Aprile 1945: gli ultimi giorni di vita per il Führer e per la sua Germania nazista. Assisteva dall’interno del Führerbunker al dissolversi del Terzo Reich, consapevole che, di lì a poco, il Paese sarebbe stato ridotto in macerie. Non accettava la sconfitta e un popolo, a suo dire, «poco dedito»: per questo la Germania sarebbe dovuta crollare con lui.
Gli ultimi giorni del Führer
Il 20 aprile Hitler uscì per la prima volta dal bunker, calpestando quel che restava di Berlino, in lacrime. Incrociò alcuni soldati feriti e promise loro una vittoria impossibile: nessuno poteva difendere la Germania. Pochi giorni dopo lanciò un’invettiva contro il tradimento e l’incompetenza dei suoi comandanti e ammise – per la prima volta – che la guerra era perduta. Il fallimento e l’orgoglio lo portarono verso l’unica strada percorribile, che gli permise di camminare a testa alta fino alla fine: la morte.
«Non voglio che il mio corpo sia messo in mostra, voglio che i sovietici vedano che sono rimasto qui sino alla fine» affermò. Desiderava morire, morire lì dove aveva passato i suoi ultimi giorni: a Berlino. Iniziò a informarsi, chiedendo a un medico delle SS, Werner Haase, i metodi più affidabili ed efficaci per suicidarsi: gli suggerì pistola e veleno.
La morte di Hitler
Il 30 aprile, nella fase finale della battaglia di Berlino, Hitler si suicidò insieme alla compagna Eva Braun. La donna, appoggiando la testa sulle gambe del Führer, schiacciò tra i denti una fiala di cianuro. Hitler fece lo stesso, assicurandosi, però, la morte con un colpo di pistola nella tempia destra. I cadaveri di Hitler e di Eva Braun vennero portati all’esterno dell’edificio per poi esser dati alle fiamme. La vicenda ha aperto un giallo sulla veridicità della loro morte e sul destino dei loro corpi.
Le idee per portare avanti un progetto di valorizzazione culturale non vengono mai meno. Ci troviamo in Puglia, esattamente tra Mesagne e Latiano (BR), dove parte dei terreni del Parco dei Messapi sono stati utilizzati per la realizzazione di un orto a km zero.
Il progetto prende il nome di “Appia in Tabula” ed è stato realizzato grazie al contributo della Regione Puglia. L’obiettivo principale è quello di utilizzare il ricavato per i costi degli scavi, per le attività di gestione, ricerca e promozione dell’insediamento messapico che continua a far emergere un patrimonio archeologico unico, Muro Tenente.
L’orto, inoltre, è affidato alle cure di un agricoltore esperto e il tutto rispetta il codice dei Beni Culturali e della biodiversità del suolo. Il punto vendita di questi ortaggi è il mercatino “Hortus” aperto ogni giovedì dalle 8:00 alle 11:00. Un parte del raccolto, inoltre, è destinata alla beneficienza, in particolare alla Caritas che la utilizza nelle sue mense per le persone in difficoltà. Ci troviamo di fronte ad un progetto che sfrutta al meglio le sue risorse per aiutare le famiglie, il territorio e la storia.
In seguito all’iniziativa “Notte dei musei“, in cui i luoghi della cultura sono rimasti aperti anche dopo l’orario di chiusura standard, un quadro del XIXsecolo, L’Arno a Rovezzano di Silvestro Lega (1826 – 1895), è stato rubato dalla Pinacoteca “Corrado Giaquinto” di Bari. Pare che nella sera di sabato 3 e nella mattina del 4 luglio molta gente sia passata per i corridoi e le sale della Pinacoteca; probabilmente l’evento in atto era la giusta occasione per effettuare il “colpo”.
Il fotografo della Pinacoteca si è accorto dell’assenza del quadro e ha immediatamente avvisato la dirigente che ha chiamato i carabinieri. Le Forze dell’Ordine possiedono già i video delle telecamere di videosorveglianza interna. Oggi la Pinacoteca è chiusa e l’area del furto è sotto sequestro.
«Speriamo di poter recuperare presto l’opera ed esporla, individuando il responsabile» – commenta Francesca Pietroforte, consigliera metropolitana delegata alla Cultura – «È un episodio molto grave e siamo sicuri che i Carabinieri ci aiuteranno con le loro indagini. Ci dispiace anche perché avevamo da poco riaperto il museo dopo la chiusura imposta dalla pandemia».
