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Sebastiano Tusa: chi era l’Uomo che la Sicilia piange

Lo scorso 10 Marzo 2019 il mondo della cultura è stato scosso dalla scomparsa di uno dei suoi più illustri esponenti: il Prof. Sebastiano Tusa. Nato a Palermo il 2 Agosto 1952, Tusa è divenuto un archeologo di fama internazionale e un paladino della difesa dei beni culturali.

La carriera

Figlio di Vincenzo Tusa, anch’egli illustre archeologo, si laurea in Lettere e si specializza in Paletnologia. Già negli anni ’90 la sua carriera è divisa tra gli incarichi dirigenziali e il lavoro sul campo: è stato responsabile della sezione archeologica del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro BB. CC. di Palermo e ha diretto gli scavi di Pantelleria rinvenendo, tra i tanti reperti, tre ritratti imperiali romani. Inoltre, ha insegnato Archeologia Marina presso le Università di Palermo, Napoli, Bologna e, negli ultimi anni, anche presso l’Università di Marburg in Germania.

 

L’esperienza nelle Soprintendenze 

Gli anni 2000 lo vedono sempre più interessato alla protezione e all’amministrazione dei beni culturali, trascurando l’amato lavoro sul campo. Inizialmente guida la Sovrintendenza di Trapani poi, nel 2004, diventa primo sovrintendente della neonata Sovrintendenza del Mare. Nonostante le grandi responsabilità derivanti da questi incarichi riesce a trovare il modo di non perdere le proprie radici di archeologo da campo e continua a organizzare missioni archeologiche in Italia e all’estero (Pakistan, Iraq e Iran).

 

Tusa e la ricerca a Mozia

Nel 2005 è anche responsabile degli scavi hanno interessato le strutture adiacenti la strada sommersa che collega l’isola di Mozia alla città di Marsala. In quest’occasione non è potuto mancare l’incontro e la collaborazione con Lorenzo Nigro, anche lui archeologo di fama internazionale e docente di Archeologia Orientale dell’Università di Roma La Sapienza, che recentemente sui social ha espresso il proprio cordoglio ricordando Tusa come uno studioso straordinario, un archeologo, un amico, un siciliano vero.

Il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci con Sebastiano Tusa

 

L’impegno politico di Tusa

Divenuto socio onorario dell’Associazione Nazionale Archeologi, nel 2012 torna a dirigere la Sovrintendenza del Mare della Regione Sicilia, posto che non lascia fino al 2018 quando, ormai entrato in contatto con il mondo della politica, viene nominato Assessore regionale dei Beni Culturali e dell’identita siciliana dal presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, prendendo il posto di Vittorio Sgarbi.  

Vittorio Sgarbi e Sebastiano Tusa

 

La tragedia dell’Ethiopian Airlines

Tusa è stato un uomo dalla grande tempra morale che non si è lasciato sconfiggere nemmeno dal brutto male ai polmoni che aveva combattuto e vinto. Solo una inaspettata e tragica fatalità, che non poteva essere evitata, lo ha potuto distogliere dai suoi obiettivi e lo ha allontanato dai suoi cari: Sebastiano Tusa perde la vita a Bishoftu (clicca qui), 60 km a sud-est di Adid Abeba, il 10 Marzo 2019 alle 8:44 del mattino. L’aereo su cui viaggiava e che lo avrebbe portato a presenziare alla conferenza UNESCO organizzata a Malindi si è schiantato al suolo poco tempo dopo il decollo (clicca qui per i dettagli e le indagini).

 

Il cordoglio per la scomparsa di Tusa

Sono stati in molti a ricordare Tusa; spiccano i nomi di Alberto Angela, Nello Musumeci (clicca qui per il cordoglio del Presidente e della Regione Siciliana) e Vittorio Sgarbi.

Sebastiano Tusa è stato un amante della sua terra e del suo lavoro e un amante dell’arte e dell’archeologia. Oggi si piange la perdita di un Siciliano Doc che aveva un senso profondo del dovere e che vedeva all’archeologia come messaggio di pace, cemento fra i popoli e le loro storie: con queste parole la moglie Valeria Patrizia Li Vigni descrive il marito alla stampa dopo il tragico incidente. 

Nel Pantheon degli Illustri di Sicilia, nella Chiesa di San Domenico a Palermo, riposano adesso anche le spoglie di Sebastiano Tusa.

