Gli scavi per la realizzazione del collettore fognario sud-est di Palermo hanno riportato alla luce una sepoltura, probabilmente databile al III secolo a.C., secondo quanto dichiarato da Alberto Samonà, Assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana.
La scoperta
Le attività di scavo, coordinate dal RUP Ing. Francesco Morga, sono attualmente sotto la vigilanza e la direzione tecnico-scientifica della Soprintendenza dei Beni culturali di Palermo, diretta da Selima Giuliano.
L’area del ritrovamento, al di sotto di Piazza Indipendenza, sta confermando quanto già emerso dalle indagini precedentemente condotte dalla Sezione archeologica nelle zone limitrofe. Le attività di scavo in via Imera hanno permesso di riportare alla luce 116 ipogei, di ancora incerta datazione, usati come “butti”, ossia cavità progettate e atte allo sversamento di rifiuti, dal periodo islamico (X secolo) a quello normanno (XII secolo).
Già nel 2009, nella parte nord-orientale di Piazza Indipendenza, venne individuata una tomba a camera risalente al III secolo a.C. Secondo gli studiosi, la sepoltura rinvenuta fa parte dell’ area della necropoli punica.
Le indagini
Al momento, le indagini si concentrano su un’area di circa 225mq dalla quale è emersa una porzione di cava, probabilmente utilizzata per l’estrazione di materiale da costruzione in età punica. Nell’area, una tomba a fossa, contenente uno scheletro con un vasetto di corredo, attesta l’uso sepolcrale della zona. Della tomba manca la parte superiore che sembra sia andata perduta già nell’antichità, durante un’ulteriore attività estrattiva.
L’area fu frequentata in età medievale, a testimonianza di ciò vi è il rinvenimento del pozzo a pianta quadrata. Il pozzo ha restituito manufatti di età islamica e normanna, dimostrando la continuità dell’usufrutto del sito.
Si tratta, chiaramente, di notizie preliminari. Le attività di scavo sono tuttora in corso, e solo le analisi successive potranno fornire una lettura maggiormente accurata del contesto.
Riprendono gli scavi nell’area archeologica dell’antica Solunto, nei pressi di Santa Flavia (Pa) , effettuati dall’Università di Palermo dopo alcuni ritrovamenti dello scorso anno.
I lavori
I lavori fanno parte del programma didattico dei corsi di laurea magistrale in Archeologia e laurea triennale in Beni culturali sotto la supervisione dei professori Elisa Chiara Portale e Gilberto Montali.
La zona interessata dalle ricerche è l’area sacra, dove si trova al santuario a monte del teatro; per l’inizio dei lavori si sono resi necessari alcuni interventi di pulizia preliminare ed in seguito l’apertura di alcuni saggi finalizzati alla verifica stratigrafica. Gli scavi hanno mostrato un legame tra il teatro e il terrazzo superiore con il tempio a due celle (della metà del II sec. a.C. circa). La stratigrafia dell’area mostra il passaggio dalle fasi antiche del IV secolo fino alla sistemazione architettonica, attualmente visibile, della metà del II secolo a.C.
Nuove possibilità
I dati che arrivano dai saggi confluiranno nel lavoro in corso di rilievo, documentazione ed elaborazione digitale e di ricostruzione virtuale. Infatti, queste nuove indagini vanno di pari passo con la ricostruzione virtuale, realizzata dal professor Massimo Limoncelli.
Le ricostruzioni virtuali non solo permettono una riorganizzazione delle conoscenze acquisite, ma permettono di comprendere nella sua completezza tutta l’area di scavo, oltre alla possibilità di una migliore valorizzazione delle aree ricostruite.
Le parole di Alberto Samonà
Il cantiere appena avviato si pone l’obiettivo ambizioso di rendere nuovamente fruibile il percorso antico, che saliva, costeggiando la cavea del teatro, dalla zona centrale della città ai terrazzi sacri, e di valorizzare lo straordinario complesso teatro-santuario. Un’attesa che aprirà nuovi spunti nella lettura urbanistica della città di Solunto. L’archeologia è, infatti, materia viva, capace di regalarci continuamente nuove pagine nella lettura del meraviglioso libro che è la storia antica della Sicilia
Nelle acque della tonnara del Secco a San Vito Lo Capo (TP) è stato recuperato un antico bacile di ceramica. Il reperto, quasi intatto, è stato localizzato dall’istruttore subacqueo Marcello Basile, il quale ha poi dato notizia a Pietro Selvaggio, funzionario della Soprintendenza del Mare.
