Autore: Giulia Musmeci

Accadde oggi

La Bibbia di Gutenberg, la prima stampa della storia occidentale

L’evento 

Il 23 febbraio 1455 Johannes Gutenberg, a Magonza (Germania), pubblicò il primo libro a stampa della storia occidentale, ossia la Bibbia. Sebbene non siano pervenute tutte, questo libro conta più di 180 copie. Nel 2001 l’Unesco l’ha dichiarato patrimonio culturale dell’umanità. 

Ritratto di Johannes Gutenberg (immagine dal web)

L‘invenzione e diffusione della stampa in Europa 

La stampa non è un’invenzione di Gutenberg né tantomeno nacque in Europa. La stampa si diffuse dapprima in Asia, tra la Cina e la Corea. Fu, infatti, il tipografo Bi Sheng ad inventare i caratteri mobili nel 1041. Questi, però, erano troppo fragili, essendo di porcellana, e permettevano una tiratura limitata di copie. Wang Zheng affinò la tecnica e creò dei caratteri mobili di legno. Il più antico libro ad essere stampato fu un libretto sul buddismo coreano nel 1377: il Jikji. Questo presentava i caratteri mobili in metallo che avrebbe usato Gutenberg nella sua Bibbia. Tale tecnica, in ogni caso, ebbe una maggiore diffusione in Europa che in Oriente e colui a cui si deve la diffusione della stampa fu proprio Johannes Gutenberg, a partire dalla metà del XV secolo d.C.  

Il Jikji coreano, il più antico libro a stampa con i caratteri mobili metallici

Come venivano stampati i libri 

Il procedimento con cui si stampava un libro era tutt’altro che semplice e rapido. Richiedeva, infatti, abilità e competenze manuali più che tipografiche. Inoltre, c’erano molte figure che lavoravano in una tipografia, tra cui il torcoliere, che azionava la macchina, il battitore e, ovviamente, colui che sovrintendeva il lavoro. Gli attrezzi fondamentali erano il torchio tipografico e i caratteri mobili metallici; sopra i caratteri erano impresse le lettere, che venivano riutilizzate. Il processo era parecchio tecnico e non esente da errori. Inoltre c’era la matrice, ossia il carrello mobile su cui si appoggiavano la forma della stampa e il foglio di carta. La pressa serviva per fissare l’inchiostro sulla carta e la platina era il piano di stampa metallico superiore. Il torchio, inizialmente, era uno strumento ligneo destinato all’utilizzo per la produzione del vino. Fu Johannes Gutenberg ad utilizzarlo per stampare un libro e creare, così, il mondo dell’editoria

Il torchio in legno (immagine da lombardiabeniculturali.it)

La prima attività di Johannes Gutenberg  

Johannes Gutenberg nacque a Magonza tra il 1393 e il 1400; tale oscillazione è data dal fatto che non si conosce quasi nulla del tipografo. Si sa che intorno al 1420 egli compare citato in un documento come maggiorenne. Inoltre, si sa che visse fino al 1440 ca., a Strasburgo, svolgendo la professione di orafo. Tornato a Magonza prese una decisione fondamentale: dedicarsi completamente alla stampa dei libri. Per fare ciò, Gutenberg entrò in società con l’incisore Peter Schöffer e con l’orafo Johannes Fust, che ben presto iniziò a finanziare la sua attività. Grazie ai soldi ricevuti in prestito, il tipografo comprò l’attrezzatura e i caratteri mobili metallici: gli elementi fondamentali di ogni tipografia. A partire dal 1453 iniziò a lavorare alla stampa della Bibbia o, meglio, della Vulgata di San Girolamo del V sec. d.C. Questo fu il primo libro in assoluto ad essere stampato in Europa. Johannes Gutenberg morì nel 1468, dopo aver perso l’attività a causa della povertà.  

La Vulgata di San Girolamo, usata come modello della stampa (immagine dal web)
La Bibbia di Gutenberg: il primo libro a stampa 

Il 23 febbraio 1455, come detto, vide la luce a Magonza il primo libro a stampa: la Bibbia. Gutenberg aveva iniziato a stampare prendendo come esemplare la Vulgata latina di San Girolamo. Questa, dopo essere stata stampata si diffuse rapidamente grazie alle numerose copie stampate in seguito; si contano 180 copie, di cui 140 su carta di canapa e altre 40 su pergamena; la scrittura scelta fu quella gotica che, a quel tempo, era quella più usata in Germania. Fino al 2009, risulta che nei monasteri europei fossero conservate una quarantina di copie. La Bibbia era costituita da due volumi in folio di 641 fogli e 1282 pagine e si distinse per la sua eccellente qualità grafica. All’inizio venne acquistata solo da istituzioni religiose. La data della sua pubblicazione fu di fondamentale importanza, dato che da quel momento in poi i libri circolarono in maggiore quantità e più velocemente, a differenza del singolo manoscritto copiato dall’amanuense. Colonia, Roma e Venezia furono tra le città europee più influenti nell’editoria.  

La Bibbia di Gutenberg (immagine da festivaldelmedioevo.it)
L’impatto di quest’incredibile invenzione 

Il 23 febbraio 1455 iniziò una nuova era non solo per la cultura europea, ma anche per la storia del libro e dell’editoria. Questa nacque proprio con la Bibbia di Gutenberg, dato che prima circolavano solo manoscritti di libri scelti copiati dagli amanuensi. Da quel momento in poi nacque un vero e proprio mercato del libro. I libri a stampa, infatti, erano molto meno pregiati dei manoscritti, più facilmente acquistabili e soprattutto esistevano più copie uguali di uno stesso libro. Dunque, il libro avrebbe avuto una maggiore possibilità di essere letto. Ovviamente non tutti i libri a stampa erano economici; basti pensare a quelli estremamente costosi di Aldo Manuzio. Infine, il libro a stampa diede la possibilità a chiunque sapesse leggere di avere la propria copia di un libro e a chiunque avesse un’opera di stamparla, rendendo così più accessibile la cultura. 

Accadde oggi

La distruzione di Ninive e la guerra dell’ISIS contro il patrimonio culturale

L’evento

Il 29 gennaio 2015 l’organizzazione dello Stato Islamico (ISIS) distrusse i resti della città di Ninive, situata in Iraq, nello specifico porte, mura e apparato iconografico. Ninive fu una delle città più importanti dell’antichità, capitale del regno assiro fino al 612 a.C., anno della sua distruzione. 

Le monumentali porte di Ninive (immagine da repubblica.it)

Lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) 

L’ISIS è un’organizzazione terroristica paramilitare che inizia ad agire nel 2014. Abu Bakr al-Baghdadi si proclamò califfo dello Stato Islamico e affermò di lottare per la difesa del suddetto stato e della religione islamica. Molti leader islamici dichiararono che le azioni compiute dall’Isis andarono contro la dottrina religiosa. A partire dal 2014, i militanti di tale organizzazione iniziarono una serie di conquiste territoriali in Iran, Iraq, in Siria e in Libia. Gli USA, gli stati arabi e gli stati occidentali cercarono di fermare l’espansione, muovendo una vera e propria guerra contro questi. Per tutta risposta, l’Isis incominciò a fare dei veri e propri attentati terroristici in tutto il mondo: Parigi e Londra furono tra i bersagli. L’ONU ha dichiarato l’ISIS un’organizzazione terroristica. 