 

 

SITOGRAFIA

https://www.tgcom24.mediaset.it/2019/video/incidente-aereo-in-etiopia-chi-era-sebastiano-tusa_3102931.shtml

https://www.corriere.it/cronache/19_marzo_10/tusa-racconto-moglie-avevo-presentimenti-che-beffa-era-felice-perche-era-guarito-69718e18-437d-11e9-9709-cc10f0c9377f.shtml

http://www.sebastianotusa.it/

http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_LaStrutturaRegionale/PIR_AssBeniCulturali/PIR_Assessore/PIR_Biografia

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MASPAG, a caccia di Petroglifi

La Missione Archeologica della Sapienza nella Penisola Arabica e nel Golfo (MASPAG) ha esteso la propria ricerca al territorio presso Wadi Al-Ma’awil. Si tratta di un contesto stretto tra due crinali che, alla vista, incorniciano un’ampia piana alluvionale. Proprio su quelle montagne, in apparenza impenetrabili, sono stati individuati dei petroglifi, forse prova di una mobilità antica. Una scoperta importante per il team archeologico italiano che si propone di studiare le relazioni tra uomo e il suo ambiente agli albori della storia.

Capire la terminologia: cos’è un petroglifo

La parola petroglifo non rientra certamente nel vocabolario di uso comune. Significa letteralmente “incisione su roccia” e in ambito scientifico intende l’uso storico di affermare sé stessi, il proprio passaggio, la propria vita, attraverso immagini o scrittura graffiata sulla pietra. L’attenzione di MASPAG si è rivolta anche a questo genere di fonti, così preziose per ricostruire il passato. Il professor Agostini (Filologia Semitica – Sapienza) delinea quest’ambito di ricerca con le seguenti parole: «Con la campagna di quest’anno si è deciso di iniziare a impostare anche le successive ricognizioni epigrafiche. Nella zona sono stati già individuati alcuni petroglifi, che sono piccole incisioni su roccia che, benché spesso di difficile datazione, possono però rivelarci qualcosa di importante sul contesto socioeconomico di chi le ha incise». Più in dettaglio: «L’Oman ha inoltre restituito alcune piccole iscrizioni rupestri in una scrittura non ancora ben interpretata e si spera dunque che nelle successive campagne si possano trovare ulteriori reperti testuali che possano aiutare nella loro comprensione».

Vista su uno dei passaggi montani in cui i petroglifi sono stati rinvenuti.

Petroglifi e come trovarli

L’archeologia è spesso sinonimo di esplorazione. Lo è almeno per la missione archeologica MASPAG presso Wadi Al-Ma’awil (Oman). Qui troviamo un contesto territoriale molto ampio e complesso da un punto di vista ambientale. Catene montuose, oasi e letti fluviali si intrecciano tra loro disegnando alla vista un paesaggio intricato, quasi labirintico. Infatti, non è facile individuare i resti archeologici che si possono osservare dal satellite, ed ancor più difficile è identificare ciò che la tecnologia non può vedere. Ad esempio, i petroglifi (incisioni su roccia) restano nascosti a qualsiasi indagine aerea. Bisogna cercarli inerpicandosi sulle montagne e spesso un aiuto fondamentale viene proprio dalla gente del posto. A volte l’arrampicata insegue il sentito dire, in altre occasioni sono proprio i locali a guidare il team di ricerca lungo sentieri improvvisati. È faticoso, ma anche appagante quando dietro lo sperone roccioso, magari nascosti e in ombra, appaiono le incisioni, testimonianze della mobilità antica.

Salita sui monti Hajar e vista sull’area indagata dal progetto MASPAG, la piana presso Wadi al-Ma’awil.

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Il Territorio omanita esplorato da MASPAG

La Missione Archeologica della Sapienza nella Penisola Arabica e nel Golfo (MASPAG) opera da più di quaranta anni in Oman. L’area archeologica si trova a ridosso del Tropico del Cancro, ed è facile intendere come il contesto paesaggistico sia completamente diverso da quello nostrano. Lo wadi, l’oasi e il sistema d’irrigazione Aflaj costituiscono l’ambiente omanita, definendo il paesaggio il cui operano i ricercatori italiani impegnati presso Wadi Al-Ma’awil.

