Autore: Vera Martinez

Approfondimento

Il nazismo esoterico di Hitler

«L'archeologia si dedica alla ricerca dei fatti, non della verità. Se vi interessa la verità, l'aula di filosofia del professor Tyre è in fondo al corridoio».

Con queste parole dal film Indiana Jones e l’ultima crociata, che dovrete tenere a mente, iniziamo questo approfondimento sul nazismo di Hitler: il nazismo esoterico e la ricerca di oggetti come il Sacro Graal o la Lancia di Longino, secondo l’ideologia nazista, avrebbero donato un immenso potere all’esercito tedesco, portando la razza ariana alla conquista del mondo. Quanto il Führer e il suo braccio destro Himmler abbiano fatto affidamento su un potere magico o divino per vincere la guerra, ai fini della storia, è irrilevante. Non sappiamo quanta verità si nasconda dietro le loro convinzioni e non sappiamo quanta ricerca fosse legata a un reale interesse per questi oggetti. Ci limiteremo a raccontare alcuni fatti legati alla ricerca di oggetti dal potere mistico senza spacciarli per verità.

hitler
Hitler e i nazisti, i nemici numero uno di Indiana Jones

Indiana Jones contro i nazisti di Hitler

Il filo conduttore di questo approfondimento, lo avrete capito, è la figura dell’archeologo più famoso del cinema: il professor Henry Jones Junior, ma preferisce farsi chiamare Indiana Jones. Spielberg ha illuso generazioni intere di giovani studenti universitari che, al loro primo giorno in aula, hanno dovuto accettare l’amara verità che l’archeologia reale è molto lontana da quella del professor Jones. Ma c’è una cosa sulla quale il regista e il suo personaggio non ci hanno mai mentito: l’ossessione dei nazisti (antagonisti per eccellenza nei film di Indiana Jones) per gli oggetti leggendari legati alla religione. 

hitler

Il Sacro Graal, la coppa che avrebbe dato un potere immenso a Hitler

In Indiana Jones e l’ultima crociata i nazisti sono alla ricerca del Sacro Graal, la coppa usata prima da Cristo nell’Ultima Cena e poi da Giovanni di Arimatea per raccogliere il sangue di Cristo dalla Croce. Il professor Jones riesce a trovare il Graal prima del nemico e dimostra molta intelligenza nello scegliere la coppa giusta: la più modesta, nascosta in mezzo a tanti calici in oro e gemme preziose. I nazisti, invece, bevono dalla coppa sbagliata: non pensano con umiltà, accecati dal potere e dalla gloria che si nasconde dietro lo scintillio dell’oro. Questo succede nel grande schermo.

Nella realtà ci fu un Indiana Jones, uno storico e ricercatore medievale, impegnato nella ricerca di manufatti come il Graal. Si chiamava Otto Rahn e non combatteva i nazisti: era un ufficiale delle SS, incaricato da Himmler per trovare il Graal.

Otto Rahn, il cercatore del Sacro Graal

Il mito di Parsifal, l’unico cavaliere degno di vedere il Graal

Otto Rahn era un appassionato di poemi medievali e, come Himmler, conosceva bene il mito di Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. In particolare, la figura su cui si focalizzò fu quella di Parsifal, il cavaliere di Artù che aveva trovato il Graal. Secondo la leggenda, il Graal era custodito sulla cima del Monsalvato, in un eremo in cui i puri di cuore trascorrevano la loro vita traendo forza dagli oggetti sacri ivi custoditi. Tra gli altri oggetti c’era anche la Lancia di Longino di cui ci occuperemo più avanti. A questo punto occorre fare una precisazione: sebbene il beneficiario del potere di questi oggetti sarebbe stato il Führer, la ricerca ossessiva fu opera di Himmler (capo delle SS e secondo uomo più potente della Germania) e di Otto Rahn.

Apparizione del Graal sulla Tavola Rotonda in un dipinto del XV secolo
Parsifal impugna la Lancia di Longino nell’opera Parsifal di Richard Wagner. Disegno di Arnaldo Dell’Ira,1930 ca.

La crociata contro i Catari, un indizio del Graal sul Monsalvato

Rahn, dopo aver passato al vaglio la storia medievale, identificò il Monsalvato in Francia. Fu la crociata dei Catari (1209-1229) a fornire un indizio al ricercatore. I Catari, perseguitati dai crociati pontifici, si erano arroccati nella fortezza di Mòntsegur, per scampare alla furia violenta dei cavalieri. Mòntsegur, tuttavia, è ricordata oggi come località in cui, il 16 marzo 1244, i catari furono arsi vivi dai crociati. La forte somiglianza tra il “Mòntsegur” dei catari e il “Monsalvato” di Parsifal persuase Rahn che quella fosse stata l’ultima dimora del Graal prima di sparire nel nulla. Le ricerche attorno alla fortezza iniziarono nel 1929 ma, ovviamente, non portarono ad alcun risultato. Tornato in Germania nel 1933, Rahn scrisse un resoconto delle sue avventure in Francia intitolato La crociata contro il Graal, che ottenne subito un discreto successo.

Mòntsegur (Francia)
La Lancia di Longino, da Costantino a Carlomagno fino a Hitler

Abbiamo già accennato a un altro oggetto molto ambito da Hitler: la Lancia di Longino che, secondo la tradizione religiosa, ferì il costato di Cristo sulla Croce. Al contrario del Sacro Graal o dell’Arca dell’Alleanza, nei film di Indiana Jones non c’è riferimento alla Lancia. Forse perché, a differenza degli altri oggetti, la Lancia di Longino riuscì davvero ad arrivare nelle mani di Hitler.

