antica Grecia

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Adriano, il “Graeculus” che divenne imperatore

L’evento 

Il 24 gennaio 76 d.C.  nacque ad Italica, in Spagna, Publio Elio Traiano Adriano che, in seguito, divenne l’imperatore Adriano. Costui fu noto per essere un grande amante delle arti e delle lettere, specialmente della cultura greca, per questo venne soprannominato Graeculus

Immagine ritraente il busto di Adriano, raffigurato con la barba che era solito portare secondo l’usanza greca – Musei Capitolini, Roma (immagine dal web)

Il cursus honorum di Adriano

Adriano perse entrambi i genitori tra l’85 d.C. e l’86 d.C. Il padre, Publio Elio Adriano Afro era imparentato con l’imperatore Traiano. Quest’ultimo, non avendo figli, adottò insieme alla moglie Plotina, l’orfano. La madre adottiva lo aiutò nell’ascesa al potere attraverso il cursus honorum e si pensa che dietro la nomina a imperatore ci sia proprio lei. Il ragazzo, del resto, crebbe sotto la guida del padre che lo istruì nell’arte della guerra. La sua carriera fu ulteriormente agevolata quando l’imperatore Nerva nominò, per adozione, come suo successore, Traiano. Nel 98 d.C. si trovava nella Germania Superior. Ricoprì, inoltre, per tre volte la carica di tribuno militare in Pannonia, in Mesia e in Germania.  

La nomina ad imperatore  

Nel 117, dopo la morte di Traiano, i soldati, dai quali era molto stimato, lo nominarono imperatore. Adriano fu previdente e prima di accettare il potere, chiese conferma al Senato, che la approvò. Nel 118 giunse a Roma per ratificare la nomina ad imperatore e, in questa occasione, condonò i debiti verso il fisco ai cittadini. Fin da subito il suo regno si distinse per una rinascita culturale in tutti i campi: nelle arti, nelle lettere, nella musica, nella pittura e nella filosofia, soprattutto guardando alla Grecia e alla cultura classica. Il rinnovamento culturale andò di pari passo con quello politico. Non tutti erano soddisfatti delle sue tendenze elleniche e di una politica difensiva, piuttosto che espansiva, e ciò sfociò in una congiura.  

Monete auree che ritraggono l’imperatore Adriano

Riforme interne 

Non appena eletto imperatore, Adriano giurò di non mettere mai a morte dei senatori. All’indomani della congiura, però, i senatori complici di ciò vennero condannati a morte senza la sua approvazione e, per dimostrare la coerenza con quanto affermato, rimosse i colpevoli della condanna dalle cariche che esercitavano. Adriano principalmente riformò l’amministrazione e l’esercito, da tempo corrotto e dedito al lusso; stabilì un editto pretorio secondo cui un magistrato all’inizio del mandato, comunicava i principi giuridici generali. Inoltre, istituì un Consilium principis: questo era costituito da funzionari scelti in base sui meriti. Sotto Adriano vennero dati anche stipendi e una possibilità di carriera ai vari funzionari, mentre a livello giuridico tolse il diritto di vita e di morte dei padroni sugli schiavi. Soprattutto, cercò di riportare l’esercito al suo antico rigore: i soldati avrebbero dovute vivere frugalmente, abituandosi alle fatiche dei viaggi ed esercitandosi regolarmente con le armi. 

Roma come doveva apparire ai tempi dell’imperatore Adriano in un dipinto di Gaspar van Wittel, XVII sec. (immagine da storicang.it)
La politica estera

Molti storici lo inseriscono tra gli “imperatori buoni” per la sua politica estera, volta al mantenimento della pace; eppure, non mancarono dei momenti di crisi nelle province. Adriano dovette affrontare la crisi in Armenia, Mauritania e Scozia, dove i caledoni sconfissero i romani di istanza al confine tra la Britannia romana e la Caledonia (l’attuale Scozia). In tale occasione fece costruire il Vallo di Adriano, che doveva fungere da confine (si conserva ancora oggi ed è diventato patrimonio dell’umanità UNESCO nel 1987). Sviluppò inoltre, tra il Reno e il Danubio, ulteriori mura difensive. Adriano risolse anche le controversie in Mesopotamia, Assiria e nel regno di Palmira. A partire dal 131 d.C. fino al 136 d.C., negli ultimi anni di regno, dovette sedare una rivolta a Gerusalemme, che venne distrutta; al suo posto sorse Elia Capitolina e al posto del tempio di Jehovah fece erigere il tempio di Giove Capitolino, che suscitò lo sdegno degli ebrei.  

