Autore: Andrea Capobianco

Accadde oggi

20 Marzo 43 a.C., nasce Publio Ovidio Nasone

Il 20 marzo del 43 a.C. nasce Publio Ovidio Nasone, poeta romano ed esponente di spicco della letteratura latina e della poesia elegiaca.

Celebre tra gli antichi, la sua fama giunge, ben presto, ai moderni al punto da esercitare una forte influenza anche tra i rappresentanti della poesia italiana.

 

Busto di Publio Ovidio Nasone

La vita e gli esordi letterari di Ovidio

Molte delle notizie di cui disponiamo su Publio Ovidio Nasone, ci vengono dallo stesso poeta che ci ha lasciato una preziosa testimonianza del suo operato.

Nasce a Sulmona nel 43 a.C. da una famiglia di rango equestre e frequenta, sin dall’adolescenza, le scuole dei rètori più famosi, muovendosi tra Roma e Grecia.

In giovane età, entra nel circolo letterario di Messalla Corvino e inizia a dar prova delle sua formidabili abilità di versificazione: nel 20 a.C. cura, infatti, la sua prima edizione di una raccolta di elegie latine, dal titolo Amores 

Agli Amores seguirono altre opere appartenenti, sempre, al genere elegiaco: le Heroides, realizzate dopo il 15 a.C, e l’Ars amatoria, composta tra l’1 a.C. e l’1 d.C.

L’esilio di Ovidio

La prolifica attiva letteraria di Publio Ovidio Nasone, purtroppo, subisce una brusca interruzione nell’8 d.C, quando viene condannato da Augusto alla relegatio (relegazione) nell’isola di Tomi. 

Non si conoscono le motivazioni che si nascondono dietro questo provvedimento, ciò che è certo è che a Roma Ovidio non fece più ritorno, morendo nella suddetta isola nel 18 d.C.

Per un approfondimento su quest’ultimo tema e sulla vita di questo illustre personaggio romano, si invita il lettore a consultare un’elegia dello stesso, si tratta della seguente: Tristia, IV, 10.

 

Ovidio in esilio

 

Le Metamorfosi

L’opera più nota e più importante del poeta latino è il grande poema dal titolo Metamorphosĕon libri (Libri delle trasformazioni), appartenente al genere dell’epica mitologica.

L’intenzione di addentrarsi nel campo dell’epica è chiarita dal poeta nel breve proemio, premesso all’opera:

In nova fert animus mutatus dicere formas

Corpora; di, coeptis (nam vos mutastis et illas)

Adspirate meis primaque ab origine mundi

ad mea perpetuum deducite tempora carmen!

 

L’animo mi spinge a cantare le trasformazioni in nuovi

esseri; o dèi (perché a voi si devono anche quei mutamenti),

siate propizi alla mia impresa, e dalla prima origine del mondo

fino ai tempi miei ordite un canto continuato!

                                                                                                           (Metamorfosi, I, vv. 1-4; trad. G. Garbarino)

 

Il poema, diviso in quindici libri, presenta una numerosa serie di miti, tutti riconducibili al tema della metamorfosi e inizia dalla narrazione del Caos originario, continuando con il susseguirsi di età mitiche e di generazioni eroiche fino all’età contemporanea.

L’opera ha esercitato un fortissimo influsso sulle letterature moderne, dal momento che rappresenta un perfetto esempio di enciclopedia della mitologia classica.

Il noto poema di Ovidio

Particolarità del poema rispetto alle convenzioni epiche

Rispetto alle convenzioni epiche, le Metamorfosi presentano alcune differenze:

  • nel poema non emergono personaggi di spicco, norma tipica dell’épos;
  • le divinità non sono rappresentate come esseri superiori, ma sono colte nella loro dimensione privata e sono inclini alle vicende umane;
  • viene infranto il codice epico dell’impersonalità della narrazione a causa di alcuni commenti del poeta.
L’importanza di Ovidio nella tradizione italiana

Ovidio ha esercitato una forte influenza anche su alcuni illustri esponenti della tradizione italiana, diventando un modello da seguire.

I periodi dell’Umanesimo, Rinascimento e del Barocco sono stati quelli più fertili per l’ingresso del poeta latino nella letteratura italiana.

L’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e l’Adone di Giambattista Marino devono, per esempio, molto alle Metamorfosi, non solo nella struttura dei singoli episodi, ma anche per il fitto uso di intrecci all’interno dei racconti.

Anche gli scrittori del Romanticismo, di solito non curanti dei classici latini, esaltarono la figura di Ovidio, elogiandolo per essere un esule e un perseguitato, condizioni che affascinavano molto la poesia del primo Ottocento.

La fama di Ovidio si diffuse anche nel Novecento, grazie al movimento culturale del Decadentismo, fautore dell’abbandono del rigore e della logica, e grazie a poeti come Gabriele d’Annunzio, che, nel suo terzo libro di Laudi, dal titolo Alcyone, reinterpreta in chiave moderna il motivo della trasformazione, arrivando addirittura a ipotizzare un’unione tra l’uomo e la natura.

Accadde oggi

“Tu quoque”, le idi di marzo e la morte di Cesare

Ricorre oggi l’anniversario della morte di Gaio Giulio Cesare, avvenuta il 15 marzo del 44 a.C.

Cesare occupa un posto di primo piano nella storia romana, dal momento che fu il principale artefice del passaggio dalla repubblica al principato.