Crocefissione di Simone Martini, sulla sinistra è visibile la Lancia che ferisce il costato di Cristo

Nei Vangeli di Matteo (27:49,50) e Giovanni (20:33-35) ritroviamo lo stesso episodio che riguarda la Lancia: essa apparteneva a Gaio Cassio Longino, comandante di una centuria romana e allora quasi cieco. Fu proprio lui a trafiggere il costato di Gesù in Croce, il cui sangue, colando sulla lancia, finì negli occhi di Longino ed egli riacquistò la vista. La Lancia divenne così un oggetto sacro e, dalle fonti scritte, sappiamo che da Gerusalemme fu portata a Costantinopoli da Elena, madre dell’imperatore Costantino, insieme ad altre reliquie appartenute a Cristo. Dopo secoli passati alla corte bizantina, la lancia passò in molte mani potenti: da Carlo Magno a Ottone I, che la utilizzò come simbolo del Sacro Romano Impero, poi ad Enrico IV di Baviera e all’imperatore Carlo IV. Il 12 marzo 1938 Hitler conquistava l’Austria e la Lancia, che faceva parte del tesoro degli Asburgo, stava per cambiare nuovamente il suo proprietario.

Longino in un mosaico del XV secolo conservato a Chio
Hitler, dopo aver invaso l’Austria, fece trasportare il tesoro reale a Norimberga

13 ottobre 1938: la Lancia lasciò la capitale austriaca caricata su un treno corazzato e scortata da un corpo speciale delle SS. La accolse la chiesa di Santa Caterina insieme a tutto il tesoro reale degli Asburgo, sorvegliato giorno e notte dai nazisti. La leggenda vuole che la Lancia sia stata portata in Germania per poter attingere al suo straordinario potere. La realtà ridimensiona di molto l’alone sacro intorno all’oggetto: la Lancia fu portata in Germania e messa in mostra, è vero, ma fu portata via come bottino di guerra di un Paese conquistato insieme al tesoro reale. È più probabile che Hitler, nell’atto di rifondare l’impero, vedesse la Lancia come simbolo di continuità con l’impero di Ottone I. Finita la guerra, la Lancia fu riportata in Austria e conservata al Museo Hofburg di Vienna, sua attuale sede.

Le analisi scientifiche sulla lancia e le sue reali origini

Stando allo studio del reperto, come si poteva prevedere, non siamo in presenza della reale Lancia miracolosa. Ma possiamo apprezzarne il valore storico: l’oggetto è stato datato all’VIII secolo d.C. e la manifattura è chiaramente di origine carolingia. La lancia, rotta in due punti, possiede una triplice fasciatura in ferro, poi in argento e infine in oro. La fascia in argento risale al II secolo d.C., ma l’iscrizione sopra di essa appartiene ad Enrico IV di Baviera, in vita tra il 1084 e il 1105. Il fodero in oro appartiene al XIV secolo, momento in cui la lancia si trovava nelle mani di Carlo IV, l’imperatore fece incidere la frase Lancea et Clavus Domini.

La Lancia di Longino conservata al Museo Hofburg di Vienna

Non sappiamo quanta verità ci sia nella convinzione che gli oggetti tanto ricercati avrebbero potuto portare la razza ariana in capo al mondo. I fatti ci dicono che i nazisti, ridicolizzati e sbeffeggiati nei film di Indiana Jones, si macchiarono di crimini che lasciarono per sempre un’impronta insanguinata nella storia. Fecero ciò senza ausilio di oggetti potenti e divini, guidati solo dall’odio generato dalla mente umana.

Accadde oggi

La Congiura dei Pazzi, storia di un golpe rinascimentale

Firenze, 26 aprile 1478. Lorenzo e Giuliano de’ Medici si preparano per la messa nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, ma non sanno che alle loro spalle qualcuno sta tramando da tempo e che, proprio nella cattedrale, i due signori di Firenze stanno per essere le vittime di quella che è passata alla storia come la Congiura dei Pazzi.

Chi erano i Pazzi, storici rivali dei Medici

Da abili commercianti, nel Quattrocento, i Pazzi erano riusciti ad arricchirsi diventando una delle famiglie più potenti di Firenze. Attraverso una serie di matrimoni combinati tra le casate più importanti della città, erano riusciti ad entrare nella vita politica di Firenze e a diventarne i membri più influenti al pari dei Medici. La politica matrimoniale di Jacopo de’ Pazzi aveva coinvolto anche la famiglia rivale. Infatti, Bianca de’ Medici, sorella di Lorenzo e Giuliano, aveva sposato Guglielmo de’ Pazzi. Il matrimonio avrebbe dovuto appianare i dissapori storici tra le due famiglie. I Pazzi, banchieri come i Medici, non avevano mai accettato la supremazia della famiglia e il loro potere su Firenze. C’era un’altra cosa che i Pazzi mal tolleravano: i Medici erano i banchieri del Papa, un privilegio che faceva certamente gola alla famiglia di Jacopo.

Sebbene sia passata alla storia con il nome dei Pazzi, la famiglia fiorentina non era l’unica a volere la morte dei Medici. Da Roma, Francesco de’ Pazzi, nipote di Jacopo, era riuscito a coinvolgere papa Sisto IV, il nipote Francesco Salviati (arcivescovo di Pisa) e il re di Napoli Ferrante D’Aragona. Ognuno di questi personaggi aveva un motivo più che valido per volere la rovina della famiglia Medici.

La questione di Imola e lo scontro con il Papa

Nel 1473, il duca di Milano, Giangaleazzo Sforza, aveva messo in vendita la città di Imola. Il Papa aveva intenzione di acquistarla e darla in dono al nipote Girolamo Riario per le sue nozze con Caterina Sforza. Con il nipote a capo della città, lo Stato Pontificio avrebbe allargato i suoi domini fino in Romagna, ma la città era entrata anche nel mirino di Lorenzo il Magnifico. Il Papa non aveva abbastanza denaro per comprarla e questo i Medici, che erano i loro banchieri, lo sapevano bene. Lorenzo allora si rivolse ai Pazzi, chiedendogli di non prestare denaro al Papa e di non rivelare le sue intenzioni sull’acquisto della città. Senza l’appoggio delle due banche fiorentine, Sisto avrebbe perso l’occasione di acquistare la fortezza romagnola, che sarebbe andata in mano ai fiorentini. I Pazzi, però, tradirono le intenzioni di Lorenzo e avvertirono il Papa dei suoi piani. Il momento di rottura fra il pontefice e la famiglia de Medici fu sancito dalla decisione di Sisto di cambiare banchiere. Da quel momento in poi sarebbero stati i Pazzi i nuovi depositari delle casse pontificie.