Il Vallum Hadriani che divideva la Britannia romana dall’attuale Scozia (immagine da storicang.it)
I viaggi

Adriano passò due terzi del suo mandato in viaggio, con lo scopo di verificare la situazione nelle province. Queste ultime erano considerate dall’imperatore non come territori da sfruttare, bensì come parti integranti dell’impero da arricchire con templi, biblioteche, bagni, scuole e strade funzionanti. Dopo il 119 d.C. visitò la Gallia, la Spagna, l’Africa, l’Oriente, l’Egitto, l’Asia Minore e la Grecia. Qui rivitalizzò Atene, facendo costruire una biblioteca, un arco trionfale e un tempio della Fortuna. Famosa è la villa che fece costruire a Tivoli, che si estende per 17 km e comprende al suo interno un isolotto. Varie città presero il suo nome, tra cui Adrianopoli. In Egitto, dopo la morte del suo amato Antinoo, annegato nel Nilo, fece erigere statue e, nel 130 d.C., una città prese il nome di Antinoopoli. Adriano morì qualche anno dopo, nel 138, a seguito di una malattia. 

Ciò che resta della villa di Adriano a Tivoli (immagine da romanoimpero.com)

 

Statua di Antinoo, nota come Antinoo Braschi, rinvenuta in degli scavi tra il 1792 e il 1793 a Praeneste, venduta a papa Pio VI per il suo palazzo Braschi, oggi ai Musei Vaticani (immagine da museivaticani.va)
L’impatto culturale di Adriano

La figura di Adriano suscitò un certo interesse, soprattutto a livello culturale. Fu uno degli imperatori che più amò la cultura, soprattutto greca, tant’è che parlava benissimo il greco. Egli nutriva un amore spropositato per la Grecia ed era la provincia che più gli stava a cuore. Nel 1951 la scrittrice Marguerite Yourcenar dedicò un libro all’imperatore, Memorie di Adriano, in cui descrive la sua carriera politica e i suoi numerosi viaggi tutti dall’ottica di Adriano, come se fosse un diario; l’autrice si sofferma soprattutto sulla relazione con Antinoo e sul dolore che provò dopo la sua morte. In questo modo, Adriano diventa uno degli imperatori più “umani” che regnarono sull’Impero Romano. 

La copertina del libro “Memorie di Adriano” (immagine da einaudi.it)
News

NEWS | Dalla Sicilia alla Grecia, un frammento del Partenone torna a casa

Si tratta del “Reperto Fagan”, un frammento del fregio del Partenone custodito nel museo archeologico  “A. Salinas” di Palermo dal 1820. Il prezioso frammento è costituito dal piede di una Dea (Peitho o Artemide), avvolto dalla parte finale della veste che scende in un morbido e meraviglioso drappeggio. Questo tassello di storia volerà presto dalla Sicilia alla Grecia, per ricongiungersi al suo contesto d’origine.

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Il frammento del fregio del Partenone, conservato al “Salinas” di Palermo
Uno scambio culturale tra Sicilia e Grecia

“Il Reperto Fagan in cambio di una statua acefala di Atena, della fine del V secolo a.C., e un’anfora geometrica della prima metà dell’VIII secolo a.C.”. Questo è quanto prevede l’accordo siglato dal Museo Archeologico RegionaleA. Salinas” di Palermo e dal Museo dell’Acropoli di Atene. L’accordo prevede che per un periodo di 4 anni, rinnovabile una sola volta, il Salinas trasferisca al Museo dell’Acropoli di Atene il frammento appartenente al Partenone. Il frammento è attualmente conservato a Palermo, poiché parte della collezione archeologica del console inglese Robert Fagan. Fagan aveva acquistato il reperto ad Atene agli inizi del XIX secolo. Alla morte di quest’ultimo, il piccolo piede della Dea era passato in eredità alla moglie. Acquistato dalla Regia Università di Palermo nel 1820, il Reperto Fagan sembrava aver trovato la sua destinazione finale, ma era troppo lontano da casa.

