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LOMBARDIA | Le palafitte dell’Isolino Virginia (VA)

L’Isolino Virginia è il più antico insediamento palafitticolo dell’arco alpino
 e, dal 1962, è proprietà del Comune di Varese.  Nel XVI secolo era conosciuto come “Isola di S. Biagio”, per la presenza di una  piccola chiesa dedicata al santo. In seguito, venne chiamato “Isola Camilla”, in onore della moglie del duca Antonio Litta Visconti Arese; dal 1878, invece, porta il nome di Virginia, la moglie del marchese Andrea Ponti.

La prima individuazione di un abitato palafitticolo risale al 1863 per merito dell’abate Antonio Stoppani. Ulteriori ricerche verranno effettuate nel ventennio successivo e confermeranno l’importanza della scoperta.

Tuttavia, la ripresa delle esplorazioni riprende solo a partire dagli anni ’60 del novecento.

Nel 2006, la Soprintendenza Archeologica della Lombardia inizia un progetto di ricerca e tutela delle palafitte e dei reperti che permette di accertare un’estensione del sito più ampia di quella inizialmente valutata. L’indagine più approfondita si è svolta su 100 metri quadrati; sono stati, inoltre,  mappati 321 pali: in particolare, sono stati analizzati i campioni lignei, i reperti faunistici e i frammenti di ceramiche, selci e pietra arenaria.

Queste analisi hanno permesso di avere una visione più chiara dell’intero sito e del suo sviluppo; ancora, le analisi dei campioni lignei hanno permesso di datare l’abitato tra la fine del XVIII e il XVI secolo a.C., ovvero nell’età del bronzo.

Riguardo la fauna esistente, sono stati rinvenuti ossi di animali di piccola taglia (caprovino e bovino) e di cervi, a dimostrazione che era praticata la caccia. I frammenti di ceramica hanno permesso di ricostruire alcune forme dei recipienti utilizzati dagli abitanti: grandi contenitori per derrate alimentari, olle, scodelle e ciotole. La grande quantità di schegge di selce rinvenuta permette, invece,  di stabilire che la produzione dei manufatti avveniva in loco.

Ma cosa s’intende per abitato palafitticolo?

Dimentichiamo la classica immagine delle capanne di canne e argilla, costruite in mezzo all’acqua e sostenute da una piattaforma sopraelevata per mezzo di pali; gli studi hanno messo in evidenza che i pali, in realtà, erano conficcati nella terraferma asciutta, solo raramente invasa dall’acqua nei periodi di forti piogge. La vicinanza al lago era fondamentale, sia per la pronta disponibilità di acqua per gli uomini e gli allevamenti di animali, sia per la possibilità, da esso offerta, di spostarsi agilmente con le piroghe dal lago al fiume a un altro lago ancora.
Le palafitte del Lago di Varese risalgono all’ultima fase del Neolitico (4300 a.C.), fino alla Media Età del Bronzo (800 a.C.). Tuttavia, nonostante le migliaia di anni, i pali si sono ben conservati perché protetti dall’acqua.

Valorizzazione e tutela:il sito oggi e domani

L’area, oggi, è stata valorizzata delimitando la superficie con boe segnaletiche; è stata, inoltre, interdetta la navigazione, mentre è stata predisposta sulla riva una pensilina informativa: all’interno di essa, sono presenti pannelli trasparenti che riportano testi e immagini relative all’ambiente, con una sintesi delle ricerche fino a ora effettuate.

E’ stato anche presentato il progetto di un giovane laureato in ingegneria, che prevede la realizzazione di una passerella sul lago, attorno all’area del villaggio sommerso. La passerella sarà ancorata al fondo in maniera non invasiva e potrà collegare lago e terra; in questo modo, i visitatori, potranno ammirare dall’acqua il villaggio sommerso.

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