Il rancore di Francesco Salviati, l’arcivescovo di Pisa

Tra i protagonisti della Congiura c’era anche l’esponente di un’altra grande famiglia fiorentina, anch’essa imparentata con i Pazzi: Francesco Salviati. Nominato arcivescovo di Pisa dal Papa, nel 1474 Salviati aveva fortemente desiderato la carica di arcivescovo di Firenze, ma Lorenzo era riuscito ad impedire la sua ascesa. Se Lorenzo gli negava Firenze, il Papa gli apriva le porte di Pisa in una guerra di potere combattuta ormai alla luce del sole. A chiudere il quadro dei congiurati restavano il re di Napoli Ferrante D’Aragona e Federico da Montefeltro, duca di Urbino. Entrambi erano animati non dal rancore, ma dal calcolo politico: una Firenze politicamente debole e senza Medici non avrebbe più ostacolato le mire espansionistiche delle due città.

La Congiura prende forma

A dare il via al progetto fu Francesco de’ Pazzi. Francesco viveva a Roma, dove si occupava della tesoreria apostolica dopo che il Papa l’aveva affidata ai Pazzi. Il desiderio di eliminare fisicamente sia Lorenzo che Giuliano lo aveva spinto a parlarne con Girolamo Riario e con l’arcivescovo Salviati, ricevendo consenso da entrambi. Più riluttante era stato Jacopo de’ Pazzi, consapevole della gravità di tale progetto. Riario allora pensò che se fossero riusciti ad ottenere il consenso del Papa, Jacopo non avrebbe potuto tirarsi indietro. Il tentativo andò a segno: Sisto IV auspicava un cambio di regime a Firenze, seppur con la raccomandazione di non spargere del sangue.

Il piano originale mandato in fumo da Giuliano de’ Medici

Per i congiurati era fondamentale che Lorenzo e Giuliano morissero insieme. Secondo il piano originale, entrambi avrebbero dovuto bere un calice avvelenato durante un banchettola sera prima del 26 aprile. Ma Giuliano non stava bene e quella sera non prese parte al banchetto. Fu allora che venne deciso che i Medici sarebbero morti la mattina dopo, durante la messa in Santa Maria del Fiore. La decisione di compiere un massacro in una chiesa fu forse la decisione che risparmiò la vita a Lorenzo. Il suo assassino designato, Giovanni Battista da Montesecco, si era tirato indietro perché non se la sentiva di uccidere un uomo in un luogo sacro. Al suo posto furono incaricati due preti al soldo dei congiurati. Di Giuliano, invece, se ne sarebbe occupato Bernardo Bandini Baroncelli, un fiorentino avverso ai Medici che sperava in una Firenze libera dalla signoria.

26 aprile 1478, la Congiura dei Pazzi passa alla storia

Non appena il sacerdote finì la messa, Bandini, Francesco de’ Pazzi ed altri congiurati accerchiarono Giuliano e iniziarono a colpire il giovane fino a quando, dopo diciannove coltellate, il suo corpo morto non si accasciò per terra. Lorenzo, forse per l’esitazione dei due preti incaricati di ucciderlo, ebbe il tempo di reagire e di prendere la spada. Ferito al collo, riuscì a difendersi e a barricarsi con alcuni dei suoi uomini all’interno della sacrestia. Non aveva idea di che fine avesse fatto il fratello e, noncurante della ferita, continuava a chiamare Giuliano. Nel frattempo, secondo il piano, Jacopo de’ Pazzi fuori dalla chiesa avrebbe dovuto richiamare la folla per ottenere il loro favore, inneggiando al popolo e alla libertà. Tuttavia, i congiurati avevano sottovalutato l’amore dei fiorentini per i Medici.

La Congiura fallita e la tragica fine dei congiurati

Appena si sparse la voce di ciò che era avvenuto nella Chiesa, una folla inferocita si riversò a casa di Francesco de’ Pazzi, dove l’uomo, ferito gravemente si era recato per riprendere le forze. Fu trascinato al Palazzo Vecchio e impiccato. Stessa sorte ebbe l’arcivescovo Salviati che, secondo il piano, avrebbe dovuto conquistare Palazzo Vecchio e uccidere il gonfaloniere di giustizia. Dopo una colluttazione, il secondo ebbe la meglio sul primo, che venne sommariamente processato e impiccato, dicono, dalla stessa finestra dalla quale sarebbe stato impiccato anche Francesco de’ Pazzi. Jacopo tentò la fuga, ma poco fuori Firenze venne riconosciuto da un contadino, catturato e impiccato a sua volta. Montesecco, dopo aver raccontato i dettagli della Congiura, ottenne una grazia per essersi rifiutato di uccidere Lorenzo: gli fu concessa la decapitazione al posto dell’impiccagione.

Lorenzo de’ Medici ebbe l’occasione di ripulire Firenze da tutti i suoi avversari

Rinchiuso nel Palazzo per oltre dieci giorni dopo l’attentato, Lorenzo non perse tempo per vendicare il fratello, unica vittima della Congiura (a parte i congiurati). La famiglia de’ Pazzi venne considerata colpevole, tutta quanta. Si salvò solo Guglielmo, marito di Bianca de’ Medici, ma venne bandito dalla città. Restava un solo uomo a non aver ricevuto giustizia: Bandinelli, l’assassino di Giuliano, era riuscito a fuggire. Fu rintracciato l’anno seguente a Costantinopoli e riportato a Firenze. Nel 1479, alla sua impiccagione, era presente un ragazzo, un giovane apprendista del Verrocchio, che disegnò Bandinelli appeso per il collo: quel ragazzo eraLeonardo Da Vinci.

