbendata digitalmente tramite un esame di tomografia assiale computerizzata.

La mummia

Il faraone Amenhotep I governò l’Egitto per una ventina d’anni (1525 – 1504 a. C.) durante la XVIII Dinastia; la sua tomba venne scoperta nel 1881 a Deir el-Bahari, dove venne trasportata, per salvarla, durante la XXI Dinastia dai sacerdoti di Amon insieme ad altre mummie reali. La sua elevata fragilità l’hanno resa l’unica mummia reale egiziana, scoperta nel XIX secolo, non sbendata.

La mummia di Amenhotep I

Il corpo di Amenhotep I fece parte delle 22 mummie trasportate durante una sontuosa parata notturna ad aprile scorso, la Pharaohs Golden Parade, dal Museo Egizio di piazza Tahrir, nel cuore della capitale, al nuovo Museo Nazionale della Civiltà egizia (Nmec) a Fustat, inaugurato in quella occasione.

La “Pharaohs Golden Parade”
Le analisi e i risultati

Quest’oggi, grazie alle nuove tecnologie, è stata possibile un’accurata osservazione dell’interno delle bende senza danneggiare la mummia. Sahar Saleem (professore di radiologia presso la Facoltà di Medicina dell’Università del Cairo e radiologo dell’Egyptian Mummy Project) e Zahi Hawass (università del Cairo), hanno eseguito una TAC ad alta risoluzione; la scansione di centinaia di sezioni con raggi X ha permesso di mappare scheletro e tessuti molli.

La dottoressa Sahar Saleem durante lo studio radiologico di una mummia

Saleem e i suoi colleghi hanno scoperto che Amenhotep I aveva circa 35 anni ed era alto 169 centimetri quando morì. Era anche circonciso e aveva denti sani. All’interno degli involucri sono stati trovati circa 30 amuleti e una cintura d’oro. Le analisi dimostrano anche che la mummia aveva sofferto di lesioni multiple post-mortem, probabilmente inflitte da antichi ladri di tombe.

La scansione digitale in tre dimensioni ha permesso anche di scoprire che la mummia di Amenhotep I era stata sbendata, restaurata e tumulata una seconda volta nell’XI secolo a.C. da sacerdoti della XXI dinastia. 

 

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NEWS | Rinvenuti strumenti rituali in uno scavo nei pressi dell’antica Buto (Egitto)

Una missione archeologica egiziana, lavorando nel territorio dell’antica Buto, nel Governatorato di Kafr El-Sheikh, ha riportato in luce alcuni strumenti utilizzati nei rituali religiosi templari. La missione si colloca nell’ambito del programma di scavi archeologici promosso dal Consiglio Supremo delle Antichità.

Si tratta di un’importante scoperta, come afferma il dott. Mustafa Waziri, segretario generale del Consiglio supremo delle antichità. Gli strumenti rinvenuti, infatti, venivano utilizzati durante lo svolgimento dei rituali giornalieri in onore della dea Hathor. Secondo quanto dichiarato dal dott. Waziri, sembra che gli strumenti siano stati collocati in maniera rapida sotto blocchi di pietra disposti regolarmente in cima a una collina di sabbia a sud del tempio della dea Uadjet, protettrice del sovrano e personificazione del Basso Egitto, a Tel Al-Faraeen (Buto).

I rinvenimenti

Nel frattempo, il capo del settore delle antichità egiziane Ayman Ashmawy aggiunge che di questa scoperta fanno parte un pilastro di calcare nella forma della dea Hathor, un gruppo di brucia incensi in faïence, uno dei quali con la testa del dio Horus, e un gruppo di oggetti in argilla utilizzati nei rituali religiosi e cerimoniali della dea Hathor. 