La Sicilia come apripista in una questione aperta da tempo

L’accordo, fortemente voluto dall’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà, condiviso con la Ministra greca della Cultura e dello Sport, Lina Mendoni, ha un forte valore simbolico. Il piccolo piede della Dea che muove verso casa, infatti, rappresenta un grande passo in avanti nella questione del ritorno in Grecia dei reperti del Partenone. Il frammento Fagan non è l’unico reperto ateniese “fuori posto”. Custoditi nei musei di tutto il mondo, si trovano molti reperti, tasselli di ciò che un tempo costituiva la grandiosa Acropoli di Atene, in particolare di ciò che costituiva il Partenone. Da più di quarant’anni, ormai, la Grecia chiede che le vengano restituiti tutti i componenti di marmo trafugati dal Partenone a partire dal 1800. Basti pensare al British Museum di Londra, che tra i numerosi reperti sottratti dall’Acropoli, conserva gelosamente una delle sei cariatidi del tempietto dell’Eretteo. Al museo archeologico di Atene, dove sono conservate le altre cinque figure femminili, c’è uno spazio vuoto là dove dovrebbe esserci la sesta cariatide: un messaggio non troppo velato rivolto al museo britannico, in attesa che anche l’ultima statua torni al suo posto.

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Le cinque cariatidi esposte al Museo dell’Acropoli di Atene. Lo spazio vuoto, in attesa del ritorno in patria della sesta figura femminile, ancora in possesso del British Museum di Londra
Un legame di fratellanza che lega la Sicilia e la Grecia da tempi antichissimi

Il ritorno a casa del Reperto Fagan suscita grande gioia e fiducia dell’istituzione greca nei confronti della Sicilia: “L’approdo del Fregio palermitano presso il Museo dell’Acropoli – sottolinea il direttore del Museo dell’Acropoli di Atene, Nikolaos Stampolidis – risulta estremamente importante soprattutto per il modo in cui il Governo della Regione Siciliana, oggi guidato da Presidente Nello Musumeci, ha voluto rendere possibile il ricongiungimento del Fregio Fagan con quelli conservati presso il Museo dell’Acropoli. Questo gesto già di per sé tanto significativo, viene ulteriormente intensificato dalla volontà da parte del Governo Regionale Siciliano, qui rappresentato dall’Assessore alla Cultura ed ai Beni dell’Identità Siciliana Alberto Samonà, che ha voluto, all’interno di un rapporto di fratellanza e di comuni radici culturali che uniscono la Sicilia con l’Ellade, intraprendere presso il Ministero della Cultura italiano la procedura intergovernativa di sdemanializzazione del Fregio palermitano, affinché esso possa rimanere definitivamente sine die ad Atene, presso il Museo dell’Acropoli suo luogo naturale”.

Accadde oggi

ACCADDE OGGI| Il 22 luglio 776 a.C. nascevano i primi Giochi olimpici

«Come l’acqua è il più prezioso di tutti gli elementi, come l’oro ha più valore di ogni altro bene, come il sole splende più brillante di ogni altra stella, così splende Olimpia, mettendo in ombra tutti gli altri giochi»

(Pindaro, Olimpica I, 1)

giochi olimpici Pindaro
Busto di Pindaro

 

Se esiste qualcuno in grado di farci comprendere l’importanza dei Giochi olimpici nel mondo antico, quello è sicuramente il poeta Pindaro, vissuto in Grecia tra il 518 a.C. e il 438 a.C. circa. In barba allo spirito con cui il barone Pierre de Coubertin (1863-1937), promotore dei moderni Giochi olimpici, sosteneva che “L’importante non è vincere, ma partecipare”, Pindaro era di tutt’altro avviso. Le Olimpiadi, nel mondo greco erano un evento importantissimo, capace di mettere in pausa anche le guerre più sanguinose, e vincerle, per gli atleti, significava guadagnare gloria eterna per sé e per la polis da cui provenivano.

L’importanza dei giochi nell’antica Grecia

La cultura delle competizioni sportive, nel mondo greco, ha origini molto più antiche del periodo in cui Pindaro scrive le sue Olimpiche, elogiando i vincitori delle diverse discipline. La prima testimonianza scritta dei “giochi” la ritroviamo nell’Iliade di Omero, in occasione dei giochi funebri in onore di Patroclo. Dalla corsa dei carri a quella a piedi, dal tiro del giavellotto, al tiro con l’arco e al pugilato, nel poema Omerico ritroviamo tutte le discipline che caratterizzeranno le future Olimpiadi. Ma quando nascono le Olimpiadi? E perché sono così importanti? Prima di rispondere a queste domande, occorre tenere a mente il legame indissolubile che esisteva tra i giochi e la religione, aspetto fortemente caratterizzante della vita nell’antica Grecia.