Gaio Giulio Cesare

 

Chi è Cesare

Appartenente alla gens Iulia, un’antica famiglia di origine patrizia, ma legato da rapporti di parentela con Mario e Cinna, due tra i più noti esponenti del partito dei populares, Gaio Giulio Cesare nasce a Roma nel 100 a.C.

Le fonti sulla biografia di questo grandissimo personaggio sono numerose. Alcune tra queste ci vengono  dallo stesso Cesare, che in una sua nota opera, dal titolo Commentarii, narra, in terza persona, alcune sue imprese relative alle campagne in Gallia e alla guerra civile disputatasi tra lui e Pompeo. A questa importantissima fonte, bisogna aggiungere degli scritti realizzati da alcuni esponenti politici e culturali a lui contemporanei, cioè Cicerone e Sallustio.

Avviato, sin dalla giovinezza, all’attività politico-militare, Cesare assunse un forte rilievo anche nel campo letterario, cimentandosi in svariati campi.

I successi di Cesare

Lunga e ricca di successi è la carriera politica di Cesare, protagonista del passaggio di Roma dalla repubblica al principato.

La sua attività politica inizia nel 68 a.C., quando ottiene la carica di questore, continua nel 65, con quella di edile e culmina nel 63, quando riesce ad assicurarsi la carica di pontefice massimo, che veniva conferita a vita.

Nel 60 a.C., stringe un accordo di aiuto politico con Pompeo e Crasso, che passa  alla storia come il primo triumvirato.

Console nel 59, riuscì a farsi assegnare, per cinque anni, il governo proconsolare di Gallia e dell’Illirico, al fine di avviare delle spedizioni per salvaguardare la provincia romana dalle ostilità, potenzialmente pericolose per Roma, createsi tra le tribù celtiche e germaniche. Queste azioni si conclusero nel 52, con la sottomissione di tutta la Gallia a Roma, dopo che Cesare era riuscito a far salire la durata quinquennale del suo governo proconsolare di altri cinque anni.

Il primo triumvirato: Cesare. Pompeo e Crasso (da sinistra)

 

La guerra civile ( 49-45 a.C.)

Il triumvirato era nato come un accordo politico tra tre esponenti di spicco del mondo romano, ma era evidente che uno di loro, cioè Cesare, mirava a ottenere un potere assoluto, che scavalcasse quello di Pompeo e Crasso: ciò divenne chiaro in seguito alla morte di Crasso, ucciso a Carre nel 53 a.C. dai Parti, e alle conquiste nella Gallia di Cesare. L’aria che si respirava, in seguito a queste due vicende, era molto tesa e “profumava” di guerra civile.

Il Senato, preoccupato dall’eccessivo potere del console romano, nel 49 gli mandò un ultimaturm, esortandolo a sciogliere l’esercito e a non fare rientro in Italia con delle truppe armate.

Cesare si mostrò incurante del provvedimento del Senato e, oltrepassando il fiume Rubicone, diede l’avvio a una guerra civile. Non ci fu grande resistenza, dal momento che in poco tempo il patrizio riuscì a ottenere il controllo di Roma e dell’Italia e si scontrò con Pompeo, giunto intanto in Oriente per organizzare una resistenza contro quello che ormai era un dittatore vero e proprio, sconfiggendolo  a Farsàlo, in Grecia, nel 48 a.C. La guerra, tuttavia, continuò anche dopo la morte di Pompeo, avvenuta il 28 settembre del 48, con le battaglie di Tapso, in Africa, e di Munda, in Spagna, rispettivamente nel 46 a.C. e nel 45 a.C.

Mondo romano allo scoppio della guerra civile (49-45 a.C.)

La dittatura di Cesare

Successivamente alla vittoria di Munda, Cesare aveva avviato una serie di riforme per concentrare su di sé tutti i poteri politici: divenne imperator, comandante dell’esercito, e, al tempo stesso, si fece proclamare tribuno della plebe e pontefice massimo. La sua era una volontà precisa: trasformare Roma in un principato. Era convinto che la Repubblica, oramai, risultava inadatta rispetto ad una realtà storica sempre più complessa. Il Senato si era sempre preoccupato di difendere solamente gli interessi dei nobili e dei ricchi e aveva trascurato le esigenze del popolo e delle province. Il vasto impero venutosi a formare aveva bisogno di un governo forte ed unitario che tenesse conto dei bisogni di tutti.

Cesare voleva che i popoli sottomessi considerassero Roma non come una nemica, ma come una preziosa alleata, fautrice del loro progresso economico e culturale e, per questo, si impegnò nel progetto di romanizzazione delle province, introducendo in esse la legge romana e la lingua latina.

 

Riforme in campo politico e amministrativo

Queste furono alcune delle riforme politiche e amministrative di Cesare, impegnato a trasformare Roma in un forte principato:

  • aumento del numero dei magistrati;
  • aumento del numero dei senatori;
  • fondazione di nuove colonie romane, anche nelle zone più lontane da Roma;
  • estensione della cittadinanza romana alla Gallia Cisalpina.
Le idi di Marzo e il Cesaricidio

Con l’espressione “idi di Marzo”, si fa riferimento all’assassinio di Cesare, avvenuto il 15 marzo del 44 a.C.