Lo Wadi, il fiume dei deserti

Lo Wadi altro non è che un torrente tendenzialmente stagionale, che si gonfia durante la stagione delle piogge e va in secca nei periodi più caldi. Al di la di questo, la differenza con il contesto italiano sta nell’ampiezza raggiunta dal letto fluviale. Ad esempio, il Wadi che domina il territorio presso il sito di Wadi Al-Ma’awil può raggiungere un chilometro di larghezza. Ne consegue che intere aree vengono sommerse, trasformando le numerose alture in isolotti prigionieri delle acque. Le piene possono essere improvvise e devastanti, per questo la scelta del luogo in cui stabilirsi era di fondamentale importanza già agli albori dell’umanità. Esistono comunque Wadi perenni come quello di Wadi Shab: un paradiso le cui immagini ben dimostrano l’imponenza e l’importanza di un tale elemento nel territorio.

Veduta presso Wadi Shab

L’oasi, realtà oltre il miraggio

Le oasi sono letteralmente i polmoni con cui respira chi abita i deserti e le zone aride. All’ombra delle palme si articolano i villaggi, un dedalo di case e aree coltivate o dedicate al pascolo. Questa composizione è dovuta alla necessità di proteggersi dall’arsura che schiaccia l’ambiente superata l’ultima fila di alberi. Tanto oggi quanto in antico l’oasi rappresenta un elemento imprescindibile per la vita dell’uomo. Per questo l’attività di ricerca italiana presso Wadi Al-Ma’awil mira a rintracciare l’antica area verde di epoca storica, sicuramente presente nell’area indagata. L’obiettivo è infatti quello di comprendere i processi di addomesticamento delle oasi, la loro gestione, la loro difesa. Eppure, osservando il territorio risulterebbe difficile immagine un contesto verde e rigoglioso, sostituito ormai da chilometri di terra brulla. Questo perché le oasi si spostano nel tempo, al ritmo della trasformazione del Wadi piena dopo piena, o per l’esaurimento delle falde acquifere nel sottosuolo.

Veduta presso l’oasi moderna di Wadi Al-Ma’awil

Aflaj, ossia come l’uomo addomesticò l’acqua

Dire che l’Aflaj sia solo un sistema di canalizzazione è riduttivo e non rende giustizia a questa complessa ed affascinante soluzione per combattere la siccità. Affascinante è proprio la parola giusta perché furono le comunità antiche a ideare e sviluppare la canalizzazione delle acque del sottosuolo, portandole così alle aree abitate. Per approfondire abbiamo chiesto al dott. Guido Antinori di delineare il sistema: «Il falaj è il cuore dell’oasi, e quindi della vita in Oman. Le prime forme di questo tipo di canalizzazione ha permesso all’uomo di addomesticare un territorio difficile, creando piccoli paradisi verdi all’ombra della palme da dattero. Infatti, attraverso un sistema di pozzi e canali sotterranei l’acqua delle falde montane viene indirizzata verso le aree abitate a valle. L’origine del falaj anima il dibattito scientifico, e MASPAG cerca di contribuire studiandone le tracce nel paesaggio di Wadi Al-Ma’awil». Nel video a seguire può essere osservato  l’ingresso a un falaj moderno, intendendone così l’aspetto e la struttura. Un colpo sempre d’occhio utile per interpretare il passato.

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MASPAG, la Sapienza in Oman

La Missione Archeologica della Sapienza nella Penisola Arabica e nel Golfo (MASPAG) riprende le attività in Oman. L’area indagata si divide tra il complesso funerario di Daba Al-Bayah e l’oasi di Wadi Al-Ma’awil; quest’ultima indagata per la prima volta. In quest’occasione anche ArcheoMe sarà presente sul campo con il proposito di documentare e condividere l’avanzamento dei lavori.

L’Italia al di là dell’Italia

Non si parla spesso delle missioni archeologiche italiane all’estero, a meno che un importante ritrovamento non riesca a imporsi agli occhi dei media. Si verifica un improvviso picco d’interesse nell’opinione pubblica; poi, tutto tace e la ricerca italiana all’estero torna nell’ombra. Tuttavia, l’archeologia non è sinonimo di scoperte sensazionali, non è avvenirismo, ma lavoro costante, dedizione, e spesso ostacoli difficili da immaginare. ArcheoMe e MASPAG (social: FB- maspag; IG- maspag_archaeo) credono nell’importanza di raccontare la zona d’ombra dietro le grandi scoperte, con l’obiettivo di far comprendere come si arrivi a “riscrivere la storia”, frase spesso usata senza cognizione di causa che non rende giustizia ad una realtà molto più frequente di quanto si possa pensare. Questo viaggio dietro le quinte sarà raccontato da Edoardo Zanetti, dottore in filologia e storia del mondo antico, che avrà cura di documentare una storia diversa, quella degli archeologi italiani oltre i patrii confini.

