DIETRO AL FASCISMO | La Mostra Augustea della Romanità
Il processo di identificazione tra Augusto e Mussolini e il richiamo all’antico toccò l’apice con la grande Mostra Augustea della Romanità del 1937. Diretta da Giulio Quirino Giglioli, fu inaugurata al Palazzo delle Esposizioni per celebrare il bimillenario della nascita di Augusto.
Il Palazzo delle Esposizioni
La facciata del Palazzo, realizzata da Alfredo Scalpelli, presentava delle “scritte lungo tutta la facciata, che ammonivano i visitatori e i passanti sulla potenza indistruttibile di Roma, sulle doti della gente italica e sulla universalità della politica romana, con le parole di grandi scrittori classici e cristiani”. Era decorata con copie di statue romane di barbari prigionieri, i cui originali (II sec. d.C.) si ritrovavano nelle collezioni del Palazzo dei Conservatori.
L’intero prospetto della facciata era un netto richiamo all’impianto tripartito dell’arco di Costantino, con i calchi delle statue a imitare le statue di epoca traianea poste sulla sommità dell’antico monumento.
Sulla chiave di volta dell’ingresso centrale della Mostra c’era un calco della statua della Vittoria di Metz, rimando alle Vittorie trofeofore collocate nel fornice mediano dell’arco di Costantino. Già dalla sola realizzazione della facciata, si concepiva il voler riutilizzare elementi classici e la volontà di connettere l’impero fascista con quello romano.
Le sale espositive della Mostra
Giglioli aveva allestito ventisei sale dedicate alla storia di Roma, dai primi re alla formazione dell’Impero, considerato uno spazio che i Romani avevano conquistato perché superiori da un punto di vista culturale. I visitatori, attraverso la mostra, potevano conoscere gli usi, i costumi, le tecniche e l’economia dell’intero mondo romano.
Una delle sale più importanti era sicuramente la sala dell’Impero, con i calchi di monumenti a carattere trionfale, come il rilievo di un sacrificio compiuto probabilmente da Traiano, dinanzi a un grande tempio. Il sacrario della Mostra era la sala dedicata ad Augusto (sala X), dove, sormontata dal brano di Svetonio che ne esaltava la nascita, compariva la statua dell’Augusto di Prima Porta.
La croce di vetro nella Sala di Augusto
L’analogia mistica tra Augusto e Mussolini troverà traduzione iconografica in una croce di vetro recante impresse le parole di S. Luca. La croce faceva riferimento al censimento imperiale indetto da Augusto e alla nascita di Cristo. Netta diventava l’identificazione tra Augusto, “cooperatore della Divina Provvidenza” e Mussolini, che, dopo i Patti Lateranensi, sarà considerato come l’uomo della Provvidenza.
Il Giglioli recuperò centinaia di calchi, modelli di monumenti, macchine, plastici di città, carte geografiche e topografiche che mettevano in risalto la potenza e la grandezza dell’Impero. Difatti, la mostra aveva lo scopo di “educare le masse”, di parlare al grande pubblico ed esaltare le similitudini tra l’antico impero di Augusto e il nuovo impero di Mussolini.
L’immagine di Costantino
Nelle sale XXIV e XXV emergeva l’immagine “fascistizzata” di Costantino. Le sale erano poste in comunicazione tra loro dall’architettura, che suggeriva la continuità ideale tra gli obelischi e gli archi di trionfo del presente e del passato. Si pensi all’arco di trionfo di Costantino «eretto per celebrare la vittoria su Massenzio del 28 ottobre 312 d.C., che segnò l’avvento della Cristianità […] riportata presso quello stesso ponte Milvio, che il 28 ottobre 1922 le Camicie Nere varcarono, dando inizio all’Era dei Fasci».
Il salvatore della pace
Di ritorno da Monaco, reduce dalla chiusura della Mostra Augustea della Romanità, Mussolini, almeno in patria, poté presentarsi romanamente nelle vesti del “salvatore della pace”. Se quelle vesti non trassero in inganno Pio XI, altrettanto non si potè dire per la stampa cattolica. Il 5 novembre 1938 La Civiltà Cattolica inneggiava a Mussolini come novello Augusto, ritornato da oltralpe con la pace. Una pace che voleva somigliare alla Pax Augustea, che durò ben quattro secoli, ma, quando si allontanò dall’Europa, non vi restò che disordine e barbarie, che, da lì ad un anno, distrussero il mito della romanità.
Mussolini come Augusto e Costantino
Il Duce personificava il modello di Costantino, imperatore cristiano, e quello di Augusto, princeps fondatore dell’impero: una fusione di due modelli imperiali. Ciò avvenne attraverso il recupero della leggenda circa la “cristianizzazione” di Augusto, la cui testimonianza emergeva dai pannelli della Mostra augustea in cui era rappresentato. Un Augusto “cristianizzato” e consapevole della sua missione terrena, illuminata dalla luce della provvidenza, coincidente con la missione redentrice di Cristo. Mussolini, dunque, rivendicava al fascismo il merito di aver restituito a Roma l’autorità e il prestigio di capitale d’Italia; inoltre, aveva utilizzato il mito di Roma e, in particolare gli elementi classici, per fornire una legittimazione storica e una consistenza ideologica al fascismo.