Accadde oggi

Accadde oggi

La morte della memoria: quando l’ISIS distrusse Palmira

Nel pieno delle guerra civile siriana, l’avanzata islamica si abbatteva anche sui siti archeologici, seminando morte e distruzione della memoria storica. Il 21 maggio 2015 l’ISIS (l’auto-proclamato Stato Islamico) dichiara la cattura della città Palmira e del suo sito archeologico.

Distruzione del Tempio di Baal Shamin (© SANA via Il Messaggero)

 

La distruzione della Sposa del Deserto

Nei primi mesi del 2015, la Siria vede l’avanzata dello Stato Islamico pronto a conquistare e distruggere quanto riusciva a trovare sulla sua strada. Il 21 maggio 2015 l’ISIS arriva, così, a Palmira, la Sposa del Deserto, città siriana ricca di cultura e memoria storica

Importante snodo carovaniero, dal 19 d.C. Palmira diventava provincia romana. La città raggiunse infatti il suo momento di massima importanza commerciale tra il I e il III sec. d.C., divenendo, seppur per breve tempo, capitale del Regno Indipendente di Palmira, durante il governo della regina Zenobia (seconda metà del III sec. d.C.). Dal IV secolo iniziarono via via a diradarsi le notizie sulla città. Nel 634, Palmira venne conquistata dagli arabi di Khalid ibn al-Walid, detto “la spada dell’Islam”.

Arco monumentale di Settimio Severo, prima della distruzione dello Stato Islamico (immagine via Storica National Geographic)

Quando, nel maggio del 2015, lo stato islamico occupava la città, lo faceva con tutte le intenzioni di depredare e distruggere il più possibile la storia e la cultura della città. Già il 23 maggio 2015, lo Stato Islamico operava la distruzione della statua colossale del Leone di Al-lāt, proveniente dall’omonimo tempio dedicato alla divinità pre-islamica. Nei mesi seguenti, tra violente lotte e riconquiste da parte del popolo siriano, l’ISIS distruggerà un gran numero di luoghi storici: tra gli altri, il tempio di Baal Shamin (I se. d.C.), il tempio di Baal (I sec. d.C.), l’Arco monumentale di Settimio Severo, il Museo di Palmira e il Teatro Romano.

 

La morte della memoria

Prima dell’arrivo dei miliziani dello Stato Islamico, l’archeologo siriano Khaled al-Asaad,  aveva nascosto diversi reperti, i tesori romani di Palmira, per sottrarli alla barbarie jihadista. A 82 anni era stato catturato e torturato per quattro settimane di fila, con lo scopo di ottenere informazioni sul nascondiglio dei reperti. La sua morte avvenne per decapitazione proprio in uno dei luoghi della memoria di cui al-Asaad era stato direttore e custode, l’anfiteatro Romano, profanato dalla barbarie dello Stato Islamico. Questo luogo era stato scelto dai miliziani dell’ISIS come luogo delle pubbliche esecuzioni. Un forte messaggio da parte degli jihadisti, il massimo sfregio alla cultura e alla storia, la distruzione della memoria del passato: di fronte allo Stato Islamico, neppure la storia si sarebbe salvata.

L’anfiteatro romano di Palmira usato come luogo delle esecuzioni da parte dell’ISIS (immagine via English Al Arabiya)

(Immagine di copertina via ISPI, Istituto per Studi di Politica Internazionale)

Accadde oggi

Il Concilio di Nicea riscrive il mondo

Il 20 maggio del 325 d.C. il mondo dovette fermarsi. Era iniziato il Concilio di Nicea, un evento che, in un modo o nell’altro, avrebbe plasmato il futuro dell’umanità intera. Non è, infatti, sbagliato affermare come le scelte fatte in quell’occasione abbiano poi influenzato la storia sino ai nostri giorni. Decreti e dogmi che ancora condizionano la nostra vita, tanto nel sentito religioso quanto nella politica.

Icona di Cristo del tipo Pantocrator (Χριστός Παντοκράτωρ)

Preservare la pace

Grazie all’imperatore Costantino il Cristianesimo passò dall’essere un sussurro diffuso ad un vero e proprio culto religioso manifesto (clicca qui per La diffusione del Cristianesimo in Sicilia). Comparvero così le prime chiese cristiane, fuori e addirittura dentro le mura cittadine. Eppure, in soli 20 anni, si arrivò ad una tale confusione, e anche a tali divergenze in seno alla chiesa stessa, che l’imperatore dovette nuovamente intervenire per plasmare la storia. Venne, quindi, organizzato un concilio nella città di Nicea, in Bitinia, nel 325 d.C. In particolare, fu la natura di Cristo a motivare l’incontro dei 220 vescovi intervenuti in quell’occasione, un argomento di tale portata da poter sbriciolare l’impero stesso.

Diffusione del cristianesimo nel III sec. d.C.

Un nuovo mondo, fatto di dogmi ed eretici

Quanto deciso dal Concilio di Nicea servì per dar nuova struttura ad uno stato sempre più influenzato dai valori cristiani. Troppi, in effetti. Il Concilio rifiutò con forza l’interpretazione ariana della Trinità che, in particolare, considerava Gesù in maniera subalterna rispetto a Dio: solo una creazione priva della stessa sostanza del Padre. Inoltre, venne decretato come miracoloso il concepimento di Gesù da parte di Maria, quindi non carnale, per opera dello Spirito Santo. Si stabilì, pertanto, un dogma, cioè una verità imposta che avrebbe determinato la fede di lì in avanti. Venne poi riorganizzata la struttura della Chiesa stessa, ad esempio affermando l’autorità dei vescovi di Roma ed Alessandria sugli altri. Eppure, stando alle fonti, il Concilio di Nicea finì per essere un fuoco di paglia. In breve, i movimenti eretici ripresero forza, accompagnando l’impero nella sua progressiva trasformazione.  