L’attività di ricerca italiana in Oman

L’Oman è un luogo per certi versi magico: sospeso tra l’oceano e le alte montagne che lo separano dall’aridità del deserto. Questo è almeno il panorama che si può osservare dalla città di Muscat, base logistica per la missione italiana che indaga il contesto archeologico presso Wadi Al-Ma’awil. Sono state, infatti, individuate tracce di un insediamento connesso ad un’ampia necropoli. L’obiettivo del team italiano sarà quella di comprendere il rapporto tra uomo e ambiente agli albori della storia. «Più di quarant’anni di ricerca archeologica in Oman ci forniscono un quadro ampio e complesso dell’origine della società araba, ma c’è ancora tanto da fare» sono le parole del Professor Genchi. Il professor Ramazzotti aggiunge che «le ricerche archeologiche in Oman centro-settentrionale sono un Grande Scavo di Sapienza dal 2019, un’altra gemma dell’archeologia orientale nel mondo». Sarà svolta, pertanto, un’intensa indagine sul territorio con interessanti aggiornamenti che ArcheoMe non mancherà di documentare nei giorni a venire.

Il team Maspag in visita presso Wadi Al-Shab

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UNICT scopre importanti reperti di Tell Muhammad, II millennio a.C.

UNICT protagonista a Baghdad

A Baghdad, ricercatori dell’Università di Catania hanno riportato alla luce reperti del sito di Tell Muhammad del II millennio a.C. La missione archeologica è stata diretta dal prof. Nicola Laneri in collaborazione con lo State Board of Antiquities and Heritage dell’Iraq.

La missione e lo State Board of Antiquities and Heritage

La porta monumentale nella cinta muraria, magnifici vasi e due edifici risalenti al II millennio a.C. sono solo alcuni ritrovamenti delle attività di scavo condotti nel sito di Tell Muhammad. Nella periferia meridionale di Baghdad, infatti, ha lavorato la missione archeologica dell’Università di Catania diretta dal prof. Nicola Laneri del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’ateneo catanese denominata “Baghdad Urban Archaeological Project”. Una missione realizzata in collaborazione con lo State Board of Antiquities and Heritage dell’Iraq e grazie al supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Durante le attività di scavo sono stati esposti ampi tratti della cinta muraria monumentale di quasi 6 metri di spessore (tra cui anche la porta monumentale) edificata in mattoni crudi all’epoca di Hammurabi di Babilonia (risalenti al periodo 1792-1750 a.C.).

La scoperta di Tell Muhammad

“La scoperta conferma ciò che nel 1850 Sir Ernst Layard e, successivamente (tra il 1978 e il 1985), gli archeologi dello State Board of Antiquities and Heritage avevano evidenziato grazie al ritrovamento di tavolette e iscrizioni su teste di mazza in bronzo e cioè che Hammurabi, sesto re della I dinastia di Babilonia, aveva rafforzato con avamposti militari il suo confine settentrionale nel corso delle campagne militari che lo portarono a conquistare ampia parte della Mesopotamia”, spiega il prof. Nicola Laneri, docente di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente.

La missione è stata impreziosita dalla visita dell’ambasciatore italiano in Iraq Maurizio Greganti e del Direttore dello SBAH, dott. Laith Hussein, durante la quale è stata definita una possibile strategia per rendere fruibili le aree precedentemente scavate, ovvero l’area sacra sulla sommità del monticolo e il circuito di mura che lo cinge, magnifici vasi e due edifici risalenti al II millennio a.C.

Un momento della visita dell’ambasciatore Maurizio Greganti, del dott. Laith Hussein e il prof. Nicola Laneri

Attraverso un programma di restauro degli edifici in mattoni crudi e di creazione di coperture e pannelli esplicativi, in collaborazione anche coi dipartimenti dell’ateneo catanese e con enti di ricerca internazionale, il sito di Tell Muhammad potrà diventare un prezioso strumento per stimolare la conoscenza di una delle epoche più importanti della storia mondiale, cioè l’Età Paleobabilonese, nel centro della capitale dell’Iraq.