Il patrimonio culturale di Ninive 

Ninive (Mosul) fu la capitale del regno assiro e fu una delle città più belle e prospere dell’antichità, sita in Mesopotamia (Iraq) sulla riva sinistra del fiume Tigri. L’origine del nome probabilmente si deve alla dea Ishtar. La città era un importante centro per le rotte commerciali, trovandosi in una posizione intermedia tra il Mar Mediterraneo e il Golfo Persico. Ninive divenne una città reale nel periodo Medioassiro di Sennacherib, che regnò tra il 705 e il 681 a.C.; costui ampliò la città con strade, piazze e palazzi. Famoso è il “Palazzo senza eguali”, in cui si trova un’enorme biblioteca contenente delle tavolette cuneiformi (incisioni lineari a forma di cuneo); le porte sono state affiancate da figure colossali, leoni alati o tori androcefali. Ma fu sotto Assurbanipal (668-626) che la città raggiunse il massimo splendore, le mura raggiunsero 12 km, il palazzo e la biblioteca ampliate. I Medi e i Caldei distrussero la città nel 612 a.C.; con Ninive cadde anche il regno assiro.

L’antica città di Ninive in una ricostruzione
Incisione di Ninive all’interno del Liber chronicorum, 1493 (immagine da invaluable.com)

La biblioteca di Assurbanipal 

La biblioteca reale di Ninive è un patrimonio culturale importantissimo, che conserva più di 30.000 tavolette d’argilla cuneiformi. Addirittura, uno dei tesori conservati in tale biblioteca è l’Epopea di Gilgamesh, insieme al mito della creazione di Enūma eliš, “Quando in alto”. La biblioteca è rifornita di parecchi testi babilonesi, presi durante le campagne militari di Assurbanipal, grande amante della cultura. Molti dei reperti furono portati al British Museum, dopo che l’archeologo Austen Henry Layard scoprì la biblioteca nel 1849. 

Una delle tavolette conservate nella biblioteca di Ninive
La distruzione di Ninive da parte dell’Isis

L’Isis il 29 gennaio attaccò e distrusse i resti di Ninive. In particolare, l’attacco si concentrò contro ciò che rimaneva delle mura e delle porte di Mashki (o porta dell’abbeveraggio, in quanto da lì passavano le mandrie per abbeverarsi al fiume Tigri) e Nergal, situata a lato nord e protetta da tori alati androcefali. Le porte risalivano al periodo di Sennacherib; l’allarme fu lanciato sul web dall’archeologo Paolo Brusasco. essi scelsero deliberatamente di attaccare Ninive, poiché rappresentava il simbolo dell’antica bellezza della mezzaluna fertile e perché era un inestimabile tesoro storico e culturale, un patrimonio che non doveva essere rovinato in tal modo. La guerra mossa dall’ISIS non si rivolgeva solo ai governi che gli si opponevano, ma anche al patrimonio culturale mondiale. Non è un caso, che il successivo bersaglio furono le statue del museo di Mosul, vicino Ninive, perché rappresentavo l’idolatria che i militanti ISIS volevano combattere. In realtà, si trattò di uno sfregio alla cultura perpetrato attraverso ruspe e bombe.  

Una ruspa mentre spiana le antichissime rovine di Ninive

L’impatto della distruzione di Ninive 

I video e le immagini di tale scempio si trovano sul web e su youtube, basta un clic e si può assistere a millenni di storia cancellati in un secondo dalla cattiveria umana. La distruzione delle antiche mura, le porte e perfino le statue distrutte a febbraio dello stesso anno hanno causato un forte impatto in chi ha potuto seguire la vicenda. Infatti, l’ISIS ha rovinato in maniera irreversibile un patrimonio archeologico e culturale preziosissimo della regione che ospitò la culla della civiltà mediterranea, ovvero la Mesopotamia. In nome di una religione che essi stessi hanno profanato, si sono portati via un pezzo non solo della loro storia ma anche della nostra.

 

Frame di video dal web che raccontano la distruzione del vicino Museo di Mosul
Accadde oggi

Giornata della memoria, l’olocausto da non dimenticare

L’evento 

Il 27 gennaio 1945 è una data molto importante per la storia europea, poiché in tale giorno, durante la Seconda guerra mondiale, le armate russe liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Qui si era svolta una delle pagine nere della storia umana: l’Olocausto, la persecuzione sistematica degli ebrei.

Particolare della scritta che si trova all’entrata di Auschwitz. Arbeit macht frei, “Il lavoro rende liberi.”

Preludio all’Olocausto

Con il termine Olocausto, si indica la persecuzione, la deportazione e l’uccisione da parte dei nazisti, di ben dodici milioni di persone tra il 1933-1945. Tra questi, sei milioni erano ebrei. Difatti, l’odio verso gli ebrei si diffuse nel 1933, quando Hitler, capo del partito nazionalsocialista, salì al potere in Germania. Da tale anno, fino alla fine della guerra, gli ebrei non ebbero pace. Solo perché ebrei, i nazisti li isolarono, maltrattarono, derubarono, picchiarono e uccisero. I seguaci del Fuhrer li considerarono la causa di ogni problema, soprattutto economico; per questo confiscarono i loro beni e vietarono loro di continuare qualsivoglia attività lavorativa, a partire dalla Notte dei cristalli, il 10 novembre 1938.

Le vetrine completamente distrutte dei negozi, dopo la Notte dei cristalli (immagine da Ilfoglio.it)

Inizio delle deportazioni 

Nel 1933, Hitler organizzò un sistema di campi di lavoro o, meglio, di concentramento. Qui sarebbero confluite tutte le categorie sociali ed etniche ritenute un peso per la nazione tedesca: nemici politici, come i comunisti e socialisti, le categorie “deboli”, omosessuali ed  ebrei. In questi campi, essi sarebbero stati costretti a vivere in condizioni disumane, fino alla morte; molti morirono a causa degli stenti, della fame e delle malattie, nonché per mano degli stessi nazisti. Il 20 gennaio 1942 l’organizzazione giunse al termine e, in Germania,  in Austria e in Polonia, sorsero  i campi di sterminio. I prigionieri vi arrivarono con lunghi viaggi in treno; le SS, i membri del partito e i funzionari statali si riunirono durante la conferenza di Wannsee e stabilirono le modalità delle deportazioni. Essi presero le vittime di forza, li strapparono dalle loro case, malmenarono, caricarono su un camion e poi su un treno, per portarli verso i campi. 

Foto che ritrae gli ebrei con i cosiddetti “pigiami a righe”.

Campi di concentramento 

I nazisti crearono queste strutture a partire dal 1933. I campi tristemente più famosi, Auschwitz e Majdanek, si trovano in Polonia. Venivano chiamati “di concentramento” poiché dovevano concentrare in un unico luogo i prigionieri per poi eliminarli. Ad oggi, si conoscono circa 44.000 strutture del genere, anche se non si può saperne il numero esatto, giacché i nazisti distrussero  parte delle prove; difatti, anche la stima delle vittime non è certa, forse furono più di 12 milioni. Nel 1938, in Austria sorsero altri campi, come Dachau e Mathausen. Alcuni sono presenti anche in Italia: è il caso della Risiera di san Saba, vicino Trieste, e della Casa Rossa, nel territorio di Alberobello.  All’inizio, i campi avevano lo scopo di tenere i prigionieri ai lavori forzati; in seguito, a partire dal 1943, divennero degli strumenti di sterminio di massa. Qui i soldati uccisero i prigionieri tramite fucilazione, li asfissiarono con il gas o  li bruciarono nei forni crematori.