Ario condannato dal Concilio di Nicea, icona proveniente dal monastero di Mégalo Metéoron, Grecia.

 

English Version: The Council of Nicaea reshapes the world

Accadde oggi

La morte del Führer dinanzi alla sua unica sposa, la Germania

Aprile 1945: gli ultimi giorni di vita per il Führer e per la sua Germania nazista. Assisteva dall’interno del Führerbunker al dissolversi del Terzo Reich, consapevole che, di lì a poco, il Paese sarebbe stato ridotto in macerie. Non accettava la sconfitta e un popolo, a suo dire, «poco dedito»: per questo la Germania sarebbe dovuta crollare con lui.

Führer
Un soldato russo nel Führerbunker Berlino, 1945 (foto: l’Universale)

Gli ultimi giorni del Führer

Il 20 aprile Hitler uscì per la prima volta dal bunker, calpestando quel che restava di Berlino, in lacrime. Incrociò alcuni soldati feriti e promise loro una vittoria impossibile: nessuno poteva difendere la Germania. Pochi giorni dopo lanciò un’invettiva contro il tradimento e l’incompetenza dei suoi comandanti e ammise – per la prima volta – che la guerra era perduta. Il fallimento e l’orgoglio lo portarono verso l’unica strada percorribile, che gli permise di camminare a testa alta fino alla fine: la morte.

«Non voglio che il mio corpo sia messo in mostra, voglio che i sovietici vedano che sono rimasto qui sino alla fine» affermò. Desiderava morire, morire lì dove aveva passato i suoi ultimi giorni: a Berlino. Iniziò a informarsi, chiedendo a un medico delle SSWerner Haase, i metodi più affidabili ed efficaci per suicidarsi: gli suggerì pistola e veleno.

Führer
Adolf Hitler ed Eva Braun

La morte di Hitler

Il 30 aprile, nella fase finale della battaglia di Berlino, Hitler si suicidò insieme alla compagna Eva Braun. La donna, appoggiando la testa sulle gambe del Führer, schiacciò tra i denti una fiala di cianuro. Hitler fece lo stesso, assicurandosi, però, la morte con un colpo di pistola nella tempia destra. I cadaveri di Hitler e di Eva Braun vennero portati all’esterno dell’edificio per poi esser dati alle fiamme. La vicenda ha aperto un giallo sulla veridicità della loro morte e sul destino dei loro corpi.

Copertina del giornale delle forze armate statunitensi The Stars and Stripes, edizione del 2 maggio 1945
Accadde oggi

La Congiura dei Pazzi, storia di un golpe rinascimentale

Firenze, 26 aprile 1478. Lorenzo e Giuliano de’ Medici si preparano per la messa nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, ma non sanno che alle loro spalle qualcuno sta tramando da tempo e che, proprio nella cattedrale, i due signori di Firenze stanno per essere le vittime di quella che è passata alla storia come la Congiura dei Pazzi.

Chi erano i Pazzi, storici rivali dei Medici

Da abili commercianti, nel Quattrocento, i Pazzi erano riusciti ad arricchirsi diventando una delle famiglie più potenti di Firenze. Attraverso una serie di matrimoni combinati tra le casate più importanti della città, erano riusciti ad entrare nella vita politica di Firenze e a diventarne i membri più influenti al pari dei Medici. La politica matrimoniale di Jacopo de’ Pazzi aveva coinvolto anche la famiglia rivale. Infatti, Bianca de’ Medici, sorella di Lorenzo e Giuliano, aveva sposato Guglielmo de’ Pazzi. Il matrimonio avrebbe dovuto appianare i dissapori storici tra le due famiglie. I Pazzi, banchieri come i Medici, non avevano mai accettato la supremazia della famiglia e il loro potere su Firenze. C’era un’altra cosa che i Pazzi mal tolleravano: i Medici erano i banchieri del Papa, un privilegio che faceva certamente gola alla famiglia di Jacopo.

Sebbene sia passata alla storia con il nome dei Pazzi, la famiglia fiorentina non era l’unica a volere la morte dei Medici. Da Roma, Francesco de’ Pazzi, nipote di Jacopo, era riuscito a coinvolgere papa Sisto IV, il nipote Francesco Salviati (arcivescovo di Pisa) e il re di Napoli Ferrante D’Aragona. Ognuno di questi personaggi aveva un motivo più che valido per volere la rovina della famiglia Medici.

La questione di Imola e lo scontro con il Papa

Nel 1473, il duca di Milano, Giangaleazzo Sforza, aveva messo in vendita la città di Imola. Il Papa aveva intenzione di acquistarla e darla in dono al nipote Girolamo Riario per le sue nozze con Caterina Sforza. Con il nipote a capo della città, lo Stato Pontificio avrebbe allargato i suoi domini fino in Romagna, ma la città era entrata anche nel mirino di Lorenzo il Magnifico. Il Papa non aveva abbastanza denaro per comprarla e questo i Medici, che erano i loro banchieri, lo sapevano bene. Lorenzo allora si rivolse ai Pazzi, chiedendogli di non prestare denaro al Papa e di non rivelare le sue intenzioni sull’acquisto della città. Senza l’appoggio delle due banche fiorentine, Sisto avrebbe perso l’occasione di acquistare la fortezza romagnola, che sarebbe andata in mano ai fiorentini. I Pazzi, però, tradirono le intenzioni di Lorenzo e avvertirono il Papa dei suoi piani. Il momento di rottura fra il pontefice e la famiglia de Medici fu sancito dalla decisione di Sisto di cambiare banchiere. Da quel momento in poi sarebbero stati i Pazzi i nuovi depositari delle casse pontificie.