Il termine “idi” è legato al calendario giuliano , che divide i giorni di un mese in base a tre date fisse e non a una numerazione progressiva: calende, none e idi. Le calende indicano il primo giorno di un mese, le none il quinto o il settimo e infine le idi si riferiscono alla metà del mese.

Questa importante riforma del calendario venne fatta proprio da Cesare ed entrò in vigore nel 45 a.C.

L’anno successivo a questa riforma, il dittatore venne ucciso durante una congiura portata avanti da circa 60 senatori, tra cui figure di spicco come quelle di Bruto e Cassio. A questo episodio, passato alla storia come Cesaricidio, è legata la famosa espressione: Tu quoque, Brute, fili mi? (Anche tu, o Bruto, figlio mio?) con cui Cesare si rivolgerebbe al figlio, secondo quanto riportato da Svetonio.

L’eccessivo accentramento del potere nelle mani di Cesare aveva destabilizzato e preoccupato il Senato, impreparato di fronte al programma di riorganizzazione dello Stato e delle riforme istituzionali volute dal dittatore, che decise di intervenire contro il processo di trasformazione della res publica in impero.

La morte di Cesare, tuttavia, non arrestò il processo di cambiamento, anzi scatenò una serie di eventi che portarono al potere il figlio adottivo, Ottaviano, che nel 27 a.C. instaurò a Roma una forma di governo autocratica, ottenendo per sé poteri assoluti.

Dipinto “La morte di Cesare”(Napoli, Museo di Capodimonte) di Vincenzo Camuccini
Accadde oggi

Festa della Donna, perché si regalano mimose l’8 marzo

Fiori e amore fanno parte di un binomio indissolubile: il fiore è da sempre un simbolo della bellezza e al tempo stesso della fragilità. Per queste sue peculiarità, è associato all’amore e, in particolare, alla figura femminile. Non è un caso, infatti, che durante la Giornata internazionale dei diritti della donna, che ricorre l’8 marzo, le figure femminili vengano omaggiate con un fiore, cioè la mimosa.

Mimosa regalata alle donne l’8 Marzo

La pianta della mimosa

La pianta della mimosa, il cui nome scientifico è acacia dealbata, è originaria dell’Australia, ma ha trovato il suo clima ideale dove poter crescere e svilupparsi anche in Europa. In particolare, verso la metà del 1800 arriva in Italia, adattandosi perfettamente all’ambiente della Riviera Ligure, delle regioni meridionali e dei grandi laghi del Nord d’Italia. La pianta può raggiungere anche delle grandezze considerevoli. I suoi noti fiori gialli sbocciano a fine inverno, eliminando il grigiore della stagione fredda e “annunciando” l’arrivo della bella stagione, cioè la primavera.

Perché si regalano mimose l’8 marzo

Sono due le tradizioni che vengono, solitamente, prese in considerazione per spiegare il motivo per il quale l’8 marzo le donne vengono omaggiate con il fiore della mimosa.

La prima fa riferimento all’incendio di una fabbrica tessile di New York, nel 1908, dove persero la vita molte lavoratrici. Si narra che accanto alla fabbrica andata in fiamme crescesse un albero di mimose: questa circostanza avrebbe fatto di quella pianta un simbolo per onorare le giovani operaie che morirono durante l’incendio.

Molto diversa è invece la tradizione italiana, secondo la quale l’idea di omaggiare le donne, durante la festa dell’8 marzo, con una mimosa venne a tre figure femminili: Rita Montagnana, Teresa Noce e Teresina Mattei. Le tre, infatti, cercavano un fiore che potesse essere regalato alle donne in occasione della prima Festa della Donna dopo la Seconda guerra mondiale. 

Nel 1946, le tre attiviste proposero di rendere la mimosa il simbolo della Festa della donne, in virtù della sua facile reperibilità in primavera, e presentarono la loro richiesta all’UDI (Unione Donne in Italia), che alla fine risultò vincente. Inoltre, sebbene l’usanza di regalare mimose l’8 marzo sia italiana, è bene notare che già, anticamente, gli Indiani dell’ America regalavano mimose alle donne per dichiarare il loro amore e gli Australiani estraevano dalla pianta della mimosa un antidoto contro le malattie veneree.

Manifesto dell’UDI (Unione Donne in Italia) in favore dei diritti del genere femminile.
Approfondimento

APPROFONDIMENTO | Un consiglio da Lorenzo il Magnifico

Il 26 aprile ricorre l’anniversario della Congiura dei Pazzi, il golpe dove i de’ Pazzi attentarono alla vita di Lorenzo e Giuliano de’ Medici.

Figura centrale all’interno del mondo culturale e politico italiano nel Quattrocento, Lorenzo de’ Medici fu signore di Firenze e fautore dell’equilibrio tra gli Stati italiani. Tra le sue opere più note figurano i Canti Carnascialeschi, tra cui spicca il Trionfo di Bacco e Arianna, un vero e proprio capolavoro della cultura e della letteratura umanistica.

Ritratto di Lorenzo de’ Medici di Agnolo Bronzino (Galleria degli Uffizi, Firenze, 1555-1565)
La struttura del componimento

Il componimento si presenta come una ballata di sette stanze in ottonari (strofe di otto versi ciascuna), con ictus (accento principale) fisso sulla terza sillaba e sulla settima. È intervallata da una ripresa di quattro versi, con reciproca coincidenza, negli ultimi tre, delle parole in rima: “tuttavia” / “sia” / “certezza”.