Il recupero
Il bacile, recuperato dalla Soprintendenza del Mare, sarebbe stato identificato in un un louterion, oggetto di tipo rituale, utilizzato tanto a terra che sulle navi nell’antichità. Ulteriori studi ne chiariranno la datazione, che sarebbe da collocarsi fra epoca greca e romana. Il recupero è avvenuto per opera dei sub Marcello Basile e Andrea Mineo, con la presenza in immersione di Ferdinando Maurici, Soprintendente del Mare.
“Il nostro mare – sottolinea Alberto Samonà, assessore Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – continua a restituire interessanti reperti archeologici, che testimoniano la ricchezza storico culturale della Sicilia. Un patrimonio immenso, che vede la Soprintendenza del Mare costantemente impegnata con azioni di individuazione, interventi di recupero e una capillare e incessante attività di valorizzazione”.
Il frammento della lastra appartenente al fregio orientale del Partenone, il cosiddetto Reperto Fagan, potrà restare per sempre in Grecia. L’ok arriva dalla Regione Siciliana, a dare la notizia è Alberto Samonà, assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità Siciliana.
Il frammento Fagan
Raffigurato nel frammento del fregio del Partenone è il piede di una Dea, si ipotizza Artemide seduta in trono, adornato da meravigliosi drappeggi della veste. Dallo scorso 10 gennaio, il frammento si trova già al Museo dell’Acropoli di Atene dove, nel corso di una cerimonia a cui ha preso parte il premier greco Kyriakos Mitsotakis, è stato ricongiunto al fregio originale da cui era stato asportato.
Il reperto archeologico, databile al V secolo a.C., giunse all’inizio del XIX secolo nelle mani del console inglese Robert Fagan in circostanze non del tutto chiare. Alla morte di quest’ultimo fu lasciato in eredità alla moglie che lo vendette tra il 1818 e il 1820 al Regio Museo dell’Università di Palermo, l’attuale Museo Archeologico A. Salinas.
Via libera alla sdemanializzazione
Il destino del frammento è stato una delle questioni più dibattute di sempre in ambito archeologico. Grazie all’ esito degli accordi dei mesi scorsi tra il Governo della Regione Sicilia e il Governo di Atene, è stato deciso il ritorno del frammento in marmo pentelico nella capitale greca. Con la delibera di Giunta è stato dato il consenso alla sdemanializzazione del bene, ossia l’atto tecnico necessario per la definitiva restituzione del bene.
Ad oggi si attende unicamente il nulla osta finale del Ministero della Cultura. Così facendo la Sicilia si pone come apripista per il ritorno in Grecia dei frammenti dell’opera di Fidia.
Inoltre, ai sensi dell’art.67 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e grazie all’accordo tra i due governi, a febbraio da Atene è arrivata a Palermo un’importante statua acefala della Dea Atena, databile al V secolo a.C. e che resterà nelle sale del museo Salinas per quattro anni. Al termine del periodo giungerà al suo posto un’anfora geometrica.
Nella riorganizzazione degli uffici regionali, pensata dalla giunta Musumeci e approvata dalla giunta, troviamo la cancellazione delle sezioni specialistiche delle soprintendenze. L’esecutivo regionale, con una semplice disposizione amministrativa, ha soppresso le sezioni specialistiche, demolendo la competenza disciplinare cara al Codice dei Beni culturali e del paesaggio.
Uccidere le soprintendenze
Lo scopo della delibera è quello di accentrare nelle soprintendenze i controlli sui settori specialistici, depotenziando all’effettivo la capacità di verifica. La mossa non avrebbe effetto sul numero di incarichi da dirigente: resteranno 121 postazioni dirigenziali.
Il dato è principalmente politico. Già nel 2018 il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, in una conferenza a Palazzo d’Orleans tentò di abolire le soprintendenze. Un refuso, come venne definito da Sergio Gelardi, all’articolo 14 della legge di stabilità regionale. Musumeci affermò: “per alcune è necessaria un’azione farmacologica, per altre invece servono interventi chirurgici profondi”.
E adesso? Un altro refuso?