Dei rinvenimenti, inoltre, fanno parte anche: una collezione di statuette raffiguranti le divinità Thot e Tauret, una piccola sedia per la maternità (di cui Tauret è divinità protettrice), un grande porta offerte, un occhio di Horus in oro. Precedentemente la missione aveva riportato alla luce un meraviglioso gruppo in avorio con scene di donne che portano offerte, scene della vita quotidiana, rappresentazioni di piante, uccelli e animali. Inoltre, avevano ritrovato un grande architrave in pietra calcarea con testi geroglifici in rilievo, e parte di un pittura reale di un sovrano che esegue rituali religiosi nel tempio Buto.

Importante, tra i rinvenimenti, la presenza di iscrizioni geroglifiche recanti i nomi di tre sovrani della XXVI dinastia, Psammetico I, Wha Ip-Ra e Amasis.

L’edificio

Hossam Ghoneim, capo della Missione archeologica, da parte sua annuncia la scoperta dei resti di un edificio in pietra calcarea legigata dall’interno. Si tratterebbe di un enorme pozzo per l’acqua sacra utilizzata nei rituali quotidiani.

Una fotografia aerea della zona del pozzo (fonte: Ministero delle Antichità egiziano)
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ATTUALITÀ | Alla scoperta delle tombe e dei corredi faraonici con il prof. Cavillier e la dott.ssa Ferrari

Nel 1940, l’egittologo francese Pierre Montet riporta alla luce, a Tanis (nel Delta del Nilo), la tomba del faraone Psusennes I (XXI dinastia). Si tratta di una scoperta di grande valore che il professore Giacomo Cavillier, archeologo ed egittologo, docente di Egittologia e Civiltà Copta in diverse sedi universitarie, definisce “un tesoro senza precedenti”.

Il professore Giacomo Cavillier

Ed è proprio per celebrare una scoperta che ha permesso di muovere nuovi passi verso la ricerca scientifica degli scavi in Egitto che viene realizzato un cortometraggio in onore di Montet. L’Egitto di Pierre Montet, cortometraggio girato a Genova nel luglio 2021 e firmato dal regista genovese Enrico Cirone.

Una location d’eccezione

Per la realizzazione del cortometraggio si è scelta una sede storica del panorama genovese: una delle torrette d’avvistamento della delegazione di Cornigliano, a Villa Gentile-Bickley, innalzata nel 1500.

In una scenografia altamente suggestiva il corto riporta indietro nel tempo, agli anni ’40, alla stagione in cui Montet scoprì le tombe completamente intatte di tre faraoni: Psusennes I, Amenemope e Sheshonq II.

E se l’egittologo francese ha dedicato anche capitoli interi con descrizioni particolareggiate dei materiali di cava e delle tecniche di lavorazione, ecco che arriva, preciso e puntuale, il racconto affascinante, di competenza della gemmologa Stefania Ferrari. Lo spettatore si ritroverà, così, abbagliato dalla luce di alabastro, turchese e lapislazzuli, alla luce del tesoro di Tanis (il sarcofago in argento finemente lavorato), arricchendo le conoscenze e completando l’eccezionalità della scoperta archeologica.

Ma il presagio della Seconda guerra mondiale arriva anche qui, a Cornigliano, e passa per primo dalla torre d’avvistamento di Villa Gentile-Bickley, quando le due attrici alle spalle dei protagonisti osservano il cielo e colgono foschi e cupi presagi. La guerra che devasterà l’Europa è alle porte ed è la stessa che farà interrompere tutti i lavori di scavo di Pierre Montet, a Tanis.

Le tombe faraoniche di Tanis

Il professor Cavillier e la gemmologa Ferrari cureranno, inoltre un incontro incentrato sulle scoperte delle sepolture faraoniche di Tanis. L’incontro di lunedì 30 Agosto 2021, alle ore 21.00, porrà l’accento sulla scoperta delle sepolture tanitiche e sui ricchi corredi in esse rinvenuti. Sarà possibile assistere all’evento grazie alla diretta sulla pagina Facebook di Ascovil.

Locandina evento

 

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NEWS | In Egitto torna alla luce un laboratorio di ceramica greco-romano

In Egitto, la missione archeologica egiziana che opera nel governatorato di Beheira, una zona nordoccidentale del Delta del Nilo, ha scoperto i resti di un grande laboratorio di ceramica, risalente all’epoca greco-romana.