Il rancore di Francesco Salviati, l’arcivescovo di Pisa

Tra i protagonisti della Congiura c’era anche l’esponente di un’altra grande famiglia fiorentina, anch’essa imparentata con i Pazzi: Francesco Salviati. Nominato arcivescovo di Pisa dal Papa, nel 1474 Salviati aveva fortemente desiderato la carica di arcivescovo di Firenze, ma Lorenzo era riuscito ad impedire la sua ascesa. Se Lorenzo gli negava Firenze, il Papa gli apriva le porte di Pisa in una guerra di potere combattuta ormai alla luce del sole. A chiudere il quadro dei congiurati restavano il re di Napoli Ferrante D’Aragona e Federico da Montefeltro, duca di Urbino. Entrambi erano animati non dal rancore, ma dal calcolo politico: una Firenze politicamente debole e senza Medici non avrebbe più ostacolato le mire espansionistiche delle due città.

La Congiura prende forma

A dare il via al progetto fu Francesco de’ Pazzi. Francesco viveva a Roma, dove si occupava della tesoreria apostolica dopo che il Papa l’aveva affidata ai Pazzi. Il desiderio di eliminare fisicamente sia Lorenzo che Giuliano lo aveva spinto a parlarne con Girolamo Riario e con l’arcivescovo Salviati, ricevendo consenso da entrambi. Più riluttante era stato Jacopo de’ Pazzi, consapevole della gravità di tale progetto. Riario allora pensò che se fossero riusciti ad ottenere il consenso del Papa, Jacopo non avrebbe potuto tirarsi indietro. Il tentativo andò a segno: Sisto IV auspicava un cambio di regime a Firenze, seppur con la raccomandazione di non spargere del sangue.

Il piano originale mandato in fumo da Giuliano de’ Medici

Per i congiurati era fondamentale che Lorenzo e Giuliano morissero insieme. Secondo il piano originale, entrambi avrebbero dovuto bere un calice avvelenato durante un banchettola sera prima del 26 aprile. Ma Giuliano non stava bene e quella sera non prese parte al banchetto. Fu allora che venne deciso che i Medici sarebbero morti la mattina dopo, durante la messa in Santa Maria del Fiore. La decisione di compiere un massacro in una chiesa fu forse la decisione che risparmiò la vita a Lorenzo. Il suo assassino designato, Giovanni Battista da Montesecco, si era tirato indietro perché non se la sentiva di uccidere un uomo in un luogo sacro. Al suo posto furono incaricati due preti al soldo dei congiurati. Di Giuliano, invece, se ne sarebbe occupato Bernardo Bandini Baroncelli, un fiorentino avverso ai Medici che sperava in una Firenze libera dalla signoria.

26 aprile 1478, la Congiura dei Pazzi passa alla storia

Non appena il sacerdote finì la messa, Bandini, Francesco de’ Pazzi ed altri congiurati accerchiarono Giuliano e iniziarono a colpire il giovane fino a quando, dopo diciannove coltellate, il suo corpo morto non si accasciò per terra. Lorenzo, forse per l’esitazione dei due preti incaricati di ucciderlo, ebbe il tempo di reagire e di prendere la spada. Ferito al collo, riuscì a difendersi e a barricarsi con alcuni dei suoi uomini all’interno della sacrestia. Non aveva idea di che fine avesse fatto il fratello e, noncurante della ferita, continuava a chiamare Giuliano. Nel frattempo, secondo il piano, Jacopo de’ Pazzi fuori dalla chiesa avrebbe dovuto richiamare la folla per ottenere il loro favore, inneggiando al popolo e alla libertà. Tuttavia, i congiurati avevano sottovalutato l’amore dei fiorentini per i Medici.

La Congiura fallita e la tragica fine dei congiurati

Appena si sparse la voce di ciò che era avvenuto nella Chiesa, una folla inferocita si riversò a casa di Francesco de’ Pazzi, dove l’uomo, ferito gravemente si era recato per riprendere le forze. Fu trascinato al Palazzo Vecchio e impiccato. Stessa sorte ebbe l’arcivescovo Salviati che, secondo il piano, avrebbe dovuto conquistare Palazzo Vecchio e uccidere il gonfaloniere di giustizia. Dopo una colluttazione, il secondo ebbe la meglio sul primo, che venne sommariamente processato e impiccato, dicono, dalla stessa finestra dalla quale sarebbe stato impiccato anche Francesco de’ Pazzi. Jacopo tentò la fuga, ma poco fuori Firenze venne riconosciuto da un contadino, catturato e impiccato a sua volta. Montesecco, dopo aver raccontato i dettagli della Congiura, ottenne una grazia per essersi rifiutato di uccidere Lorenzo: gli fu concessa la decapitazione al posto dell’impiccagione.