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Giochi in onore delle nozze di Peleo e Teti, dal Cratere François 

 

Olimpia, la grande festa dedicata a Zeus e i giochi in suo onore

Ad Olimpia, situata nell’Elide (Peloponneso nord-occidentale), sorgeva un santuario dedicato a Zeus. La florida regione dell’Elide, con i suoi boschi e prati fioriti, era considerata un luogo talmente bello che doveva per forza essere stato creato in circostanze divine. Ogni anno, in estate, il santuario accoglieva pellegrini provenienti da tutta la Grecia, per partecipare alle celebrazioni in onore di Zeus. Cerimonie, processioni e sacrifici, per rendere omaggio al padre di tutti gli dei, ma non solo. Dopo aver giurato solennemente, gli atleti, provenienti da tutte le città-stato della Grecia, erano finalmente pronti a scendere in campo e sfidarsi nei giochi Olimpici. Se i perdenti uscivano a testa bassa dallo stadio, con il pesante fardello del disonore sulle spalle, i vincenti tornavano nella loro polis da eroi. Loro, e solo loro, avevano tenuto fede al giuramento solenne in cui affermavano di “essersi duramente preparati con il solo scopo di vincere”.

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La Vittoria alata che incorona un atleta vincitore. Raffigurazione in un vaso a figure nere
La data convenzionale del 776 a. C

Come abbiamo detto, i giochi hanno sempre fatto parte della cultura greca, erano già presenti nelle culture minoica e micenea. Sappiamo anche che i giochi Olimpici devono la loro importanza al luogo in cui sorge il santuario dedicato a Zeus. E proprio in questo luogo fu stilato per la prima volta, nel 776 a. C, un elenco con i vincitori: è possibile, quindi, desumere che si trattasse dell’esito delle prime Olimpiadi accertate storicamente. Durante la cerimonia di apertura dei Giochi, le sacerdotesse del tempio di Hera accendevano la fiamma olimpica, tramite un sistema di specchi che utilizzavano la luce solare per accendere il fuoco. Sistema utilizzato ancora oggi durante la cerimonia di accensione della fiamma olimpica per le moderne Olimpiadi.

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La cerimonia di accensione della fiamma Olimpica

 

Le prime edizioni e l’evoluzione dei Giochi olimpici

Le prime edizioni dei Giochi olimpici duravano una sola giornata e unica era anche la disciplina in cui si sfidavano gli atleti: lo stadion, una gara di corsa lunga 192 metri. I giochi si ripetevano ogni quattro anni, e le edizioni successive furono pian piano arricchite con nuove discipline. Le gare prevedevano: pugilato, corsa, pentatlon (un insieme di 5 gare come il salto in lungo), lancio del disco, lancio del giavellotto e lotta. Inoltre faceva parte dei giochi olimpici anche la corsa con i cavalli. Furono aggiunte anche le gare di poesia e di scrittura. Ciò che non riuscì a trovare posto nelle olimpiadi fu la figura femminile: le donne non potevano partecipare neanche come spettatrici.

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Pugilatori ritratti in un vaso a figure nere

 

Il declino e la fine dei Giochi olimpici

I Giochi olimpici sopravvissero alla conquista romana. L’imperatore Nerone ne organizzò un’edizione a Roma. Se i Giochi in origine erano aperti solamente ai greci, l’edizione di Nerone, alla quale partecipò lui stesso, fu aperta agli atleti provenienti da ogni parte dell’Impero Romano. Fu l’avvento del cristianesimo a porre fine alle Olimpiadi. Nel 393 d.C., l’imperatore Teodosio, dietro l’influenza del vescovo di Milano Ambrogio, soppresse i giochi, che erano nati per celebrare quelle divinità adesso tanto blasfeme e in contrasto con il nuovo Dio.

Le rovine del tempio di Zeus a Olimpia
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NEWS | Gela (CL), ritrovati i resti di pire funebri della colonia greca

Il sottosuolo di Gela torna a sorprendere gli archeologi. L’antica colonia greca, fondata nel 689-688 a.C., è una vera miniera di informazioni che riguardano il suo passato più remoto. Informazioni che negli ultimi giorni si susseguono quasi senza sosta, come se la Città avesse deciso di raccontarsi senza più riserve.