Bandinelli appeso per il collo nel disegno di Leonardo Da Vinci
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NEWS | Urbania (PU), scoperta una necropoli romana “birituale”

Nelle scorse settimane, località Muraglione a Urbania (PU), è stata portata in luce una piccola necropoli di età romana. La scoperta, del tutto casuale, è avvenuta durante  i lavori di scavo per la posa di un collettore fognario condotti da Marche Multiservizi SpA. L’aspetto eccezionale di questa necropoli risiede nelle modalità di sepoltura adottate: nello stesso contesto, infatti, gli archeologi hanno rinvenuto sepolture ad inumazione e sepolture in cui i defunti sono stati cremati.

urbania necropoli romana
Sepoltura con cassa rettangolare in tegole, Urbania (PU)
Una necropoli databile alla prima età imperiale

Si tratta di un piccolo gruppo di quattro tombe, forse da collegare a una fattoria romana per lo sfruttamento agrario del territorio, databili ai primi secoli dell’età imperiale (I-II secolo d.C.). La zona era già infatti nota per rinvenimenti romani degli anni ’80, oltre al recupero di alcune epigrafi funerarie già nel XVI secolo. Le sepolture rinvenute si sono presentate in parte danneggiate dalla costruzione di alcune strutture ottocentesche, forse connesse al vecchio tracciato della ferrovia. Nonostante ciò, l’attento scavo archeologico, condotto in archeologia preventiva dalla ditta specializzata Phoenix di Bologna sotto la direzione scientifica di Diego Voltolini della Soprintendenza ABAP per le province di Ancona e Pesaro e Urbino, ha permesso di scoprire una notevole varietà nei rituali funerari.

urbania necropoli romana
Operazioni di scavo di una sepoltura, Urbania (PU)
La necropoli “birituale” di Urbania, testimone di una coesistenza di pratiche funerarie

Le tombe sono realizzate con tegole, tavelle e coppi, formando delle vere e proprie casse. Una delle inumazioni ha una struttura poco usuale, diversa dalle più comuni tombe alla cappuccina. Questa, infatti, è costituita da cassa rettangolare in tegole e copertura in larghe tavelle e coppi posti a protezione degli interstizi. È ben conservato un caso di bustum, una fossa rettangolare predisposta per la cremazione diretta del defunto sulla pira, con le pareti scottate e arrossate dal fuoco. All’interno di quest’ultima è stata poi costruita la cassetta di tegole e coppi, con anche la creazione di un “canale libatorioutilizzando un’anfora capovolta e segata. Questa particolare struttura era utilizzata durante i riti delle profusiones, le offerte o libagioni che potevano rappresentare il pasto simbolico per il defunto, e che venivano fatte colare direttamente all’interno della sepoltura attraverso questo canale.

urbania necropoli romana
Bustum per la cremazione del defunto, Urbania (PU)

 

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NEWS | Destinazione Agrigento, i percorsi sotterranei della Valle dei Templi

Se parliamo di Agrigento è impossibile non pensare alla  Valle dei Templi che, con i suoi edifici imponenti e maestosi, ci racconta il passato dell’antica Akragas e del rapporto tra i suoi abitanti e le divinità a cui erano legati. Tuttavia, nella Valle dei Templi esistono alcuni percorsi che raccontano altri aspetti della comunità agrigentina: uno di questi, per esempio, è quello dedicato al culto dei morti. Il percorso di visita è dedicato all’osservazione di particolari strutture riconducibili all’attività di necropoli delle prime comunità di cristiani agrigentini.

 

Alla scoperta delle necropoli delle prime comunità cristiane di Agrigento

La realizzazione di queste strutture ha modificato radicalmente diversi settori della Valle dei Templi. Iniziando all’ombra dell’ulivo saraceno innanzi al Tempio della Concordia, il tour entra da subito nel vivo con una passeggiata lungo il percorso di un antico asse viario greco, divenuto a partire dal sec. III d.C. una vera e propria “via dei sepolcri”. Percorrendo questo sentiero si giunge alla necropoli sub-divo, la cui realizzazione ha trasformato in parte l’originario contesto tra i templi di Ercole e di Concordia. L’itinerario prosegue attraversando il corridoio che taglia la necropoli paleocristiana e conduce all’accesso settentrionale della Grotta Fragapane, la catacomba più grande della Valle dei Templi.

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Le sepolture paleocristiane nella Valle dei Templi
Un tuffo nel passato tra i colori del tramonto

Giunti al bivio con la cosiddetta necropoli romana “Giambertoni”, l’itinerario prosegue lungo un sentiero paesaggistico che costeggia esternamente le mura di difesa e conduce nuovamente al Tempio della Concordia: qui si godrà appieno di una breve ma intensa esperienza sensoriale immergendosi tra colori, odori e suoni del sentiero nei momenti della giornata che precedono il tramonto. 

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La valle dei Templi al tramonto

 

Altre tappe da non perdere nel territorio di Agrigento

La Casa di Luigi Pirandello ad Agrigento è un vero e proprio luogo del cuore. Riallestita di recente, la Casa Museo Luigi Pirandello custodisce parte del patrimonio materiale appartenuto al grande drammaturgo ed alla sua famiglia: la struttura è provvista di un potente apparato comunicativo, funzionale a valorizzarne il patrimonio immateriale espresso dal suo genio.

agrigento percorsi
Casa Museo di Luigi Pirandello

 

L’area archeologica di Eraclea Minoa

L’Area archeologica di Eraclea Minoa sorge su un bianco promontorio proteso verso uno splendido paesaggio marino, all’interno della Riserva Naturale Foce del Fiume Platani. La città, fondata dai selinuntini, venne chiamata Eraclea in onore dell’eroe  Eracle, mentre Minoa si collega ad un altro mito: quello del re Minosse. Secondo la leggenda, infatti, il mitico re cretese avrebbe inseguito fin qui Dedalo, per punirlo dopo che questi aveva aiutato Arianna e Teseo alle prese con il labirinto. Il quartiere delle abitazioni ellenistiche e romane, con il loro impianto “ad insulae”  è un esempio  utile a comprendere l’urbanistica delle città in epoca ellenistico-romana. Di grande interesse è senza dubbio il teatro greco, costruito alla fine del V secolo a. C, la cui cavea è rivolta verso il mar Mediterraneo, creando così uno sfondo paesaggistico che, nei secoli, ha lasciato senza fiato i suoi spettatori.

