APPROFONDIMENTO | Le parole proibite dal fascismo, quando il cocktail divenne la “bevanda arlecchina”
Estate Italiana, anni ’30.
«È una bella domenica di luglio, avete preso il torpedone* e siete arrivati al mare. Per il pranzo, niente di meglio che una bella insalata tricolore da gustare sotto l’ombrellone mentre un vostro caro amico, arrivato dall’Argentina per le vacanze, vi racconta com’è bella la vita nella capitale, Buonaria. Per cena avete prenotato in quel posto carino in cima alla scogliera, per ammirare un tuttochesivede* mozzafiato, e da bere vi gustate quella bevanda arlecchina* estiva che vi da un po’ alla testa, non siete abituati a bere àlcole! Dopo cena tutti alla sala da danzare, speriamo che passino in radio qualche pezzo di quel trombettista famoso, come si chiama? Ah si, Luigi Braccioforte!».
Vi sentite confusi? Oggi è comprensibile, ma per gli italiani del ventennio fascista era assolutamente normale utilizzare questi termini, ovvero l’italianizzazione delle parole straniere, assolutamente proibite dal fascismo a partire dal 1923.
La comunità slovena subì per prima il fenomeno dell’Italianizzazione
Nel 1923, tre anni dopo il Trattato di Rapallo (che ridisegnò i confini dell’Italia nord-orientale annettendo Gorizia, Trieste, Pola e Zara), il regime fascista intraprese una politica di italianizzazione forzata nei confronti della comunità slovena. Politica che, successivamente, fu estesa a tutto lo stivale.
Con la legge n. 2185 del 1/10/1923, fu abolito l’insegnamento della lingua slovena nelle scuole. Non solo, parlare una lingua che non fosse l’Italiano (in questo caso la lingua slava) venne assolutamente vietato in tutti i luoghi pubblici. Ma non era abbastanza: anche la toponomastica subì l’italianizzazione. Migliaia di cognomi di origine slava e croata vennero modificati e tradotti in italiano.
La traduzione forzata dei termini stranieri
«Basta con gli usi e costumi dell’Italia umbertina, con le ridicole scimmiottature delle usanze straniere. Dobbiamo ritornare alla nostra tradizione, dobbiamo rinnegare, respingere le varie mode di Parigi o di Londra o d’America. Se mai, dovranno essere gli altri popoli a guardare a noi, come guardarono a Roma o all’Italia del Rinascimento… basta con gli abiti da società, coi tubi di stufa, le code, i pantaloni cascanti, i colletti duri, le parole ostrogote». Così riportava Il costume de Il Popolo d’Italia il 10 luglio 1938.
Che il grande sogno di Mussolini fosse quello di riportare Roma ai fasti del periodo imperiale è cosa nota; questa gloriosa rinascita doveva essere presente in ogni aspetto della vita degli italiani, soprattutto nella lingua. Basta “elemosinare” termini stranieri, basta copiare modi di dire e parole ai popoli inferiori. Cosa avrebbe pensato un imperatore romano se avesse sentito noi, i “Romani”, parlare utilizzando termini “barbari”? Tramite il controllo diretto su ogni organo di stampa, in poco tempo si favorì l’utilizzo e la diffusione dei nuovi termini italianizzati per volere del regime fascista.
Parole proibite e parole inventate: ci pensa D’Annunzio
Tra i numerosi linguisti e intellettuali favorevoli al processo di italianizzazione, non poteva di certo mancare il poeta-“vate”. Termini come velivolo e tramezzino (al posto di sandwich) ed espressioni come eja eja alalà! (al posto di hip hip hurrà) sono da attribuire proprio a Gabriele D’Annunzio. Furono più di 500 le parole tradotte in italiano, dai termini della sofisticata cucina francese ai termini inglesi utilizzati per lo sport, passando per i nomi propri di persona (George Washington divenne Giorgio Vosintone, Louis Armstrong fu Luigi Braccioforte) e le città straniere come Buenos Aires, Buonaria.
Con la caduta del regime fascista molte di queste parole italianizzate tornarono alla loro forma “straniera” e nelle scuole dell’Italia nord-occidentale fu riammesso l’insegnamento bilingue. D’altra parte, in un mondo totalmente globalizzato come il nostro, il dizionario di parole da italianizzare dovrebbe essere aggiornato ogni giorno. E poi, il mondo sa già di che pasta solida sono fatti gli italiani, sono stati i ragazzi della nazionale di Palla al calcio a ricordarglielo!