Lorenzo de’ Medici ebbe l’occasione di ripulire Firenze da tutti i suoi avversari

Rinchiuso nel Palazzo per oltre dieci giorni dopo l’attentato, Lorenzo non perse tempo per vendicare il fratello, unica vittima della Congiura (a parte i congiurati). La famiglia de’ Pazzi venne considerata colpevole, tutta quanta. Si salvò solo Guglielmo, marito di Bianca de’ Medici, ma venne bandito dalla città. Restava un solo uomo a non aver ricevuto giustizia: Bandinelli, l’assassino di Giuliano, era riuscito a fuggire. Fu rintracciato l’anno seguente a Costantinopoli e riportato a Firenze. Nel 1479, alla sua impiccagione, era presente un ragazzo, un giovane apprendista del Verrocchio, che disegnò Bandinelli appeso per il collo: quel ragazzo eraLeonardo Da Vinci.

Bandinelli appeso per il collo nel disegno di Leonardo Da Vinci
Accadde oggi

«La libertà non è uno spazio libero: è partecipazione»

Il 25 Aprile rappresenta l’occasione giusta per interrogarci su tematiche che, pur essendo importanti, vengono confinate nel luccichio della retorica: una di queste riguarda il significato della libertà.

Il 25 Aprile del 1945 iniziò la ritirata delle truppe nazifasciste dalle città di Torino e Milano come risultato del processo di liberazione attuato dai partigiani italiani e dalle truppe anglo-americane. Infatti l’Italia, all’indomani dell’armistizio di Cassibile dell’8 settembre del 1943, fu occupata militarmente dalle truppe naziste come previsto dall’Operazione Achse, pianificata da Hitler nel caso in cui l’Italia si fosse rivelata un alleato debole.

La mancata coscienza della libertà

Fin dal principio della costituzione dell’Italia Unita, gli italiani non hanno mai partecipato alla formulazione del concetto di libertà. Si noti che, prima del 1861, i movimenti che portarono alla fondazione dell’Unità non partirono mai dal basso con vere e proprie intenzioni rivoluzionarie, ma furono sempre guidati e idealizzati da intellettuali come Mazzini. Infatti, come dice Corrado Augias in Il disagio della libertà, la mancanza di partecipazione all’idea di nazione va ricercata nella mancanza di società. Fin dalla proclamazione del Regno d’Italia la democrazia non è mai stata contemplata, non permettendo lo sviluppo di quell’idea di libertà e coscienza civica fondamentale per una buona società democratica.

La libertà, come cantava Gaber, è «partecipazione», partecipazione alla collettività e all’idea di “bene”. Sempre Gaber affermava che l’uomo può essere libero solo nella democrazia, dove il concetto di libertà trova la sua miglior esplicazione. 

La libertà è stata indagata da molti pensatori: da Platone a Agnes Heller, passando per Locke, Spinoza e Kant, è stata un filo conduttore nella storia e nelle società. Heller è l’esempio più appropriato per questo nostro discorso in relazione alla Festa della Liberazione. La filosofa ha vissuto, da ebrea, in prima persona la limitazione della propria libertà personale nei lontani anni ’30 e ’40. Riuscita a scampare ai campi di concentramento, si è impegnata per tutta la vita in una riflessione morale atta ad accogliere la varietà dei valori nella post-modernità. Da ciò possiamo comprendere che la libertà non è incondizionata, ma ha dei limiti: il rispetto reciproco, il mutuo riconoscimento dell’idea di umanità e la non violazione della dignità altrui.

Fino a che punto si può limitare la libertà?

Nell’uomo vi è il sentimento di libertà, lo stesso sentimento che ha dominato i partigiani italiani negli anni della guerra per liberarsi dall’invasione straniera e dal regime fascista. Come dice la Heller nel suo libro Etica generale: “La libertà, sia personale che di scelta, è basata sull’esperienza vissuta, ovvero sentiamo quando è il momento di scegliere”. Nell’attimo in cui è nato il gruppo partigiano, il cuore degli italiani ha vibrato con spirito rivoluzionario, in favore di una liberazione territoriale e ideologica. Per Heller, la libertà è basata sull’autonomia morale, cioè la possibilità di ognuno di scegliere in una gamma finita di opzioni.

Continuando sul filone filosofico, il pensatore contemporaneo Paul Ricœur afferma che l’uomo può conquistare la propria libertà attraverso le parole e le azioni che, nel caso dei partigiani italiani, hanno portato alla nascita della Repubblica Italiana il 2 giugno 1946. La conquista di questo “spazio” socio-politico per noi è un dono e una responsabilità poiché la libertà non è una realtà statica, ma un processo dinamico in cui ognuno deve divenire una persona libera e un cittadino consapevole del fatto che si è liberi solo insieme.

libertà
Bandiera dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia

Di Kevin Vadalà e Antonio Morabito

Accadde oggi

The foundation of Rome: the myth in the history

The foundation

21 April 753 b.C., it’s an important date where history and myth merge to give birth to the legend of one of the most important cities that the world has ever known: Rome.

Through literary sources, we’re going to retrace the events that led to the foundation of the city and, thanks to archaeology, we’re going to see if there’s any truth behind it.

The origins and the myth of Romulus and Remus through literary sources

Plutarch and Titus Livius are some of the greatest writers of the past that dedicated their writings to the myth of the foundation of Rome, associated with the legend of Romulus and Remus.