La struttura a padiglioni di Auschwitz
Il lager Risiera San Saba, nei pressi di Trieste
Liberazione di Auschwitz 

A partire dall’estate del 1944, l’Armata russa iniziò l’offensiva contro gli avversari, arrivando fino in Polonia, nei pressi di Auschwitz. Durante l’avanzata, i sovietici incontrarono molti fuggitivi malati e in evidente stato di malnutrizione. Heinrich Himmler, dato che la situazione stava volgendo in peggio, per evitare che i russi scoprissero le atrocità dei campi, fece evacuare i prigionieri nelle cosiddette “marce della morte”. Inoltre, egli diede l’ordine di distruggere le camere a gas rimaste in funzione e i forni crematori; l’eliminazione delle prove continuò  nel gennaio 1945. Tuttavia, i nazisti non riuscirono a evacuare tutti i superstiti né a eliminare tutte le prove. Il mondo scopriva così cosa realmente stesse succedendo nei lager. La 9° armata dell’esercito russo liberò Auschwitz  il 27 gennaio alle 8:00. I sopravvissuti all’Olocausto furono davvero pochi rispetto al numero delle vittime. I sovietici trovarono nei campi gli oggetti personali dei deportati, tra cui più di 800.000 vestiti e circa 6.000 kg di capelli. Ad Auschwitz persero la vita più di un milione di persone. 

Due prigioniere che sorridono, dopo essere state liberate dai sovietici
Una giornata per ricordare l’Olocausto 

Dopo la fine della guerra, vennero fuori tutti gli orrori che erano stati perpetrati nei lager; i nazisti si macchiarono di crimini contro l’umanità. Gli alleati li punirono nel processo di Norimberga, che durò dal 20 novembre 1945 al 1° ottobre 1946. Costoro si macchiarono del genocidio degli ebrei e ciò suscitò lo sdegno dell’opinione pubblica. Anche se le deportazioni avvennero nell’indifferenza generale, non si era a conoscenza della sorte che sarebbe toccata a milioni di persone una volta raggiunti i “campi di lavoro”. Grazie al coraggio di molti cittadini, però, molti ebrei poterono salvarsi e chi non ce la fece lasciò comunque una testimonianza: come la piccola Anna Frank, che documentò quanto fu difficile vivere nascosta dai nazisti. O Luigi Ferri, che insieme a Primo Levi riuscì a sopravvivere fino alla Liberazione. Lo stesso scrittore che, in Se questo è un uomo, lasciò una forte  testimonianza. Ancora oggi questa tragedia non può che causare un immenso dolore e ciò che si può realmente fare è non dimenticare mai, affinché non accada mai più. Infatti, per tale motivo è stata istituita la Giornata della memoria in occasione della liberazione di Auschwitz, a partire dall’1° novembre 2005. 

Messaggio di un prigioniero nella Risiera San Saba (immagine da storicang.it)
Particolare del film Schinder’s list, in cui il cappotto rosso di una bambina risalta in mezzo al grigiore delle prigionia

 

 

 

Accadde oggi

Adriano, il “Graeculus” che divenne imperatore

L’evento 

Il 24 gennaio 76 d.C.  nacque ad Italica, in Spagna, Publio Elio Traiano Adriano che, in seguito, divenne l’imperatore Adriano. Costui fu noto per essere un grande amante delle arti e delle lettere, specialmente della cultura greca, per questo venne soprannominato Graeculus

Immagine ritraente il busto di Adriano, raffigurato con la barba che era solito portare secondo l’usanza greca – Musei Capitolini, Roma (immagine dal web)

Il cursus honorum di Adriano

Adriano perse entrambi i genitori tra l’85 d.C. e l’86 d.C. Il padre, Publio Elio Adriano Afro era imparentato con l’imperatore Traiano. Quest’ultimo, non avendo figli, adottò insieme alla moglie Plotina, l’orfano. La madre adottiva lo aiutò nell’ascesa al potere attraverso il cursus honorum e si pensa che dietro la nomina a imperatore ci sia proprio lei. Il ragazzo, del resto, crebbe sotto la guida del padre che lo istruì nell’arte della guerra. La sua carriera fu ulteriormente agevolata quando l’imperatore Nerva nominò, per adozione, come suo successore, Traiano. Nel 98 d.C. si trovava nella Germania Superior. Ricoprì, inoltre, per tre volte la carica di tribuno militare in Pannonia, in Mesia e in Germania.  

La nomina ad imperatore  

Nel 117, dopo la morte di Traiano, i soldati, dai quali era molto stimato, lo nominarono imperatore. Adriano fu previdente e prima di accettare il potere, chiese conferma al Senato, che la approvò. Nel 118 giunse a Roma per ratificare la nomina ad imperatore e, in questa occasione, condonò i debiti verso il fisco ai cittadini. Fin da subito il suo regno si distinse per una rinascita culturale in tutti i campi: nelle arti, nelle lettere, nella musica, nella pittura e nella filosofia, soprattutto guardando alla Grecia e alla cultura classica. Il rinnovamento culturale andò di pari passo con quello politico. Non tutti erano soddisfatti delle sue tendenze elleniche e di una politica difensiva, piuttosto che espansiva, e ciò sfociò in una congiura.  

Monete auree che ritraggono l’imperatore Adriano

Riforme interne 

Non appena eletto imperatore, Adriano giurò di non mettere mai a morte dei senatori. All’indomani della congiura, però, i senatori complici di ciò vennero condannati a morte senza la sua approvazione e, per dimostrare la coerenza con quanto affermato, rimosse i colpevoli della condanna dalle cariche che esercitavano. Adriano principalmente riformò l’amministrazione e l’esercito, da tempo corrotto e dedito al lusso; stabilì un editto pretorio secondo cui un magistrato all’inizio del mandato, comunicava i principi giuridici generali. Inoltre, istituì un Consilium principis: questo era costituito da funzionari scelti in base sui meriti. Sotto Adriano vennero dati anche stipendi e una possibilità di carriera ai vari funzionari, mentre a livello giuridico tolse il diritto di vita e di morte dei padroni sugli schiavi. Soprattutto, cercò di riportare l’esercito al suo antico rigore: i soldati avrebbero dovute vivere frugalmente, abituandosi alle fatiche dei viaggi ed esercitandosi regolarmente con le armi. 