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I protagonisti dell’avventura “Sacred Landscape Sicily”

“Sacred Landscape Sicily”, persone oltre la ricerca

Non è scontato ricordare che la ricerca, sia questa “sul campo” o “da biblioteca”, è fatta da donne e uomini. Professionisti che hanno dedicato la propria vita allo studio, all’analisi delle fonti, alla comprensione del passato. Non parliamo di astratte collezioni di informazioni, ma di osservazioni mirate su contesti molto particolari, ristretti, così profondi che possono essere intravisti solo dopo molti anni di formazione. Vediamo, quindi, chi sono i protagonisti di “Sacred Landscape Sicily” e quale sarà il loro ruolo nella missione.

 

I direttori del progetto

La peculiarità della missione “Sacred Landscape Sicily” è quella di essere un’esplorazione fisica del territorio. La dott.ssa Margherita Riso, dell’Università di Leicester, è la mente del progetto. È lei ad aver individuato la linea scientifica da seguire, coinvolgendo in quest’avventura anche la Society for Church Archaeology. A lei si affiancano, in qualità di co-direttori, il dott. Matteo Randazzo e il dott. Andrea Arena. Il dott. Randazzo, dell’Università di Edimburgo,  si è occupato della ricostruzione del paesaggio antico e medievale in Sicilia Centrale. A lui si deve la datazione dei siti documentati lungo l’itinerario e la definizione dei possibili percorsi da seguire. Il dott. Arena, specializzato in preistoria e protostoria presso l’Università Ca’ Foscari, si è occupato di aspetti logistici cruciali del progetto. I sopralluoghi preliminari del tracciato e ricognizioni di superficie sono stati condotti sotto la sua supervisione.

La dott.ssa Margherita Riso

Collaboratori accademici

Come spesso accade, le missioni archeologiche sono composte da un team eterogeneo. Grazie al confronto tra i vari membri, ognuno specializzato nel proprio settore scientifico, possono essere risolti gli enigmi con cui il passato mette alla prova i ricercatori. In questo caso il gruppo è supportato dal dott. Giambattista Marras, dell’Università di Cambridge. Lui è l’anima tecnologica del progetto, in grado di fornire analisi informatiche del territorio, così da correggere la rotta terrestre che il gruppo on the field dovrà seguire. Il dott. Antonio Alfano, archeologo specializzato presso l’università Sapienza Università di Roma, accompagnerà, invece, il gruppo in qualità di guida Turistica e Ambientale Escursionistica. È direttore del Gruppo Archeologico Valle dello Jato, e da anni  conduce ricerche sul paesaggio rurale nel territorio dello Jato e del Belice destro.

Il dott. Giambattista Marras

 

Supporto e progetti paralleli

Non pensiate che i ricercatori siano topi di biblioteca completamente obliati dalle proprie lucubrazioni. In certi casi è così, ma per fortuna non sempre. Il team di “Sacred Landscape Sicily” si arricchisce di esperti i cui interessi vanno al di là del puro focus accademico. Infatti, uno degli obiettivi del progetto è quello di coinvolgere il territorio, e chi lo vive, non solo analizzarlo in maniera asettica. Il dott. Mikel Herran Subiñas, dell’università di Leicester, impegnato nello studio della trasformazione dello spazio domestico all’interno del mondo islamico, ha scelto di intervenire nel progetto ma in qualità di divulgatore scientifico. Sarà il blogger che seguirà la missione, @PutoMikel, il vero ponte tra l’accademia e l’immenso pubblico social. La dott.ssa Eleonora Trebastoni, laureata  in Televisione, Cinema e New Media, documenterà il viaggio con la sua telecamera. Sarà l’occhio che osserva e non dimentica, e la vista per il pubblico a casa. Infine, Salvatore Zuccarello, detto scherzosamente “L’Asinaro”, presidente dell’associazione Ciukino, si occuperà del trasporto dei materiali coi suoi asini, i principali “veicoli” del passato.

Salvatore Zuccarello con uno dei suoi ciuchini

Archeome e l’impegno per la divulgazione scientifica

Il divario tra la conoscenza accademica e quella del vasto pubblico è spesso abissale. La ricerca scientifica è in grado di analizzare il passato con precisione chirurgica. Tuttavia, ciò comporta una certa difficoltà nel condividere e spiegare i traguardi raggiunti ai non specialisti. Parliamo di minuzie, piccoli aggiustamenti che tuttavia permettono di “riscrivere la storia”, concetto che in questo caso non è solo un modo di dire. Archeome crede nell’importanza di una sana e virtuosa comunicazione tra accademia e vasto pubblico. Per questo s’impegna a sostenere, documentare e spiegare il progetto Sacred Landscape Sicily, con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico e rivitalizzarne la consapevolezza storica e archeologica (anima stessa del nostro paese). Noi siamo la nostra terra: chi non conosce le proprie origini dimentica sé stesso.