C’è da dire che alle soprintendenze siciliane manca di tutto, dagli strumenti, al personale, ai fondi. Questa delibera rischia di dare il colpo di grazia su ciò che resta dei presidi a tutela del patrimonio culturale, concepiti in Sicilia alla fine degli anni Settanta.
La delibera
La delibera della Giunta Musumeci del 10 marzo scorso ha definitivamente eliminato le unità specialistiche delle soprintendenze. Le unità disciplinari sono state soppiantate da due sezioni ibride: una per i beni architettonici e storico-artistici, paesaggistici e demo-etnoantropologici, e l’altra per i beni archeologici, bibliografici e archivistici. Una mescolanza di tutte le competenze rette da un dirigente generico ai beni culturali. La delibera riorganizza de facto tutta la macchina amministrativa di Palazzo d’Orléans.
Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, sottolinea la coincidenza della firma con il 10 marzo: “La data della delibera è, per fatale coincidenza, la stessa della giornata dei beni culturali siciliani, che ricorre ogni anno in memoria della tragica scomparsa dell’assessore Sebastiano Tusa” avvenuta nel 2019.
“Un modo per celebrarne non il ricordo, ma il contributo attuale, attualissimo, che Sebastiano ha dato alla cultura”, ha sottolineato l’assessore dei Beni culturali Alberto Samonà.
Le proteste
Zanna annuncia azioni legali “per bloccare questa ennesima riorganizzazione che dimostra, ancora una volta, la visione miope del governo regionale nei confronti della gestione, tutela e valorizzazione dei nostri beni culturali”.
Ana spera che la delibera sia ritirata: “un’amministrazione regionale che squalifica sé stessa delegittimando e appiattendo le competenze dei propri dipendenti si schiera obliquamente con la speculazione e la distruzione del territorio, piuttosto che adempiere con decisione al proprio dovere costituzionale di custodia e difesa del patrimonio e del paesaggio”.
Adele Maresca Compagna, presidente di Icom Italia, in una lettera aperta indirizzata al governatore Nello Musumeci e a Samonà esprime “forte preoccupazione per la soppressione di un cospicuo numero di unità operative tecniche”.
In un colpo solo si è fatta carta straccia delle normative regionali (nn. 116/1980 e 17/1991) e statali.
La discussa legge 10 del 2000
Nel 2016 la Sicilia di Crocetta aprì la strada all’attuale e drammatico scenario: i beni architettonici fecero coppia con i beni storico-artistici mentre quelli paesaggistici vennero accorpati a quelli demo-etnoantropologici, iniziando a sacrificare competenza e professionalità.
Chi è nell’ambito concorda che la colpa di questa carenza specialistica sia della legge regionale 10 del 2000 (L.R. 10/2000). Lo ha ribadito anche Adele Maresca Compagna: ha sottolineato che “gli accorpamenti all’interno delle soprintendenze rischiano di provocare un ulteriore indebolimento dell’intero assetto dei beni culturali regionali, già minato dall’abolizione dei ruoli tecnici per la dirigenza e per il comparto conseguente alla legge regionale 10 del 2000”.
Ma il ruolo unico non è una specialità siciliana: va ricordato che presso l’amministrazione statale fu istituito il ruolo unico già nel 2001 (D.lgs 165/2001, art. 23, c.1). Il provvedimento dunque non è arrivato ex abrupto ma ha radici storiche. Adesso tornare indietro è difficile: dopo ciò che è successo in Sicilia cosa accadrà al Ministero?
On Wednesday 9th February, at 11:00 A.M, the statue of goddess Athena arrived in Sicily at the Antonio Salinas Archeological Regional Museum.
Partnership between Greece and Sicily
This statue will be given to the Salinas Museum for four years after a close cooperation agreement with the Greek authorities which was strongly desired by Alberto Samonà, Regional Councilor for Cultural Heritage and Sicilian identity.
Last month, the partnership between the sicilian museum and the Acropolis Museum of Athens had already allowed the return to Greece of a Parthenon frieze fragment (the so-called “Fagan Artifact”), which was conserved at the Salinas Museum. However, the arrival of this statue marks the first time that an artifact from the Athenian Museum comes to Sicily for a long-term exposure.