Roma come doveva apparire ai tempi dell’imperatore Adriano in un dipinto di Gaspar van Wittel, XVII sec. (immagine da storicang.it)
La politica estera

Molti storici lo inseriscono tra gli “imperatori buoni” per la sua politica estera, volta al mantenimento della pace; eppure, non mancarono dei momenti di crisi nelle province. Adriano dovette affrontare la crisi in Armenia, Mauritania e Scozia, dove i caledoni sconfissero i romani di istanza al confine tra la Britannia romana e la Caledonia (l’attuale Scozia). In tale occasione fece costruire il Vallo di Adriano, che doveva fungere da confine (si conserva ancora oggi ed è diventato patrimonio dell’umanità UNESCO nel 1987). Sviluppò inoltre, tra il Reno e il Danubio, ulteriori mura difensive. Adriano risolse anche le controversie in Mesopotamia, Assiria e nel regno di Palmira. A partire dal 131 d.C. fino al 136 d.C., negli ultimi anni di regno, dovette sedare una rivolta a Gerusalemme, che venne distrutta; al suo posto sorse Elia Capitolina e al posto del tempio di Jehovah fece erigere il tempio di Giove Capitolino, che suscitò lo sdegno degli ebrei.  

Il Vallum Hadriani che divideva la Britannia romana dall’attuale Scozia (immagine da storicang.it)
I viaggi

Adriano passò due terzi del suo mandato in viaggio, con lo scopo di verificare la situazione nelle province. Queste ultime erano considerate dall’imperatore non come territori da sfruttare, bensì come parti integranti dell’impero da arricchire con templi, biblioteche, bagni, scuole e strade funzionanti. Dopo il 119 d.C. visitò la Gallia, la Spagna, l’Africa, l’Oriente, l’Egitto, l’Asia Minore e la Grecia. Qui rivitalizzò Atene, facendo costruire una biblioteca, un arco trionfale e un tempio della Fortuna. Famosa è la villa che fece costruire a Tivoli, che si estende per 17 km e comprende al suo interno un isolotto. Varie città presero il suo nome, tra cui Adrianopoli. In Egitto, dopo la morte del suo amato Antinoo, annegato nel Nilo, fece erigere statue e, nel 130 d.C., una città prese il nome di Antinoopoli. Adriano morì qualche anno dopo, nel 138, a seguito di una malattia. 

Ciò che resta della villa di Adriano a Tivoli (immagine da romanoimpero.com)

 

Statua di Antinoo, nota come Antinoo Braschi, rinvenuta in degli scavi tra il 1792 e il 1793 a Praeneste, venduta a papa Pio VI per il suo palazzo Braschi, oggi ai Musei Vaticani (immagine da museivaticani.va)
L’impatto culturale di Adriano

La figura di Adriano suscitò un certo interesse, soprattutto a livello culturale. Fu uno degli imperatori che più amò la cultura, soprattutto greca, tant’è che parlava benissimo il greco. Egli nutriva un amore spropositato per la Grecia ed era la provincia che più gli stava a cuore. Nel 1951 la scrittrice Marguerite Yourcenar dedicò un libro all’imperatore, Memorie di Adriano, in cui descrive la sua carriera politica e i suoi numerosi viaggi tutti dall’ottica di Adriano, come se fosse un diario; l’autrice si sofferma soprattutto sulla relazione con Antinoo e sul dolore che provò dopo la sua morte. In questo modo, Adriano diventa uno degli imperatori più “umani” che regnarono sull’Impero Romano. 

La copertina del libro “Memorie di Adriano” (immagine da einaudi.it)
Accadde oggi

Salvador Dalì, quando il sogno incontrò l’arte

L’evento 

Salvador Dalì moriva il 23 gennaio 1989, nella sua città natale di Figueres, in Spagna. Egli viene ricordato per la sua personalità abbastanza eccentrica, per il suo modo di fare e di vestire, nonché per essere il rappresentante dell’avanguardia surrealista in ambito artistico. 

L’artista fotografato nel 1953 (immagine dal web)

 

La giovinezza di Dalì

Salvator Domingo Felipe Jacinto Dalì nacque a Figueres, dopo la morte prematura del fratello maggiore, verso cui si sentì sempre in colpa. L’artista passò la sua infanzia nella campagna spagnola e fin da ragazzo dimostrò il suo talento e la sua passione per l’arte; all’inizio, i suoi soggetti erano contadini e pescatori, poi ci fu una svolta. Nel 1920 conobbe a Parigi Pablo Picasso, René Magritte e Joan Mirò, artisti già affermati. Si iscrisse all’Accademia delle belle arti a Madrid nel 1921 e nello stesso periodo subì anche l’influenza dei futuristi italiani. Durante la sua carriera, collaborò con figure di spicco, come Coco Chanel, per cui realizzò dei disegni, e Alfred Hitchcock, con cui lavorò alle sequenze del film Spellbound. Lui stesso nel 1929 fece un film con Luis Buñuel, Un chien andalou (Un cavallo andaluso). 

Frammento preso dal film Un Chieu Andalou del 1929

Periodo surrealista 

Egli ebbe modo di conoscere Sigmund Freud, che lo influenzò nella sua visione artistica. Il 1929 segnò la sua unione al gruppo surrealista, voluta  da Mirò, e nel 1931 vide la luce l’opera che lo consacrò: La persistenza della memoria. Quest’opera rappresenta lo spirito del Surrealismo e il manifesto artistico di Dalì. La persistenza incarna i temi surrealisti come il sogno, l’irrazionale e l’inconscio. I Surrealisti ritenevano che la propria arte fosse spinta dall’automatismo psichico. Dalì definiva il suo stile paranoico-critico, giacché nelle sue opere si trovano le trasposizioni razionalizzate dei suoi deliri e della parte più nascosta dell’Io: l’inconscio. Nella Persistenza compaiono la paura del tempo che scorre e la relatività di questo, rappresentati con degli orologi di dimensione diversa. Altre opere che si ricordano sono: Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio (1944), Tentazioni di Sant’Antonio (1946), Gli elefanti (1948). 

La persistenza della memoria
Sogno causato dal volo di un’ape
Le tentazioni di Sant’Antonio (immagine da thedalìuniverse.com)

Anni successivi 

In poco tempo, l’artista divenne noto a livello mondiale grazie anche alle mostre surrealiste negli Stati Uniti. Nel 1936, Dalì espose la sua prima mostra al Museum of Modern Art. Tuttavia, André Breton, il fondatore del gruppo surrealista, lo espulse poiché il pittore si rifiutò di prendere posizioni politiche, dato che non voleva che influenzassero la sua arte. Dalì dipinse persino dei quadri che ritraevano Hitler (L’enigma di Hitler e la Metamorfosi di Hitler) e ciò non poté andare a genio a Breton, anti-nazista e di sinistra. Un cambiamento artistico si verificò quando l’artista si riavvicinò al cattolicesimo e soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale; inoltre, aderì al cosiddetto “misticismo nucleare”Galatea delle sfere (1952) è un esempio di tale periodo.  

Galatea delle sfere (immagine da thedaliuniverse.com)
Ultimi anni 

Dopo essersi trasferito in America durante gli anni della guerra, tornò in Europa a Figueres. Qui visse ritirato nel suo castello, ad affrontare la malattia; nel 1963 dipinse il Ritratto di mio fratello morto. Negli ultimi anni, sperimentò il  lutto per la perdita della moglie Gala, la sua musa. Salvador Dalì morì il 23 gennaio 1989 a 85 anni.