The story of the foundation starts when Romulus and Remus, thanks to the approval of their grandpa, Numitor (whose throne was initially usurped by his brother, and then returned to him thanks to the intervention of his grandchildren) left their hometown, Alba Longa, in order to go back to the banks of the Tiber where they grew up.

Apparently, this is supposed to be the place where they founded the city of Rome. However, the problem was to establish the name of the city and who should have had the right to reign. Titus Livius explains to us how the matter was resolved:

“Since they were twins, and birthright couldn’t be applied as an elective criteria, the gods who protected that area should have decided, through the haruspices, the one that could name the city and could rule after its foundation. So, in order to interpret the signs, Romulus chose the Palatine Hill and Remus chose the Aventine Hill.

(Livius, Ab Urbe Condita, Book 1)

According to the myth, the brothers looked towards Alba Longa from the top of the two hills. From there, the gods would have sent a sign which would have legitimated the future king. From the East, the first omen arrived: Remus saw six vultures flying around his head, while Romulus saw twelve of them. The gods had decided: Romulus was going to be the king.

After having established who would have ruled, it was time to found the city on the Palantine

Romulus, after obtaining the god’s favors, chose the Palatine as a starting point, and then he prepared to make a foundation ritual and trace the perimeter of the dawning city.

Plutarch described this moment in a detailed way:

“Romulus hooked a plowshare in the plow and yoked an ox and a cow on it, he rode them, tracing a deep groove in the perimeter that he established. Where it was intended to place a door, the plow was extracted while the plowshare was pulled so that they would leave a gap in the groove.”

(Plutarch, Life of Romulus)

Plutarch tells us that, after tracing the groove, the edge of the city was redesigned, and the foundation stones for the city were placed. That sacred and inviolable boundary was called Pomerium. To add a sacrality to the event, a girl was sacrificed and buried close to the pomerium.

The city of Rome was founded, and its ritual of foundation became the model of inspiration for other future cities.

Romolo traces the boundaries of Rome, Annibale Carracci (1520)

The Myth of Rome: archaeology could confirm or disprove

A specific date, two twins who were nursed by a Wolf and raised by shepherds in a hut, a circle of walls, a human sacrifice, and a small village named Rome, founded on the Palatine and ruled by one king. It seems like the Roman writers agree on the events that led to the birth of Rome, the Eternal City. How much of this “fairy tale” has convinced archaeologists? The answer is: a lot.

Andrea Carandini claimed that he made one of the most important discoveries during excavations around the Palatine’s area, in 2005.

The sacrifice of the girl during the furrow of foundation

On the slopes of the Palatine, a burial was dug containing the remains of a murdered little girl and buried with her grave goods. There was a small cup, which allowed us to determine the date of the burial, around 775-750 b.C., a date that is incredibly close to the one attributed to the foundation of Rome.

In the ridge between the Palatine Hill and the Velian Hill, Carandini and his team found the remains of a wall, dated at about 750-700 b.C., which took the name of Wall of Romulus”.

The “Wall of Romulus”, between the Palatine and the Velian hills

 

The huts of the kings and the temple of Vesta

Under the Palatine, archaeologists excavated the remains of some huts; hearths, stove tops, and post holes which were datable to the 8th century b.C.

Those elements were found near a temple dedicated to the goddess Vesta, which was already excavated in 1987. Inside the temple, the remains of a previous building, were discovered, once again, from the 8th century.  Even though it was a building of considerable size with an external court (which meant that it was a house worthy of an important figure), the construction technique was still rudimentary: once again, post holes that supported a roof and walls of dried clay, which were typical of constructions from that historical period.

This building was attributed to Numa Pompilius (754-673 b.C.).

Reconstruction of a 8th century b.C. hut on the Palatine hine

 

The “tugurium Romuli” or “the house of Romulus”

The tugurium Romuli is a hut that has been identified thanks to the presence of dugs where stakes supported the roof, which was of modest size.

The foundations of this building recur to the Iron Age (900-700 b.C.) and the position on the Palatine Hill could be associated with the first legendary king of Rome, that’s why it is named after him, “the house of Romulus”.

 

One of the huts that was found on the Palatine hill during Carandini’s excavations

The Lupercale

To conclude with the findings that allowed archaeologists to give credit to the myth, in 2007, the Italian archaeologist Irene Iacopi announced that, under the slopes of the Palatine, 16 meters deep, the archaeologists found a cave, which could only be explored with a camera probe, whose vault was decorated with Augustus’s eagle.

Perhaps, it might have been a place attributed to the legend and then became a house of worship.

“I’m an archaeologist, which means that I’m an historian, I study things that are made by humans and what is left of them on the land. I have been lucky enough to excavate for many years in those places that are mentioned in the myth, where Rome is supposed to be founded, and where the first kings may have lived. I have collected lots of material evidence in these excavations, which seem to be external to the literary tradition, and yet dating back to those days that recall the events and the actions of legendary figures. This is why I don’t believe that the legend of Rome is a fairy tale, but rather a tradition where truth and fiction are present and blended.”

-Andrea Carandini 

Accadde oggi

The Unsinkable Titanic, the sad ending of a fairytale

The shipwreck of the Titanic

Today marks the anniversary of one of the most dramatic events in the history of maritime navigation: the shipwreck of the Titanic, known as “the ship of dreams”.
The RMS Titanic was a British transatlantic of the Olympic class which, shortly after the start of its voyage, sank on April 15th, 1912, after colliding with an iceberg in the Atlantic Ocean. To this day, the wreck is still being studied.