Si tratta di una canzone a ballo composta in occasione del carnevale di Firenze del 1490: queste ballate solitamente accompagnavano un trionfo, cioè un carro mascherato, che durante il carnevale sfilava per le vie di Firenze  per volere di Lorenzo de’ Medici.

Il genere prende il nome di canti carnascialeschi e ha molta fortuna fino al Cinquecento.

I canti carnascialeschi musicati dal compositore Heinrich Isaac
Il significato della canzone

Nella ballata di Lorenzo viene esaltato Bacco, dio del piacere e della gioia, e Arianna, che fu sposata e resa immortale dalla divinità: c’è un’evidente propensione verso il godere delle gioie della vita, prima che quest’ultima passi e non lasci traccia di sé. Oltre ai due protagonisti compaiono altri personaggi, tutti accomunati dalla ricerca della felicità, come ad esempio i satiri che attendono le ninfe.

Non tutte le figure però sono contente, e che c’è chi, come il re Mida, pur vivendo nelle continue ricchezze e nei grandi lussi non riesce a essere felice.

Viene sviluppato limpidamente il tema della contrapposizione tra beni materiali, che recano un piacere solo momentaneo, e beni immateriali, che hanno un valore eterno (come la gioia e la spensieratezza). Troviamo inoltre il motivo oraziano del carpe diem, con un invito a godere dell’oggi e a non interrogarsi sul domani.

Bacco e Arianna di Tiziano (National Gallery, Londra, 1520-1523. Fonte: Google Art Project)
Cosa hanno recepito i moderni?

Se Lorenzo de’ Medici fosse ancora vivo probabilmente si stupirebbe nel constatare come i suoi precetti siano stati totalmente stravolti dall’uomo moderno. I contemporanei vivono in un mondo in cui i sentimenti non contano più nulla o quasi. 

L’uomo di oggi è talmente impegnato e concentrato su sé stesso da sembrare cieco rispetto a ciò che accade nel mondo, al punto da non rendersi conto di come la morte di molti sia il prezzo per la ricchezza di pochi. È necessario attingere alla memoria storica e culturale degli antichi perché essa rappresenta un tesoro di infinite ricchezze, a cui l’uomo dovrebbe tendere per imparare come progredire, non come regredire.

Cosa penserebbe oggi il Magnifico nel constatare che ci sono molti Mida e pochi Bacco e Arianna?

 

Immagine in copertina: Il trionfo di Bacco e Arianna di Annibale Carracci (Palazzo Farnese, Roma0)

Accadde oggi

ACCADDE OGGI | L’inaffondabile Titanic, il triste epilogo di una favola

Ricorre oggi l’anniversario di uno degli eventi più drammatici della storia della navigazione marittima: il naufragio del Titanic, la nave dei sogni, avvenuto il 15 aprile del 1912. L’RMS Titanic era un transatlantico britannico della classe Olympic, che pochi giorni dopo l’inizio del suo viaggio naufragò a causa della collisione con un iceberg nell’oceano Atlantico. Ad oggi il relitto è ancora oggetto di studi.

Il Titanic 
L’inizio del viaggio

Nel 1908, presso i cantieri Harland and Woolf di Belfast, gli imprenditori J. Bruce Ismay e W. James Pirrie finanziarono un progetto che prevedeva la nascita di navi di dimensioni imponenti con cui poter affrontare ogni tipo di viaggio per mare e in grado di mostrare quanto la tecnologia navale avesse fatto passi avanti. Il progetto doveva portare alla nascita di tre imponenti navi gemelle, l’Olympic, il Titanic e il Gigantic.

Il Titanic venne varato nel maggio 1911 e un anno dopo iniziò il viaggio che rimase impresso nella mente di tutti. La nave partì l’11 aprile 1912 dal porto di Southampton, in Inghilterra, con a bordo molti passeggeri, tra cui emigranti irlandesi che speravano di far fortuna in America.

La partenza del transatlantico
L’iceberg

I primi giorni di viaggio trascorsero sereni, il Titanic dava l’impressione di essere la nave dei sogni. A bordo era presente ogni tipo di agio, e la vista di cui i passeggeri godevano era invidiabile: sembrava di vivere dentro una bellissima favola.

La nave, però, non era così esente da difetti come poteva sembrare. Il transatlantico non era dotato di adeguati cannocchiali e stava attraversando l’immenso Oceano Atlantico ad altissime velocità, forse spinto da un eccessivo senso di sicurezza umano, errore frequente nei viaggi marittimi.

Il 14 Aprile 1912, alle ore 23:40, la nave si scontrò con un grosso iceberg che danneggiò pesantemente il fianco destro del transatlantico.

L’iceberg responsabile dell’affondamento del Titanic
La fine del sogno

Quello che sembrava un piccolo inconveniente, si rivelò la causa dell’affondamento del Titanic. L’iceberg aveva colpito un punto particolare della nave che, piena d’acqua, iniziò a presentare diverse criticità. Nel giro di poco tempo si allagarono i primi cinque compartimenti stagni, il gavone di prua, le stive postali e la caldaia.

La nave si inclinò tanto da spezzarsi in due parti: una delle due, la prua, sprofondò immediatamente; la poppa in un primo momento tornò alla sua posizione iniziale, raddrizzandosi, per poi precipitare. 