Il ritratto del fratello morto (immagine da thedalìuniverse.com)
L’importanza di Dalì 

Dalì rivoluzionò a suo modo l’arte, rendendola libera da ogni tecnicismo e classicismo e portando l’inconscio, il sogno e la follia nell’arte. Quello che non avrebbe avuto senso, con il Surrealismo di Dalì lo ottenne. La sua notorietà è dovuta anche al suo stile particolare; ancora oggi viene ricordato per i suoi baffi. Nel 2017 divenne il simbolo di una serie tv spagnola: La casa de papel.

I protagonisti de La casa di carta con una maschera di Dalì
Accadde oggi

Cesare attraversa il Rubicone: alea iacta est

L’evento 

Il 10 gennaio del 49 a.C. Caio Giulio Cesare, alla testa del suo fidato esercito, attraversò armato il confine politico della penisola italiana: il Rubicone, un fiume che si trova in Emilia-Romagna tra Forlì e Cesena. Chiunque si macchiava di tale crimine, diveniva automaticamente ostile a Roma, un nemico. 

La posizione del Rubicone rappresentata nella carta geografica 

L’antefatto 

Giulio Cesare proveniva dalla gens Iulia, una delle più importanti famiglie romane. Ben presto si affermò come brillante uomo politico ed esponente della fazione dei populares. Tra il 58 e il 56 a.C., il condottiero assoggettò la Gallia Cisalpina e Narbonese, dopo esserne divenuto proconsole; attraverso questa campagna, egli ottenne gloria e potere. In due anni mise in ginocchio la Gallia, sconfiggendo anche gli Elvezi. Egli rimase fino al 51 a.C. in Gallia per riportare all’ordine le tribù galliche che si erano ribellate, tra cui quella di Vercingetorige. Il senato, dunque, iniziava a preoccuparsi della fama che stava riscuotendo il proconsole presso i romani. 

Statua che ritrae Gaio Giulio Cesare, risalente al XVII secolo e collocata al Louvre (immagine da storicang.it)
Cesare contro Vercingetorige (immagine presa da storicang.it)

Cesare contro il senato 

Anche l’altro console in carica – e triumviro -, Gneo Pompeo Magno, cominciò ad essere intimorito dal potere acquisito dall’esponente dei populares. Così decise di allearsi con il senato e attuare una serie di provvedimenti per ostacolare Cesare. Infatti, Pompeo aveva fatto approvare dal senato (e a nulla era valso il veto dei tribuni della plebe) due leggi: nel 55 a.C., la Lex Pompeia Licinia de provincia C. Iulii Caesaris, con cui si prorogava di cinque anni il comando di Cesare in Gallia e la Lex de iure magistratum, in cui nessuno si sarebbe potuto candidare come console fuori Roma, in absentia. Il senato, a questo punto, nominò consul sine collega Pompeo e negli anni successivi furono sempre pompeiani a diventare consoli. La rottura con Cesare era ormai evidente. Soprattutto perché i senatori rifiutarono tutte le proposte fatte dal generale: ossia di mantenere il proconsolato e due legioni e di candidarsi come console in absentia. Ciò non fu possibile per via delle leggi approvate e questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. 

Busto che raffigura Gneo Pompeo Magno (immagine presa da storicang.it)

 Il passaggio del Rubicone 

Oltre a ciò, il senato ordinò a Cesare di sciogliere le sue due legioni e di tornare a Roma come privato cittadino. Questo avrebbe comportato la rinuncia a quella gloria e a quel potere per cui il console aveva annientato i Galli e non poteva permettere che accadesse. A Cesare non rimase che agire con la violenza, seguito dalla sua fedele Legio XIII Gemina. Il 9 gennaio, dalla Gallia arrivò fino al fiume Rubicone, il confine simbolico dell’Italia che non si poteva assolutamente varcare con l’esercito; in caso contrario si sarebbe divenuti nemici di Roma. Cesare, il 10 gennaio del 49 a.C., conscio di ciò, lo oltrepassò e venne dichiarato hostis rei publicae. Si dice che, mentre dava l’ordine, abbia pronunciato la famosa frase “Alea iacta est” (“Il dado è tratto”). Con tale espressione intendeva probabilmente che la sua fu una mossa rischiosa nella partita a scacchi che stava giocando con il senato. E se si pensa alle conseguenze di questo gesto, si capisce come la sua fu una strategia vincente. 

Cesare varca il Rubicone nella serie tv Roma (immagine dal web)
Le conseguenze 

La mossa di Giulio Cesare ebbe dei risvolti significativi che cambiarono le sorti della res publica. All’indomani del passaggio del Rubicone, si scatenò la guerra civile tra Cesare e Pompeo/senato. Questa fu combattuta soprattutto fuori dall’Italia, coinvolgendo la Spagna, la Sardegna, la Sicilia e la Grecia. Qui Pompeo venne sconfitto nella battaglia di Farsalo nel 48 a.C., scappò in Egitto e trovò la morte per mano del faraone Tolomeo XIII. Proverbiale è la velocità con cui Cesare vinse queste battaglie; secondo Plutarco, per descrivere le sue rapide vittorie, il comandante avrebbe detto “Veni, vidi, vici”. Ne consegue che Giulio Cesare ebbe il via libera per diventare dictator , assumere pieni poteri e avviare la repubblica verso una nuova forma. Il passaggio del Rubicone per certi versi segnò il primo atto della nascita del principato. 

Accadde oggi

Lorenzo de’ Medici, il Magnifico di Firenze

L’evento 

Lorenzo di Piero de Medici, noto anche come Lorenzo il Magnifico, nacque il 1° gennaio 1449 a Firenze da Piero de’ Medici, detto “il Gottoso”, e Lucrezia Tornabuoni. Rappresentò la famiglia più importante del Rinascimento, influente non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa. Fu la personalità più rilevante del Quattrocento: come diplomatico, come signore di Firenze, come banchiere e soprattutto come mecenate e uomo di cultura; si circondò di poeti, artisti e scrittori, fino alla morte avvenuta l’8 aprile 1492 a causa della gotta e di un’ulcera non curata. 

Ritratto di Agnolo Bronzino di Lorenzo il Magnifico risalente al XVI sec. ca.

Contesto storico 

Lorenzo il Magnifico si trovò ad operare in un periodo storico particolare, in cui diverse famiglie cercavano di primeggiare per il controllo di Firenze. I Medici ben presto primeggiarono sulle altre famiglie di Firenze, tra cui gli Albizzi, gli Strozzi e i Pazzi. Dapprima grazie al prestigio di Cosimo, in seguito a quello del nipote Lorenzo, dal 1467 ebbero in mano tutta la Toscana, tranne Lucca, Pisa e Siena. Essi non toccarono mai ufficialmente le istituzioni comunali ma si assicurarono di averne tutte le cariche.

Piazza della Signoria e Palazzo Vecchio
(immagine presa da Italia.it)

La giovinezza di Lorenzo 

Lorenzo ricevette insieme ai fratelli un’educazione classica e umanistica così come un’eccellente preparazione politica, giacché sarebbe divenuto il prossimo a gestire gli affari. Già a dodici anni si interessò grazie a Marsilio Ficino all’Accademia neoplatonica. Inoltre, tra il 1465 e il 1466 gli vennero affidati degli incarichi diplomatici importanti a Milano, a Venezia, a Roma poiché avrebbe dovuto controllare le filiali di queste città. A Roma siglò un contratto che gli avrebbe assicurato delle miniere a Tolfa. Il suo prestigio fu tale che a diciassette anni sedette nel Consiglio dei Cento. Oltre a ciò, per rafforzare il suo legame con Roma, sposò Clarice Orsini nel 1469. Vi fu davvero affetto tra i due, come si evince dai suoi Ricordi. 

