Illustri Siciliani | La forza di Paolo Borsellino
Il 19 Luglio 1992 Palermo ode nuovamente un forte boato, come un ruggito che scuote la terra ed echeggia nei cuori: l’ennesima autobomba. Stavolta, la vita strappata è quella di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta. Così se ne andava un altro fondamentale pilastro della feroce battaglia tra giustizia e mafia che imperversava da oltre 10 anni a Palermo. Un uomo buono, un uomo forte e caparbio, ricco di ideali e che era in grado di trasmette valori positivi ai posteri. Un uomo speciale.
Paolo Borsellino nasce il 19 Gennaio 1940 a Palermo, nell’antico quartiere di origine araba della Kalsa, da madre e padre farmacisti. È lo stesso quartiere che ha dato i natali a Giovanni Falcone e che li ha visti giocare insieme tante partite di calcio. Frequenta il Liceo classico “Meli” e dopo si dedica anima e corpo allo studio delle leggi presso la facoltà di Giurisprudenza di Palermo, laureandosi a pieni voti a soli 22 anni.
La perdita del padre pochi giorni dopo la laurea catapulta il giovane Paolo tra le fauci delle dure responsabilità: tocca a lui provvedere alla famiglia e farsi strada tra i ranghi della magistratura. Prende accordi con l’ordine dei farmacisti, così da tenere aperta la farmacia del padre fino al conseguimento della laurea in farmacia della sorella, e si dedica agli studi per il concorso in magistratura.
I primi incarichi arrivano fin dal 1965 ma è solo nel 1975 che comincia quella attività di giudice per il quale Borsellino è amato e ricordato: Paolo viene trasferito al Tribunale di Palermo nell’Ufficio Istruzione Processi Penali sotto la guida di Rocco Chinnici.
Nel 1980, a seguito dei primi arresti mafiosi, Rocco Chinnici, assieme ad altri tre magistrati (Falcone, Borsellino e Barrile) fonda il primo Pool Antimafia. Quest’organo porta ad una più concreta collaborazione con le forze dell’ordine ed aveva un unico e solo forte obiettivo: smantellare Cosa Nostra. Purtroppo, un così forte grido di battaglia porta anche spiacevoli conseguenze: i magistrati e le loro famiglie vengono messi sotto scorta e sono costretti a modificare le proprie abitudini quotidiane.
Il Pool va avanti senza sosta per poter istituire il primo maxi-processo contro la mafia siciliana. Paolo Borsellino è il primo che, nel tempo che gli rimane dopo il lavoro, si impegna a parlare con i civili, con i giovani, facendo conferenze e promuovendo la legalità e la giustizia per le strade della città; egli cercava di svegliare gli animi delle persone per bene affinché potessero ribellarsi a quella finta normalità che si voleva ostentare, affinchè il motto “la mafia non esiste” venisse scardinato.
Nel 1983 l’assassinio di Rocco Chinnici è un pugno in faccia ai componenti del Pool che perdono il loro leader. Fortunatamente, gli ideali che avevano fondato il gruppo non vanno perduti e il duro lavoroporta i primi frutti: l’arresto di Vito Ciancimino e il pentimento di Tommaso Buscetta. Ma il sangue di chi combatte la mafia continua a scorrere per le strade di Palermo e Borsellino viene trasferito, assieme a Falcone, al Carcere dell’Asinara così da poter concludere la monumentale istruttoria del primo maxi-processo a Cosa Nostra. Conclusa l’opera Borsellino chiede e ottiene subito il trasferimento al Tribunale di Marsala per ricoprire il posto di Procuratore Capo.
La scorta non lascia mai la famiglia Borsellino e l’inizio dei processi reca con se un voltafaccia inaspettato: il popolo, i civili, che avevano combattuto al fianco dei magistrati, ora erano i primi a far fiorire le critiche e a tacciarli quali servi del potere che ad esso si erano svenduti. Borsellino rischia il provvedimento disciplinare per le risposte alle accuse ma viene fortemente sostenuto dal Presidente della Repubblica Cossiga, che lo difende e ne riabilita il nome.
A Marsala, Paolo Borsellino fa da mentore a numerosi giovani magistrati che, affascinati e contagiati dal suo carisma, lo affiancano nelle indagini mafiose e ne ereditano i principi morali. Ma, ben presto, Paolo chiede alla Procura della Repubblica di Marsala il trasferimento alla Procura della Repubblica di Palermo nei panni di Procuratore Aggiunto; lo ottiene e, grazie ai suoi indiscussi meriti, diviene delegato al coordinamento dell’attività dei Sostituti facenti parte della Direzione Distrettuale Antimafia: è il 1991.
Poi il dramma. Il 23 Maggio 1992 Borsellino riceve la notizia della Strage di Capaci e della morte dell’amato amico e collega Giovanni Falcone. Paolo soffre molto, il suo rapporto con Giovanni era speciale, era un legame a doppio filo, un legame che era stato spezzato. La cosa peggiore è che Paolo Borsellino sentiva in cuor suo che presto sarebbe giunto il suo momento: i più forti componenti del Pool Antimafia erano stati assassinati, l’opinione pubblica, che tanta parte aveva avuto nella resa dei primi criminali, gli era contro e lo Stato, tranne pochi onorati componenti, aveva voltato le spalle.
Nonostante tutto il giudice non aveva paura, anzi egli sosteneva fieramente che “È normale che esiste la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”. Infatti, la giustizia siciliana è andata avanti, ferita da quel 23 Maggio e dilaniata da quel 19 Luglio 1992, ha proseguito il lavoro di Falcone e Borsellino e, soprattutto, non ha mai dimenticato queste date e il loro operato. Dopo il 19 Luglio tutti sanno che la mafia esiste.