Quello che era nato come un viaggio a bordo della nave dei sogni si trasformò in un incubo che causò la morte di oltre la metà dei passeggeri complessivi del Titanic. Molti precipitarono con la nave, altri morirono a causa del contatto con le basse temperature dell’Atlantico e altri, infine, morirono aspettando i soccorsi che arrivarono molto tempo dopo l’inabissamento del transatlantico.

L’inabissamento
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ACCADDE OGGI | Nasce Raffaello, il genio del Rinascimento

Ricorre oggi l’anniversario della nascita di uno dei più noti pittori e architetti del Rinascimento: Raffaello Sanzio, nato il 6 aprile 1483.

Il celebre artista venne affascinato, in giovane età, dalle abilità pittoriche di altri due esponenti di questo movimento artistico, cioè Michelangelo e Leonardo. Quando si fermò a Firenze, tra il 1504 e il 1508, riuscì a far proprie le tecniche di entrambi, guadagnandosi l’appellativo di genio del Rinascimento.

Autoritratto di Raffaello (Galleria degli Uffizi, Firenze, 1506)
La fama di Raffaello

Le cose vecchie di Masaccio, e quelle che vide nei lavori di Leonardo e Michelangelo lo fecero attendere maggiormente agli studi, e per conseguenza acquistarne miglioramento straordinario all’arte et alla sua maniera.

Con queste parole Giorgio Vasari, noto storico del Cinquecento, commenta le abilità del Sanzio, che in poco tempo diede prova di grande abilità pittorica e architettonica.

È considerato uno dei più grandi artisti di ogni tempo, per via delle numerose opere iconiche e per le modalità con cui esse vennero realizzate, oltre che per il prezioso aiuto di una bottega estremamente qualificata.

Autoritratto di Giorgio Vasari (Galleria degli Uffizi, Firenze, 1571-1574)

 

                                                                                                                  

L’influenza di Leonardo e Michelangelo in Raffaello

Tra le prime opere ammirate da Raffaello a Firenze, un posto di spicco occupa il cartone con la Madonna col Bambino, Sant’Anna e San Giovannino, esposto nel convento dei Servi. Anche se l’opera oggi è perduta, vi è un altro cartone, col nome identico, esposto alla National Gallery di Londra, che presenta le caratteristiche della pittura leonardesca: paesaggio montano e roccioso, disposizione piramidale delle figure e gestualità accentuata.

Raffaello conosceva quest’opera e ciò è evidente se si prende in considerazione uno dei suoi primi lavori del periodo fiorentino, cioè La Madonna del cardellino degli Uffizi, che prende il nome dall’uccellino tenuto in mano dal piccolo San Giovanni.

Il paesaggio alle spalle dei personaggi è umbro ed è caratterizzato dagli stessi elementi compositivi di Leonardo: struttura piramidale e attenzione ai gesti. A ciò si aggiunge, però, lo studio dell’altro manierista, Michelangelo, cui fanno pensare la testa di Maria, elegantemente staccata rispetto al corpo e le proporzioni di San Giovanni.

Madonna col Bambino, Sant’Anna e San Giovannino (National Gallery, Londra, 1497-1500)

 

La Madonna del cardellino (Galleria degli Uffizi, Firenze, 1506)
Raffaello e Fra Bartolomeo

Negli anni fiorentini, Raffaello ebbe numerosi scambi e contatti anche con il pittore e frate domenicano Fra Bartolomeo. Nello stesso anno 1507 in cui quest’ultimo otteneva il saldo per l’Apparizione della Vergine a San Bernardo per la Badia fiorentina, Raffaello firmava e datava la Deposizione Baglioni per la chiesa di San Francesco al Prato, a Perugia. Innegabili sono le uguaglianze tra i due dipinti: composizione bilanciata e attenzione verso il colore ricercato.

Apparizione della Vergine a San Bernardo (Galleria degli Uffizi, Firenze, 1504-1507)
Focus sulla tavola della Deposizione

La nota tavola, la Deposizione, venne commissionata a Raffaello da Atalanta Baglioni in memoria del figlio Grifonetto, morto a Perugia nel 1500. La sua morte è legata a faccende private e di affermazione dinastica.

Nel 1400 la famiglia Baglioni aveva imposto la sua signoria sulla città fiorentina, causando contrasti e malcontenti generali.

Il figlio di Atalanta aveva ordinato la morte di quasi tutti gli esponenti maschili della stessa famiglia, volendo accentrare tutto il potere nelle sue mani, lasciando in vita solo Giampaolo Baglioni, che, per vendetta, ordinò la sua morte sotto gli occhi attoniti della madre.

Il dipinto, che vuole alludere a questa tragica vicenda, si configura come il trasporto del corpo di Cristo dalla croce al sepolcro: si riconoscono, in lontananza, il monte Gòlgota e le sue croci.

L’abilità di Raffaello, in questo caso, è quella di unire, in un ossimoro, il sacro e il profano: associa la morte di un individuo crudele e spietato, come era il Baglioni, a quella del campione della fede cristiana e dell’amore incondizionato, Gesù Cristo.

Deposizione (Galleria Borghese, Roma, 1507)
Raffaello architetto

Celebre nella pittura, Raffaello fu anche un abile architetto, al punto da prendere parte all’ambizioso progetto del cantiere romano per eccellenza, la Basilica di San Pietro.