Seguite la conferenza stampa che si terrà giorno 24 alle 17.30.

Il logo del progetto

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“Sacred Landscape Sicily”, a journey through history

The “Sacred Landscape Sicily” project

The In the footsteps of Early Christian Rural Communities (social: Fb – Sacred Landscape; IG – Sacred Landacape Sicily), financed by the Society for Church Archaeology and by the University of Leicester, is about to start. ArcheoMe decided to follow this activity of academic research in detail because of its uniqueness. In fact, it’s not just a pure documentary analysis, but rather a “journey through time”, a physical exploration of the territory in order to trace the mobility through central Siciliy among the first rural Christian communities of the island.

A moment of field survey

 

Living the sacred landscape

The explorarion of the sacred landscape in central Siciliy will focus on the areas of Enna, Caltanissetta, and Catania. This is not a random choice: several scientific studies show the existence of a rich and complex archeological landscape. The objective of the research is to identify the possible routes that, centuries ago, were followed by the early Christians. We’re talking about the rural communities that inhabited the region between the 4th and the 9th century AD, which have left rural churches, monuments and necropolis. For a better understanding of the travel dynamics of this ancient time, the exploration will be done on foot, but not without a little help: in fact, two donkeys, the main “vehicles” of the past, will be used to transport the equipment, thus giving the right pace to the research activity. The Sacred Landscape Sicily Project rewrites the pure academic research in a new, experimental form, an active study of the territory in which it is immersed.

Aerial view of the rural church of Philosophiana

The path between landscape and archeology

The Sacred Landscape Sicily exploration, which will be documented by ArcheoMe, is led by Dr Margherita Riso of the University of Leicester, Director and founder of the project and by co-directors Matteo Randazzo and Andrea Arena. This journey will allow us to discover an unknown sicilian landscape: an overlooked archeological horizon, yet of great importance and unspeakable beauty. ArcheoMe will follow the research group through the roman villas of Gerace, Rasalgone and Casale; between the sizeable rural village of Philosophiana and other settlements inhabited from the prehistory to the Middle Ages; along the road axis of Imperial Roman age that connected Catania to Agrigento. The research team will attempt, once again, to bring all these puzzle pieces together. Quoting Dr Riso’s words, the times and the challenges of the journey “will be experimented by our team within a cultural landscape that has become a genuine container of collective and individual memory”.

Dr. Margherita Riso

 

Before the first steps

It should be known that, behind an experimental investigation such as that of Sacred Landscape Sicily, there is an extended period of study and scientific preparation. What might look like a “lighthearted hike” is actually quite different. The possible courses that have been identified by the research group are not influenced by the modern morphology of the territory, but rather by the ones of the Early Middle Ages. In particular, the philological research and the field survey are accompanied by the GIS (Geographic Information System) digital elaborations. Thanks to this software, it is possible to map the main elements of the landscape, both archeological and environmental, in order to grasp the hypothetical paths of the ancient road networks. At this point, “human” feedback is necessary to validate (or invalidate) the range of possibilities offered by the computer analysis.

The research team taking a selfie

It is about time: on the 24th of September 2022, Sacred Landscape Sicily will move its first steps with a presentation conference which will be held in Piazza Armerina, the picturesque ennese town that houses the famous Villa Romana del Casale, ever since at the center of a systematic archeological research. The “Litterio Villari” archeological group, which has always supported the archeologists working in central Sicily, will also be present at the conference.

Logo of the Sacred Landscape Sicily project, which can be followed on Instagram and Facebook

For the italian version click here.

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“Sacred Landscape Sicily”, un viaggio nella storia

Il progetto “Sacred Landscape Sicily”

Il progetto In the Footsteps of Early Christian Rural Communities (social: Fb – Sacred Landscape; IG – Sacred Landacape Sicily) finanziato dalla Society for Church Archaeology e dall’Università di Leicester sta per prendere il via. ArcheoMe ha scelto di seguire passo passo questa attività di ricerca accademica per la sua singolarità. Non si tratta, infatti, di pura analisi documentaria, ma di un “viaggio nel tempo”: un’esplorazione fisica del territorio per ricostruire la mobilità nella Sicilia centrale tra le prime comunità rurali cristiane dell’isola.