Lorenzo de’ Medici in un affresco nel Palazzo dei Medici, 1459.

Ascesa al potere 

I viaggi presso le varie corti gli diedero modo di conoscere la situazione politica ed economica italiana e di familiarizzare con l’attività di banchiere. Dopo la morte del padre nel 1469, Lorenzo prese le redini della famiglia a soli vent’anni. Il potere di Lorenzo avrebbe dovuto essere informale, tanto che restò un cittadino normale; nella realtà non fu così. Egli dominò non solo su Firenze ma anche sulla Toscana e giunse ad influire sulle sorti del resto d’Italia e d’Europa. Ciò gli valse l’appellativo di “ago della bilancia” poiché riuscì ad equilibrare i rapporti tra le varie signorie e diventare il fulcro della politica italiana. 

Politica estera 

Egli dimostrò fin da subito di voler governare Firenze, per tale motivo si assicurò la presenza di esponenti filomedicei nel Consiglio dei Cento. Ciò creò malcontento tra le altre famiglie nobili e perfino delle città vicine, che si ribellarono. La prima ad essere riportata all’ordine fu Prato poi nel 1472 toccò a Volterra, fondamentale soprattutto a livello economico dato che possedeva delle miniere di allume. Dopo una breve resistenza, Volterra capitolò e l’esercito dei Medici per ordine di Lorenzo, si macchiò della strage dei volterrani che suscitò lo sdegno pubblico. 

Moneta raffigurante Lorenzo de’ Medici. (immagine presa via web)
Conflitto con il papa 

Lo scontro di interessi portò Lorenzo ad incrinare nel 1474 il rapporto con Sisto IV; il papa voleva occupare  Imola, Faenza e Città di Castello in Umbria per poi strappare Firenze ai Medici e darla al nipote Girolamo Riario: questo avrebbe comportato l’influenza del papa su tutta l’Italia centrale e Lorenzo non poteva permetterlo, così negò il versamento di 40.000 fiorini a Roma. A questo punto il papa tramò contro Lorenzo e Giuliano, insieme all’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, Federico da Montefeltro, il re di Napoli Ferrante d’Aragona e i Pazzi.  

Nel 1478, durante la messa pasquale a Santa Maria del Fiore, i congiurati agirono e se Lorenzo riuscì a salvarsi grazie a Poliziano, lo stesso non fu per il fratello Giuliano, che perse la vita. Nel frattempo, coloro che avevano tramato vennero tutti impiccati in Piazza della Signoria, come monito per chiunque avesse voluto opporsi. Questo non fermò il papa che lo scomunicò per aver ucciso l’arcivescovo Salviati e chiuse il banco mediceo a Roma. Inoltre, dichiarò guerra a Firenze con il sostegno di Napoli, Ferrara, Lucca e Siena. Grazie alla sua pronta azione diplomatica nel 1480, il Magnifico riuscì ad ottenere l’alleanza di Napoli e Ferrara; a Sisto IV non restò che siglare la pace e togliere la scomunica. Successivamente, il Magnifico si legò al nuovo papa, Innocenzo VIII, mediante il matrimonio strategico della figlia Maddalena con il figlio del papa. Alla fine del 1487 anche Lucca e Siena erano sotto il suo controllo. 

Politica interna 

Lorenzo, grazie a questa rete di alleanze, riuscì ad imporsi ancora di più su Firenze, istituendo il Consiglio dei Settanta; in tal modo tolse l’autorità al gonfaloniere. La rotazione dei membri non era automatica come avrebbe dovuto essere in un’istituzione repubblicana. Gli ultimi anni furono segnati dal rapporto contrastato con il domenicano Girolamo Savonarola, chiamato a Firenze nel 1490, che dopo la sua morte porterà scompiglio nella città. 

L’importanza di Lorenzo detto Il Magnifico

Egli rappresentò davvero l’ago della bilancia e durante il suo operato si mantenne un certo equilibrio; dopo la sua morte, l’Italia versò nel caos e iniziarono le cosiddette Guerre d’Italia. A partire dall’1492, l’Italia subì le invasioni degli stranieri, in primis dei francesi e non si vide più durante il Rinascimento un uomo così tanto carismatico, spregiudicato e influente come Lorenzo de Medici. 

Nel 2016 è stata prodotta dalla rai una serie tv per raccontare le vicende dei Medici. (immagine presa da raiplay.it)

 

L’attività politica marciò congiunta con quella letteraria. Lorenzo fu il fautore della crescita culturale di Firenze, comportandosi come un vero e proprio mecenate. Sotto la sua tutela la città rinacque; egli fondò la prima accademia d’arte nel giardino di San Marco, che frequentò il giovane Michelangelo. In più commissionò il restauro di Santa Maria del Fiore e il rinnovo di Palazzo Vecchio. La sua corte eclettica fu assiduamente frequentata da Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Michelangelo, Leonardo da Vinci, da Poliziano, Marsilio Ficino e il Pulci. Egli stesso compose poesie in volgare e altre opere, tra cui i Canti Carnascialeschi, di cui fa parte il Trionfo di Bacco e Arianna. Lorenzo il Magnifico rappresentò a pieno l’uomo rinascimentale, dedito alla politica, al contempo alla cultura classica e alla riflessione filosofica sulla caducità della vita. D’altronde del doman non v’è certezza!

Il Giardino di San Marco nel palazzo dei Medici.
(immagine presa via web)

 

 

Accadde oggi

21 dic. 475 a.C.: ai piedi del Vesuvio nasce Neapolis (Napoli)

L’evento 

Il 21 dicembre 475 a.C. i cumani fondarono la città di Neapolis, l’odierna Napoli. Ogni anno durante questa data si festeggia la nascita di una delle città d’arte più affascinanti d’Italia. Nonostante si tratti di una datazione puramente simbolica, gli storici si trovano abbastanza concordi nel far oscillare la fondazione di Neapolis tra il 21 dicembre del 475 e quello del 450 a.C. 

La leggenda  

Come per ogni fondazione di città che si rispetti, si possono leggere di solito due versioni: quella storica e quella mitica. Se ci si attiene alla leggenda, infatti, il  corpo della sirena Partenope avrebbe creato Napoli. Omero cita il mito nel III canto dell’Odissea: Partenope si sarebbe tolta la vita a causa del rifiuto di Ulisse, insensibile alla bellissima voce di queste creature. Il suo corpo, trascinato dalle onde, sarebbe arrivato alle foci del fiume Sebeto e una volta svanito, avrebbe dato vita alla città. Secondo un’altra versione, risalente al XIX secolo, la sirena era innamorata del centauro Vesuvio e Zeus li avrebbe separati; costui, invaghito a sua volta di Partenope, trasformò il centauro in un vulcano (da qui la nascita del Vesuvio); la donna, affranta dal dolore si suicidò e il corpo arrivò ai piedi del vulcano per permettere ai due amati di ricongiungersi. Infatti, la città sorge proprio ai piedi del Vesuvio. C’è una terza versione che vuole Partenope come principessa di una colonia della Magna Grecia. La leggenda sta molto a cuore dei napoletani, tant’è che ogni anno viene celebrata la mitica fondatrice attraverso una fiaccolata. 