Il teatro greco di Cattolica Eraclea
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NEWS | Dalla Sicilia alla Grecia, un frammento del Partenone torna a casa

Si tratta del “Reperto Fagan”, un frammento del fregio del Partenone custodito nel museo archeologico  “A. Salinas” di Palermo dal 1820. Il prezioso frammento è costituito dal piede di una Dea (Peitho o Artemide), avvolto dalla parte finale della veste che scende in un morbido e meraviglioso drappeggio. Questo tassello di storia volerà presto dalla Sicilia alla Grecia, per ricongiungersi al suo contesto d’origine.

sicilia grecia partenone
Il frammento del fregio del Partenone, conservato al “Salinas” di Palermo
Uno scambio culturale tra Sicilia e Grecia

“Il Reperto Fagan in cambio di una statua acefala di Atena, della fine del V secolo a.C., e un’anfora geometrica della prima metà dell’VIII secolo a.C.”. Questo è quanto prevede l’accordo siglato dal Museo Archeologico RegionaleA. Salinas” di Palermo e dal Museo dell’Acropoli di Atene. L’accordo prevede che per un periodo di 4 anni, rinnovabile una sola volta, il Salinas trasferisca al Museo dell’Acropoli di Atene il frammento appartenente al Partenone. Il frammento è attualmente conservato a Palermo, poiché parte della collezione archeologica del console inglese Robert Fagan. Fagan aveva acquistato il reperto ad Atene agli inizi del XIX secolo. Alla morte di quest’ultimo, il piccolo piede della Dea era passato in eredità alla moglie. Acquistato dalla Regia Università di Palermo nel 1820, il Reperto Fagan sembrava aver trovato la sua destinazione finale, ma era troppo lontano da casa.

La Sicilia come apripista in una questione aperta da tempo

L’accordo, fortemente voluto dall’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà, condiviso con la Ministra greca della Cultura e dello Sport, Lina Mendoni, ha un forte valore simbolico. Il piccolo piede della Dea che muove verso casa, infatti, rappresenta un grande passo in avanti nella questione del ritorno in Grecia dei reperti del Partenone. Il frammento Fagan non è l’unico reperto ateniese “fuori posto”. Custoditi nei musei di tutto il mondo, si trovano molti reperti, tasselli di ciò che un tempo costituiva la grandiosa Acropoli di Atene, in particolare di ciò che costituiva il Partenone. Da più di quarant’anni, ormai, la Grecia chiede che le vengano restituiti tutti i componenti di marmo trafugati dal Partenone a partire dal 1800. Basti pensare al British Museum di Londra, che tra i numerosi reperti sottratti dall’Acropoli, conserva gelosamente una delle sei cariatidi del tempietto dell’Eretteo. Al museo archeologico di Atene, dove sono conservate le altre cinque figure femminili, c’è uno spazio vuoto là dove dovrebbe esserci la sesta cariatide: un messaggio non troppo velato rivolto al museo britannico, in attesa che anche l’ultima statua torni al suo posto.

sicilia grecia partenone
Le cinque cariatidi esposte al Museo dell’Acropoli di Atene. Lo spazio vuoto, in attesa del ritorno in patria della sesta figura femminile, ancora in possesso del British Museum di Londra
Un legame di fratellanza che lega la Sicilia e la Grecia da tempi antichissimi

Il ritorno a casa del Reperto Fagan suscita grande gioia e fiducia dell’istituzione greca nei confronti della Sicilia: “L’approdo del Fregio palermitano presso il Museo dell’Acropoli – sottolinea il direttore del Museo dell’Acropoli di Atene, Nikolaos Stampolidis – risulta estremamente importante soprattutto per il modo in cui il Governo della Regione Siciliana, oggi guidato da Presidente Nello Musumeci, ha voluto rendere possibile il ricongiungimento del Fregio Fagan con quelli conservati presso il Museo dell’Acropoli. Questo gesto già di per sé tanto significativo, viene ulteriormente intensificato dalla volontà da parte del Governo Regionale Siciliano, qui rappresentato dall’Assessore alla Cultura ed ai Beni dell’Identità Siciliana Alberto Samonà, che ha voluto, all’interno di un rapporto di fratellanza e di comuni radici culturali che uniscono la Sicilia con l’Ellade, intraprendere presso il Ministero della Cultura italiano la procedura intergovernativa di sdemanializzazione del Fregio palermitano, affinché esso possa rimanere definitivamente sine die ad Atene, presso il Museo dell’Acropoli suo luogo naturale”.

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ATTUALITÀ | “Augustus”, i siti archeologici della Sicilia protagonisti di un videogame

Che un videogame, oltre all’aspetto ludico e ricreativo, possa rivelarsi un buon insegnante lo sappiamo già. Chi non ha imparato nulla sulla famiglia Medici, o su Leonardo da Vinci, o sui Vichinghi o su molti altri argomenti di storia grazie ad Assassin’s creed, non è stato un player attento! E se Lara Croft, in Tomb Rider ci ha portati nei siti archeologici di tutto il mondo, “Augustus” ci porterà alla scoperta dei siti archeologici più importanti della Sicilia.

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Cos’è Augustus, il nuovo videogame che ha lo scopo di promuovere i luoghi della cultura italiana

Augustus è l’acronimo di AUgmented Game for Sicilian ToUrism marketing Solutions, un progetto finanziato attraverso l’Azione 1.1.5 del Pon fesr sicilia 2014-2020. Augustus è anche il nome del protagonista del gioco. Stiamo parlando proprio del primo imperatore di Roma, Augusto, che, in veste di “cultore delle arti”, chiederà al giocatore di aiutarlo ad arricchire la propria collezione con pezzi di valore storico-artistico, attraverso una serie di minigiochi ed enigmi, basati su avvenimenti storici reali, nei quali verranno esplorati i siti archeologici di tutta la Sicilia.

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La Valle dei Templi, Agrigento. Uno dei siti archeologici più famosi della Sicilia.
Quali siti ritroveremo nel videogame

Nel gioco saranno presenti luoghi appartenenti a diverse epoche storiche, con un particolare riguardo ai siti che hanno visto la frequentazione della cultura greca e quella romana. In particolare, i siti già in progetto sono: il Parco Archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi (Agrigento), il Parco Archeologico di Morgantina e della Villa Romana del Casale – Piazza Armerina (Enna), il Parco Archeologico di Naxos – Taormina (Messina) e il Complesso monumentale di Santa Caterina d’Alessandria (Palermo).