The Titanic

The beginning of the voyage

In 1908, at the Harland and Woolf shipyards in Belfast, the entrepreneurs J. Bruce Ismay and W. James Pirrie financed a project which involved the construction of massive vessels that could face any type of sea voyage and demonstrate how much naval technology had progressed. The project included the making of three sister ships: the Olympic, the Titanic and the Gigantic.
The Titanic was launched in May 1911 and a year later, its memorable voyage began.
On 11 April 1912, the ship sailed from the port of Southampton, England, with lots of passengers on board, including Irish emigrants looking for a better future in America.

The departure of the transatlantic

The iceberg

The first days of the trip were peaceful and the Titanic gave the impression of being the ship of dreams.
There was every kind of comfort onboard, and the passengers enjoyed a stunning view, it was like they were living in a fairytale.

However, the ship had some flaws. The transatlantic didn’t have adequate spyglasses while crossing the Atlantic Ocean at high speed, probably due to an excessive sense of human safety which is a frequent mistake during sea voyages.

On April 14th, 1912, at 23:40, the Titanic hit a massive iceberg that heavily damaged its right side.

The iceberg that caused the sinking of the Titanic (reconstrunction)

The end of a dream

Initially, what seemed to be a minor inconvenience was, eventually, the cause of the sinking of the Titanic.
The iceberg had struck a crucial spot of the vessel which began to fill with water, with critical consequences. Within a few hours the first five compartments were flooded: the forepeak, the mail-holder and the boiler.
The ship tilted so much that it broke in two parts; one of the two parts, the bow, sank immediately. Then, the stern initially straightened up but later plummeted. What was meant to be a trip in the ship of dreams turned out to be a nightmare that caused the death of most of the passengers on board.
Some vanished with the ship; others couldn’t face the low temperatures of the Atlantic Ocean; and others died waiting for the rescuers who arrived several hours after the sinking.

The sinking (reconstruction)

Accadde oggi

20 Marzo 43 a.C., nasce Publio Ovidio Nasone

Il 20 marzo del 43 a.C. nasce Publio Ovidio Nasone, poeta romano ed esponente di spicco della letteratura latina e della poesia elegiaca.

Celebre tra gli antichi, la sua fama giunge, ben presto, ai moderni al punto da esercitare una forte influenza anche tra i rappresentanti della poesia italiana.

 

Busto di Publio Ovidio Nasone

La vita e gli esordi letterari di Ovidio

Molte delle notizie di cui disponiamo su Publio Ovidio Nasone, ci vengono dallo stesso poeta che ci ha lasciato una preziosa testimonianza del suo operato.

Nasce a Sulmona nel 43 a.C. da una famiglia di rango equestre e frequenta, sin dall’adolescenza, le scuole dei rètori più famosi, muovendosi tra Roma e Grecia.

In giovane età, entra nel circolo letterario di Messalla Corvino e inizia a dar prova delle sua formidabili abilità di versificazione: nel 20 a.C. cura, infatti, la sua prima edizione di una raccolta di elegie latine, dal titolo Amores 

Agli Amores seguirono altre opere appartenenti, sempre, al genere elegiaco: le Heroides, realizzate dopo il 15 a.C, e l’Ars amatoria, composta tra l’1 a.C. e l’1 d.C.

L’esilio di Ovidio

La prolifica attiva letteraria di Publio Ovidio Nasone, purtroppo, subisce una brusca interruzione nell’8 d.C, quando viene condannato da Augusto alla relegatio (relegazione) nell’isola di Tomi. 

Non si conoscono le motivazioni che si nascondono dietro questo provvedimento, ciò che è certo è che a Roma Ovidio non fece più ritorno, morendo nella suddetta isola nel 18 d.C.

Per un approfondimento su quest’ultimo tema e sulla vita di questo illustre personaggio romano, si invita il lettore a consultare un’elegia dello stesso, si tratta della seguente: Tristia, IV, 10.

 

Ovidio in esilio

 

Le Metamorfosi

L’opera più nota e più importante del poeta latino è il grande poema dal titolo Metamorphosĕon libri (Libri delle trasformazioni), appartenente al genere dell’epica mitologica.

L’intenzione di addentrarsi nel campo dell’epica è chiarita dal poeta nel breve proemio, premesso all’opera:

In nova fert animus mutatus dicere formas

Corpora; di, coeptis (nam vos mutastis et illas)

Adspirate meis primaque ab origine mundi

ad mea perpetuum deducite tempora carmen!

 

L’animo mi spinge a cantare le trasformazioni in nuovi

esseri; o dèi (perché a voi si devono anche quei mutamenti),

siate propizi alla mia impresa, e dalla prima origine del mondo

fino ai tempi miei ordite un canto continuato!

                                                                                                           (Metamorfosi, I, vv. 1-4; trad. G. Garbarino)

 

Il poema, diviso in quindici libri, presenta una numerosa serie di miti, tutti riconducibili al tema della metamorfosi e inizia dalla narrazione del Caos originario, continuando con il susseguirsi di età mitiche e di generazioni eroiche fino all’età contemporanea.

L’opera ha esercitato un fortissimo influsso sulle letterature moderne, dal momento che rappresenta un perfetto esempio di enciclopedia della mitologia classica.