Accompanying the precious exhibit, which dates to the 5th century B.C., will be Lina Mendoni, Minister of Culture and Sport of Greece, and Nikolaos Stampolidis, director of the Athenese museum. They will entrust it to the Sicilian region, to the presence of Alberto Samonà and Caterina Greco, director of the Salinas Museum. For the important cultural occasion, senator Lucia Borgonzoni, Undersecretary of Culture, will also be present.
The Statue
This headless statue, made of pentelic marble, depicts the Goddess Athena: the 60 cm tall figure is dressed in a peplum, complete with a belt on the waist. The deity was probably adorned with a banner transversely placed on the chest which, likely during ancient times, was decorated in the center by a gorgon, which has been lost.
The figure puts the body weight on the right leg, while using the left arm, in a sort of synchrony, to lean on what was supposed to be a spear. The whole thing is sinuous and smooth thanks to the skillful use of clothing, which is typical of the attic style of the last quarter of the 5th century B.C.
Mercoledì 9 febbraio, alle ore 11:00, la statua della dea Atena arriva in Sicilia, al Museo Archeologico Regionale Antonio Salinas.
Partnership tra Grecia e Sicilia
La statua, proveniente dal Museo dell’Acropoli di Atene, verrà affidata al Museo Salinas per quattro anni a seguito di un accordo di stretta collaborazione fortemente voluto dall’Assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samonà, con le autorità greche.
La partnership tra il museo siciliano e il Museo dell’Acropoli di Atene, il mese scorso, aveva già permesso il ritorno in Grecia di un frammento del fregio del Partenone (il cosiddetto “reperto Fagan”) conservato proprio al museo Salinas, ma è grazie all’arrivo di questa statua che per la prima volta dal museo ateniese arriva un reperto in Sicilia per un’esposizione di lungo periodo.
Ad accompagnare il prezioso reperto, risalente al V secolo a. C., saranno la Ministra della Cultura e dello Sport della Grecia, Lina Mendoni, e il direttore del Museo ateniese, Nikolaos Stampolidis, che lo affideranno alla Regione Siciliana, alla presenza dell’Assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samonà, e del direttore del Museo Salinas, Caterina Greco; per l’importante occasione culturale sarà presente anche il Sottosegretario alla Cultura, senatrice Lucia Borgonzoni.
La statua della dea
La statua acefala, in marmo pentelico, raffigura la dea Atena; la figura, alta 60 cm, è vestita con un peplo completato da una cintura portata sulla vita. La dea sarebbe stata adornata da un’egida disposta trasversalmente sul petto che, probabilmente, in antichità era decorata al centro da una gorgone andata poi perduta.
La figura poggia il peso del corpo sulla gamba destra, mentre sfrutta il braccio sinistro, come in una sorta di sincronia, per appoggiarsi probabilmente ad una lancia. Il tutto è reso sinuoso e morbido grazie al sapiente uso delle vesti; la posa della figura e la morbidezza delle vesti data la statua all’ultimo quarto del V secolo a. C., che rimanda ai modelli delle statue del Partenone.
Primo intervento al Teatro Antico di Taormina, dopo quello storico del 1959 diretto da Luigi Bernabò Brea. Sessantadue anni fa, il grande archeologo consegnò il monumento alla fruizione combinata di viaggiatori di giorno e spettatori la sera.
Il primo di una serie di interventi di restauro per il Teatro Antico
Sono cominciati in questi giorni, nel Teatro antico di Taormina, i lavori di restauro della gradinata, l’emiciclo che abbraccia con un solo sguardo la scena, il mare e l’Etna e che nel 1787 fece dire a Goethe che “mai, forse, il pubblico di un teatro ha avuto innanzi a sé uno spettacolo simile”.
Si tratta del primo di una serie di interventi programmati dal Parco Archeologico Naxos Taormina, diretto dall’archeologa Gabriella Tigano. Tali interventi interesseranno, in vari periodi di bassa stagione, più parti del grande complesso monumentale senza compromettere la fruizione da parte dei visitatori. La ditta di restauri procede infatti per piccoli lotti, perimetrando il cantiere di lavoro e dunque non intralciando le consuete attività di visitatori e guide turistiche. Entro maggio saranno ultimati gli interventi sulle gradinate per dar corso al montaggio degli allestimenti per la stagione degli spettacoli.