Un momento di ricognizione e ricerca sul campo

Vivere il paesaggio sacro

L’esplorazione del paesaggio sacro nella Sicilia centrale si concentrerà nelle aree di Enna, Caltanissetta e Catania. Un scelta non casuale: numerosi studi scientifici rivelano l’esistenza di un paesaggio archeologico decisamente ricco e articolato. Scopo della ricerca è quello di individuare i possibili percorsi che, secoli fa, vennero seguiti dai primi cristiani. Parliamo delle comunità rurali che abitarono la regione tra IV e  IX secolo d.C. e che lasciarono a ricordo di sé chiese rurali, monumenti, necropoli. Proprio per comprendere le dinamiche di viaggio di quest’epoca così antica l’esplorazione avverrà a piedi ma non senza un piccolo aiuto: per il trasporto delle attrezzature, infatti, ci si avvarrà di due asini, i principali “veicoli” del passato, che contribuiranno a dare il giusto passo all’attività di ricerca. Il progetto Sacred Landscape Sicily riscrive, dunque, la pura attività di ricerca accademica in una forma nuova, sperimentale, uno studio attivo del territorio in cui s’immerge.

Sacred Landscape Sicily
Veduta aerea della chiesa rurale di Philosophiana.

Il percorso tra paesaggio ed archeologia

L’esplorazione Sacred Landscape Sicily, che ArcheoMe avrà cura di documentare, sarà guidata dalla dottoressa Margherita Riso dell’University of Leicester, direttrice e ideatrice del progetto. Il viaggio ci permetterà di scoprire un paesaggio siciliano inedito ai più: parliamo di un orizzonte archeologico poco noto, eppure di fondamentale importanza e indescrivibile bellezza. ArcheoMe seguirà il gruppo di ricerca attraverso le ville romane di Gerace, Rasalgone e del Casale; tra il grande villaggio rurale di  Philosophiana ed altri insediamenti abitati dalla preistoria al medioevo; lungo l’asse viario di epoca romana imperiale che collegava Catania ad Agrigento. Tasselli di un puzzle separati tra loro, che il team di ricerca tenterà di riunire ancora una volta. Rifacendoci alle parole della dott.ssa Riso, i tempi e le difficoltà di viaggio “verranno sperimentati dal nostro team all’interno di un paesaggio culturale divenuto un vero e proprio contenitore della memoria, individuale e collettiva”.

La dottoressa Margherita Riso

Prima del primo passo

È bene chiarire che alle spalle di un’indagine sperimentale come quella di Sacred Landscape Sicily corre un lungo tempo di studio e preparazione scientifica. Quella che potrebbe sembrare una “passeggiata spensierata” in realtà non lo è. I possibili percorsi individuati dal gruppo di ricerca non sono influenzati dalla moderna morfologia del territorio ma da quella ricostruibile per l’era passata presa in esame, in questo caso l’alto medioevo. In particolare, la ricerca filologica e le ricognizioni di superficie si accompagnano alle elaborazioni digitali GIS (Geographic Information Sistem). Tramite questo software possono essere mappati i principali elementi del territorio, archeologici e ambientali, elementi con cui intendere l’ipotetico tracciato delle antiche rete stradali. Il riscontro “umano” è indispensabile, a questo punto, per validare o meno il ventaglio di possibilità ottenute dall’analisi informatica.

Il team archeologico in posa per un selfie

Non manca molto: il 24 settembre 2022 Sacred Landscape Sicily muoverà il primo passo con una conferenza di presentazione che si terrà a Piazza Armerina, il caratteristico comune ennese che ospita la famosa Villa Romana del Casale e da sempre al centro di una sistematica ricerca archeologica. Presente alla conferenza di avvio anche l’immancabile Gruppo Archeologico “Litterio Villari”, da sempre al fianco degli archeologi che operano sul territorio della Sicilia centrale.

Sacred Landscape Sicily
Logo del progetto Sacred Landscape Sicily, che potrete seguire sui canali Fb e Instagram dedicati

 

Per la versione inglese clicca qui.