Il noto poema di Ovidio

Particolarità del poema rispetto alle convenzioni epiche

Rispetto alle convenzioni epiche, le Metamorfosi presentano alcune differenze:

  • nel poema non emergono personaggi di spicco, norma tipica dell’épos;
  • le divinità non sono rappresentate come esseri superiori, ma sono colte nella loro dimensione privata e sono inclini alle vicende umane;
  • viene infranto il codice epico dell’impersonalità della narrazione a causa di alcuni commenti del poeta.
L’importanza di Ovidio nella tradizione italiana

Ovidio ha esercitato una forte influenza anche su alcuni illustri esponenti della tradizione italiana, diventando un modello da seguire.

I periodi dell’Umanesimo, Rinascimento e del Barocco sono stati quelli più fertili per l’ingresso del poeta latino nella letteratura italiana.

L’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e l’Adone di Giambattista Marino devono, per esempio, molto alle Metamorfosi, non solo nella struttura dei singoli episodi, ma anche per il fitto uso di intrecci all’interno dei racconti.

Anche gli scrittori del Romanticismo, di solito non curanti dei classici latini, esaltarono la figura di Ovidio, elogiandolo per essere un esule e un perseguitato, condizioni che affascinavano molto la poesia del primo Ottocento.

La fama di Ovidio si diffuse anche nel Novecento, grazie al movimento culturale del Decadentismo, fautore dell’abbandono del rigore e della logica, e grazie a poeti come Gabriele d’Annunzio, che, nel suo terzo libro di Laudi, dal titolo Alcyone, reinterpreta in chiave moderna il motivo della trasformazione, arrivando addirittura a ipotizzare un’unione tra l’uomo e la natura.

Accadde oggi

Festa del papà: un consiglio dai Babilonesi

Nella ricorrenza di oggi, nota ai più come La Festa del Papà, può essere interessante lanciare uno sguardo al passato per intendere quale fosse il valore della paternità. Solo una breve occhiata  verso un mondo scomparso che, per certi versi, non era poi così differente dal nostro.  

Una storia vecchia quasi quanto la storia

Talvolta, la vita può mettere in crisi il suo protagonista. Traumi, delusioni, abbandoni possono allontanare l’uomo dal centro del suo mondo. Si tratta di fughe, magari fisiche, come l’uscir di casa per non far ritorno, o introspettive, attraverso il rifiuto del dialogo o l’apatia. Per certi versi tale condizione mosse le azioni di un uomo, eroe di uno dei più antichi componimenti mai scritti dall’uomo: Gilgameš. Costui fu realmente un grande re del passato, e attorno la sua fama si costruì un filone di storie leggendarie che, infine, furono riordinate in un’unica opera, l’Epopea di Gilgameš. Seppur le sue gesta siano perlopiù rivolte alla ricerca dell’immortalità, vi è un passo nel componimento che vale la pena citare a proposito dell’odierna festa del papà. Un consiglio dal passato, e forse il senso stesso della vita. 

Siduri, Thom Capheim (1999)

Il saggio consiglio 

Gilgameš vaga disperato, incapace di accettare la morte dell’amico Enkidu e, di conseguenza, l’inevitabilità della propria. Nella sua folle ricerca dell’immortalità arriva in un luogo sperduto, in riva al mare, dove incontra la saggia Siduri. Nella versione paleo-babilonese dell’opera i due hanno un breve dialogo, la cui profondità trascende il tempo. È Siduri a parlare, cercando di far ragionare il confuso eroe: Gilgameš ma dove vai vagando? Non troverai mai la vita che cerchi! Da quando gli déi crearono l’umanità riservarono la morte per l’uomo. E quindi il consiglio: Per ciò che ti concerne, Gilgameš […] Guarda con tenerezza il bambino che ti tiene la mano, e che la tua sposa non cessi di gioir nei tuoi abbracci! Tale, infatti, è il destino degli uomini!. Un pensiero di quattro millenni fa, eppure così eterno. Pertanto, in questa giornata dedicata ai papà, tanti auguri anche da parte del nostro passato.

Accadde oggi

“Tu quoque”, le idi di marzo e la morte di Cesare

Ricorre oggi l’anniversario della morte di Gaio Giulio Cesare, avvenuta il 15 marzo del 44 a.C.

Cesare occupa un posto di primo piano nella storia romana, dal momento che fu il principale artefice del passaggio dalla repubblica al principato.

Gaio Giulio Cesare

 

Chi è Cesare

Appartenente alla gens Iulia, un’antica famiglia di origine patrizia, ma legato da rapporti di parentela con Mario e Cinna, due tra i più noti esponenti del partito dei populares, Gaio Giulio Cesare nasce a Roma nel 100 a.C.

Le fonti sulla biografia di questo grandissimo personaggio sono numerose. Alcune tra queste ci vengono  dallo stesso Cesare, che in una sua nota opera, dal titolo Commentarii, narra, in terza persona, alcune sue imprese relative alle campagne in Gallia e alla guerra civile disputatasi tra lui e Pompeo. A questa importantissima fonte, bisogna aggiungere degli scritti realizzati da alcuni esponenti politici e culturali a lui contemporanei, cioè Cicerone e Sallustio.

Avviato, sin dalla giovinezza, all’attività politico-militare, Cesare assunse un forte rilievo anche nel campo letterario, cimentandosi in svariati campi.

I successi di Cesare

Lunga e ricca di successi è la carriera politica di Cesare, protagonista del passaggio di Roma dalla repubblica al principato.

La sua attività politica inizia nel 68 a.C., quando ottiene la carica di questore, continua nel 65, con quella di edile e culmina nel 63, quando riesce ad assicurarsi la carica di pontefice massimo, che veniva conferita a vita.