Egli diede un importantissimo contributo alla Basilica Vaticana, ripristinandone il corpo longitudinale da innestare sulla crociera avviata da Bramante.

In base a una pianta attribuita al Sanzio, la struttura dell’opera doveva prevedere la realizzazione di una navata con cinque campate, con navate laterali, da porre davanti allo spazio cupolato bramantesco, dei pilastri con doppie paraste e, infine, una facciata costituita da un ampio portico a due piani.

Il progetto, purtroppo, non andò a buon fine perché il successore di Raffaello, Antonio da Sangallo il Giovane, presentò in un memoriale tutti i difetti del piano del suo predecessore.

Pianta di Raffaello per la Basilica di San Pietro
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ACCADDE OGGI | Vespri: quel ”Lunedì dell’angelo” in cui la Sicilia scacciò la Francia

Il 30 marzo 1282, in Sicilia, esplode una grande rivolta, nota come “Guerra dei Vespri Siciliani”, ribellione scoppiata a Palermo, all’ora dei vespri del Lunedì dell’Angelo, con l’obiettivo di rimuovere le truppe francesi dal territorio siciliano.

 

Contesto storico

Dopo la morte di Federico II, avvenuta nel 1250, il comando del regno di Sicilia passa al figlio illegittimo, Manfredi di Svevia.

Federico II aveva la fama di essere un Anticristo, uno strumento nelle mani di Satana contro il papato. Per questo era stato scomunicato dal Papa, così da non riuscire a sottomettere in maniera definitiva i comuni italiani. Temendo che il figlio potesse avere inclinazioni simili a quelle del padre, il papa chiese aiuto alla Francia, per fronteggiare questo nuovo dominatore, e chiamò Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, che nel 1266 sconfigge Manfredi a Benevento e ottiene il suo regno.

“Ritratto di Carlo I d’Angiò” (Pinacoteca della reggia di Versailles, 1845)
Scoppio della rivolta dei Vespri

La rivolta ha inizio a Palermo la sera del 30 marzo 1282. Poiché era il lunedì successivo alla Pasqua, numerosi fedeli si erano recati presso la chiesa dello Spirito Santo per recitare la preghiera serale, cioè la preghiera dei vespri.

I francesi erano a conoscenza del rancore dei nobili siculi nei loro confronti e temevano una rivolta. Per questo motivo, durante quella circostanza religiosa, decisero di perquisire tutti i presenti, temendo che sotto le vesti qualcuno potesse nascondere delle armi. Questo controllo venne fatto soprattutto alle donne, azione che fece adirare maggiormente il popolo siciliano.

Nei pressi del sagrato della chiesa, un soldato francese, con il pretesto di perquisirla, inizia a importunare una donna e il marito, di fronte a tanta violenza, reagisce uccidendolo.

Scoppia così un tumulto generale che si diffonde in tutta la città, e poi nell’intera penisola, contro le truppe francesi: la rivolta dei Vespri Siciliani.

 

Chiesa del Santo Spirito
L’Antudo, il simbolo dei Vespri

Noto simbolo della rivolta dei Vespri Siciliani fu il termine Antudo, acronimo di animus tuus dominus (il coraggio è il tuo signore).

Si trattava di una parola d’ordine usata dagli organizzatori della rivolta come segno di riconoscimento tra gli alleati, nella paura che i francesi potessero camuffarsi tra il popolo siciliano, evitando così l’espulsione.

il 3 aprile 1282 viene adottata la bandiera giallo-rossa, con al centro la Triscele (unione di tre spirali in un punto centrale), che diventa il vessillo della Sicilia. 

 Si decise, inoltre, di inserire nel vessillo il noto acronimo che aveva accompagnato la rivolta dei Vespri, per celebrare l’impegno e il valore del popolo siciliano.

Il Vessillo della Sicilia
Gli sviluppi e la fine della rivolta

L’idea con cui era nata la rivolta era quella di liberare il popolo siciliano dalle oppressioni francesi e istituire uno stato Siciliano autonomo, con delle basi repubblicane.

Nel corso della lotta, però, i siciliani furono costretti, per fronteggiare l’alleanza tra il papato e la Francia, a chiedere aiuto al re d’Aragona, Pietro III, che aspirava ad acquisire più spazio nello scenario politico ed economico mediterraneo.

La guerra continuò fino al 1302, anno in cui venne firmata la pace di Caltabellotta, con la liberazione del regno di Sicilia dall’oppressione francese e l’affermazione, invece, del dominio spagnolo.

Il 4 settembre 1302, Pietro III d’Aragona viene incoronato re della Sicilia.

Era ormai tramontata la possibilità per l’Italia di trasformarsi in una monarchia nazionale, simile al regno di Francia e a quello dell’Inghilterra.

Ritratto di Pietro III d’Aragona
Accadde oggi

ACCADDE OGGI | 27 Marzo 1861, la proclamazione di Roma

Il 27 marzo 1861 la Camera proclama Roma capitale del regno d’Italia. In realtà ciò si concretizza solo nel 1871, quando i Savoia si trasferiscono con tutta la loro corte.

Passaggio fondamentale per l’avvento della cosiddetta Roma caput mundi, fu un discorso tenuto al Parlamento di Torino, il 25 marzo 1861, da Camillo Benso, conte di Cavour.