Il Dr. Mustafa Waziri, Segretario Generale del Supremo Consiglio delle Antichità, ha dichiarato che si tratta di un laboratorio con alcuni edifici risalenti al periodo compreso tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C.. Ha spiegato che ci sono diverse aree divise in base alla funzionalità: dall’area per modellare l’argilla a quella per farla asciugare, momento in cui il vasellame veniva esposto al sole. La missione di ricerca, guidata da Ibrahim Sobhy, ha infatti portato alla luce l’area in cui l’argilla veniva lavorata, con l’aggiunta di additivi per predisporre le fasi di lavoro successive. All’interno dei resti murari del laboratorio, inoltre, sono stati rinvenuti alcuni strumenti utilizzati per la produzione ceramica, come utensili in metallo, frammenti del tornio e alcuni frammenti di vasi di terracotta.

I forni per la produzione ceramica

Il dott. Ayman Ashmawy, capo del settore delle antichità egiziane presso il Consiglio supremo delle antichità, ha sottolineato che le fornaci hanno fori di aerazione superiori, a corrente ascensionale. Queste sono state realizzate con mattoni rossi e circondate da spesse pareti di mattoni di fango per resistere alla pressione risultante dal processo di combustione. Tra i resti, anche frammenti di stoviglie incombuste e altre materie prime.

Un insediamento a lungo frequentato

Da parte sua, il professor Sobhy ha affermato che la stessa ha portato in luce anche la porzione di un abitato con costruzioni in mattoni di fango. In alcune di queste erano presenti vasellame ceramico per l’uso quotidiano, forni di cottura, silos di stoccaggio e alcune proto-monete in bronzo. L’area presenta inoltre un gruppo di sepolture in mattoni crudi in cui sono presenti vasi funerari in ceramica, alabastro e rame.

Secondo il professor Sobhy queste sepolture risalirebbero al periodo protodinastico. Gli antichi egizi, sempre secondo Sobhy, si erano stabiliti in quella zona dai tempi storici fino all’epoca romana. Materiali del periodo protodinastico, uniti a elementi di epoca greco-romana, secondo il professor Sobhy testimonierebbero una continuità abitativa dell’insediamento.

Egitto scoperto laboratorio di ceramica periodo greco-romanoImmagini in testo e copertina: fonte Ministero delle Antichità Egiziano.

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ACCADDE OGGI | Nasce Alessandro Magno, il Re dei Re

Il 20 luglio del 356 a.C. la città di Pella (la seconda capitale del regno di Macedonia) vide la nascita del Re dei Re, uno dei più celebri conquistatori e strateghi della storia, Alessandro Magno.

Educazione giovanile
Aristotele insegna ad Alessandro, incisione di Charles Laplante in: Louis Figuier, Vie des savants illustres – Savants de l’antiquité (tome 1), Paris, 1866

Figlio del re Filippo II e della regina Olimpiade, fu sempre attirato dalla storia “mitica” su cui ponevano le basi le due famiglie genitoriali (discendenza da Eracle e da Achille). Filippo decise di dare al figlio un’educazione greca scegliendo come maestro il filosofo Aristotele, il quale insegnò al giovane principe le scienze naturali, la medicina, l’arte e la lingua greca.

L’ascesa di Alessandro

Fin da subito Alessandro mostrò le sue abilità di condottiero: difese la macedonia dalla rivolta della tribù tracia dei Maedi nel 340 a.C. e guidò con il padre una spedizione in Grecia nel 338 a.C., dove si scontrarono e vinsero con gli eserciti congiunti di Tebe e Atene; in seguito, discese fino a Corinto dove, nel 337 a.C., costituì una nuova alleanza panellenica con a capo Filippo stesso.