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Il teatro greco di Taormina, una delle location di “Augustus”
Lo scopo è quello della promozione culturale

Una grafica straordinaria ed effetti visivi di ultima generazione.

“L’ambientazione realistica, la dinamicità del 3D nonché il coinvolgimento emozionale permetteranno di approfondire la storia e conoscere e apprezzare più a fondo il prezioso patrimonio siciliano attraverso Augustus”.

Con queste parole gli ideatori del gioco sottolineano come sia proprio l’importanza della promozione del nostro territorio, il vero motore che anima il gioco.

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ATTUALITÀ | Un concorso per 100 persone, dal MiC l’ennesimo flop della cultura italiana

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale, il 13 agosto 2021, il nuovo concorso indetto dal Ministero della Cultura (MiC, ex MiBACT) selezionerà 100 assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza e 50 operatori alla custodia, vigilanza, accoglienza. Un concorso pubblico per selezionare 150 persone in tutta Italia, suona già ridicolo così, ma non è tutto, aspettate di leggere quali siano i requisiti fondamentali per accedervi.

L’ennesimo flop della cultura italiana

Ti insegnano che l’Italia è uno scrigno incantato pieno di perle architettoniche, di storia, cultura e archeologia. Tra pubblicità che sponsorizzano le diverse regioni italiane con le loro particolari bellezze e i programmi di divulgazione in cui passano in rassegna tutte le “Meraviglie” italiane, Ti insegnano che ne abbiamo talmente tanta di cultura, che potremmo vivere solo di questo. E molti ragazzi, ragazzi come noi, ci credono e decidono di studiare per essere preparati quanto basta per vivere di cultura. Si, ma quanto basta? A quanto pare per il MiC basta poco. Basta avere un diploma qualsiasi o essere iscritti al centro per l’impiego.

concorso mic cultura italiana

Il posto fisso, l’unica cosa che conta davvero

«Le nuove 150 risorse saranno assunte a tempo indeterminato e assegnate a diversi settori e lavoreranno presso gli uffici centrali e periferici del Ministero».

Come in un famoso film del comico Checco Zalone, la prima cosa che sottolinea il bando è che l’assunzione sarà a tempo indeterminato. Un gran bel posto fisso, insomma. Solo che questa volta non viene da ridere. Viene da piangere a tutte quelle persone che hanno studiato notte e giorno materie come “Diritto dei Beni Culturali”, “Museologia”, “Gestione dei Parchi archeologici” per non parlare di tutti gli esami di archeologia e storia, dalla preistoria all’età moderna. Viene da piangere perché il requisito per accedere al concorso è il diploma, qualsiasi esso sia.

Il personaggio interpretato da Checco Zalone nel film Una bella giornata lavora come vigilanza in un museo, grazie ad una raccomandazione e nient’altro.
Un concorso per 100 persone, e le altre 50?

Abbiamo parlato di 150 risorse, ma il concorso ne riguarda 100, che significa?

Nel bando verrà fatta una distinzione:

  • 100 posti per assistente alla fruizione, accoglienza e vigilanza – seconda area funzionale, posizione economica F2;
  • 50 posti per operatore alla custodia, vigilanza e accoglienza – seconda area funzionale, posizione economica F1.

Il concorso, che prevede una sola prova scritta e una sola orale, riguarda solamente le 100 risorse da inserire come assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza. E qui arriva la parte migliore, qui raschiamo il fondo:

«I 50 operatori alla custodia, vigilanza e accoglienza, saranno reclutati tramite liste di collocamento, quindi, non è prevista una selezione mediante concorso pubblico, a curare le selezioni saranno i Centri Per l’Impiego (CPI) territorialmente competenti».

concorso mic cultura italiana

Solo 150 posti in tutta Italia

150 nuove risorse, da distribuire in tutta Italia, sono sufficienti? La risposta a questa domanda sembra essere proprio il famigerato posto fisso. Un contratto a tempo indeterminato che finisce per diventare un parcheggio, un’entrata sicura in attesa della pensione, quando avrebbe potuto essere un’opportunità per studenti e neolaureati nel settore culturale, un trampolino di lancio per prendere le misure ed inserirsi nel mondo in cui hanno scelto di operare, o meglio, nel mondo in cui vorrebbero operare. Ma non essendoci un’opportunità di crescita, mancando questo trampolino per i veri “addetti ai lavori” che vorrebbero fare carriera, anche partendo da mansioni base di accoglienza e vigilanza, il sistema museale finisce per essere sempre saturo di personale.

La cultura può essere alla portata di tutti?

Abbiamo tutti diritto al lavoro. Ma se ogni settore, per funzionare correttamente, ha bisogno di figure specializzate, perché la cultura deve fare eccezione? Di contro, l’esistenza di numerosi indirizzi di laurea magistrale, di scuole di specializzazione, master e dottorati nel settore che riguarda i beni culturali sembra lasciare intuire che la gestione del patrimonio culturale italiano sia una cosa seria e che abbia bisogno di persone competenti, a cui una laurea triennale non apre nessuna porta perché non è abbastanza per assicurare le competenze di chi dovrebbe operare in questo settore. E se poi, invece, nei musei troviamo personale che di cultura non ne ha mai studiato neanche le basi, dove sta la verità? Quanto costa la cultura e quanto vale davvero?

Le domande che questo modus operandi  suscita sono tante, le risposte ci auspichiamo di trovarle presto.

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NEWS | “RePAIR”: cosa succede quando la robotica incontra l’archeologia

Ormai da tempo, l’archeologia ha fatto numerosi passi avanti nel mondo “moderno”, avvalendosi sempre di più di strumenti e metodi che rendono indispensabile l’uso della tecnologia.

L’ultimo esempio è il progetto RePAIR, acronimo di Reconstruction the past: Artificial Intelligence and Robotics meet Cultural Heritage. Partito il primo settembre 2021, RePAIR è il connubio tra robotica e archeologia, tramite l’utilizzo di una tecnologia avanzata per la ricostruzione fisica di manufatti archeologici, in gran parte frammentati e di difficile ricomposizione.

