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PIEMONTE | Il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso

Nel cuore di Torino, all’interno del palazzo storico della facoltà di Medicina, trova posto il Museo di Anatomia criminale “Cesare Lombroso”. Negli ultimi anni, molte sono state le parole dette al riguardo, ma cosa contengono realmente le sue sale? E qual è la sua storia?

Il Museo tra fine Ottocento e inizi Novecento

La sua storia

Il primo nucleo del museo si formò in casa dello stesso Lombroso che, nel 1876, ospita la sua raccolta “di scheletri e di casse” direttamente nella sua abitazione, a Torino. A partire dall’anno successivo, il materiale venne spostato presso il suo laboratorio, in Via Po 18. Cominciò, quindi, un lungo peregrinare, che vide la collezione spostarsi in vari locali dell’università e in alcune esposizioni. Infine, dal 2001, essa è collocata all’interno del Palazzo degli Istituti Anatomici: insieme al museo di Anatomia umana e al Museo della Frutta, costituisce il polo dedicato al Positivismo ottocentesco torinese. 

Cesare Lombroso e l’atavismo criminale

Cesare Lombroso, infatti, arrivato a Torino nel 1876 per occupare la cattedra di Medicina legale e Igiene pubblica all’Università degli Studi della città, ben incarna l’ideologia positivista. Spesso ricordato, forse non completamente a ragione, come il padre dell’antropologia criminale, Lombroso credette di poter identificare alcune caratteristiche fisiche appartenenti all’uomo e alla donna criminali. Tali caratteristiche erano dovute, a suo dire, a uno stadio evolutivo più primitivo, che egli chiamò atavismo criminale.

Le sue teorie non erano isolate nel panorama degli studi di psicologia e psichiatria dell’epoca, ma si presentavano analoghe all’idea, oggi superata, che gli studiosi dell’800 avevano riguardo ai malati mentali e ai criminali. Per esempio, l’austriaco Franz Joseph Gall aveva istituito la frenologia, che postulava il carattere innato dei difetti morali dei criminali: ogni facoltà psicologica risiedeva in una zona ben precisa del cervello. La maggior grandezza di una zona rispetto alle altre provocava la preponderanza o meno di una di queste qualità. Misurando il cranio di un individuo con appositi strumenti, si poteva, quindi, rilevarne la personalità. 

Il Museo di Antropologia criminale

A Torino, Lombroso raccolse molto materiale per i suoi studi: crani in particolare, ma anche oggetti appartenuti a criminali, collegati a crimini efferati o prodotti da questi durante la detenzione (molto bella la collezione di orci incisi dai detenuti). Data la sua scarsa capacità di inventariazione, oggi è impossibile ricostruire la provenienza della stragrande maggioranza dei reperti. Lombroso, inoltre, non si limitò allo studio dei criminali torinesi, ma raccolse anche il materiale cartaceo che gli veniva inviato da studiosi italiani e stranieri che, dal canto loro, analizzavano i criminali locali: disegni, descrizioni, articoli e tavole.

Il Museo di Antropologia criminale si compone in totale di 9 sale, nelle quali viene raccontata la storia della scienza nell’800, le condizioni dei carcerati e dei malati mentali, gli attrezzi che utilizzavano i medici (è disponibile un tour virtuale). Una delle prime sale è dedicata all’esposizione di alcuni teschi e oggetti collezionati da Lombroso stesso e legati a crimini efferati. In questa sala, trova posto anche lo scheletro dello stesso Lombroso, così come indicato nel suo testamento. Un’altra sala è dedicata agli oggetti realizzati dai detenuti in carcere: mobili, vestiario e gli orci già citati (che sono stati digitalizzati e sono visibili qui). All’interno del museo, vi è anche lo studio di Lombroso, interamente ricostruito con i mobili e gli oggetti originali appartenutigli. Il tutto è corredato da video e postazioni multimediali, che rendono fruibile il museo e inquadrano le teorie di Lombroso nel panorama scientifico del suo tempo. Queste installazioni permettono di comprendere quale sia lo scopo del museo: parlare di un’epoca storica attraverso uno dei suoi esponenti di spicco del panorama torinese. Un museo di storia della scienza, dunque, e non di scienza. 

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