Medaglione raffigurante Filippo II, prodotto dall’imperatore Alessandro Severo

Dopo il rientro a Pella scoppiarono delle tensioni tra Filippo e Alessandro, scaturite dal nuovo matrimonio del re macedone che rischiava di minare la posizione del principe; i dissidi culminarono con un esilio forzato di Alessandro e sua madre per sei mesi, dopo Alessandro ricevette il perdono del padre. Nel 336 a.C. il re venne assassinato, durante una manifestazione pubblica, da una delle sue guardie, Pausania; Alessandro venne subito proclamato re dall’esercito dai dignitari macedoni a soli vent’anni.

Alessandro Magno, III sec. a.C. – Museo Archeologico di Istanbul
Il consolidamento del potere

Alessandro, salito al trono, consolidò il suo potere in patria con l’aiuto del vecchio consigliere del padre Antipatro, eliminando chi poteva contestare la sua posizione. In seguito, pose il suo sguardo sulla penisola ellenica, dove, alla notizia della morte di Filippo, erano scoppiate rivolte a Tebe, Atene e in tutta la Tessaglia. La sua ascesa riportò la Grecia sotto la sfera macedone: fu messo a capo della Lega Ellenica e dell’esercito per la spedizione contro l’impero persiano.

La situazione politica in Grecia nel 336 a.C.
L’impero di Alessandro

Nella primavera del 334 a.C. Alessandro, dopo aver lasciato al fidato Antipatro la reggenza di Macedonia, passò l’Ellesponto alla guida di un grande esercito. Si susseguirono vittorie ed episodi celebri: nei pressi del Granico (vicino al sito di Troia), l’episodio del nodo Gordiano. Uno degli avvenimenti principali di questa spedizione è stata sicuramente la conquista dell’Egitto nel 332 a.C., qui il re macedone venne accolto come liberatore e consacrato a faraone; nel Delta, sulla costa mediterranea, fu costruita la città che porta il suo nome: Alessandria d’Egitto.

Cartiglio di Alessandro Magno nel tempio di Luxor

Ma la battaglia che consegnerà ad Alessandro il titolo di re d’Asia fu quella di Gaugamela del 331 a.C. I macedoni sfidarono in campo aperto le forze persiane e, forti della vittoria, iniziarono l’inseguimento del re persiano Dario, il quale fuggì dalla battaglia; nel corso di questa marcia, che durò alcuni mesi, Alessandro entrò a Babilonia e a Persepoli. Dario venne trovato morto nel corso del 330 a.C. e venne seppellito dal re macedone con tutti gli onori nelle tombe reali.

Le principali battaglie dell’impero macedone
Gli ultimi anni di vita

In seguito a eventi avvenuti tra il 328 ed il 327 a.C., tra cui la scoperta di una congiura a suoi danni, Alessandro decise di effettuare una spedizione in India con lo scetticismo del suo esercito. Qui incontrò diverse difficoltà legate sia ai potentati indiani sia al crescente malcontento tra i suoi ranghi (formati sempre più da soldati asiatici), che spinsero il condottiero macedone a non proseguire oltre, ma a seguire il corso dell’Indo fino alla foce. Questo percorso non fu comunque privo di pericoli; durante l’assedio di Aorno (odierna Pir Sar, Pakistan) una freccia colpì Alessandro, il quale scampò di poco alla morte.

Karl von Piloty, La morte di Alessandro Magno, 1886

Nel 323 a.C., una volta rientrato nel cuore del suo impero, mentre preparava la spedizione in Arabia, morì a Babilonia. Diverse sono le ipotesi legate alla sua morte:

  • ricaduta della malaria che lo aveva colpito anni prima;
  • avvelenamento;
  • tifo;
  • abuso di alcol con conseguenti danni al fegato;
  • sindrome di Guillain-Barré, seguita da una febbre intestinale batterica.
Accadde oggi

ACCADDE OGGI | Il ritrovamento della Stele di Rosetta

Era il 15 luglio 1799 quando Pierre-François Bouchard, capitano durante la campagna napoleonica in Egitto, ritrovò la stele nera destinata a divenire uno dei reperti più famosi al mondo. La Stele di Rosetta, in granito nero, deve il suo nome alla località in cui fu rinvenuta, Rosetta, nome latinizzato di Rashid, nel governatorato di Buhayra, nel Delta del Nilo. A lungo contesa tra Francia e Inghilterra, la stele raggiunse la sua attuale sede già nel 1802, divenendo una delle attrazioni principali del British Museum.