RePAIR robotica incontra archeologia
Frammenti di affresco da Pompei
Come funziona RePAIR

Si tratta di una struttura robotica dotata di braccia meccaniche, capace di scansionare migliaia di frammenti e riconferire loro la giusta collocazione, come un puzzle da ricomporre. Il riconoscimento dei frammenti è reso possibile grazie ad un sistema di digitalizzazione 3D, una banca dati dalla quale attingere per riconoscere i frammenti da utilizzare.

RePAIR robotica incontra archeologia
Esempio di robotica applicata all’archeologia nella ricostruzione di manufatti frammentati
Pompei sarà il banco di prova di RePAIR

RePAIR sarà testato a Pompei, dove verrà utilizzato per ricomporre gli affreschi del soffitto della Casa dei Pittori, nell’insula dei Casti Amanti, danneggiati dall’eruzione del 79 d.C. prima, e dai bombardamenti della seconda guerra mondiale poi. Già dal 2018 una equipe svizzera lavora al restauro di questi affreschi. RePAIR, quindi, lavorerà in parallelo all’azione manuale degli esperti di pitture murali dell’Università di Losanna, fornendo in questo modo la possibilità di confrontare le diverse metodologie di lavoro e i rispettivi risultati.

Restauro dell’affresco dei Casti Amanti, Pompei
Un problema atavico risolto da RePAIR

«Le anfore, gli affreschi, i mosaici, vengono spesso portati alla luce frammentati, parzialmente integri o con molte parti mancanti» – dichiara il direttore del Parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel – «Quando il numero dei frammenti è molto ampio, con migliaia di pezzi, la ricostruzione manuale e il riconoscimento delle connessioni tra i frammenti è quasi sempre impossibile o comunque molto laborioso e lento. Questo fa sì che diversi reperti giacciano per lungo tempo nei depositi archeologici, senza poter essere ricostruiti e restaurati, e tantomeno restituiti all’attenzione del pubblico. Il progetto RePAIR, frutto di ricerca e competenza tecnologica, grazie all’ausilio della robotica, della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, si pone l’obiettivo di risolvere un problema atavico».

Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco archeologico di Pompei

In copertina: affresco dall’insula dei Casti Amanti – foto: Parco archeologico di Pompei.

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NEWS | Archeologia negli Iblei, il territorio ragusano ha ancora tanto da raccontare

La Sicilia è da sempre il crocevia del Mediterraneo; le sue coste e il suo entroterra hanno ospitato nei millenni popoli e culture così differenti tra loro da creare quell’intricato mosaico di unicità e bellezza che è il patrimonio culturale siciliano. L’Isola non smette mai di rivelare piccoli nuovi tasselli di questo mosaico: il territorio ragusano ne è un esempio. L’archeologia negli Iblei sta facendo grandi passi avanti grazie alle numerose campagne di scavo che continuano senza sosta e con risultati sorprendenti.

Lo scavo di una sepoltura della necropoli di San Nicola-Gigli (RG)
Samonà: «L’area del Ragusano ha ancora tanto da raccontarci»
L’assessore Alberto Samonà

«L’area del Ragusano – evidenzia l’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà – ha ancora tanto da raccontarci sotto il profilo della ricerca archeologica. Le numerose campagne di scavi attivate grazie ai rapporti intrattenuti dalla Soprintendenza dei BB.CC.AA. di Ragusa, diretta da Antonino De Marco, con prestigiose università italiane ed europee e regolati da apposite convenzioni, stanno fornendo importanti elementi per una riscrittura della storia del territorio. Un impegno che gratifica il governo regionale per aver fortemente puntato sulla ripresa dell’archeologia in tutta l’Isola, nella consapevolezza che il potenziamento della ricerca e la valorizzazione dei Parchi archeologici siano elementi strategici per l’affermazione di una visione di lungo periodo che abbia al centro la cultura e l’identità della Sicilia».

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Antonino De Marco, Soprintendente ai Beni Culturali e Ambientali della provincia di Ragusa

 

Gulfi, la parte antica di Chiaramonte, torna in luce grazie all’Università di Bologna

A Chiaramonte Gulfi (RG), sono appena terminati gli scavi effettuati dal Dipartimento di Storia e Civiltà dell’Università di Bologna, diretti dalla professoressa Isabella Baldini. Nelle scorse campagne, in contrada San Nicola–Giglia, i ricercatori avevano portato in luce un centinaio di tombe con ricchi corredi e iscrizioni funerarie, appartenenti ad un insediamento grecofono insediato in quest’area. Nell’ultima campagna di scavo, invece, gli studiosi hanno indagato una necropoli ed un lembo di abitato di epoca imperiale. Una continuità insediativa, questa, che dal II secolo d.C al IX secolo d.C avrebbe contribuito alla nascita di Gulfi.

Contrada Cifali (RG), Genova e Pisa ci parlano di età tardo antica e medievale

Se Gulfi racconta la storia della sua fondazione, gli scavi in contrada Cifali (RG) raccontano dell’abbandono di una villa romana, del suo riutilizzo in età tardo antica e di un insediamento islamico. Gli scavi in quest’area proseguono da alcuni anni, sotto la direzione del professor Antonino Facella, con la collaborazione delle Università di Pisa e di Genova. Quest’ultima ha proseguito la campagna di scavo nei mesi di luglio e agosto. Le indagini hanno portato in luce un impianto termale, probabilmente parte di un edificio privato di III secolo d.C. Nella fase successiva all’abbandono della villa, va collocata invece la fornace per fittili, impiantata sul castellum aquarum ormai inutilizzato. La fase insediativa più recente, situata nella parte settentrionale del sito, è costituita da abitazioni e sepolture con rito islamico.

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Sepoltura islamica rinvenuta in contrada Cifali (RG)
Riprenderanno gli scavi a Modica (RG)

Alla fine dell’estate riprenderanno gli scavi in contrada Scorrione a Modica (RG), con il contributo dell’università Ceca di Hradec Králove. Il team di ricercatori, diretti da Joan Pinar Gil indagherà alcuni ipogei tardoantichi.