Queste sono state le sue parole: “Roma è la sola città d’Italia che non abbia memorie esclusivamente municipali; tutta la storia di Roma, dal tempo de’ Cesari al giorno d’oggi, è la storia di una città la cui importanza si estende infinitamente al di là del suo territorio; di una città cioè destinata ad essere la capitale di un grande Stato.”

Roma però fu solo la terza capitale d’Italia, preceduta da Torino e Firenze.

Camillo Benso, conte di Cavour
La prima capitale e il primo regno d’Italia

La prima capitale d’Italia fu Torino, che fece da sfondo all’incoronazione del primo re d’Italia.

Il 14 marzo 1861, Vittorio Emanuele II di Savoia viene ufficialmente proclamato “re d’Italia, per grazia di Dio e volontà della nazione”. Il nuovo regno comprendeva l’intera Penisola, fatta eccezione del Veneto e del Lazio, governati rispettivamente dall’Austria e dal papa.

Il nuovo Stato unitario non era ancora una repubblica, era un regno e, in realtà, neanche democratico.

L’Italia era retta da una monarchia costituzionale, ma lo Statuto albertino prevedeva che l’elezione della Camera avvenisse a suffragio censitario, in opposizione al più democratico suffragio universale.

Ritratto di Vittorio Emanuele II di Savoia
Roma, una capitale tanto agognata

Dalla proclamazione dell’Unità d’Italia, la Camera dei deputati nutriva pochi dubbi su quale dovesse essere la capitale: Roma, la città eterna.

Fare di quel comune il cuore pulsante dello Stato, significava creare un legame, un continuo, con l’Impero Romano, agli albori del suo splendore.

La possibilità però, nel 1861, sembrava molto lontana, dal momento che il Lazio era escluso dall’Unità della Penisola ed era controllato dall’autorità papale.

Lo Stato Pontificio godeva della protezione della Francia di Napoleone III e nel 1864, con la Convenzione di Settembre, lo stato italiano si impegnò a non cercare di occupare Roma, sottoscrivendo un apposito trattato con Napoleone III.

Roma, la tanto agognata capitale d’Italia
La seconda capitale

Nel 1865 la capitale d’Italia, in seguito alla Convenzione di Settembre, viene trasferita a Firenze, e questa azione ha un significato ben preciso: avvicinarsi progressivamente a Roma anche a livello geografico, ponendo le prime basi per la conquista dell’ambito comune.

Il trasferimento a Firenze non fu però solo simbolico, dal momento che si cercò di rendere la città adatta alle esigenze del nuovo regno d’Italia e, per questo, venne varato un piano di riorganizzazioni interne del comune.

L’architetto Giuseppe Poggi, nel 1865, venne incaricato di realizzare un progetto  per il risanamento di Firenze, il noto “Piano Poggi”.

La terza e definitiva capitale

Nel 1866, allo scoppio della guerra austro-prussiana, l’Italia si allea con la Prussia contro l’impero asburgico.

Nel giro di poco tempo, Napoleone III, con le truppe ormai decimate a causa della schiacciante forza di quelle tedesche, si trovò costretto, per fronteggiare il nemico, a richiamare gli uomini stanziati a Roma per difendere il potere temporale del papato contro il nuovo Stato unitario.

Il 20 settembre del 1870, grazie al ritiro dei francesi, le truppe italiane entrano nel Lazio e occupano Roma, forzando le mura a Porta Pia.

Il 3 febbraio 1871 Roma diventa ufficialmente, dieci anni dopo la proclamazione, capitale d’Italia.

La conquista di Roma

 

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DANTEDÌ | 25 Marzo, la giornata in onore del Sommo Poeta

Si celebra oggi la giornata nazionale dedicata al Sommo Poeta della tradizione italiana, cioè Dante Alighieri.

La decisione di istituire il Dantedì è stata presa il 17 gennaio 2020, durante un Consiglio dei ministri, in occasione della commemorazione per il settecentesimo anniversario della morte del fiorentino, il 14 settembre 1321.

La scelta di celebrare l’illustre poeta fiorentino proprio il 25 marzo non è casuale. Il 25 marzo del 1300, infatti, egli si perde nella famosa “selva oscura” che ha dato l’incipit al suo noto poema, La Divina Commedia.

 

Ritratto di Dante Alighieri, ad opera di Sandro Botticelli.

 

La storia

Il 19 giugno 2017, sul Corriere della Sera, viene pubblicato un editoriale, a opera del giornalista Paolo Di Stefano, dove si fa strada l’idea di omaggiare Dante Alighieri con una giornata a lui dedicata.

Lo stesso giornalista, dopo il primo tentativo, torna più volte a ribadire l’importanza del rendere un adeguato omaggio al Poeta. Si fa portavoce, infatti, di tale richiesta in altre due occasioni, rispettivamente il 3 febbraio 2018 e il 24 aprile 2019.

La proposta è stata accolta positivamente da molti intellettuali e studiosi, oltre che da prestigiose istituzioni culturali come l’Accademia della Crusca, la Società Dantesca Italiana e la Società Dante Alighieri.

Istituzione della giornata

L’istituzione di questa giornata avviene il 4 luglio 2019 a Milano, nella sala Buzzati del Corriere, durante un evento organizzato dalla Fondazione Corriere.

