DIETRO AL FASCISMO | Archeologia e Fascismo
Il rapporto tra Romanitas e Fascismo
“Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento; è il nostro simbolo o, se si vuole, il nostro mito. Noi sogniamo l’Italia romana cioè saggia e forte, disciplinata e imperiale. Molto di quello che fu lo spirito immortale di Roma risorge nel fascismo: romano è il Littorio, romana è la nostra organizzazione di combattimento, romano è il nostro orgoglio e coraggio: civis romanus sum”
Le parole pronunciate da Benito Mussolini il 21 aprile 1922 esprimevano il rapporto di continuità tra romanitas e fascismo, tra la Roma antica e quella moderna. Una parte consistente dell’impalcatura della propaganda fascista fu costruita sul mito di Roma. Nel complesso di simboli e rituali che il Fascismo impose all’Italia dopo la presa del potere, non si faceva riferimento soltanto al fascio littorio o al passo romano ma al potere delle immagini e, in particolare, all’architettura.
Il rapporto tra archeologia e città
La retorica fascista dei discorsi di Mussolini modifica il rapporto tra archeologia e città, fino al totale stravolgimento della topografia urbana, operato attraverso demolizioni e sventramenti. Il Duce desiderava creare un nuovo spazio politico e liberare l’antica urbs dalle “brutture”, dalle “incrostazioni parassitarie accumulate in secoli d’abbandono” e creare una nuova Roma, potente, ordinata come lo era stata al tempo di Augusto. Le vestigia della Roma antica venivano riportate alla luce e inserite in un nuovo spazio pubblico, “inventato” appositamente dal regime. Fu creata una vera e propria scenografia, che poteva essere vista da lontano o percorrendo i grandi assi viari.
Nel 1930 Mussolini approva il Piano regolatore di Marcello Piacentini. Il nuovo centro urbano fu ottenuto grazie al trasferimento della stazione ferroviaria a Termini; furono isolati l’Augusteo, il teatro di Marcello e il Campidoglio. Questo piano regolatore venne presentato come il piano di Mussolini: il documento della civiltà fascista. Dopo la Roma di Augusto, dopo la Roma di Sisto V, si edificava la Roma di Mussolini. Il tessuto urbano della Capitale viene completamente manipolato e distrutto, soltanto per attualizzare il mito fascista dell’Urbe.
La riscoperta e la rimodulazione dell’antica Roma in chiave fascista si espresse con la realizzazione di Via dell’Impero, oggi Via dei Fori Imperiali. Il primo colpo di piccone per la realizzazione della strada fu dato nell’agosto del 1931. La prima vera moderna via della Capitale legava indissolubilmente il cuore della romanità imperiale con la nuova Roma incarnata dal duce, con Palazzo Venezia e il Vittoriano. Per la sua costruzione furono demoliti il palazzo tra il monumento dedicato a Vittorio Emanuele II e il palazzo delle Assicurazioni, le case in via Cremona e quelle di fronte al Foro di Traiano, l’intero quartiere di via Alessandrina, il Compitum Acilium, ed infine, il sacello dei Lares fu smontato e trasferito nei magazzini comunali.
Il piccone demolitore fascista
Tutti gli sventramenti, le demolizioni, le asportazioni dimostravano quanto il regime volgesse ben poco rispetto a quel patrimonio archeologico che pretendeva di valorizzare, interessato piuttosto a servirsene al fine dell’ideologia e della propaganda di regime: il fitto tessuto urbano scomparve definitivamente. Nonostante ciò, Mussolini era considerato dalla popolazione come colui che aveva reso bella l’Italia, come un costruttore. Ed è per questo motivo che il Duce si faceva rappresentare con la pala o il piccone. Sicuramente una delle immagini più famose è la copertina della Domenica del Corriere del 3 marzo del 1935, dedicata a un avvenimento accaduto giorni prima, presentato così dalla didascalia:
“Il Duce vibra il primo colpo di piccone per liberare l’area destinata alla Mole Littoria che, fra quattro anni, di fronte alle glorie monumentali dell’urbe simboleggerà la potenza dell’Italia fascista”
Achille Beltrame raffigurava Mussolini, con divisa e fez, sul tetto di una casa, con all’orizzonte via dell’Impero, mentre impugnava un piccone pronto a scagliare il primo colpo contro quell’edificio da eliminare. L’immagine del piccone, demolitore e risanatore allo stesso tempo, evidenziava il rinnovamento della città e della società operato dal fascismo. L’immagine del Duce con il piccone diviene iconica e riassume, in un gesto, anni di politiche urbanistiche, culturali e propagandistiche.
La copertina di Achille Beltrame deriva da una fotografia in bianco e nero, scattata il 19 febbraio 1935. Nel passaggio da fotografia a copertina a colori, il movimento rimane lo stesso, ma il Duce risulta meno impacciato, più snello e con la luce che gli illumina il viso. Sparisce Achille Starace, poiché Mussolini doveva essere il solo protagonista della scena. Restano i due operai, forse a voler ribadire come il Duce fosse un lavoratore come gli altri. Il paesaggio circostante è idealizzato: sono abbattuti tutti gli edifici che a quel tempo ancora esistevano verso i Mercati traianei, perché, alle spalle del Duce, gli unici edifici che dovevano svettare erano i due luoghi simbolo della romanità e della Patria: la colonna Traiana e il Vittoriano.
La locuzione “piccone demolitore” esisteva già nel 1880, riferendosi alla Roma umbertina e ai piccoli sventramenti attuati, ma l’apice si registra agli albori del regime fascista, quando Giacomo Boni stava lavorando al recupero delle antiche vestigia di Roma e, in particolare, all’individuazione e alla scoperta del Lupercale. Importante testimonianza sono gli appunti dell’archeologo, in cui è presentata una scena abbastanza evocativa e propiziatoria:
“A proposito delle esplorazioni del Lupercale, la culla della civiltà romana, non sarebbe male che un giorno S. E. il Presidente Mussolini, in maniche di camicia nera, desse il primo colpo di piccone o scavasse la prima palata di terra”
Sembra quasi che dalle parole di Boni sia nato quell’atto tipicamente mussoliniano.
La nuova Roma di Mussolini
La nuova Roma di Mussolini era una metropoli di dimensioni europee costituita non soltanto da strade, monumenti ed edifici pubblici, ma da un’anima, un cervello e un centro spirituale. Con Mussolini, Roma non era più soltanto capitale politica ma diventava capitale morale e intellettuale, riprendendo molteplici elementi del passato. L’ideale di Mussolini si può sintetizzare in queste poche parole:
Ho ordinato che siano raccolte in grandi album moltissime fotografie degli esterni e degli interni da demolire, fotografie da dedicare a qualche eroe superstite nostalgico del cosiddetto “colore locale” […] Ed ora cedo la parola al piccone!”