La statua della sirena Partenope al centro della piazza Sannazaro (immagine da fondoambiente.it)

La storia 

Nella realtà, gli oligarchi cumani nell’VIII secolo, dopo essere stati scacciati da Cuma (una delle più importanti colonie della Magna Grecia), a seguito dell’insediamento del tiranno Aristodemo, fondarono Partenope. Questi coloni, dunque, diedero vita sulla collina di Pizzofalcone ad un agglomerato di case, Palepolis (antica città). A causa dei contrasti con gli Etruschi, altro grande popolo che abitò l’Italia centrale, scoppiò una guerra per il controllo della Campania. A questo punto si decise di rafforzare Palepolis, dotandola di una cinta muraria e potenziandola fino a diventare, nel VI secolo, una delle città più influenti. Questa rinacque col nome di Neapolis (Nuova città) tra il 475 e il 450 a.C., poiché sorse giustapposta alla vecchia. La scelta del giorno 21 dicembre, ovvero il solstizio d’inverno, è significativa perché gli antichi sceglievano giorni con ricorrenze astrali come questa per porre la prima pietra di una città. 

Il Vesuvio (immagine da Campania.info)

Neapolis 

La colonia ebbe un’acropoli,  un’agorà e  una necropoli. Ben presto sostituì Cuma a livello culturale, commerciale e strategico, arrivando a dominare il Golfo di Napoli. Neapolis era un porto sicuro per i commerci con la Spagna, le Baleari e la Sardegna. Nel 326 a.C., come conseguenza di atti ostili nei confronti dei romani residenti nell’Agro campano, i romani conquistarono la città. In età romana fu sempre una città importante che mantenne le proprie libertà, com’era usanza di Roma. Nel 79 d.C. subì ingenti danni a seguito dell’eruzione del Vesuvio, che distrusse Pompei e Ercolano. Durante l’età medievale, divenne un ducato autonomo bizantino. Nel Rinascimento fu sede di una delle corti più influenti d’Europa per poi essere nominata la capitale del Regno di Napoli fino al XVIII secolo, quando diventò capitale del Regno delle Due Sicilie

Veduta di Neapolis (immagine da lacooltura.com)
Piazza del Plebiscito, Napoli (immagine da italia.it)
L’importanza della città 

Napoli, oltre ad essere un influente porto greco, è un simbolo della cultura classica su cui si basa quella italiana. Napoli è sede della prima università ad essere nata per mano dello “stato” e ospita la più antica università di studi orientali, l’Orientale. Non solo: Napoli è stata anche una delle corti più sviluppate durante l’Illuminismo; la corte napoletana, difatti, portò avanti una monarchia illuminata, diventando uno dei centri più importanti di diffusione della cultura durante il Secolo dei Lumi. Il Centro storico e la famosa pizza napoletana sono Patrimoni dell’umanità UNESCO a partire dal 1995. I turisti scelgono la città partenopea anche solo per avere un assaggio dell’alimento più diffuso al mondo. Nel 1997 le zone circostanti al Vesuvio vennero nominate riserve mondiali della biosfera. 

La famosa pizza napoletana (immagine via web)
Il palazzo reale risalente al XVII secolo, ubicato presso Piazza Plebiscito (immagine d’archivio)

 

Accadde oggi

Una vita a colori: Walt Disney, il sogno diventato realtà

L’evento 

Walt Disney moriva a Burbank, una cittadina della California, il 15 dicembre 1966, a causa di un tumore ai polmoni. Egli fu uno dei più grandi imprenditori, registi e produttori cinematografici della storia del cinema, nonché colui che fondò la Walt Disney Company. Inoltre, Walt Disney rappresentò il mito americano dell’uomo che si forma da zero.

Walt Disney insieme alle sue creazioni

Cenni biografici

Walter Elias Disney nacque a Chicago il 5 dicembre 1901 da genitori di origini europee. Egli, insieme ai fratelli, crebbe in una fattoria nel Missouri, lavorando insieme al padre. Fin dalla giovinezza dimostrò una certa attitudine al disegno, nonostante all’inizio abbia ricevuto molteplici rifiuti come fumettista. Nel 1918 si arruolò nell’esercito durante la Prima guerra mondiale. Il suo più grande sogno, tuttavia, era quello di realizzare film di successo.  

Carriera 

Egli incominciò a produrre delle animazioni, a cui lavorò nel garage di suo zio con una vecchia cinepresa. Il suo scopo era quello di animare dei pezzi di cartone, aggiungendo il tocco del sonoro. Nel frattempo, fu fondamentale l’incontro con il disegnatore  Ub Iwerks. Costui, infatti, disegnò, sotto le direttive di Walt Disney, Topolino: il simbolo della Disney. Mickey Mouse nacque verso la metà degli anni Venti del Novecento, da un abbozzo chiamato Oswald il coniglio fortunato, che però era il frutto di una precedente collaborazione con la Universal e che gli apparteneva legalmente, avendone lui i diritti. Il design fu riadattato e Topolino, alla fine, fece il suo debutto il 18 novembre 1928 nel cortometraggio con l’audio prodotto dalla Pat Powers, Steambot Willie, anche se prima era già comparso in L’aereo impazzito (Plane Crazy) e in Topolino gaucho.

 

La prima comparsa di Topolino il 18 novembre 1928, nel film Steamboat Willie
L’evoluzione di Topolino

Walt Disney Company 

Questa data segna la nascita del successo di Walt Disney che, insieme a Ub e al fratello Roy, cambiò il nome della Walt Disney Studio (prima chiamata Disney Brothers Cartoons Studio nel 1923) in Walt Disney Productions, nel 1929. Grazie alla geniale creazione di Topolino, riuscì ad approdare a Hollywood e, nel 1931, il topo più famoso del mondo comparve in una dozzina di film. Oltre a Topolino, ben presto comparvero sul grande schermo anche i suoi amici: Paperino, Paperina, Minnie, Pippo e Pluto. Tutti questi compariranno, in seguito, anche in versione fumetto; ancora oggi, infatti, i fumetti di Topolino sono apprezzati e amati dal pubblico.

Biancaneve e i sette nani, tratto da una fiaba, fu il primo vero film di successo targato Walt Disney company, uscito nelle sale nel 1937. Tra gli altri film prodotti mentre egli era in vita si ricordano:

Pinocchio (1940), Fantasia (1940), Dumbo (1941), Bambi (1942), Cenerentola (1950), Alice nel paese delle meraviglie (progettato già negli anni ’20, all’inizio si rivelò in un fiasco e venne riprodotto solo nel 1951), Le avventure di Peter Pan (1953), Lilli e il vagabondo (1959), La bella addormentata nel bosco (1959). 