LA Stele di Rosetta al British Museum (immagine via Cultura – Biografieonline)

 

Il rinvenimento

La lastra granitica, di dimensioni decisamente notevoli (112,3×75,7×28,4 cm), ritornò alla luce durante dei lavori per la riparazione del forte di Rosetta, Fort Julien, da parte dei francesi. Il rinvenimento è, solitamente, attribuito al capitano Bouchard. Tuttavia, fu un soldato ignoto a tirarla fuori durante i lavori. Si deve però proprio a Bouchard l’intuizione che si trattasse di qualcosa di importante. Il capitano, infatti, la mostrò e consegno al generale Jacques François Menou con cui, ad agosto, arrivò ad Alessandria.

Fort Julien in un disegno del 1803 (fonte Wikimedia Commons)

Nel 1801 i francesi furono costretti ad arrendersi agli inglesi. Di conseguenza, la maggior parte dei reperti egizi partì per l’Europa su navi inglesi e, tra questi, anche la stele diretta a Londra.

Un passo verso la decifrazione dei geroglifici

La fama della stele risiede nel suo fondamentale ruolo nella decifrazione dei geroglifici. Nonostante l’ampia porzione di testo mancante, la stele contiene un testo riportato in tre diverse grafie su tre registri: geroglifico, demotico e greco. Sebbene geroglifico e demotico fossero la stessa lingua, si tratta di due grafie differenti destinate ad ambienti differenti.

Possibile ricostruzione della parte mancante della stele (fonte Wikimedia Commons)

Il geroglifico, infatti, è la scrittura sacra, usata dai faraoni e dai sacerdoti per rivolgersi, principalmente, alle divinità. I templi, infatti, ne sono pieni, così come anche molti monumenti. È la scrittura monumentale, quella delle comunicazioni solenni. Il demotico, d’atro canto, è la “scrittura del popolo”, quella corsiva e sbrigativa, utilizzata per le lettere, per il commercio e per gli affari. Nell’Epoca Tarda, inoltre, il demotico veniva anche usato per i testi ufficiali a causa della conoscenza dei geroglifici oramai limitati alla sola classe sacerdotale

La parte in greco, invece, si cala perfettamente nel tempo a cui appartiene la stele. Su essa, infatti, è riportato un decreto tolemaico del 196 a.C. per un’assemblea sacerdotale in onore del faraone Tolomeo V Epifane, allora tredicenne, in occasione del primo anniversario della sua incoronazione, un decreto destinato a raggiungere tutti. Secondo l’iscrizione, inoltre, analoghi testi del decreto dovevano comparire in ognuno dei principali templi egizi.

La stele di Rosetta (fonte Wikimedia Commons)

La stele, unitamente allo studio di testi di epoche precedenti, garantì al mondo degli studiosi un nuovo punto di partenza fondamentale per il lavoro di decifrazione dei geroglifici compiuto, nel 1822, da Jean-François Champollion.

Ed è proprio nella città natale di Champollion, Figeac, che l’artista Joseph Kosuth ha realizzato una riproduzione ingrandita (14mx7,9m) della stele, scolpita in granito nero dello Zimbabwe, in omaggio dello studioso e della sua impresa.

Riproduzione della stele di Rosetta a Figeac, opera di Joseph Kosuth (fonte Wikimedia Commons)
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NEWS | La scoperta di un unguentario “egizio” in una sepoltura etrusca intatta a Vulci (VT)

Già qualche anno fa, prima nel 2013 e poi nel 2016, alcuni reperti provenienti dall’area di Vulci (VT) sottolineavano un collegamento con l’Egitto. Si trattava, come scrive in un suo articolo il dott. Mattia Mancini, di tre scarabei che si inserivano perfettamente in quella che era una fase Orientalizzante” (VIII-VI sec. a.C. circa). Durante questo periodo si assistette a una larga diffusione, in tutto il Mediterraneo, di diverso materiale proveniente da Egitto, Mesopotamia, Siria, Anatolia e Cipro, prevalentemente.