In copertina: Saletta Ottocento della Pinacoteca “Corrado Giaquinto” di Bari – foto: Carta dei Beni Culturali della Regione Puglia
Lì dove la bellezza della natura si incontra con la storia è avvenuta una grande scoperta. Siamo in Puglia, precisamente a Torre Guaceto (BR), dove è stata rinvenuta una necropoli della tarda Età del Bronzo, riconducibile al villaggio ubicato sul promontorio della Torre, simbolo dell’area protetta.
Nella sola area interessata dagli scavi sono state ritrovate ben quindici tombe risalenti al XIII-XII sec a.C. È un’area in cui l’inumazione era stata sostituita dalla cremazione, probabilmente a causa di problemi epidemiologici o grazie a un’evoluzione ideologica, spiega il professore Cavazzuti, direttore dello scavo.
Le urne funerarie sono state ritrovate in depressioni naturali della roccia o all’interno di pozzetti appositamente scavati. Queste contenevano, oltre ai resti umani, anche oggetti di corredo che, al momento della cremazione, venivano bruciati insieme al defunto.
Gli studiosi ritorneranno sul campo tra un anno, quando saranno terminate le analisi sui dati raccolti e non appena si riuscirà a ricostruire la storia della necropoli.
«Il nostro obbiettivo è proseguire sulla strada già intrapresa e implementare notevolmente la divulgazione scientifica in tema archeologico» – ha dichiarato il presidente Malatesta – «La nostra comunità e gli utenti tutti meritano di sapere cosa è stata Torre Guaceto nella storia e di fruire dei suoi beni. Il prossimo passo da fare è quello di realizzare un grande evento divulgativo già nel prossimo autunno per raccontare come proseguiranno i lavori di ricerca e progettare nuovi sistemi di fruizione sostenibile».
Πάντα ῥεῖ in greco antico significa “tutto scorre”, tutto si muove e nulla resta fermo. Parliamo di un concetto che ha le radici nel pensiero del filosofo greco Eraclito, ma è sempre attuale. Mai ferma nella sua epoca e più attuale che mai è la lirica di Giacomo Leopardi La ginestra.
Vai sognando la libertà, e allo stesso tempo vuoi rendere di nuovo schiavo il pensiero, grazie al quale soltanto noi uomini ci risollevammo in parte dalla barbarie medievale e progrediamo nella civiltà, che è l’unica a guidare verso il miglioramento il destino dei popoli. Perciò ti fu sgradita la verità del crudele destino e dell’infima posizione che la natura ci ha assegnato (vv. 72-80).
Contrastare la natura “matrigna”
Giugno 2021. Il mondo intero è piegato in due a causa di una pandemia. Si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel, ma la gente è al limite delle sue forze e ancora tremante verso un futuro incerto. Ci si continua a porre domande a cui è difficile dar una risposta certa, tutto si specchia nell’instabilità. Ci si chiede quale sia l’origine del virus che continua a mietere numerose vittime; non si comprende se di origine naturale o se frutto di un esperimento in laboratorio o di un complotto. C’è chi si chiede se si arriverà mai realmente a una fine, se ci sarà mai un ritorno alla “normalità”. Con gli occhi di chi ha visto andar via vite legate alla propria, si pretendono risposte.
Io certo non ritengo un essere nobile colui che, nato per morire, cresciuto in mezzo al dolore, afferma: «io sono stato creato per essere felice», e riempie i suoi scritti di orgoglio rivoltante, promettendo su questa Terra destini sublimi e forme ignote di felicità, che l’universo intero ignora, non solo questo globo a popoli che un maremoto, un soffio d’aria corrotta (portatrice di epidemie) o un crollo nel sottosuolo (causa di terremoto) distrugge al punto che appena appena resta il loro ricordo (vv. 98-110).
La ginestra è una lirica scritta nel 1836a Torre del Greco, dove Giacomo Leopardi si era rifugiato per sfuggire all’epidemia di colera che imperversava a Napoli. Lo spunto iniziale della poesia è dato dalla viva impressione suscitata in Leopardi dalla fioritura della ginestra sulle pendici del Vesuvio, fiore che nasce in luoghi impervi e che, tuttavia, è bello e profumato.
Questo splendido fiore rappresenta per Leopardi la fatica dell’uomo nel superare le sofferenze, ma, nonostante ciò, vede speranza. Gli uomini per contrastare la natura “matrigna” devono unirsi e accettare il corso degli eventi, prendendo coscienza della propria fragilità; nonché realizzare l’infima consistenza di quel granel di sabbia che è la terra in confronto all’immensità dell’universo. La lirica di Leopardi è un richiamo allo sguardo lucido sulla realtà, a un atteggiamento che pone nella coscienza razionale la vera grandezza e dignità dell’uomo.