Il Consiglio dei ministri ha poi approvato la direttive per istituire il Dantedì il 17 gennaio 2020 e le prime due edizioni, causa pandemia, si sono svolte online, tramite apposite apparecchiature e dispositivi, ottenendo un grandissimo successo.

Fondamentale, per l’approvazione finale è stata l’azione del ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, che ha mostrato una grande apertura e un forte spirito di iniziativa di fronte a un tema di tale importanza.

Ha usato queste parole per commentare l’approvazione definitiva della proposta: “Ogni anno, il 25 marzo, data che gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia, si celebrerà il Dantedì.”

L’iniziativa ha suscitato moltissimo entusiasmo tra i giovani e non, al punto che innumerevoli sono stati gli eventi organizzati per omaggiare l’Alighieri, già nel 2021.

 

Dantedì
Eventi 2022

Questi sono alcuni eventi che si terranno il 25 marzo 2022, in occasione della giornata in onore del Sommo Poeta:

  • Proiezione del film “Dante e Beatrice” (Chieti), Direzione regionale musei d’Abruzzo;
  • D(ur)ANTE… una visita al Museo Nazionale di Matera, Museo Nazionale di Matera – Palazzo Lanfranchi;
  • La bellezza e la poesia: Dante e la Pace, Castello Piccolomini – Collezione Torlonia e Museo d’Arte Sacra della Marsica;
  • Comedìa. Viaggio con Dante in Italia (e nel Mondo), Museo archeologico nazionale di Campli e Area archeologica di Campovalano;
  • Dantedì, la Reggia di Caserta ricorda il sommo Poeta, Regia di Caserta – Palazzo Reale.
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NEWS | Ritrovato in Antartide il relitto dell’Endurance, la nave dei sogni

È stato ritrovato il relitto dell’Endurance, la nave che alimentò il sogno dell’esploratore antartico britannico, Ernest Shackleton, di attraversare il continente dell’Antartide via mare, nel 1914.

Intrappolata dal pack (ghiaccio marino), tipico del continente antartico, la nave è affondata poco tempo dopo l’inizio del suo viaggio, ma tutti gli uomini dell’equipaggio sono riusciti a salvarsi.

Il ritrovamento ha suscitato grande gioia ed emozione, anche in virtù del perfetto stato di conservazione del relitto.

relitto endurance
L’esploratore britannico Ernest Shackleton
Ritrovamento

Il 9 marzo 2022 è stato ritrovato il relitto dell’Endurance, a una profondità di oltre 3.000 metri, nel Mare di Weddel.

Lo scorso febbraio, l’associazione britannica Falklands Maritime Heritage Trust (FMHT) ha avviato una spedizione, battezzata Endurance22, per ritrovare i resti della nave.

I ricercatori  sono stati aiutati da una rompighiaccio sudafricana (Agulhas II) e da due sommergibili ibridi. I due sommergibili hanno scandagliato il fondale del Mare di Weddell per circa 12 ore al giorno dall’inizio di febbraio, trovando infine Endurance. A quel punto l’equipaggiamento dei sommergibili è stato sostituito con videocamere ad alta risoluzione e altri strumenti per filmare il relitto che ha alimentato i sogni di tanti esploratori, desiderosi di spingersi oltre le loro capacità.

L’operazione, costata 10 milioni di dollari, donati da un anonimo investitore, ha provocato grande gioia ed entusiasmo, anche in virtù del più che buono stato di conservazione dei resti: sulla chiglia è ancora perfettamente leggibile il nome Endurance.

Per visionare il video che testimonia il buono stato di conservazione della nave e per leggere le parole riportate dal canale storico History Hit, su twitter, si invita il lettore a cercare il seguente collegamento: pic.twitter.com/2fhJy2nXHd.

 

Resti dell’Endurance

 

Timone della nave

 

Nome della nave, ancora visibile sulla chiglia

 

La storia della nave

L’Endurance è una delle più celebri navi della storia delle esplorazioni ed è legata alla vicenda dell’esploratore britannico Ernest Shackleton.

 Fu varata in Norvegia il 17 dicembre 1912 dai cantieri navali Framnaes Schypard e il suo nome era quello di Polaris: si trattava di un veliero a 3 alberi, progettato espressamente per le esplorazioni artiche.

Il veliero doveva essere destinato a crociere nel Mar Glaciale Artico da avviare, già, a partire dal 1912. Tuttavia, a causa dell’elevato costo, ci furono dei rallentamenti e dei cambiamenti e, alla fine, la grande opera venne venduta a un esploratore britannico che decise di modificarne anche il nome, che passò da Polaris a Endurance.

L’Endurance, con la guida di Shackleton, avrebbe dovuto attraversare il mare di Weddell, nel 1914, puntando alla baia di Vahsel, da dove una squadra di sei uomini, guidati dallo stesso comandante, avrebbe iniziato la traversata del continente antartico.

Il progetto risultò troppo ambizioso e la spedizione fallì prima ancora di iniziare: i ghiacci del mare di Weddel intrappolarono, ben presto, la nave dando l’avvio a una lunga odissea che sarebbe giunta al termine solo il 21 novembre del 1915, quando la nave affondò, ormai completamente stritolata dal pack.

Nonostante il grande pericolo corso, tutti gli uomini dell’equipaggio riuscirono, fortunatamente, a mettersi in salvo, evitando il tragico destino che toccò alla nave.

L’Endurance in balia del ghiaccio marino