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NEWS | I Templi di Paestum pronti a riaccogliere i visitatori

Nella serata di domenica 17 luglio 2022, verrà inaugurato, nell’area archeologica di Paestum, il percorso di visita all’interno del tempio di Nettuno e del tempio di Hera, la cosiddetta “Basilica”, nell’ambito delle aperture straordinarie del Parco Archeologico di Paestum e Velia promosse dal Ministero della Cultura.

In dettaglio

I due templi erano già stati resi accessibili al pubblico – nel 2017 la cosiddetta “Basilica” e nel 2019 il tempio di Nettuno – grazie alla creazione di percorsi senza barriere promossi dal precedente direttore, Gabriel Zuchtriegel. A causa delle restrizioni imposte alla pandemia di Covid-19, tuttavia, l’accesso fu interdetto dall’inizio di marzo 2020, ma il Parco è ora pronto a ripartire con le visite nei templi. In occasione dell’inaugurazione dei percorsi di visita, il direttore, Tiziana D’Angelo, accompagnerà i visitatori in due visite tematiche all’interno dei due templi dorici del Santuario meridionale di Paestum. 

Locandina dell’evento
Al cospetto degli dei 

“Un podio di tre gradini e un’alta soglia innalzano i templi greci dal suolo e separano lo spazio degli uomini da quello degli dei”, spiega il direttore Tiziana D’Angelo. “In antichità – continua -, questi imponenti edifici sacri erano quasi del tutto inaccessibili agli uomini, ad eccezione di sacerdoti e poche altre persone. Oggi, tutti noi siamo benvenuti nelle dimore delle antiche divinità di Paestum, con la riapertura al pubblico delle visite all’interno dei templi del santuario meridionale”. Visitare questi monumenti è, per certi versi, un privilegio unico, afferma il direttore, che conclude: “Dietro a questa riapertura c’è il lavoro di molti professionisti: archeologi, architetti e restauratori hanno collaborato per garantire un perfetto connubio tra esigenze di fruizione e di tutela”.

In copertina: Veduta dei templi di Paestum (foto di ©Oliver-Bonjoch).

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NEWS | Roma, dal Tevere in secca riemergono i resti del ponte Neroniano

Come quasi ogni estate il Tevere è interessato da una notevole diminuzione della portata d’acqua; quest’anno in particolar modo, tra l’altro. Ed è  quest’anno che, in maniera più evidente, sono riemersi i resti dei piloni dell’antico Ponte Neroniano, o Ponte Trionfale, che si trova a ridosso del ponte Vittorio Emanuele II.

I resti del ponte Neroniano (immagine via Fanpage)

 

Il Ponte Trionfale

Vicino al ponte Vittorio Emanuele II, infatti, sono affiorati i resti dei piloni del ponte antico. Realizzato, sembra, durante l’epoca di Nerone, il ponte fungeva da collegamento tra il Campo Marzio e il Circo di Caligola, a sinistra dell’attuale Basilica Vaticana. Era su questo ponte che passava la via Triumphalis, che procedeva fino a Veio. Nel 405 a.C. alcuni imperatori vi costruirono un arco di trionfo in ricordo della vittoria di Pollenza contro i Goti di Alarico (402 a.C.).

I resti del ponte neroniano sullo sfondo di Castel Sant’Angelo

Non è la prima volta che i resti riemergono dal letto del fiume. Anzi, nei secoli passati, riemergevano con ancora più evidenza vista la mole più massiccia di resti presenti. Solo nel corso del XIX secolo, infatti, i piloni sono stati demoliti per facilitare la navigazione. Quest’anno, tuttavia, la loro presenza al di fuori dall’acqua fa discutere maggiormente, considerato il clima di siccità che sta colpendo anche i fiumi più grandi del nostro territorio.

SI ha notizia dei piloni visibili al di fuori delle acque del Tevere agli inizi del XVI secolo, con un conseguente restauro voluto da papa Giulio II. La sua esistenza è testimoniata anche dalle incisioni di Giuseppe Vasi che, nel corso del XVII secolo, ha parlato dei piloni che emergevano dal fiume e di come venissero utilizzati per ormeggiare i mulini attivati dalla potenza del Tevere. Nell’Ottocento, i piloni furono distrutti per poter facilitare la navigazione prima e la costruzione del nuovo ponte Vittorio Emanuele II poi. Da allora le secche del fiume fanno emergere la storia.

I piloni neroniani in un’incisione d’epoca

In copertina: i resti del ponte antico a ridosso del ponte Vittorio Emanuele II (immagine via TGCom24)