Nel 60 a.C., stringe un accordo di aiuto politico con Pompeo e Crasso, che passa  alla storia come il primo triumvirato.

Console nel 59, riuscì a farsi assegnare, per cinque anni, il governo proconsolare di Gallia e dell’Illirico, al fine di avviare delle spedizioni per salvaguardare la provincia romana dalle ostilità, potenzialmente pericolose per Roma, createsi tra le tribù celtiche e germaniche. Queste azioni si conclusero nel 52, con la sottomissione di tutta la Gallia a Roma, dopo che Cesare era riuscito a far salire la durata quinquennale del suo governo proconsolare di altri cinque anni.

Il primo triumvirato: Cesare. Pompeo e Crasso (da sinistra)

 

La guerra civile ( 49-45 a.C.)

Il triumvirato era nato come un accordo politico tra tre esponenti di spicco del mondo romano, ma era evidente che uno di loro, cioè Cesare, mirava a ottenere un potere assoluto, che scavalcasse quello di Pompeo e Crasso: ciò divenne chiaro in seguito alla morte di Crasso, ucciso a Carre nel 53 a.C. dai Parti, e alle conquiste nella Gallia di Cesare. L’aria che si respirava, in seguito a queste due vicende, era molto tesa e “profumava” di guerra civile.

Il Senato, preoccupato dall’eccessivo potere del console romano, nel 49 gli mandò un ultimaturm, esortandolo a sciogliere l’esercito e a non fare rientro in Italia con delle truppe armate.

Cesare si mostrò incurante del provvedimento del Senato e, oltrepassando il fiume Rubicone, diede l’avvio a una guerra civile. Non ci fu grande resistenza, dal momento che in poco tempo il patrizio riuscì a ottenere il controllo di Roma e dell’Italia e si scontrò con Pompeo, giunto intanto in Oriente per organizzare una resistenza contro quello che ormai era un dittatore vero e proprio, sconfiggendolo  a Farsàlo, in Grecia, nel 48 a.C. La guerra, tuttavia, continuò anche dopo la morte di Pompeo, avvenuta il 28 settembre del 48, con le battaglie di Tapso, in Africa, e di Munda, in Spagna, rispettivamente nel 46 a.C. e nel 45 a.C.

Mondo romano allo scoppio della guerra civile (49-45 a.C.)

La dittatura di Cesare

Successivamente alla vittoria di Munda, Cesare aveva avviato una serie di riforme per concentrare su di sé tutti i poteri politici: divenne imperator, comandante dell’esercito, e, al tempo stesso, si fece proclamare tribuno della plebe e pontefice massimo. La sua era una volontà precisa: trasformare Roma in un principato. Era convinto che la Repubblica, oramai, risultava inadatta rispetto ad una realtà storica sempre più complessa. Il Senato si era sempre preoccupato di difendere solamente gli interessi dei nobili e dei ricchi e aveva trascurato le esigenze del popolo e delle province. Il vasto impero venutosi a formare aveva bisogno di un governo forte ed unitario che tenesse conto dei bisogni di tutti.

Cesare voleva che i popoli sottomessi considerassero Roma non come una nemica, ma come una preziosa alleata, fautrice del loro progresso economico e culturale e, per questo, si impegnò nel progetto di romanizzazione delle province, introducendo in esse la legge romana e la lingua latina.

 

Riforme in campo politico e amministrativo

Queste furono alcune delle riforme politiche e amministrative di Cesare, impegnato a trasformare Roma in un forte principato:

  • aumento del numero dei magistrati;
  • aumento del numero dei senatori;
  • fondazione di nuove colonie romane, anche nelle zone più lontane da Roma;
  • estensione della cittadinanza romana alla Gallia Cisalpina.
Le idi di Marzo e il Cesaricidio

Con l’espressione “idi di Marzo”, si fa riferimento all’assassinio di Cesare, avvenuto il 15 marzo del 44 a.C.

Il termine “idi” è legato al calendario giuliano , che divide i giorni di un mese in base a tre date fisse e non a una numerazione progressiva: calende, none e idi. Le calende indicano il primo giorno di un mese, le none il quinto o il settimo e infine le idi si riferiscono alla metà del mese.

Questa importante riforma del calendario venne fatta proprio da Cesare ed entrò in vigore nel 45 a.C.

L’anno successivo a questa riforma, il dittatore venne ucciso durante una congiura portata avanti da circa 60 senatori, tra cui figure di spicco come quelle di Bruto e Cassio. A questo episodio, passato alla storia come Cesaricidio, è legata la famosa espressione: Tu quoque, Brute, fili mi? (Anche tu, o Bruto, figlio mio?) con cui Cesare si rivolgerebbe al figlio, secondo quanto riportato da Svetonio.

L’eccessivo accentramento del potere nelle mani di Cesare aveva destabilizzato e preoccupato il Senato, impreparato di fronte al programma di riorganizzazione dello Stato e delle riforme istituzionali volute dal dittatore, che decise di intervenire contro il processo di trasformazione della res publica in impero.

La morte di Cesare, tuttavia, non arrestò il processo di cambiamento, anzi scatenò una serie di eventi che portarono al potere il figlio adottivo, Ottaviano, che nel 27 a.C. instaurò a Roma una forma di governo autocratica, ottenendo per sé poteri assoluti.

Dipinto “La morte di Cesare”(Napoli, Museo di Capodimonte) di Vincenzo Camuccini