«Un impegno – ha aggiunto Samonà – che gratifica il governo regionale per aver fortemente puntato sulla ripresa dell’archeologia in tutta l’Isola, nella consapevolezza che il potenziamento della ricerca e la valorizzazione dei Parchi archeologici siano elementi strategici per l’affermazione di una visione di lungo periodo che abbia al centro la cultura e l’identità della Sicilia».

La villa romana di III secolo d.C., Cifali (RG)
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Il team di ricercatori dell’ Università di Bologna impegnati nello scavo di San Nicola-Giglia (RG)
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ATTUALITÀ | “Cruel Peter”, Messina sfodera il suo fascino horror al cinema

Messina incanta, affascina e qualche volta spaventa! E lo fa attraverso la cinepresa con Cruel Peter, un horror tutto italiano del 2019, diretto da Christian Bisceglia e Ascanio Malgarini, dal 21 maggio disponibile su RaiPlay.

Il cast del film sulla scalinata del Monte di Pietà, Messina
Cruel Peter e il terremoto di Messina: correva l’anno 1908

Peter Hoffmann è il figlio di un ricco commerciante inglese trapiantato a Messina, la cui morte per suicidio sembra sospetta. Il giovane, unico erede della fortuna di famiglia, ha un’indole malvagia che lo spinge a commettere atroci crudeltà nei confronti non solo di animali, ma della stessa servitù e dei bambini che vivono nella tenuta degli Hoffmann. Il ragazzo sembra passarla sempre liscia; infatti, nonostante le innumerevoli accuse mosse dalla servitù, Peter gode della protezione della madre che lo difende in maniera morbosa. Sarà il figlio del custode, il giovane Alfredo, a decidere di porre fine alle atrocità commesse da Peter.

Alfredo, dopo averlo colpito alla testa, seppellisce il crudele Peter ancora vivo, con la sola intenzione, però, di farlo spaventare, per fargli comprendere il male che ha fatto e sperando che il ragazzo smetta di comportarsi in quel modo. La punizione di Peter sta per giungere al termine, ma l’ombra di una catastrofe aleggia su Messina: è il 28 dicembre 1908, una data destinata a scrivere la pagina più nera della storia della città.

cruel peter messina
La prima pagina di un giornale all’indomani del terremoto del 28 dicembre 1908
Migliaia di anime inquiete, tra loro c’è anche quella di Peter

Il terremoto del 1908 distrugge quasi completamente la città di Messina, portando via più di 70.000 anime, oltre la metà di una città che ne contava 140.000 qualche istante prima del sisma. Tra le vittime c’è Alfredo, che non fa in tempo a liberare Peter da quella che diverrà la sua tomba. In una città che ha appena perso migliaia di vite, infatti, Peter sembra solo uno dei tanti dispersi, nessuno andrà a cercarlo. Morirà sottoterra e la sua anima non troverà pace.

Una favola horror tra folklore siciliano e tradizione cinematografica

L’ambientazione del film fa un balzo in avanti di un secolo, arrivando ai giorni nostri. L’archeologo inglese Norman Nash, accompagnato dalla figlia adolescente Liz, arriva a Messina per valutare il lavoro di restauro del Cimitero Inglese, situato all’interno del Cimitero Monumentale. I destini di Norman e della figlia Liz si imbatteranno nella furia di Cruel Peter. Il risultato è una favola horror ricca di suspance e jump scares che non hanno nulla da invidiare ai famosi e apprezzati horror provenienti dall’area asiatica. Accanto a elementi horror tipici della tradizione cinematografica internazionale, i registi hanno sapientemente affiancato elementi del folklore siciliano: l’anziana Zia Emma con i suoi riti religiosi e le sue medagliette per allontanare gli spiriti è l’incarnazione di tradizioni vecchie di secoli. Ogni paesino della Sicilia poteva contare sulla figura della vecchia santona che sapeva come scacciare gli spiriti, togliere il malocchio e il “sole dalla testa”.

cruel peter messina
L’archeologo Norman Nash nel Cimitero degli Inglesi, in una scena del film Cruel Peter
Cruel Peter: la storia nella storia

La sceneggiatura di Cruel Peter funziona. Forse, però, avremmo voluto sapere di più sulla vita del ragazzino problematico e sul suo rapporto con la madre, un’incantevole strega che sembra presa in prestito alla fiaba tradizionale del nord Europa, in stile “fratelli Grimm”. Il loro rapporto, infatti, si intravede soltanto, sebbene si percepisca la sua importanza all’interno della storia. La terrificante storia di Peter ci racconta anche del passato di Messina. La presenza della famiglia Hoffmann, la ricchezza ereditata da Peter alla morte del padre e l’esistenza di un cimitero inglese sono una finestra aperta su una Messina all’apice della sua grandezza agli inizi del XX secolo.

Il Cimitero degli Inglesi nel Cimitero Monumentale di Messina, particolare di una lapide
Il Cimitero Monumentale di Messina, silenzioso protagonista di Cruel Peter

Messina era, infatti, il porto commerciale più importante del Mediterraneo. Questo grazie anche alla massiccia presenza degli inglesi, giunti in Sicilia un secolo prima in aiuto alla famiglia reale dei Borbone. Durante il periodo napoleonico, i Borbone da Napoli erano stati costretti a fuggire a Palermo con l’aiuto della Marina Britannica. La presenza inglese sulle coste siciliane aveva come obbiettivo quello di evitare un’egemonia francese sul commercio marittimo del Mediterraneo. La storia degli inglesi e quella dei siciliani, poi, convergono nello stesso punto che è il vero focus del film: il Cimitero Monumentale. Oltre al Cimitero Inglese, il Cimitero Monumentale ospita la sezione dedicata a tutte le vittime di quel disastroso terremoto, la cui potenza distruttiva è ben rappresentata in Cruel Peter. Il sisma non risparmiò nessuno, né i siciliani, figli di questa terra, né gli ospiti inglesi, testimoni di una città all’apice del successo che si preparava a diventare la capitale commerciale del nuovo secolo, ma la natura ha deciso diversamente.