È di pochi giorni fa, invece, l’annuncio dell’apertura della sepoltura di una donna, databile al VI sec. a.C., inviolata da 2600 anni, nella necropoli dell’Osteria. Al suo interno erano presenti i resti ossei, ancora in connessione anatomica, di una donna di circa 20 anni. Aveva un corredo funerario comprendente vaghi di collana in ambra, un’olla chiusa da una coppa greca in stile ionico e tre in bucchero (ceramica tipicamente etrusca); ma anche un kyathos (attingitoio) e un’oinochoe (brocca da vino).

vulci
Un’immagine del ritrovamento (fonte: Il Mattino)

Nell’edizione del 18 giugno 2021 del TGR Regione Lazio è possibile vedere, al minuto 9 circa, il servizio sull’apertura della tomba inviolata.

Un rinvenimento particolare

Ad attirare maggiormente l’attenzione degli studiosi su questa sepoltura è un piccolo oggetto in faience azzurra, un unguentario che rappresenta una donna accovacciata con la schiena coperta da una pelle maculata, probabilmente di leopardo (gialla con macchie nere), con una acconciatura corta e riccioluta e, tra le gambe, un grande contenitore ceramico chiuso con un tappo a forma di rana (di cui manca la testa).

«Non è un oggetto unico, ma molto raro», afferma Carlo Casi, a capo dell’equipe della Fondazione Vulci. «La nostra tomba è molto importante perché intatta e questo ci consente di poter ricostruire l’identikit del defunto. Abbiamo un’ipotesi un po’ ardita. La ragazza potrebbe essere stata in vita un’addetta alla mescita del vino. Anche il balsamario, con la chiusura in pelle del vaso rimanda al processo della fermentazione di liquidi (forse la birra). Nell’Antico Egitto la birra era molto consumata e per essere prodotta doveva subire un lento processo di fermentazione. La chiusura (dell’unguentario, ndr) in pelle serviva a facilitare la fermentazione».

Unguentario da Vulci (immagine via Scienzenotizie)
Gli unguentari del Nilo

Il realtà, almeno nel loro contesto originario, questa tipologia di unguentari, detta “Nilo”, fungeva da contenitori per l’acqua del sacro fiume e, in un secondo momento, come hanno chiarito le analisi chimiche svolte su tali oggetti, erano stati utilizzati come contenitori per latte o sostanze oleose. Da “fiaschette” per l’acqua sacra del Nilo erano divenuti veri e propri unguentari per oli e profumi, molto in voga nei corredi funerari femminili. La giara tenuta dalla figurina, alla luce di ciò, non può fungere da contenitore per vino o birra e, nel contesto di Vulci, difficilmente può dare una conferma circa l’identità (quantomeno lavorativa) della defunta (fonte Djed Medu). Spetterà alle analisi scientifiche chiarire il contenuto del piccolo contenitore, qualora fosse possibile analizzarne eventuali residui.

Unguentario di ispirazione egiziana prodotto a Rodi (VI-V sec. a.C.), molto simile all’esemplare di Vulci

Sia la pelle di leopardo, sia l’acconciatura, sia il materiale in cui è realizzato l’oggetto fanno propendere per l’attribuzione della sua origine a un contesto egiziano. Tuttavia, sottolinea il dott. Mancini, di questi vasetti antopomorfi se ne trovano diversi esemplari soprattutto fuori dal’Egitto, come in Grecia (principalmente a Rodi) e nella Magna Grecia (Sicilia, Campania ed Etruria). Molti studiosi ritengono che si tratti, invece, di una serie di oggetti prodotti nell’isola di Rodi, frutto di un mix di elementi iconografici greci ed egiziani: la parrucca “hathorica” (legata ad Hathor), corta e riccioluta, ad esempio, richiama anche quella della dea cananea Astarte.