20 Marzo 43 a.C., nasce Publio Ovidio Nasone
Il 20 marzo del 43 a.C. nasce Publio Ovidio Nasone, poeta romano ed esponente di spicco della letteratura latina e della poesia elegiaca.
Celebre tra gli antichi, la sua fama giunge, ben presto, ai moderni al punto da esercitare una forte influenza anche tra i rappresentanti della poesia italiana.
La vita e gli esordi letterari di Ovidio
Molte delle notizie di cui disponiamo su Publio Ovidio Nasone, ci vengono dallo stesso poeta che ci ha lasciato una preziosa testimonianza del suo operato.
Nasce a Sulmona nel 43 a.C. da una famiglia di rango equestre e frequenta, sin dall’adolescenza, le scuole dei rètori più famosi, muovendosi tra Roma e Grecia.
In giovane età, entra nel circolo letterario di Messalla Corvino e inizia a dar prova delle sua formidabili abilità di versificazione: nel 20 a.C. cura, infatti, la sua prima edizione di una raccolta di elegie latine, dal titolo Amores
Agli Amores seguirono altre opere appartenenti, sempre, al genere elegiaco: le Heroides, realizzate dopo il 15 a.C, e l’Ars amatoria, composta tra l’1 a.C. e l’1 d.C.
L’esilio di Ovidio
La prolifica attiva letteraria di Publio Ovidio Nasone, purtroppo, subisce una brusca interruzione nell’8 d.C, quando viene condannato da Augusto alla relegatio (relegazione) nell’isola di Tomi.
Non si conoscono le motivazioni che si nascondono dietro questo provvedimento, ciò che è certo è che a Roma Ovidio non fece più ritorno, morendo nella suddetta isola nel 18 d.C.
Per un approfondimento su quest’ultimo tema e sulla vita di questo illustre personaggio romano, si invita il lettore a consultare un’elegia dello stesso, si tratta della seguente: Tristia, IV, 10.
Le Metamorfosi
L’opera più nota e più importante del poeta latino è il grande poema dal titolo Metamorphosĕon libri (Libri delle trasformazioni), appartenente al genere dell’epica mitologica.
L’intenzione di addentrarsi nel campo dell’epica è chiarita dal poeta nel breve proemio, premesso all’opera:
In nova fert animus mutatus dicere formas
Corpora; di, coeptis (nam vos mutastis et illas)
Adspirate meis primaque ab origine mundi
ad mea perpetuum deducite tempora carmen!
L’animo mi spinge a cantare le trasformazioni in nuovi
esseri; o dèi (perché a voi si devono anche quei mutamenti),
siate propizi alla mia impresa, e dalla prima origine del mondo
fino ai tempi miei ordite un canto continuato!
(Metamorfosi, I, vv. 1-4; trad. G. Garbarino)
Il poema, diviso in quindici libri, presenta una numerosa serie di miti, tutti riconducibili al tema della metamorfosi e inizia dalla narrazione del Caos originario, continuando con il susseguirsi di età mitiche e di generazioni eroiche fino all’età contemporanea.
L’opera ha esercitato un fortissimo influsso sulle letterature moderne, dal momento che rappresenta un perfetto esempio di enciclopedia della mitologia classica.
Particolarità del poema rispetto alle convenzioni epiche
Rispetto alle convenzioni epiche, le Metamorfosi presentano alcune differenze:
- nel poema non emergono personaggi di spicco, norma tipica dell’épos;
- le divinità non sono rappresentate come esseri superiori, ma sono colte nella loro dimensione privata e sono inclini alle vicende umane;
- viene infranto il codice epico dell’impersonalità della narrazione a causa di alcuni commenti del poeta.
L’importanza di Ovidio nella tradizione italiana
Ovidio ha esercitato una forte influenza anche su alcuni illustri esponenti della tradizione italiana, diventando un modello da seguire.
I periodi dell’Umanesimo, Rinascimento e del Barocco sono stati quelli più fertili per l’ingresso del poeta latino nella letteratura italiana.
L’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e l’Adone di Giambattista Marino devono, per esempio, molto alle Metamorfosi, non solo nella struttura dei singoli episodi, ma anche per il fitto uso di intrecci all’interno dei racconti.
Anche gli scrittori del Romanticismo, di solito non curanti dei classici latini, esaltarono la figura di Ovidio, elogiandolo per essere un esule e un perseguitato, condizioni che affascinavano molto la poesia del primo Ottocento.
La fama di Ovidio si diffuse anche nel Novecento, grazie al movimento culturale del Decadentismo, fautore dell’abbandono del rigore e della logica, e grazie a poeti come Gabriele d’Annunzio, che, nel suo terzo libro di Laudi, dal titolo Alcyone, reinterpreta in chiave moderna il motivo della trasformazione, arrivando addirittura a ipotizzare un’unione tra l’uomo e la natura.