La ginestra ha significati simbolici: la pietà, la speranza e la solidarietà tra gli uomini, che rappresentano anche la nostra era Covid-19. Noi tutti ci troviamo di fronte allo stesso male, a prescindere dall’origine di questo. Le parole di Leopardi dovrebbero fungere da base morale alla nostra vita di questi ultimi due anni. Dovremmo unire ancora le nostre forze, avere speranza e fiducia per abbattere definitivamente questa natura con sentimenti da matrigna.
Un animo nobile è quello che, nella sofferenza, si mostra grande e forte e che non aggiunge ai suoi mali l’odio e la rabbia tra fratelli, ancora più dolorosi di ogni altro male, accusando gli altri uomini delle sue sofferenze, ma dà la colpa a colei che è davvero colpevole (la natura), che è madre naturale degli uomini, ma, per i suoi sentimenti, matrigna (vv. 118-125).
Ci lascia, all’età di 76 anni, uno degli artisti che più ha fatto amare la musica Italiana, Franco Battiato. L’artista si è spento oggi nella sua residenza di Milo (CT). Era malato da tempo e dopo la frattura al femore e al bacino non si era più fatto vedere in pubblico, ma solo sui social.
Nasce il 23 marzo 1945 a Riposto, in provincia di Catania. Interrompe gli studi universitari per seguire la sua passione: la musica. «La musica nasce dall’ispirazione, è un linguaggio in codice che eleva il pensiero. Nella creazione di un pezzo spesso è il testo che mi indirizza verso la versione musicale. L’atto creativo è un dono che una volta che ti viene concesso non ti abbandona più».
Era un amante della cultura in tutte le sue forme: musica, cinema, pittura, filosofia. Ha preso tutto questo amore e lo ha raccolto nelle sue canzoni, donandocelo. Non possiamo non percepire amore in parole come «Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare (…) perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te», La cura (1996), che ebbe il riconoscimento come Miglior Canzone dell’anno.
L’artista ha approfondito e personalizzato diversi stili e questo ha fatto discutere. Dalla fase pop è passato al rock progressivo, all’avanguardia cimentandosi anche nella musica etnica, elettronica e l’opera lirica. Tra le canzoni più celebri sicuramente dobbiamo ricordare, oltre La cura, Centro di gravità permanente, La stagione dell’amore, Cuccurucucù, Voglio vederti danzare e potremmo proseguire per molto ancora.
È un’artista che ha fatto sentire la sua voce e con essa i suoi ideali: «Noi pensiamo di essere eterni, questa è la nostra disgrazia. A scuola non c’insegnano a morire; sulla morte, invece, gli antichi egizi hanno costruito una civiltà».
Le sale dell’Archivio di Stato di Napoli ospitano la mostra “Napoli e il Risorgimento greco” curata da Jannis Korinthios, in cui sono esposti oltre 150 documenti fruibili attraverso un virtual tour.
La mostra è stata inaugurata il 23 marzo ad opera dell’Archivio di Stato di Napoli, degli Archivi Generali della Grecia e dalla Società di Studi Ciprioti. Il presidente dellaCamera, RobertoFico, commenta: “I legami storici, culturali, politici, commerciali tra Italia e Grecia sono fortissimi e si sono consolidati in tremila anni di storia, sino a culminare nella comune partecipazione al percorso di integrazione europea”. L’iniziativa ci dimostra che la cultura e la bellezza non hanno confini!
La storia di Ascoli Piceno si fa sempre più ricca, merito degli scavi eseguiti sotto la Cattedrale di Sant’Emidio. Le operazioni, condotte da Paola Mazzieri, hanno portato alla luce stratigrafie del tutto nuove, di epoche diverse che si son sovrapposte fra di loro. Alcuni reperti riemersi sono riconducibili all’età romana e picena. Altri oggetti, rinvenuti durante i lavori di sistemazione del cimitero rinascimentale, sono prettamente votivi: medagliette, crocifissi in bronzo, grani di rosario e addirittura ossa umane e materiale lapideo. Sono stati rivenuti, tra l’altro, resti di precedenti strutture tra cui basamenti di colonne, cornici modanate, pilastri scanalati e frammenti di pavimentazioni musive.
La conferma delle scoperte è data dalla Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio delle Marche. Gli scavi rinascimentali distrussero due domus di epoca romana repubblicana, di cui tuttavia sono sopravvissute le fondazioni e pavimentazioni musive. All’interno del canale che separa le due domus è stato individuato del materiale antico che va dal V-VI secolo d. C. sino a frammenti di ceramica e vetro di età altomedievale. Invece, immediatamente sotto la facciata della cattedrale, sono riemerse due grandi fosse di forma circolare contenenti materiale ceramico di epoca picena.
Piazza Arringo con il suo Duomo ci dimostrano così di avere ancora una lunga storia da raccontarci.
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