Biancaneve durante una scena del film
Controversie 

Sulla luminosa carriera di Walt Disney aleggiarono sempre delle accuse di razzismo, antisemitismo e, addirittura, filonazismo. Infatti, nonostante le smentite della famiglia e dei suoi più stretti collaboratori, rimase questa macchia sulla sua persona. Molti avrebbero visto stereotipi razzisti e antisemiti usati dal produttore, come ad esempio l’abbigliamento del lupo cattivo nel film I tre porcellini. L’accusa della sua presunta vicinanza al nazismo è dovuta alla sua adesione a un’organizzazione di stampo conservatore: la Motion picture alliance for the preservation of American ideals, da cui, in realtà, prese le distanze negli anni Cinquanta. Ad oggi rimangono ancora delle accuse prive di fondamento. Infatti, proprio Walt Disney produsse vari film anti-nazisti, tra cui Donald Duck in Nutziland

Eredità 

Nonostante le ombre sulla sua figura, una cosa è certa: i suoi lavori fecero e fanno sognare ancora oggi intere generazioni non solo di bambini ma anche di adulti, che fanno vedere ai propri figli film che hanno segnato in positivo la loro infanzia e finché qualcuno guarderà i classici Disney, la sua eredità sarà sempre presente. Egli adattò per il cinema le fiabe più famose, creò personaggi come Topolino e la sua famiglia, al fine di far sognare e fantasticare in tempi duri come quelli tra le due Guerre Mondiali. Inoltre, nel 1955 egli fondò a Orlando, in Florida, il primo parco a tema: Disneyland; in seguito, anche a Tokyo e a Parigi sorsero parchi a tema. La magia che regna in questi luoghi riesce a far scordare la realtà e a far immergere milioni di turisti in un mondo fantastico dove tutto è possibile. D’altronde, come diceva uno slogan coniato negli anni 80 dai successori di Walt Disney, “Se puoi sognarlo, puoi farlo”.

Disneyland Paris di notte (immagine da Disneylandparis.com)

 

 

Accadde oggi

13 dicembre 1250, muore lo “stupor mundi” Federico II

L’evento

Il 13 dicembre 1250 moriva, a Fiorentino di Puglia, Federico II di Svevia. Costui viene ricordato come l’ultimo imperatore del Sacro Romano Impero. Dopo la sua morte, infatti, non ci fu più un impero né tantomeno un imperatore. La sua influenza fu tale che il figlio, Manfredi, lo definì “il sole del mondo, dei giusti. L’asilo della pace.”

Ritratto dell’imperatore dal trattato De arte venandi cum avibus, di cui è autore lo stesso Federico II (immagine presa via Puglia.com)

Giovinezza

Federico II nacque a Jesi, nelle Marche, il 26 dicembre 1194, dal matrimonio tra Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II re di Sicilia, ed Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa. Dalla madre ereditava così il regno di Sicilia e dal padre l’Impero. Nel 1198, a distanza di un anno l’uno dall’altra, morirono entrambi i genitori e la sua educazione fu affidata a papa Innocenzo III. Egli crebbe presso la corte siciliana, venendo a contatto con la cultura dinamica del regno.

La politica e le scomuniche

Nel 1208, raggiunta la maggiore età, divenne a pieno titolo Re di Sicilia e nel 1215 venne incoronato Imperatore da papa Onorio III, a seguito della morte degli altri pretendenti. Per quel che riguarda la Sicilia, egli unificò il regno e rafforzò la monarchia attraverso alcuni provvedimenti: combatté contro i baroni troppo autonomi, attuò una riorganizzazione del diritto e della cultura, liberandola dagli influssi saraceni, e deportò in Puglia gli ultimi musulmani rimasti. Parallelamente, l’alleanza tra papato ed impero si incrinò poiché entrambi volevano il potere assoluto, sia temporale che spirituale.

 

Augustale, moneta d’oro fatta coniare dall’Imperatore a partire dal 1231 nelle zecche di Messina e Brindisi


Le lotte che
iniziarono tra le due istituzioni sfociarono in ben due scomuniche ai danni di Federico II da diversi papi: Gregorio IX e Innocenzo IV. La prima volta, il 23 marzo 1228, perché non mantenne la promessa di una sesta crociata in Terrasanta, voluta da Onorio III. Per ritornare nelle grazie del papa, nonostante la scomunica, partì lo stesso verso la Terrasanta e, nel 1229, si fece incoronare Re di Gerusalemme. La seconda scomunica la ottenne nominando suo figlio Ezio Re di Sardegna. Tale possedimento, in realtà, apparteneva al papa. L’imperatore venne scomunicato durante la Settimana Santa e, per evitare la conferma del provvedimento, Federico II arrivò a prendere in ostaggio i cardinali che avrebbero dovuto partecipare al consiglio indetto dal papa.

I tentativi di annessione dei Comuni

L’imperatore si trovò ancora ad affrontare altri nemici della corona: i Comuni italiani. Difatti, Federico voleva annettere l’Italia ai domini imperiali ma ciò contrastava con l’indipendenza ottenuta dai Comuni, oltre che con gli interessi papali. I Comuni decisero di ricreare la cosiddetta Lega Lombarda, costituita da Milano, Bologna, Piacenza, Mantova, Lodi, Bergamo, Torino e Padova, per opporsi a Federico II e lottare per la libertà che avevano acquisito già sotto Federico Barbarossa. Nemmeno in Germania l’imperatore ebbe un appoggio; anzi, emersero delle spinte centrifughe che portarono all’affermarsi dei signori locali tedeschi e ben poco poté fare Federico per evitare che il potere imperiale si sgretolasse. Gli scontri contro i Guelfi, ormai alleati dei comuni e appoggiati dal papa, segnarono la fine di Federico II nel 1250.

 

Miniatura del XIV secolo rappresentante Federico II e la sua passione per la falconeria

 

Lascito federiciano

Federico II, definito dai suoi alleati stupor mundi e anticristo dai suoi nemici, fu, in realtà, un grande uomo di cultura. Grazie alla sua azione venne fondata la prima università laica a Napoli nel 1224, in contrapposizione all’Università di Bologna di stampo religiosa, e inoltre venne costruito nel 1240 uno dei castelli più suggestivi al mondo, ovvero Castel del Monte. La fortezza, un prezioso esempio di architettura gotica, romanica e araba, unica nel suo rigore matematico ed astronomico, si trova in Puglia e a partire dal 1996 fa parte dei beni dichiarati Patrimoni dell’umanità dell’Unesco.

La scuola poetica siciliana

La sua iniziativa, però, non si limitò soltanto a questo. Egli, infatti, fu il fondatore della Scuola poetica siciliana nel 1230, da cui deriva il volgare italiano. Questa si incentrò sull’attività dei funzionari imperiali incentivati dallo stesso imperatore, come Giacomo da Lentini, Guido delle Colonne, Cielo d’Alcamo, l’autore di Rosa fresca aulentissima, e Pier delle Vigne, che viene citato addirittura da Dante nella Commedia, precisamente nel XIII canto dell’Inferno tra i suicidi, dopo essere stato accusato ingiustamente di tradimento.

Lo scopo era quello diffondere il volgare italiano, in particolar modo il siciliano, ispirandosi alla lirica cortese dei trovatori; infatti, la produzione poetica della Scuola siciliana costituì la prima produzione lirica in volgare e soprattutto del componimento noto come sonetto. Ma non solo, l’attività poetica dei siciliani anticipò anche alcuni tratti stilistici che furono tipici dello Stilnovismo toscano.

Gli intellettuali della Scuola siciliana, rappresentati in una miniatura (immagine via Lavocedell’Jonio)