I primi interventi, indispensabili dopo sessant’anni di turismo di massa
“Sono interventi assolutamente improcrastinabili per garantire la conservazione del monumento – spiega la direttrice Tigano – e sono i primi a sessant’anni di distanza dallo storico restauro del grande archeologo Luigi Bernabò Brea, che consentì l’avvio della doppia fruizione del Teatro Antico, sia come sito archeologico che come contenitore di eventi in uno scenario unico al mondo. Ma non solo: ci consentiranno di mettere in sicurezza e ripristinare le sedute della cavea, reduci dai sessant’anni più intensi e faticosi nella millenaria storia del monumento. Anni che coincidono con l’inizio del turismo di massa e con l’avvio delle stagioni di spettacoli ed eventi estivi”.
“La manutenzione e la buona tenuta del patrimonio monumentale regionale – sottolinea l’assessore dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samoná – è un obiettivo che stiamo cercando di portare avanti con grande impegno, nella consapevolezza che è il presupposto indispensabile per programmare una compiuta valorizzazione della nostra Isola”.
Mappatura digitale e laser scanner serviranno per il restauro della scenae frons
Più complesso e impegnativo l’intervento di restauro che dovrà interessare la scena (scenae frons). Fondamentale la mappatura digitale realizzata con drone e laser scanner nello scorso mese di dicembre: rappresenta il primo passaggio propedeutico che, dopo l’elaborazione dei dati, consegnerà alla direzione del Parco una radiografia completa dei resti monumentali, ma soprattutto un report aggiornato dello stato di degrado con precisione millimetrica.
“Il successivo progetto di restauro dello scenae frons – conclude la Tigano – sarà elaborato con formula interdisciplinare, e sarà oggetto di approfondimenti da parte di un’equipe di professionisti (archeologi, restauratori, architetti, ingegneri) nel quale si farà tesoro anche degli studi preliminari svolti all’inizio del nuovo millennio dal Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro, che per primo monitorò lo stress e i danni causati al monumento dalle vibrazioni sonore degli spettacoli. Un impegno che è e sarà tra gli obiettivi del Parco nei prossimi anni per garantire il miglior equilibrio tra conservazione e salvaguardia del monumento, e un suo uso “moderno” e sostenibile”.
Nell’ambito della valorizzazione del patrimonio culturale siciliano troviamo un nuovo progetto di indagine e documentazione dei fondali marini, alla scoperta di nuovi potenziali siti sommersi, ampliando così il terreno d’indagine per l’archeologia subacquea in Sicilia.
I finanziamenti
È con oltre mezzo milione di euro che è stato finanziato, dalla presidenza della Regione Sicilia e dalla Soprintendenza del mare, il progetto di salvaguardia dei siti e valorizzazione del patrimonio culturale sommerso intorno all’isola, con lo scopo di gettare le basi per l’istituzione di un Centro di eccellenza dell’archeologia subacquea.
Le attività saranno gestite dalla Soprintendenza del mare. Sul campo una squadra formata da archeologi subacquei, documentaristi e ricercatori si muoverà con l’ausilio di reti di sensori che forniranno in tempo reale dati utili per la sorveglianza dei siti e lo stato di conservazione dei reperti. La prima fase sarà dedicata alla ricerca a campione e la mappatura dei fondali ad una profondità batimetrica tra i 50 ed i 200 metri di profondità, interessando i fondali di Palermo, Ustica, Isole Eolie e delle province di Catania, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Agrigento e Trapani.
La durata del progetto
Il progetto, come sottolineato dall’assessore dei Beni culturali e dell’identità siciliana, Alberto Samonà, avrà la durata di circa tre mesi e si avvarrà dell’utilizzo di un drone subacqueo, l’ AUV (Autonomous underwater vehicles), un vero e proprio robot autonomo, in grado di analizzare il fondale effettuando scansioni con strumenti sonar incorporati e riportare le immagini a bordo.
“I fondali siciliani – afferma il presidente della Regione, Nello Musumeci – ci hanno restituito negli anni e continuano a custodire tesori preziosi, testimonianza di millenni di storia e di cultura. L’importante lavoro di ricerca che il governo regionale ha finanziato permetterà di creare una mappatura dettagliata della situazione sottomarina da mettere a disposizione non solo degli specialisti del settore, ma anche degli studenti, turisti, appassionati di storia, gli interessanti ritrovamenti archeologici”.