Tra i più recenti, ricordiamo i rinvenimenti dal fondale marino di Gela, che riguardano reperti databili al VI sec. a.C.

Il ritrovamento delle pire funebri 

La scoperta, che sembra databile all’VIII secolo a.C., è avvenuta in un cantiere privato, durante i lavori di demolizione di un edificio del Novecento, per la costruzione di un nuovo immobile, sul lungomare Federico II, a poche centinaia di metri dall’area archeologica di Bosco Littorio, che ospita i resti dell’emporio di età arcaica della colonia di Gela. Sul posto erano già presenti la Soprintendenza di Caltanissetta con l’arch. Daniela Vullo e la dirigente archeologica Carla Guzzone, che dispongono sempre di controlli nei cantieri privati di una città che un tempo fu un’importante colonia greca.

Sotto uno strato di terra databile al VII secolo a.C. sono state rivenute tre strutture in terra, al cui interno si è conservato uno strato di cenere, legna carbonizzata e frammenti di ossa umane. Una di queste fu utilizzata per la cerimonia funebre di un neonato di pochi mesi, a giudicare dalle dimensioni dei resti del cranio e da un piccolo ciondolo a forma di corno ritrovato tra le ceneri. Sono visibili anche i fori nel terreno per l’installazione della pira in legno, sulla quale veniva adagiato il corpo del defunto per la cerimonia funebre.

La pira funebre nella storia e l’importanza della cerimonia funeraria per i greci

L’eccezionalità del ritrovamento risiede nell’importanza del cerimoniale che aveva il compito di purificare l’anima del defunto e accompagnarla nel regno di Ade, dio dei morti.

Tale importanza è riportata in moltissime forme, dalla rappresentazione dei roghi sulla ceramica dipinta, alle rappresentazioni teatrali, fino alla forma scritta. E proprio parlando di fonti scritte, già Omero nell’Iliade dedica moltissima importanza alla cerimonia funebre degli eroi nel suo poema. Grazie alla ricchezza di dettagli che riguardano la cerimonia funebre di Patroclo, sappiamo che il funerale per gli antichi greci era un momento molto importante per i parenti e cruciale per il defunto. In gioco c’era la salvezza della sua anima e il transito da questo mondo a quello dei morti, cosa che sarebbe avvenuta solo se tutti i passaggi della cerimonia fossero stati effettuati correttamente.

Dal lavaggio del corpo, ai lamenti delle donne, al banchetto in sua memoria procedendo con la processione che accompagnava il corpo al luogo dove le sue spoglie mortali sarebbero diventate ceneri alla sepoltura: tutto doveva svolgersi seguendo i rigidi canoni della tradizione, o il defunto non avrebbe raggiunto l’Ade e sarebbe rimasto a vagare sotto forma di spirito maligno.

Il ritrovamento di Gela rappresenta solo uno di questi passaggi, il più significativo forse, ma non l’ultimo. Dopo il rogo, infatti, le ceneri e le ossa, che resistevano al fuoco, venivano raccolte in un contenitore funerario e trasportate nella tomba che le avrebbe custodite in eterno.

L’area funebre più antica di Gela

Per avere una datazione certa bisognerà aspettare la fine dello scavo archeologico e le analisi effettuate in laboratorio. Se dovesse essere confermata la datazione all’VIII secolo a.C., questa diverrebbe l’area funebre più antica della storia greca di Gela. Ma su questo gli archeologi non si pronunciano ancora.

L’attenzione è tutta sullo scavo in corso, seguito da Antonio Catalano, ispettore onorario nominato dalla Regione, dal direttore dei lavori arch. Enzo Insalaco e dal proprietario del terreno Alessandro D’Arma, che si è dichiarato molto felice per la sensazionale scoperta. Le operazioni si stanno svolgendo in stretta relazione con la Soprintendenza di Caltanissetta. Dopo la necropoli dei primi coloni in via di Bartolo, portata alla luce su area pubblica dallo stesso archeologo Gianluca Calà e che sta per diventare museo all’aperto con i fondi di Open fiber, il sottosuolo gelese continua a restituire preziosi tasselli di storia.

Resti delle pire funebri da “La Sicilia”