Musei sommersi
Sono 25 i percorsi archeologici attualmente attivi nei fondali siciliani. Questi itinerari culturali consentono di ammirare i reperti in situ, ossia direttamente nel contesto di rinvenimento. L’arco temporale spazia dal periodo greco fino a giungere all’epoca contemporanea: basti pensare, ad esempio, all’area archeologica di San Vito Lo Capo dove a pochi metri di profondità, oltre ad alcune ancore risalenti al VII secolo a. C, è possibile osservare i resti del relitto di una nave commerciale moderna, il Kent, naufragata nel 1978. In prossimità dei singoli reperti archeologici sono presenti cartellini impermeabili che descrivono tipologia, datazione, provenienza e l’utilizzo del reperto stesso, dando così l’opportunità all’osservatore di comprendere ciò che sta ammirando, come un vero e proprio museo sott’acqua. I percorsi sono rivolti a tutte le tipologie di subacquei, dai più semplici percorsi in snorkeling, ai siti profondi che richiedono brevetti tecnici.
Nel Pantheon degli Illustri di Sicilia, nella Chiesa di San Domenico a Palermo, riposano adesso anche le spoglie di Sebastiano Tusa.
L’archeologo è scomparso il 10 marzo del 2019, in un incidente aereo in Etiopia, durante lo svolgimento di un incarico di assessore regionale ai Beni culturali. È stato il presidente della Regione Nello Musumeci a svelare, ieri mattina, il monumento commemorativo a custodia dell’urna contenente le ceneri di Tusa, nella cappella del Ss. Crocifisso all’interno della chiesa di San Domenico a Palermo.
Alla cerimonia hanno partecipato gli assessori regionali, la soprintendente ai Beni culturali di Palermo Selima Giuliano, la soprintendente del Mare e vedova di Tusa, Valeria Li Vigni, il priore di San Domenico padre Sergio Catalano e il direttore dell’Ufficio speciale progettazione della Regione Leonardo Santoro. Inoltre era presente l’artista Michele Canzoneri, che ha realizzato il monumento commemorativo. L’opera artistica e il restauro della cappella del Ss. Crocifisso sono stati promossi dai Padri domenicani di Palermo e finanziati dalla presidenza della Regione Siciliana.
Il ricordo della sorella
<<Per noi è un grande riconoscimento e un grande onore che lui sia qui>> – ha detto Lidia Tusa, sorella dell’archeologo. <<Spero che continuerà ad essere ricordato come merita. Da oggi in poi questo luogo farà parte della mia vita, sicuramente sarà una abitudine venire qui per fermarmi due minuti a ‘parlare’ con lui. L’archeologo, l’uomo di mondo, il politico non fanno parte della mia vita. Io so cos’era come fratello. Sebastiano era una persona complessa, capace di grande umanità, che naturalmente cercava di profondere in tutto quello che faceva>>.
Le parole di Samonà, assessore dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana
<<Da oggi – ha aggiunto Alberto Samonà – grazie a quest’opera Sebastiano Tusa sarà ricordato nel Pantheon di Palermo, tra coloro che hanno fatto grande il nome della nostra Sicilia. È dunque il modo che abbiamo scelto per dare il giusto valore a una personalità illustre del nostro tempo. Tusa ha contribuito in modo determinante allo sviluppo della ricerca archeologica a livello internazionale. A Sebastiano, lo studioso, l’uomo, l’amico, è dedicata anche una grande mostra che inaugureremo nelle prossime settimane nelle sale espositive dell’Arsenale della Marina Regia di Palermo, per raccontarne la storia e i molteplici aspetti della sua ricerca>>.
Il mare spezzato di Sebastiano Tusa
L’opera si compone, a sinistra, di un’onda di marmo bianco di Carrara che, con elementi in lapislazzuli, vetro e frammenti giallo di Siena, evoca il Mediterraneo tanto caro a Tusa. A destra, invece, un blocco di vetro acrilico opaco colorato blu oltremare che cela un mistero e contemporaneamente riflette l’immagine di chi osserva.
La personalità poliedrica di Sebastiano Tusa è ben espressa dall’epitaffio che, attraverso una sua frase, lo ricorda nel monumento commemorativo: «Di fronte all’ignoto, il viaggio permette di avere l’emozione della scoperta: cercare, trovare, rischiare, per la sete di conoscenza e per quell’Ulisse che è in noi».
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